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Autore: berlinene    10/01/2012    5 recensioni
Una raccolta di shot che hanno come protagonisti i Toho Boys e la “mia” Toho Girl Yasu Wakabayashi. Una serie di storielline ad ambientazione scolastica (e dintorni) che non hanno nessunissima pretesa, se non quella di strapparvi qualche sorriso e regalarvi un po’ di sano fluff - che non guasta mai... insomma per far tornare tutti al liceo... suvvia, alzi la mano chi non ha desiderato, almeno una volta, sedersi fra i banchi dell'Istituto Toho...
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccoci qua... finalmente (ma anche no) una TS un po’ più lunga e più corale, dedicata specialissimamente a sissi149, ma il perché ve lo spiego alla fine:)
Stavolta facciamo un passo avanti nel tempo, siamo al campionato nazionale del secondo anno delle superiori e Ken e Yasu stanno già insieme.

Fidarsi è bene, non fidarsi... fa male!

Ken uscì dagli spogliatoi tirando un lungo sospiro. Era talmente teso che aveva deciso di farsi la doccia a casa, con calma, senza dover aspettare i comodi dei compagni. Chiuse gli occhi, e, di nuovo, lentamente, inspirò ed espirò. Che palle. Si teneva il braccio sinistro con l’altra mano. Ma stavolta non era la solita spalla a dargli fastidio, bensì la fascia di capitano che indossava ancora. Era come se bruciasse attorno al bicipite. Non che non avesse il carisma necessario: ormai da tanti anni aveva imparato a dare indicazioni ai difensori e non solo, e tutta la squadra riponeva fiducia in lui, ma quello, semplicemente, non era il suo ruolo. Lui non era il capitano della Toho, e odiava esserlo. Anche perché, quando quella cavolo di fascetta finiva a lui era sempre perché Kojiro aveva combinato qualche casino. Appena due anni prima era sparito, mentre adesso aveva avuto la bella idea di prendere una serie di insufficienze che, secondo le inflessibili regole della scuola, gli impedivano di partecipare alle attività extrascolastiche. Stavolta, dunque, non sarebbe bastato prostrarsi tutti davanti al mister, la cosa andava oltre il suo potere. E se i prof di inglese e letteratura si erano dichiarati disposti a chiudere un occhio, quello di matematica non transigeva. Non avrebbe chiuso nessun occhio (anche se, a onor del vero, considerando le performance matematiche di Kojiro, il professor Sasaki avrebbe dovuto come minimo cavarseli entrambi, gli occhi) e non si sarebbe mosso di una virgola se tutta la squadra o persino tutta la scuola si fosse prostrata di fronte a lui. Forse nemmeno se si incatenavano tutti al cancello dell’istituto. Forse nemmeno se immolavano qualcuno…
La serie di iperboli si concluse davanti al portone della palazzina dove abitavano. Lanciò uno sguardo verso il loro appartamento e vide che la luce in camera di Yasu era accesa. Strano che non fosse venuta a vedere gli allenamenti. “Bah”, pensò, “magari doveva studiare”. Gongolò pensando che avrebbe potuto parlarne un po’ con lei, della storia della fascia. Da quando stavano insieme, aveva scoperto che discutere con Yasu dei propri problemi, lo aiutava molto. E magari avrebbe anche millantato l’ennesimo fastidio alla spalla, così le coccole non sarebbero rimaste solo verbali…
Salì le scale a due a due, col sorriso sulle labbra e aprì la porta dell’alloggio. Stava per chiamare la sua ragazza quando scorse la borsa di Kojiro nel corridoio. Sentì le voci dei due provenire dalla stanza di Yasu.
“Sei… sicura?” stava domandando Kojiro, incerto.
“Non ti preoccupare, mettici tutta la forza. Non aver paura di farmi male” disse lei. La voce era diversa dal solito, affannata, ma aveva chiaramente udito quelle parole, mentre la risposta di Kojiro fu solo un mormorio confuso. Sentì un rumore strano, seguito da un grido di Yasu.
Tremando Ken si avvicinò alla porta chiusa e l’aprì.
Ebbe una rapida visione di della sua ragazza fra le braccia di Kojiro, poi il capitano si alzò di scatto, allontanandosi dal letto mentre la ragazza si tirava rapidamente addosso la coperta. “Ken” balbettò, gli occhi spalancati.
“Cosa sta succedendo qui?” ringhiò il portiere, fremendo, in preda a un tumulto di emozioni.
“Te l’avevo detto, Wakabayashi ,” ruggì Kojiro, “che era inutile nascondersi. Credo sia il caso di raccontargli tutto”.

