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Autore: A Dream Called Death    10/01/2012    2 recensioni
< Pensi a lei qualche volta? > chiese poi.
< In continuazione > risposi.
Mi alzai dallo sgabello.
Lui mi fissò, incuriosito.
< E come faccio a sapere che con lei al mio fianco tornerò a vivere? Può essere l'anestetico al dolore? > chiesi.
< Lei non è l'anestetico al tuo dolore... Ma potrebbe essere la cura definitiva. >
Anno 2006.
Il tour mondiale di American Idiot è stato appena cancellato ed i Green Day tornano in America dopo tre mesi dalla partenza.
Ma qualcosa è cambiato, fuori e dentro il gruppo.
Per Billie Joe Armstrong lo scontro con le ombre del passato non è mai finito.
I pensieri, i dubbi e le insicurezze di un uomo che deve fare i conti con se stesso: una vita spesa per la musica e per la propria band, ma anche colma di bugie e alcol, nemico ed amico da sempre del protagonista, unico rimedio al dolore ed alla rassegnazione.
Ma un incontro lo sconvolge, mescola i pezzi del puzzle della sua vita, lo mette di fronte alla cruda realtà: non si può fingere per sempre, si deve trovare il coraggio di prendere la decisione più difficile di tutte... Essere felici.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
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Bianco.
Solo bianco attorno a me.
O almeno, il bianco fu l'unico colore che notai tra le pareti di quella
stanza, appena riuscii a riprendermi dalla stanchezza di quella notte insonne.
Tutti gli altri colori erano irreali.
Insipidi.
Non esistevano più.
Il bianco mi entrò negli occhi.
E da lì non si mosse.
A me quel fottuto colore non era mai piaciuto realmente.
Il bianco porta luce, il bianco porta speranza.
Ed io e la speranza eravamo ai due lati opposti di una stessa strada.
Quel viale dei sogni infranti.
Quella vita così insensata.
Il bianco, l'ho sempre odiato.
Ricordo che quando mia moglie ebbe l'idea di regalarmi un completo bianco,
nonostante valesse l'oro, io lo buttai.
Così.
Senza riflettere.
Quel bianco ora mi perseguita, mi corre dietro.
Il bianco spento del letto, il bianco del suo vestito, il bianco del suo viso.
Nonostante fossero passate ormai le sette e trenta del mattino, Jane era ancora assopita.
Io, al contrario, ero troppo sveglio.
Troppo lucido, per riprendere sonno.
Così mi misi a frugare tra le sue cose.
Quello che più mi colpì fu la libreria, l'ordine con il quale Jane avesse distribuito ogni
cosa: un ordine che non era ben definito.
Era il suo.
Solo suo.
Nonostante io avessi sempre pensato che i libri andassero ordinati in basse alla tipologia,
genere oppure al colore della copertina, i volumi posati su quella libreria davano a
pensare che quello non fosse ordine.
Bensì, caos.
Non era piacevole alla vista, tutto ciò. Anzi.
Dopo pochi secondi, mi resi conto che quel suo modo di porre ordine mi infastidiva.
Mi irritava profondamente.
Aprii un libro.
Una pagina a caso.
Non c'erano numerazioni e le due pagine che mi si presentarono avanti agli occhi...
erano bianche.
Accidenti, pensai.
Con tutte le pagine possibili ed immaginabili, proprio queste mi sono capitate.
Voltai pagina.
Bianca anche quella.
E bianca anche quella dopo, così come quella dopo ancora.
Sfogliai il libro frettolosamente.
Un libro vuoto, mai scritto.
Rimasi alquanto stupito.
Niente autore, niente testo, niente di niente.
Lo rimisi al suo posto e ne afferrai un altro.
Non credetti ai miei occhi.
Bianco anche quello.
Uno dopo l'altro, mi misi a sfogliare tutti i libri presenti in quella maledetta
stanza e con le mani tremanti appresi che nessuno di questi era stato mai scritto.
Nessuna traccia.
Nessun autore.
Libri mai scritti, perchè conservarli così accuratamente?
Non aveva senso.
Mi sedetti sul letto, impietrito.
In quel momento, una mano si posò sulla mia spalla.
Jane era seduta sul letto affianco a me, mi fissava.
-Cosa stai facendo?- domandò, notandomi leggermente sconvolto.
Io scossi la testa.
-Come stai?-.
-Cosa stai facendo?- ripetè lei.
Sospirai.
Lei posò lo sguardo su ciò che tenevo in mano e, senza preavviso, me lo strappò
dalle mani, graffiandomi con le unghie.
Si avvicinò alla libreria ma prima di rimetterlo al proprio posto si accorse che
tutti gli altri accanto erano stati spostati.
