Apice solare
Il
vecchio appendipanni
in legno dell'ingresso era seppellito da uno spesso e variopinto
strato di cappotti altrui: alcuni, di tanto in tanto, scivolavano a
terra per essere poi pigramente recuperati da Dom, seduto accanto
alla cassettiera in corridoio come un maggiordomo annoiato.
In realtà stava cercando
di sfuggire al monotono, educato vociare di cui era pieno il
soggiorno, nonché alle attenzioni dei vari parenti, amici di
famiglia, vicini di casa e conoscenze utili venuti a festeggiare il
Natale in casa Howard.
Dalla porta socchiusa del
soggiorno riusciva ad intravedere il caminetto, scoppiettante e
decorato da tralci di vischio e fiocchi rossi lungo tutto il bordo
del ripiano in pietra, e parte del tavolo rivestito dalla tovaglia
bianca ricamata che sua madre utilizzava solo in quella determinata
occasione.
Un bel quadro, non c'era
dubbio... Se non fosse stato per la torma di invitati che lo
affollava.
Ingollando l'ultimo sorso
di punch – non alcolico, purtroppo – Dom
posò il bicchiere sulla
cassettiera, accomodandosi alla bell'e meglio sulla dura sedia antica
che fungeva di solito solo da ornamento.
Per quanto nei giorni
precedenti non avesse fatto altro che annoiarsi in solitudine nella
sua stanza ed in giro per Teignmouth, di certo non aveva atteso il
rinfresco di Natale con ansia – un giorno avrebbe spiegato a
sua
madre che risultava un tantino ipocrita, per un ateo, mangiare e bere
allo scopo di festeggiare la nascita dell'ipotetico figlio di un
altrettanto ipotetico Dio... E poi la messa, gli auguri, i commenti
ammirati sul suo aspetto fisico da parte di non meglio identificabili
“zie” e “zii”, i regali inutili
ed i ringraziamenti privi di
significato...
Del Natale Dom apprezzava
solo l'opulenza della tavola, come decise di ricordargli il suo
stomaco in quel preciso istante.
Nella fretta di sfuggire
alla compagnia degli invitati, infatti, aveva mangiato solo un paio
di canapé e non gli erano neanche piaciuti troppo - la
dannata fissa
di sua madre per la curcuma aveva colpito ancora – ma forse
era
ancora in tempo per trovare un mini-sandwich al salmone e
formaggio... Diamine, ci contava.
Cercando di non dare
troppo nell'occhio, Dom infilò la porta del soggiorno e si
diresse
verso il buffet – cocktail di gamberi, mini-quiche, patate
novelle,
pinzimonio...
Prima che potesse
allungarsi ad afferrare uno dei mini-sandwich superstiti, una mano
gli si aggrappò gentilmente all'avambraccio teso verso il
vassoio.
- Scusami, tesoro... Sai
se questo punch è alcolico?
A parlare era stata una
signora anziana dal sorriso cortese ed una nuvola di capelli bianchi
ben cotonati e raccolti sulla nuca.
Dom cercò di ricordare se vi fosse qualche grado di
parentela a
legarli.
- Uh, no.
Il sorriso della donna
scomparve immediatamente.
- … che razza di
persona offre un punch non alcolico ai suoi ospiti? Non mi meraviglia
che questa festa sembri organizzata nel museo di Madame Tussaud dopo
l'orario di chiusura.
Dopo quello sfogo
inaspettato, la donna strinse di nuovo il braccio di Dom a
mò di
scusa: - Perdonami... Non volevo neanche venire, è questo il
problema. Mi ha trascinato mia figlia, dice che devo uscire un po'. -
Mosse poi la mano come a
scacciare un insetto molesto: - … oh, naturalmente non ti
interessa.
Dom si ritrovò a non
poter far altro che sorridere di nuovo, ancor più incerto di
prima;
in quel momento, Diane sbucò da chissà quale
angolo del soggiorno e
cinse le spalle del figlio, esclamando: - Signora Bingham! Va tutto
bene?