******
Alcuni giorni prima...

“Mi dispiace, Hyuga, ma non è una cosa in mio potere, lo sai” ripeté per l’ennesima volta il mister Kitazume. Poi si avvicinò a Kojiro, mettendogli una mano sulla spalla. “Lo so che così ci rimettiamo tutti, ma devo ammettere che sono abbastanza d’accordo col professor Sasaki. So che tu sei qui perché sei la stella della squadra e tutto il resto, ma in fin dei conti siamo sempre a scuola… e sono ancora convinto che ai ragazzi non si debbano insegnare solo il calcio e la matematica, ma anche ad affrontare le proprie responsabilità. E ad accettare le conseguenze delle proprie azioni”.
Yasu aveva osservato tutta la scena da dietro le spalle del mister mordicchiandosi il labbro, tormentata. Capiva che l’allenatore aveva ragione, ma l’espressione sul volto di Kojiro le spezzava il cuore. “Mister Kitazume, signore” s’intromise allora, timida, “magari potrebbe almeno allenarsi, anche se non giocare”.
Kojiro alzò il viso, annuendo, pieno di speranza.
“Wakabayashi” sospirò l’uomo, “Avevo capito che fossi tu quella brava con le lingue. Sai cosa significa ‘escluso da ogni attività extrascolastica’ ?”
“Sì, signore” rispose la ragazza abbassando il capo.
“Allora ti sei risposta da sola” concluse. E se ne andò.
Hyuga lasciò la stanza a sua volta, non prima di aver rivolto a Yasu un mezzo sorriso del tipo “grazie per averci provato” cui lei rispose con un’impercettibile alzata di spalle.
Di lì a poco, anche la ragazza abbandonò lo studio dell’allenatore. Uscendo dall’impianto sportivo, la sua attenzione fu attirata da Kojiro che l’aspettava seminascosto dietro un albero. “Troviamoci in cafeteria” le sillabò con le labbra, poi si dileguò.
Yasu, curiosa, si avviò verso il luogo dello strano appuntamento.
Quando arrivò, trovò Kojiro già seduto a uno dei tavolini con davanti due bicchieri di cartone. Tè per sé e mokaccino per Yasu.
“Vedo che i miei gusti sono ormai patrimonio dell’umanità” sorrise la ragazza alla vista della bevanda.
“E’ quello che ti prende sempre Ken” borbottò lui con una scrollata di spalle. “Beh, ti siedi?”
“Gli altri non ci sono?” chiese guardandosi intorno perplessa.
“No, volevo parlare solo con te. Anzi, mi devi promettere che sarà un segreto”.
“Ok” disse stupita, scrollando la testa, con un mezzo sorriso.
“Prima di tutto, grazie per poco fa, ho apprezzato molto che tu abbia chiesto al mister di farmi almeno allenare” disse d’un fiato.
“Figurati… è che capisco la posizione del signor Kitazume, ma so anche quanto è importante per te il calcio… Se solo mettessi nello studio un po’ delle energie che profondi nello sport” lo rimbrottò sorridendo e allungando una mano per carezzare quella del cannoniere.  Kojiro trasalì a quel contatto, ma poi si rilassò.
“Ecco” riprese lui, un po’ a disagio, “io vorrei chiederti se…”
Yasu lo guardò, incoraggiante.
“No, lascia perdere, non puoi e basta…”
“Beh, dimmelo e poi vediamo, no?” Ormai era troppo curiosa.
Hyuga prese un lungo respirò e poi parlò: “Mi aiuteresti ad allenarmi?”
“Cosa????”
“Sì, ho bisogno di allenarmi, ma da solo è un casino. E non posso chiedere a Sawada e Wakashimazu di fare allenamenti aggiuntivi, già hanno quelli ufficiali, le partite, la scuola…  e poi se il mister lo venisse a sapere… li metterei nei casini… di nuovo e… non voglio… Ma non voglio crearne neanche a te quindi, dimenticati di tutto” concluse alzandosi e lasciando in tutta fretta la cafeteria.