Da me, ovviamente.
Fu colta dalla disperazione.
Misi una mano tra i capelli, con sguardo pentito.
-Non volevo toccare le tue cose- ammisi, - ero solo... curioso-.
Lei non si voltò.
-Sono dieci anni che lo cerco-.
-Cosa?-.
Non rispose.
-Cosa cerchi?-.
-L'ordine perfetto-.
Ero allibito.
-Cerchi l'ordine... Per sistemare libri mai scritti?- domandai, alzandomi.
Lei non rispose.
-Mi sento strana- ammise.
Non ero pienamente convinto che Jane sapesse della sua gravidanza, quindi
decisi di rimanere calmo: non potevo certo sbatterle in faccia che avremmo
avuto un figlio nel giro di pochi mesi.
Quella situazione era a dir poco assurda.
Solitamente, sono le donne che dichiarano agli uomini di aspettare un figlio.
In quel caso, invece, ero io a dover dire a Jane ciò che le sarebbe successo.
Ciò che ci sarebbe successo.
Le cose si fanno in due, anche se io e lei siamo uno e basta.
L'altro lato di noi stessi.
Mi accorsi che per quanto cercassi di usare un pizzico di buon senso con lei,
non c'era una seconda via d'uscita: tutto riportava ad un'altra dimensione.
La sua.
Non ho mai capito se lei sapesse la portata delle parole che proferiva, ma ero
sicuro che a quelle stesse parole lei desse un senso.
Non conoscevo esattamente la definizione di normale.
Per me la normalità non è mai esistita.
Eppure lei, riusciva a destabilizzarmi, buttando all' aria anche quei pochi cocci
della mia scellerata visione di normalità.
Mi portava ad accettare quel suo modo di essere, quelle sue parole, quei suoi
gesti inconsulti.
Mi portava ad accettare lei, anche se sapevo che accettandola senza pensare
di poterla cambiare, mandavo a puttane tutta la concezione di me stesso che a
fatica ero riuscito a costruire in quegli anni.
Eppure, io non volevo cambiarla.
Jane era così.
Dannatamente imperfetta.
Dannatamente me.
Avrei sempre voluto rispondere con tono sensato alle sue affermazioni insensate,
ma non ci sono mai riuscito perchè la ragione del mio tormento verso di lei discende
proprio da questo: nonostante quelle maledette frasi fossero insensate, nell' anima
io le sentivo profondamente vere.
Non è vero che tutti muoiono.
Non è vero che l'ultima morte è sempre quella più dolorosa, come non è vero
che di morte ne esiste solamente una.
C'è la morte della fede, la morte della speranza.
La morte dell'anima.
La morte può arrivare molto prima di quello che si possa pensare.
E forse, molte persone già morte dentro nemmeno sanno di esserlo.
Era arrivato il momento di uscire allo scoperto, una volta per tutte.
Era arrivato il momento di mettere in chiaro le cose, posare tutte le carte in tavole
e scoprire, finalmente, chi tra noi due fosse il giocatore più forte di quella partita.
Forse, era il momento di fare chiarezza in quell'oblio.
-Jane, tu chi sei?- domandai, secco.
-Non evitare la domanda, non darmi una riposta che non merito. Dimmi solo chi sei tu-.
La misi di fronte alla sua paura più grande: la verità.
Chi sei?
Ma soprattutto, cosa sei?
Cosa vive dentro di te?
-Sono il passato- affermò.
Mi sedetti sullo sgabello, affianco a lei.
-Sono il presente, sono il futuro. Sono una vita mai vissuta. Non deve importare chi sono,
devi capire cosa sono- continuò.
La fissai, occhi sbarrati.
Silenzio.
-Sono amore vero-.
Mi alzai, feci qualche passo.
Pensai a cosa dirle.
E come dirle...
I miei occhi puntarono il calendario appeso al muro, avanti a me.
In quel momento io avvertii tutto il peso del tempo, che scorreva inesorabile senza
che potessi fermarlo.
I minuti diventarono ore, le ore diventarono giorni.
A me, ne mancavano solo tre ormai.
Tre giorni al fatidico appuntamente con il resto del mio gruppo.
Mike, Trè, i miei amici, i miei collaboratori, i miei parenti, i miei figli, Adrienne...
Il tempo mi parve dilatarsi.
Gli attimi sfuggono.
Non ne avevo più, di tempo.
Era esaurito, ormai.
Dovevo dirle...
Dovevo affrontarla...
-Io devo fare in modo di non perderti mai più. Il tempo scorre. E' tutto troppo veloce...-
dissi, quasi senza saliva in bocca.
-Come?-.
-Ma non l'hai capito? Ti sto chiedendo di sposarmi, ragazza-.


   
 
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