L'anziana signora trillò
fin troppo entusiasta: - Ma certo, mia cara! Ne stavo giusto parlando
con il suo giovane ospite...
Diane dedicò una breve
occhiata a Dom, replicando: - Oh... Quindi ha già conosciuto
mio
figlio, Dominic?
- Suo figlio?
La signora Bingham si
voltò lentamente verso Dom, fissandolo attentamente con i
suoi
brillanti occhi azzurri.
- … Dominic Howard,
dunque. - mormorò, e il ragazzo annuì con aria
circospetta: non gli
era piaciuto molto il tono usato dall'arzilla vecchietta, che
sembrò
dimenticarsi della presenza di sua madre apostrofandolo direttamente:
- Matthew mi parla molto di te.
Dom ci mise qualche
secondo a ricevere il messaggio: quando finalmente fece due
più due,
sbiancò.
Quella... Quella era...
- Sono sua nonna...
Maureen Bingham. Il piacere è tutto mio.
- Bene! - commentò
Diane, allegra ed inopportuna. - Ci vediamo più tardi per il
brindisi!
Per la prima volta dopo
molti anni, Dom ebbe una gran voglia di seguirla nel suo giro di
convenevoli centellinati ad ogni singolo ospite: invece, rimase
impalato ad affrontare la nonna del suo incubo ricorrente.
La sua sfortuna aveva
deciso di fare gli straordinari e allietargli anche il giorno di
Natale, insomma.
- Dominic Howard... Ti
facevo più imponente, sai?
Detto da una donnina alta
non più di un metro e mezzo non suonava granché
offensivo, ma Dom
chinò lo stesso la testa senza nemmeno avere la presenza di
spirito
di tentare una risatina di circostanza.
- … e prima non
parlavi, poi?
Di certo la lingua lunga
della signora Bingham non contribuiva a farlo sentire più a
suo
agio.
Servendosi un vol-au-vent
su un tovagliolino, la donna disse: - Se avessi saputo che il party
era a casa tua avrei convinto anche Matthew a venire, invece di
lasciarlo a bighellonare da solo... Anche se forse non ti avrebbe
fatto piacere, mhm?
Chissà cosa le aveva
raccontato di lui, quell'impiastro del nipote. L'opinione che la
signora Bingham aveva di lui sicuramente era pessima, a giudicare da
come lo fissava e gli si rivolgeva.
Interpretando il suo
prolungato silenzio come una conferma di quanto aveva appena detto,
la donna annuì: - Lo immaginavo.
- Non ho nulla contro suo
nipote. - borbottò in sua difesa Dom.
- Ma neanche ti piace.
La signora Bingham si
guardò attorno, appallottolando il tovagliolo; poi si
chinò verso
Dom con aria cospiratrice, bisbigliando: - C'è un posto dove
io
possa fumare senza farmi scoprire da mia figlia, vero?
- … il giardino? -
suggerì incerto Dom: la donna annuì, e chiese poi
con un sorriso
allegro: - Mi accompagni?
-
Mhm... Così va meglio.
-
La signora Bingham
socchiuse gli occhi, rilasciando una densa boccata di fumo biancastro
nella penombra del giardino e lasciando così Dom libero di
cercare
un argomento di conversazione che non fosse e riguardasse la loro
conoscenza in comune.
Di che animale è la
pelliccia che indossa?
Oh, fuma le Philip
Morris. Wow.
Secondo lei quando
arriverà la prima nevicata della stagione?
Cosa sa di me?
- Ne vuoi una?
Dom fissò il pacchetto
di sigarette a lungo, prima di accennare ad avvicinarsi; a quel punto
la signora Bingham ritrasse il braccio, esclamando: - Che diamine,
non volevo dartela sul serio... Sono una madre e una nonna, insomma!