Quella Yasu proprio non se la aspettava: Kojiro che le chiedeva di aiutarlo ad allenarsi! Ovviamente lo avrebbe fatto volentieri. Certo, avrebbe fatto più comodo a entrambi fare qualche esercizio in più di matematica, senza contare che la cosa avrebbe potuto crearle problemi col mister… ma infondo – pensò- per lei vedere le partite dalla tribuna non avrebbe fatto tanta differenza… non come la fa per un giocatore, comunque. E poi dove stava scritto che non poteva allenarsi con qualcuno? Aveva persino il permesso di usare le attrezzature!
Insomma la decisione era presa.
Tornò all’alloggio, dove Takeshi, Kazuki e Ken, stravaccati sul divano, si godevano il meritato riposo post allenamento e pre-cena. Peraltro sarebbe toccato a lei cucinare, ma ci avrebbe pensato dopo.
“Salve a tutti” salutò, soffermandosi per dare un bacio a Ken. “Kojiro è in casa?”
“In camera sua, sì” rispose Takeshi.
“Te lo ricordi, vero, Wakabayashi che oggi tocca a te a cucinare, se così si può dire?” chiese Sorimachi. “Hai già chiamato la rosticceria?”
“C’è del ramen in scatola, mangi quello Sorimachi non rompere”, ribatté stizzita, dirigendosi verso la camera di Hyuga.
“Ho capito” sospirò Ken. “Cucino di nuovo io”.

“Kojiro?” chiamò Yasu bussando appena.
“Entra pure” fu la risposta dall’interno.
La ragazza scostò la porta, affacciandosi appena: “Volevo solo dirti” scandì, a voce abbastanza alta da farsi sentire dai coinquilini, “che sono disposta a darti quelle ripetizioni, magari mentre gli altri sono all’allenamento”.
Kojiro si voltò per guardarla negli occhi. “Sei sicura?”
“Sì”.

E così fu. Nei giorni seguenti, non appena Ken, Takeshi e Kazuki andavano all’allenamento, Yasu e Kojiro sgattaiolavano fino a un boschetto nel parco della scuola. Avevano trovato una radura nascosta che faceva esattamente al caso loro, dopo un’oretta, Kojiro tornava a casa e Yasu andava a vedere, come al solito, la fine degli allenamenti.
Chiedere alla ragazza del suo migliore amico di aiutarlo ad allenarsi di nascosto da tutti era stata un’idea che gli era venuta così, su due piedi, preso dalla frenesia di giocare: in qualche modo, ed era stata lei stessa, con quella proposta al mister, a dargli l’ispirazione. Ma ogni volta che uscivano dall’alloggio per andare a farlo, era tentato di dirle che era meglio smetterla, con quella storia. Perché non voleva metterla nei casini, né con l'allenatore, né con Ken… insomma non gli sembrava giusto. Ma l’entusiasmo della ragazza era coinvolgente e la sua voglia di giocare quasi più forte di quella di Kojiro stesso. Certo, non era come allenarsi con Ken, ovvio che non aveva la sua forza e la sua bravura, e spesso il cannoniere doveva dosare la propria potenza per paura di farle male, ma Yasu aveva un’energia inesauribile e un’innegabile, naturale predisposizione. Sembrava riunire in sé, seppur in tono minore, le doti del fratello e del fidanzato, come avesse, per anni, assorbito tutti gli insegnamenti impartiti più o meno direttamente, e memorizzato i movimenti visti in centinaia di partite.
Tutto filò liscio per diversi giorni, finché, una volta, distratto da queste riflessioni, Kojiro non controllò abbastanza la propria forza e sferrò all’indirizzo della ragazza un tiro potentissimo e angolato. Se ne rese conto quasi subito, ma i suoi avvertimenti furono inutili. Forse Yasu non lo sentì nemmeno, concentrata come era sul pallone, o forse lo ignorò bellamente: fatto sta che non pensò neanche per un attimo di lasciar perdere, bensì spiccò un balzo particolarmente difficile, seguito da una brutta caduta.
“Tutto a posto?” chiese Kojiro avvicinandosi, visto che la ragazza era rimasta bocconi, anziché rialzarsi subito come faceva di solito.
Yasu rotolò lentamente sul fianco destro, fino a trovarsi a pancia in su: si stringeva la spalla sinistra e una smorfia di dolore le contorceva il viso.
“Credo” mormorò fra i denti, “che mi sia uscita la spalla”.
“Ti porto in infermeria” esalò, allarmato.
“No, il mister e gli altri ci vedrebbero, andiamo a casa, ti dirò quello che devi fare”.

