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Autore: Sephora    11/01/2012    2 recensioni
Dicono che ci si possa sentire a casa ovunque, se si è con una persona che si ama. Anche in una villa maledetta, in cui sono stati consumati innumerevoli omicidi; anche se si è l'autore di molti degli omicidi in questione.
Certo, la strada verso casa diventa più lunga se hai messo incinta la madre dell'unica ragazza di cui ti importi qualcosa e, dulcis in fundo, hai anche quasi ammazzato suo padre.
[Tate/Violet, post 1x12]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Autrice:
Sephora.
Titolo della storia: The long way home
Santa beta: Lady Aika
Genere: angst, triste, romantico.
Rating: giallo.
Avvertimenti: raccolta, flash!fic, future!fic, SPOILER!
Fandom: American horror story.
Personaggi: Tate Langdon, Violet Harmon.
Sommario: Dicono che ci si possa sentire a casa ovunque, se si è con una persona che si ama. Dicono che ci si possa sentire a casa anche in una villa maledetta, in cui sono stati consumati innumerevoli omicidi – anche se si è l'autore di molti degli omicidi in questione. 
Però, la strada verso casa diventa più lunga se hai messo incinta la madre dell'unica ragazza di cui ti importi qualcosa e, dulcis infundo, hai anche quasi ucciso suo padre.
Ambientazione: post 01x12, tiene conto del finale di stagione. Le flash sono in ordine cronologico: la prima è ambientata pochi mesi dopo Natale, l'ultima diversi anni dopo l'omicidio della baby sitter. 
Note varie ed eventuali: ogni flash si apre con una citazione. Alcune le ho trascritte mentre guardavo la puntata – ho questa fissa, io XD –, altre le ho prese da questa pagina (che consiglio caldamente a tutti gli appassionati di AHS), mentre altre ancora le ho riportate a memoria, per cui nel caso ci fossero imprecisioni è assolutamente tutta colpa mia e del mio cervellino da canarino.
La raccolta è sostanzialmente incentrata sugli sviluppi futuri che quel gran sadico/genio di Ryan Murphy ha pensato bene di ometterci. Tanto meglio, così posso auto convincermi che tutte le Tate/Violet che trovo in giro siano assolutamente Canon.
La raccolta è composta da esattamente dieci pure!flash, ovvero di esattamente 500 parole, limite che mi sono auto imposta.













The long way home






#2 – Do you know that, didn't you?






You died loved.









Ben seppellisce il corpo di Violet una notte, in aprile inoltrato, senza dire niente né alla signora Harmon, né, tanto meno, a Violet stessa.

Tate ricorda tutto di quel pomeriggio. La ceramica viscida e scivolosa, l'acqua calda, le urla. Tutto. Sopra ogni altra cosa, però, ricorda che, per un solo attimo, ha desiderato che Violet morisse per davvero. Forse è stata quell'incertezza, quei pochi secondi in più che ha impiegato a metterle le dita in gola ad averla uccisa. O forse no, forse le cose dovevano semplicemente andare così; forse è scritto da qualche parte che Tate deve innamorarsi di una ragazza destinata a morire suicida, tra le sue braccia, nel bagno di una casa maledetta. Osservato da questo punto di vista, tutto acquista una sfumatura più romantica. Un poco macabra, certo, ma pur sempre romantica.

Quando Ben finisce di colmare di terra la fossa di sua figlia, Tate lo vede trasportare qualcosa in un sacco, qualcosa di ingombrante e che ha l'aria di essere anche piuttosto pesante. Dopo aver scavato la buca per il disinfestatore, Ben si volta verso Tate, con uno sguardo indecifrabile in volto.

Tate ha sempre avuto difficoltà a capire quello che le persone pensano, ma è quasi sicuro che, per una volta, Ben non è arrabbiato.



Oltre alla stanza di Violet, Tate prende d'assedio anche quel che rimane del gazebo – chissà per quale assurdo motivo Hayden l'ha fatto a pezzi con un'accetta.

Una mattina trova Violet accasciata contro il tronco di un albero, che stringe le ginocchia al petto, e ci impiega un po' a capire che sta fissando proprio quel punto.

«So di essere sepolta qui» dice non appena si accorge di lui, senza distogliere gli occhi dalle terra ancora smossa.

Tate abbassa lo sguardo e le si siede accanto, arricciando appena le labbra. «Avrei dovuto dirtelo?»

«Penso di no».

Violet tace per qualche minuto, limitandosi a dondolarsi sulle punte dei piedi e sui talloni.

«Raccontami cosa è successo quando... Insomma, hai capito» sussurra infine, con la voce strozzata e la cadenza titubante di chi non è convinto di voler ascoltare la risposta.

«No» sibila immediatamente Tate. «No, no, no, Violet. Non voglio farti del male».

«Te lo sto chiedendo io».

«Oh, Violet, io...»

«Tate». Violet si passa una mano tra i capelli, grugnendo qualcosa, e prende dalla tasca un pacchetto di sigarette. Paradossalmente da quando non si deve più preoccupare di cancro, arterie e polmoni fuma più di rado. «Avanti».

Tate la fissa a lungo, poi le afferra rapidamente la mano – non sa se è la sua ad essere tiepida o la propria ad esser fredda – e la stringe al grembo.

«In mezzo a tutte quelle lacrime, a tutta quella tristezza... Tu eri amata, Violet. Amata da me, per cui non so quanto – e se – valga, ma... non eri sola. Non sei sola». Le carezza il dorso col pollice, lentamente, leggermente, allentando un poco la presa. «Questo lo sai, vero?»

Prima di andarsene, Violet ricambia appena la stretta.




   
 
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