Aspirò un'altra boccata,
emettendo un breve sibilo.
- Puoi rientrare, se
vuoi.
In
effetti stare lì non era affatto piacevole: il
gelo che li
circondava era umido ed appiccicoso, dato che quella sera il vento
spirava dal mare. Rabbrividendo, Dom ritirò le mani
all'interno
delle maniche del cappotto e gettò una breve occhiata
all'interno
delle finestre illuminate dietro di sé: la signora Bingham
seguì il
suo sguardo e mormorò: - Ti stai annoiando anche tu?
Dom rilassò le spalle
contratte in un'involontaria posizione difensiva, smettendo di
seguire il balletto di ombre che si muovevano dietro la superficie
traslucida delle tende in salotto, e annuì.
- Potevi invitare qualche
amichetto o amichetta... Hai una fidanzata?
Bene, a giudicare dalla
domanda Bellamy aveva taciuto sui particolari più patetici
della sua
esistenza. Un gesto magnanimo.
- No, no. - smozzicò in
risposta.
La signora Bingham
assunse una posa quasi divistica, reclinando il capo da un lato e
sorridendo lievemente con la sigaretta fumante mollemente trattenuta
da indice e medio: - Ma sì, sei talmente giovane... A
quest'età
dovete solo uscire e divertirvi.
Chissà, rifletté Dom,
magari aveva davvero la faccia di uno che usciva e si divertiva con
amici e amiche, uno che intrecciava amorazzi e viveva eccitanti
avventure che sarebbero stati la consolazione della sua serena
vecchiaia da uomo vissuto.
La signora Bingham dava
l'impressione di pensarlo, il che non gli dispiaceva affatto.
- Suoni ancora la
batteria?
- Sì...
- Suoni in un gruppo?
- No.
Illuminandosi in volto,
la signora Bingham esclamò come se si trattasse della
rivelazione
del secolo: - Matthew suona il pianoforte! È
molto bravo, compone persino... Ma già lo saprai, no?
Dom
non ebbe modo di replicare, perché la donna gli
riversò contro un
frenetico fiume di parole entusiaste: - Conosci i Tornados? George,
il papà di Matthew, era il loro chitarrista... O secondo
chitarrista? Diamine, non ricordo... Comunque, erano un gruppo
abbastanza famoso, all'epoca. Hai presente Telstar? Comunque, alla
fine George ha abbandonato la sua carriera da musicista ed è
diventato uno degli idraulici più scadenti del Regno Unito e
poi
dell'Australia.
-
Oh... - commentò Dom, annuendo come se la storia di George
Bellamy
fosse di suo interesse.
La
signora Bingham si prese un attimo di pausa per scuotere via la
cenere dalla sigaretta, prima di riportare il focus della
conversazione sul suo compagno.
-
Cosa vuoi fare della tua vita, Dominic? Hai già un'idea?
Il
ragazzo sbuffò, impacciato: - Non lo so...
-
Quindi non vuoi fare il batterista di mestiere?
-
Non ci ho pensato ancora...
-
Hai rifiutato l'offerta di mio nipote anche per questo?
Perché
Matthew è molto serio, riguardo al suo progetto... Capisco
che
questo possa spaventarti un po'.
Oh,
sì, il problema era esattamente quello, come no.
Interpretando
il suo prolungato silenzio nella maniera giusta, la signora Bingham
considerò in tono indifferente: - … ti spaventa
di più quello che
si dice in giro sul suo conto, va bene.
Continuò,
pensierosa: - Io non dovrei impicciarmi, vero? Certo, sono sua nonna
e gli voglio bene ma forse dovrei farmi gli affari miei...
Un
secondo più tardi gettò a terra la sigaretta,
contraddicendo quanto
detto poco prima: - … e invece no, non mi sta bene. Non
riesco a
mandare giù il fatto che mio nipote venga considerato
nell'ipotesi
peggiore un mostro e in quella migliore un pagliaccio. Ha solo
quindici anni, Cristo.