“Porca miseria” imprecò Hyuga mentre riportava a casa Yasu, sostenendola, anzi, portandola quasi di peso: aveva il volto terreo, la spalla doveva farle molto male. Insomma, ormai conosceva la sua amica: non era certo tipo da lamentarsi per niente. “Cazzo, cazzo, cazzo, mi dispiace”.
“Tranquillo, Kojiro” rispose lei, a fatica. “Non è colpa tua, mi sono buttata male”.
“Sì, che è colpa mia, ho tirato troppo forte e comunque non dovevo proprio coinvolgerti in questa cosa, punto e basta… ora Ken ci ucciderà tutti e due…”
“Non deve scoprirlo per forza…”
“Credi davvero di poter nascondere a quel paranoico del tuo ragazzo di avere una spalla fuori uso? Ma se si mette in agitazione anche solo se ti sente fare uno starnuto o ti vede un po’ più stanca! Lo sai, no?”.
Yasu si soffermò un attimo: no, non lo sapeva. Certo, Ken era un tipo premuroso e solerte, ma non le era mai sembrato che la controllasse così tanto… credeva piuttosto di essere lei quella che durante le partite osservava ogni suo minimo gesto, nel timore che qualcosa non andasse…
La scoperta, lo doveva ammettere, le scaldò il cuore. Per un attimo persino il forte dolore che le pulsava nella spalla sinistra sembrò scomparire.
“No, certo ma quando me l’avrai rimessa in sede starò meglio e gli diremo solo che sono inciampata”.