Un
po' intimorito, Dom le fece notare: - Gliel'ho detto... Non ho nulla
contro di lui.
La
donna liquidò l'affermazione con un gesto sbrigativo: -
Tranquillo,
zucchero, non ti sto accusando di nulla... Sono solo stanca di vedere
Matthew che continua a prendere schiaffi da tutte le parti per una
sciocchezza che ha commesso in passato.
-
Lui è... È
un ragazzino
adorabile, il più delle volte. Certo, non pulisce la sua
stanza,
lascia sempre in giro le sue cose, gli basta muovere un passo per
far cadere qualcosa a terra, si arrabbia facilmente, esce senza
permesso, non fa i compiti, mi ruba le sigarette, dice troppe
parolacce e per farlo andare a messa dobbiamo letteralmente tirarlo
per le mani ed i piedi...
Come
se stesse riflettendo sulle proprie parole, la signora Bingham
tacque; poi allargò le braccia, ammettendo: - …
be', è un po'
complicato ma è un ragazzino. Solo un ragazzino.
Dietro
di loro, la porta si spalancò e Diane fece capolino,
guardandosi
attorno e notando suo figlio e la sua ospite in veranda.
-
Oh, eccola qui... Signora Bingham!
-
Mia cara Diane! Mi stava cercando? - ribatté la signora
Bingham, con
melliflua ingenuità.
Dom
la vide nascondere la sigaretta sotto un piede e trattenne una
risata.
-
Sì... O meglio, la stava cercando sua figlia. - disse Diane;
dietro
di lei, infatti, c'era Marilyn Bellamy.
-
Mamma, che ci fai qui fuori?
La
signora Bingham si avvicinò a Dom, cingendogli le spalle con
un
braccio e cinguettando amabilmente: - Oh, niente di che... Dominic mi
stava mostrando il giardino.
La
signora Bellamy non appariva particolarmente persuasa: - Molto
interessante... Sbaglio o sento odore di fumo?
-
Fumo? Sta bruciando qualcosa? - chiese la signora Bingham, prima di
annunciare: - Comunque, cara Diane, stavo per dire a Dominic che mi
farebbe molto piacere averla come ospite per un tè, un
giorno di
questi.
Dom
si voltò verso la donna, realizzando all'istante da quale
membro
della famiglia avesse ereditato il suo caratteristico entusiasmo
psicopatico il più giovane dei Bellamy.
-
Oh, sarebbe un piacere anche per me! -
Per
essere una vecchina dall'aria fragile, la signora Bingham possedeva
la stretta sicura e letale di un'anaconda nel fiore degli anni: -
Facciamo domani alle quattro e mezza, allora? Oh, e... Dominic?
La
voce dell'anziana donna si abbassò in un sussurro
inequivocabilmente
minaccioso: - … ovviamente sei invitato anche tu.
Fu
allora che Dom si convinse che nonna e nipote fossero non solo fatti
della stessa pasta, ma addirittura complici nella messa in atto di un
piano semplice e raffinato al tempo stesso: conquistare il figlio
–
lui stesso - passando per l'ignaro e turlupinabile resto del nucleo
familiare – sua madre.
-
Veramente io... - tentò debolmente di difendersi il ragazzo,
ma la
signora Bingham lo zittì allegra: - Non ti piace il
tè? Potrei
prepararti una bella tazza di cioccolata, allora, che ne dici? Con
panna e qualche cialdina croccante... Se non avessi problemi di
diabete ti farei compagnia, accidenti! Fortuna che Matthew è
in
salute e goloso... Mio Dio, senti che vento! Fatemi rientrare, sono
troppo vecchia per sfidare i germi del raffreddore!
Questo
deve essere per forza un incubo. C'è chi sogna di essere in
mutande
di fronte alla propria ex-fidanzatina delle medie nonché un
quarto
degli alunni di allora ad additargli le pubenda ridendo e chi sogna
di prendere un té con la propria nemesi.
Senza
troppo entusiasmo, Dom seguì sua madre attraverso il
giardino
rigoglioso ed un po' incolto dei Bellamy.
Forse
avrebbe dovuto millantare un improvviso, invalidante febbrone da
cavallo o un oceanico carico di compiti da svolgere entro e non oltre
quel pomeriggio, pena le più atroci ripicche da parte del
prof
schizzato di turno; la verità, però, era che
conosceva dannatamente
bene i suoi polli. Se intendeva liberarsi davvero delle attenzioni
della signora Bingham avrebbe dovuto dirglielo a quattr'occhi e di
certo non eludendo il problema come già in passato aveva
cercato di
fare senza successo con suo nipote.
Non
era del tutto sicuro che sarebbe successo quel pomeriggio ma,
rispetto per gli anziani o meno, probabilmente avrebbe dato il
benservito anche alla nonna di Bellamy.
Sulla
veranda, oltre ad un armadietto metallico, una poltrona ed un
tavolinetto in vimini, c'era un gatto siamese addormentato: quando
Dom e sua madre suonarono il campanello la bestiola sollevò
il capo,
scrutando il ragazzo con un cipiglio per nulla rassicurante –
ma
quale gatto aveva l'aria rassicurante, dopo tutto?
Ad
accoglierli, dietro la porta scura, i due visitatori trovarono la
signora Bingham ed un intenso profumo di cacao.
-
Bene arrivati! Aspettate solo che finisca con la cioccolata e arrivo!
- trillò l'anziana donna, prima di entrare in quella che
doveva
essere la cucina: nel frattempo Marilyn Bellamy venne incontro a
Diane con un sorriso.
-
Buonasera... Siete puntualissimi.
Diane
ridacchiò: - Oh, per me è una questione di
principio! Di solito
sono sempre la prima a …
Dom
smise di ascoltare i convenevoli di sua madre quando si accorse di
Bellamy, semi-nascosto dietro sua madre; mentre si avviavano tutti e
quattro in soggiorno, le rispettive genitrici assorte in una fitta
conversazione, il ragazzo salutò brevemente Dom: - Ehi.
-
Ehi. - lo imitò freddamente quest'ultimo.
Di
rimando, quasi come se la situazione seccasse molto anche lui,
Bellamy disse tutto d'un fiato: - Senti... Non è stata una
mia idea,
ok? Nonna è un po'... Esuberante, e testarda.
-
Mi ricorda qualcuno... - ironizzò Dom, prima di prendere
posto al
tavolinetto circolare del soggiorno, apparecchiato con grande cura
per il tè.
La
signora Bingham fece il suo ingresso con le cioccolate e la teiera,
trottante e zufolante come fosse il giorno migliore della sua vita.
-
Eccomi qua... Guardate quante cose buone!
Un'enorme
tazza di cioccolata decorata da un'imponente pagoda di panna montata,
quattro lingue di gatto, una spolverata di cacao e di glitter
alimentare rosso fu piazzata con solerzia sotto il naso di Dom.
Il
ragazzo si lasciò sfuggire un atterrito: - È
enorme. - che venne prontamente captato da Bellamy,
seduto
accanto a lui: - In puro stile Maureen Bingham... Se non la finisci
ci provo io.
Dopo
aver sorseggiato il suo tè, Diane posò la tazza
sul tavolo e si
rivolse gentilmente a Bellamy: - Matthew, non ti vedo da
così tanto
tempo... Sei davvero cresciuto, in questi mesi!
Il
ragazzo annuì, quasi strozzandosi con il cucchiaino nel
rispondere:
- Cinque centimetri.
Diane
esplose in una risata mondana: - A quest'età ci si allunga
come
spighe... Anche Dominic è piuttosto alto.