Una volta a casa, Yasu si sedette sul proprio letto, provata. Quindi, con l’aiuto di Hyuga e non poche difficoltà, si sfilò la maglietta e spiegò a Kojiro la manovra che avrebbe dovuto fare. Il ragazzo annuì, cercando di non far caso al fatto che la ragazza indossava solo il reggiseno sportivo.
“Sei… sicura?” chiese. Lui non era per niente sicuro di quello che stava per fare. E se non ci fosse riuscito? E se le faceva ancora più male? Avrebbe preferito ci fosse stato Ken, lui era più pratico ed era il suo ragazzo… Ma Yasu non aveva voluto saperne: era determinata a tenere nascosta al portiere la gravità del proprio infortunio.
“Non ti preoccupare, mettici tutta la forza. Non aver paura di farmi male” lo incitò lei. Sorrideva debolmente, ma dalla voce si capiva che soffriva e aveva paura.
“E sia” sussurrò Kojiro. “Al mio tre. Uno…”
Yasu deglutì e chiuse gli occhi.
“…due…”
Yasu inspirò profondamente e strinse i denti.
“…tre!”
Il rumore fece rabbrividire entrambi e Yasu urlò: nonostante l’immediata sensazione piacevole di sentire tornare tutto a posto, la manovra le aveva fatto tanto male, che per un attimo tutto si era fatto nero e si era accasciata fra le braccia di Kojiro.
Ma si riprese subito, sentendo la porta aprirsi.
Vedere comparire Ken fu uno shock per entrambi: Kojiro si allontanò con uno scatto dal letto, mentre Yasu usò il braccio buono per coprirsi alla bene e meglio con la trapunta.
“Ken” balbettò, poi, incredula.
“Cosa sta succedendo qui?” ringhiò il portiere.
“Te l’avevo detto, Wakabayashi, che era inutile nascondersi. Credo sia il caso di raccontargli tutto”.
Yasu non sapeva da che parte cominciare. Tanto più che le girava la testa e aveva la nausea: sia per il trauma appena subito, sia per quello che avrebbe potuto pensare Ken.
Fu Kojiro, dunque, a spiegare tutto e lo fece per filo e per segno, ignorando lo sguardo della ragazza che lo pregava di minimizzare.
Ken rimase fermo sulla porta, ascoltando in silenzio il racconto del compagno, portandosi una mano al volto per massaggiarsi gli occhi e l’attaccatura del naso.
“… e allora siamo venuti qui e le ho… risistemato la spalla, credo”.
“Guardandovi bene dal passare dall’infermeria, naturalmente” osservò rabbioso il portiere.
“Non volevo che mi vedessi…” spiegò Yasu, “che ti preoccupassi…” aggiunse in tono dolce. “E poi” riprese con piglio deciso, “so cosa fare e-”
CIAF!
Ken non ci mise nemmeno un decimo della sua forza, ma lo schiaffo che colpì Yasu risuonò nelle orecchie e nel cervello di tutti e tre come un colpo di cannone.
“Ma sei scemo?” urlò Kojiro, afferrando il braccio del compagno. “Si è fatta male e tu la meni pure? Ma che modi sono?”
“Se avessi colpito te” soffiò Wakashimazu fra i denti, all’indirizzo del cannoniere, “non sarei riuscito a controllarmi”.
“E ti pare un buon motivo per mettere le mani addosso a una ragazza? Alla tua ragazza? Che, per giunta, si è pure fatta male?”
“E me lo ha nascosto! E non solo quello! Mi ha nascosto che vi vedevate, accampando quell’inutile scusa delle ripetizioni!”
“Le ho chiesto io di aiutarmi con gli allenamenti!” ripeté Kojiro, stremato.
“Lo so ma… io… quando sono entrato” balbettò, arrossendo e distogliendo lo sguardo dall’amico.
“Che Kamisama ci aiuti, Ken, amico mio, nemmeno per un momento devi dubitare…”
“Lo so, lo so!” gridò Wakashimazu, tenendosi la testa. “Ma è stato più forte di me… proprio perché mi fido ciecamente di voi due, il solo pensiero che voi… è stato terribile”.
Yasu era rimasta a fissarli, tenendosi la guancia offesa. Lo stupore e la sorpresa per quel gesto, per lunghi attimi, l’avevano avuta vinta sia sulla rabbia sia sulle lacrime che, lei stessa temeva, potevano prorompere da un momento all’altro. Invece rimase in silenzio, attonita, ad ascoltare il concitato scambio dei due ragazzi.
Fare le cose di nascosto da Ken non era nel suo stile e il pensiero che lui avesse potuto sospettare un tradimento, le diede una fitta al cuore assai peggiore di quelle che le trapassavano la spalla. Allora inspirò profondamente e, cercando di controllare la voce, s’intromise: “Ok, mi fa piacere essere stata utile come sfogo e forse lo schiaffo me lo sono pure un po’ meritato, ma ora basta, va bene? Calmiamoci. Tutti.”
“Scusa Yasu non-” la pregò Ken con voce spezzata. La rabbia e la paura, che lo avevano vinto, andavano placandosi, e, adesso, era sinceramente dispiaciuto per quel gesto impulsivo.
“Lo so.” Lo bloccò la ragazza con dolcezza. “Infatti non mi hai fatto male” lo rassicurò allungando il braccio sano verso di lui. Il movimento la fece comunque trasalire dal dolore.
“Piccolina mia” Ken le si avvicinò, stringendola piano fra le braccia.
“Perdonami per averti tenuto nascosto degli allenamenti… era per non mettere te e gli altri nei casini” sussurrò Yasu, affondandogli la testa nel petto. Quell’abbraccio, seppur cauto, anzi, forse proprio per l’attenzione che il portiere vi profuse per non farle male, la fece sentire amata e al sicuro e sciolse tutte le tensioni, abbattendo ogni sua difesa. E inevitabilmente un paio di lacrime le scesero silenziose lungo le guance, bagnando la maglietta di Ken.
“Certo, l’ho capito…” la blandì lui, carezzandole la testa e la schiena. “Ma perché non mi hai detto che ti eri fatta male?”
“Per non farti preoccupare…” mugolò lei. Si allontanò per guardarlo in faccia e uno sguardo birichino le saettò negli occhi lucidi.
“Yasu, Yasu…” la rimbrottò scompigliandole con affetto i capelli. “Non ci siamo forse promessi di prenderci cura l’uno dell’altra? E quando arriva il mio turno di prendermi cura di te?”.
“Ah, bastava dirlo… mica dovevi aspettare che mi fracassassi qualcosa… Ora, se non vi dispiace, però, vorrei un antidolorifico e un po’ di riposo”.
“Signorasì” fece Ken accennando un saluto militare e uscì dalla stanza seguito da Kojiro che borbottò qualcosa circa il rischio di morire di diabete se si fosse trattenuto oltre in quella stanza.
Wakashimazu tornò poco dopo, con una pastiglia e un bicchier d’acqua. Li posò sul comodino e uscì di nuovo, tornando subito con dei cuscini. Con delicatezza, li sistemò dietro la schiena della ragazza.
“Dovresti stare comoda così” disse un po’ imbarazzato, gli occhi puntati sui cuscini. “Almeno, io li mettevo così quando mi faceva male la spalla. Ti dà molto fastidio?” chiese solerte, porgendole l’acqua e la pastiglia.
"Un po'... anche a te quella, vero?" domandò lei di rimando, accennando alla fascia di capitano che ancora stringeva il braccio di Ken.
"Uh, quella... devo ancora toglierla..." balbettò lui, ostentando un'aria di sufficienza. "A dire il vero devo ancora farmi la doccia" aggiunse facendo il gesto di annusarsi e schifarsi, ridacchiando. “Anzi vado, così ti riposi”.
Yasu rispose con uno sguardo che avrebbe fatto sciogliere l’Antartide.
“Ho capito” sospirò Ken, alzando le mani in gesto di resa. “Sto qui finché non ti addormenti”.
Socchiuse le imposte per schermare gli ultimi raggi di sole, quindi si sedette a terra vicino al letto. Yasu allungò la mano destra a carezzargli i capelli, osservando attraverso le palpebre semi-abbassate lo stupendo profilo del suo bel portiere, e sorrise appena. Intanto l’antidolorifico cominciava a fare effetto e, piano piano, il dolore le concesse un po’ di riposo. "Non ti preoccupare, sarai all'altezza" biascicò, sfiorando la fascetta con la mano. Poi si addormentò tranquilla.

A svegliarla fu, un’oretta più tardi, la luce che filtrò attraverso la porta che veniva aperta.
“Yasu” sussurrò dalla penombra la voce vellutata di Ken. “Vuoi mangiare qualcosa?”
La ragazza sbatté un paio di volte le palpebre, poi il tentativo di alzarsi le fornì un resoconto dettagliato, rammentandole dolorosamente i fatti della giornata. Lo stomaco poi, le ricordò anche che era l’ora di cena.
“Sì, grazie” rispose. “Un attimo e arrivo”.
“Stai ferma lì” la redarguì Ken. “Te lo porto io”.
Scomparve nel corridoio e tornò quasi subito con un piatto colmo di riso, carne e verdure.
A Yasu brillarono gli occhi. “Il… coso…” esclamò estasiata.
“Il Donburi, Yasu, si chiama così” spiegò Ken, alzando gli occhi al cielo. “Ma tu sei sicura di essere giapponese?” chiese sistemando una sedia vicino al letto e sedendosi.
“Uff, lo sai. Ho tre quarti di sangue giapponese e ho avuto un’educazione occidentale” mugugnò. “Dovremo sperare che per avere il beneplacito di tuo padre faccia fede il passaporto…” ridacchiò.
“Tu ci scherzi” sospirò Ken, mettendosi il piatto sulle ginocchia e impugnando le bacchette.
La ragazza lo guardò atterrita, tendendo la mano buona: “Beh? Adesso che fai me lo mangi in faccia?”
Lo sguardo che Ken le rivolse era ancora più atterrito del suo. “Veramente” mormorò arrossendo e abbassando lo sguardo, “volevo imboccarti”.
“Volev -” Uno strano calore le si diffuse in tutto il corpo e, i suoi occhi, immaginò, dovevano aver assunto la forma di due cuoricini color nocciola. Avrebbe voluto buttare la cosa sullo scherzo, come al suo solito, ma alle labbra non le salì nessuna battuta ironica o cinica, solo una risatina nervosa. E di fronte alle bacchette che le porgevano un bocconcino di riso e carne, non le restò che capitolare e aprire la bocca.
“Ma che idillio” gorgheggiò qualcuno dalla porta.
“Fottiti Sorimachi” chiosò Yasu a bocca piena.
“Uh, la contessina sta bene allora” continuò divertito Kazuki, affacciandosi per rivolgerle un sorriso gentile.
Un secondo dopo, apparvero anche i capelli a spazzola di Sawada. La sua testa non sembrava più una palletta, ma aveva ancora i suoi occhioni rotondi, una specie di specchio che restituiva, pari pari, i sentimenti del piccolo centrocampista. In quel momento vi si leggevano la preoccupazione, che probabilmente la notizia dell’incidente gli aveva dato, ma anche la gioia di vedere che Yasu stava abbastanza bene.
“Ciao Ya-chan” disse salutando. “Posso entrare?” chiese guardando Ken e il sopraggiunto Kojiro come per chiedere il permesso.
“Se proprio non ce la fai a trattenerti” rispose il capitano.
“Potresti almeno aspettare che abbia mangiato…” aggiunse Ken.
“Ah, sì” pigolò il ragazzino, con aria abbattuta.
“Ma no, avvicinati pure” lo incitò Yasu. Non riusciva a dire di no a Takeshi, proprio come una sorella maggiore che non può fare a meno di viziare il fratellino.
Il ragazzo entrò allora nella stanza, trascinando un orso grosso quasi quanto lui.
“È per te” specificò il centrocampista. “così non ti senti sola quando andiamo all’allenamento o a lezione”.
“E soprattutto, quando riuscirai a sollevarlo col braccio sinistro, sarai completamente guarita” sentenziò Kojiro, suscitando una risata generale.
“Ragazzi” sorrise Yasu, un po’ commossa. “Vi ringrazio ma… beh, insomma, non sono in fin di vita… potrò venire a seguire gli allenamenti come al solito, e ovviamente a lezione…”.
“Piano, piano, Wonder Woman” la redarguì Ken, premendole l’indice sulla fronte. “Prima di tutto, domani vai in infermeria e poi vediamo…”
Kazuki e Takeshi la salutarono e tornarono in soggiorno, Kojiro dette un’ultima occhiata alla coppia.
“Comunque” disse con un mezzo sorriso, “non dargli mai figli, Wakabayashi”.
“Perché?” chiesero i due all’unisono, un po’ indispettiti.
“Col ritmo che ha per imboccare la gente, te li fa morire di fame”.
“Scusa, Hyuga, non tutti hanno fatto da balia ai propri fratelli minori” sospirò Ken. Poi lo guardò di traverso con un sorrisetto ironico. “E poi lo so perché sei lì che tentenni… vuoi che dica a Yasu che il Donburi l’hai fatto tu per lei… il perché glielo dici tu?” chiese sornione.
“Beh” si schernì Kojiro, scrollando le spalle e incrociando le braccia sul petto come per difendersi. “Perché da piccoli, la mamma ce lo faceva sempre quando stavamo male…”
“E…?” lo incoraggiò Ken.
“…e a Yasu invece davano solo brodaglie europee…”
“E…?” incalzò il portiere.
“E midispiacechesisiafattamaleacausamia” disse tutto d’un fiato.
“Ripeti lentamente” scandì ancora Ken, dispettoso.
“Mi dispiace di che ti sei fatta male per colpa mia”.
Yasu scosse la testa. “Te l’ho detto, ho fatto tutto da sola”.
“Quindi mi perdoni?” chiese Kojiro, con aria un po’ infantile.
“Ma certo!” rispose Yasu allegra. “Non voglio più ripetertelo… non c’è nulla da perdonare.”
Il cannoniere sorrise un po’ imbarazzato, fece un leggero inchino e scomparve.
Ken e Yasu si guardarono ridacchiando.
Poi l’espressione di Yasu si fece seria. “E tu?” chiese guardando Ken con gli occhi tristi. “Mi perdoni? Io farei qualsiasi cosa per-”
“Esattamente le parole che volevo sentire” gongolò il portiere. “C’è una cosa, sì.” Uscì e tornò dopo un po’ con una pila di libri. “Io e Sorimachi avevamo chiesto al professor Sasaki degli esercizi extra da far fare a Kojiro… Eccoli qua. Visto che hai tanta voglia di  aiutarlo e comunque devi stare buona per un po’… te ne occuperai tu.”
“IO???? Ma se ho appena la sufficienza a matematica?”
“Appunto, ti faranno bene degli esercizi aggiuntivi…”
“Ma non sono brava come te e Kazuki…”
“Noi dovremo impegnarci per arrivare infondo al campionato nazionale senza Hyuga e non avremo tempo per compiti extra. Il tuo dovere, invece, sarà di restituirci il capitano per la finale.”
“Ma non so…”
“ARRANGIATI”.

****
Qualche settimana dopo...

Ken non credeva ai propri occhi quando il triplice fischio dell’arbitro decretò il termine della finale del campionato nazionale. Il terzo titolo della Toho era realtà.
Sì ce l’avevano fatta: lui, Sorimachi, Sawada e tutti gli altri avevano raggiunto la finale anche senza il capitano.
Yasu era riuscita a ficcare nella testa di Hyuga numeri e teoremi bastanti per raccogliere una sufficienza piena, giusto qualche giorno prima della finale.
Hyuga, da parte sua, era riuscito a dimostrare al professor Sasaki di non essere buono solo a giocare a calcio. E la fascetta di capitano era tornata, con grande sollievo da parte di Ken, al legittimo proprietario.
Come sempre, il lavoro di squadra della Toho aveva trionfato.
Proprio come due anni prima, anzi meglio perché, come l’anno precedente, la Toho era l’unica vincitrice.
Proprio come due anni prima, Hyuga era rientrato per la finale.
Proprio come due anni prima, Ken era caduto malamente sulla vecchia spalla infortunata, manco a farlo apposta.
Passata l’adrenalina della partita e l’euforia della vittoria aveva realizzato che gli faceva piuttosto male e Yasu era riuscita, dopo lunghe insistenze, a portarlo in infermeria.
Ken ne uscì dopo poco e sorrise nel trovare la propria ragazza che lo aspettava davanti alla porta. Si squadrarono per un attimo, entrambi col tutore alla spalla sinistra e scoppiarono a ridere.
“Ok,” balbettò Yasu, riprendendo fiato, “alla festa per la vittoria di stasera me lo tolgo io, tanto ormai sto bene. Mica ci possiamo presentare così, non riusciamo neanche tenerci per mano!”.
“Però tutti vedranno come siamo… legati dal destino” disse lui con finto trasporto, portandosi la mano destra alla fronte.
“Che scemo, piuttosto, che ti hanno detto?”
“Niente, ho preso una brutta botta… la spalla è infiammata e mi verrà un bel livido, ma nient’altro”.
“Davvero?”
“Sì, non sono io quello che nasconde le cose.” rincarò la dose guardandola storto. “Anzi, impara da me, il dottore ha detto che se non fossi stato così bravo a cadere, avrei potuto infortunarmi gravemente”.
Yasu lo squadrò scettica. “Bravo a cadere? Mah, diciamo che ti ho visto fare cadute più plastiche…”
Ken le dette una forte pacca sul sedere, strappandole un “Ahia, scemo”.
“Lo sai vero” riprese lui avviandosi lungo il corridoio, mentre Yasu gli trotterellava dietro. “Che mi devi restituire i cuscini e che da stasera tocca a te a imboccarmi?”
“Cavoli tuoi, se ti vuoi trovare il letto pieno di riso…”
“Correrò il rischio” rispose il portiere guardandola di sottecchi.
“Ken?” riprese lei, dopo un po’.
“Eh.”
“Ok, i cuscini sono tuoi, ma Deuter l’orsacchiotto posso tenerlo io, vero?”
Wakashimazu rise forte, quindi si fermò e la guardò negli occhi. Fece un passo avanti, poi le passò una mano sotto al mento per alzare il suo viso verso il proprio. Si chinò appena e le sfiorò le labbra, si ritrasse un attimo e aspettò che lei, come sempre, le dischiudesse per accoglierlo. La baciò a fondo, a lungo, mentre ripensava a tutte le avventure delle ultime settimane: il peso del ruolo di capitano, la paura quando aveva scoperto Yasu e Kojiro insieme, l'infortunio della ragazza e il proprio e, infine, la vittoria del campionato nazionale. E capì che tutto, le difficoltà come le cose belle, nella buona e nella cattiva sorte, parafrasò arrossendo leggermente, tutto sembrava più facile e gioioso, perché erano insieme. Perché c’era lei.
Ma non glielo disse. Si limitò a scompigliarle i capelli e a rassicurarla: “Certo, piccolina, l’orsacchiotto Deuter è tutto tuo”.

Commenti finali:

E dopo Cane Genzo... l'Orso Deuter!!! Evvivaaa la zoo-portierofilia dilaaaaaga....
*si ricompone*
Eccoci alle doverose spiegazioni. Questa TS è una delle primissime che ho scritto. In origine, e su suggerimento di sissi (che mi ha dato anche l'idea dell'infortunio a Yasu), era ambientata durante il campionato delle medie (anche se coi protagonisti un po’ più grandicelli) e si incastrava perfettamente con la sparizione di Kojiro, il suo ritorno, il mister che inizialmente lo tiene in panchina salvo poi farlo scendere in campo per la finale e l’infortunio di Ken durante quella stessa partita. Tutto tornava talmente bene che questa storia era uno dei motivi per cui ho riflettuto a lungo sull’idea (invece suggerita da rel –dio ma c’è qualcosa di mio in queste storie??? Bah) di traslare il tutto agli ignoti anni delle superiori... ma poi alla fine l’ho fatto e la storia l’ho aggiustata come avete letto, perde un po’ ma spero vi sia piaciuta comunque. Per creare un legame con la vecchia versione e la nuova ho fatto fare il discorsetto a Ken... e ho lasciato il mister Kitazume perchè lo adoro...
Alla prossima!
E grazie ad agatha per il betaggio e per... TUTTO.

   
 
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