Dom
alzò brevemente gli occhi al cielo - possibile che sua madre
non
riuscisse a parlare di qualcosa che non fosse la sua altezza, con
amici e conoscenti? E ovviamente, dopo una breve pausa per
sbocconcellare un sandwich, aggiunse l'immancabile: - Ma non ancora
quanto suo padre... -
La
signora Bellamy colse l'occasione per domandare: - Oh, a proposito...
Posso darle del tu, giusto? Tuo marito come sta, Diane?
Dom
si irrigidì all'istante, distogliendo lo sguardo dalle tre
donne e
incontrando così quello di Bellamy, il quale aveva
già finito la
panna e stava attaccando alacremente il tiepido strato sottostante di
cioccolata – certo che era vorace, per essere un ragnetto
rachitico.
Diane
intanto stava rispondendo, con un sorriso più affettato del
solito:
- È
in viaggio di lavoro
al nord, nel Lancashire.
-
Un viaggio piuttosto lungo... Non è tornato nemmeno per il
Natale. -
osservò distrattamente la signora Bingham, versandosi del
latte.
-
Sì, ma cosa posso farci? Posso solo tirare avanti
quaggiù ed
aspettare. - sorrise ancora Diane.
Dom
fece cadere il cucchiaino nella tazza, lasciando che venisse
soffocato dall'abbraccio morbido di panna, cacao e lustrini.
La
signora Bellamy se ne accorse: - Non ti piace, Dominic?
-
Sì, mi piace moltissimo ma non ho molta fame...
La
signora Bellamy annuì e volle sapere: - Come va con la
scuola? Sei
al terzo anno, immagino sia difficile...
Dom
alzò le spalle, rispondendo: - Non tanto... Cioè,
non troppo.
-
Ti piace studiare?
-
Dipende dalla materia.
-
Qual è la tua materia preferita?
-
Di sicuro non educazione fisica... - si intromise Bellamy, un ghigno
furbetto macchiato di cioccolata sul viso ossuto: lo stronzetto
sapeva certamente dei suoi pessimi trascorsi di mancato corridore,
pallavolista, cestista e qualsiasi altro metodo di tortura avesse in
serbo il professore di ginnastica per i suoi allievi.
Dom
lo fulminò con un'occhiata, prima di proseguire: - Non lo
so... Me
la cavo in tutte, più o meno.
Prendendo
spunto dalla padrona di casa, Diane disse: - E tu, Matthew? Qual
è
la tua materia preferita?-
-
Credo che sia musica... Oppure recitazione, l'anno scorso ho preso il
massimo dei voti.
-
Quello è un laboratorio, non vale. - precisò Dom,
e Matt lo
rimbeccò immediatamente: - Invidioso.
In
quel momento qualcosa di morbido e caldo si strofinò contro
le gambe
di Dom, che sobbalzò: un miagolio stridulo si
inserì nelle
chiacchiere dei cinque commensali.
-
Cosa...? - esclamò la signora Bingham, chinandosi per
guardare sotto
il tavolo.
-
Miele, cosa ci fai qui?
Quando
la donna lo prese in braccio, il siamese che Dom aveva visto
sonnecchiare in veranda le infilò saldamente gli artigli
delle zampe
anteriori nella maglia e puntò gli occhi azzurri e strabici
sul
resto della compagnia.
La
signora Bellamy si sistemò la bestiola in braccio a mo' di
neonato,
parlando al nipote: - Gli hai dato da mangiare?
Fissando
gelido il gatto, Bellamy bofonchiò: - L'ho dimenticato.
Schioccando
la lingua in segno di disapprovazione, la signora Bingham si rivolse
direttamente a Miele, sollevandolo in aria e tenendolo a distanza fin
troppo ravvicinata dal viso: - Povero micio... Ma adesso Matthew ti
dà la pappa, mhm?
Come
risposta ricevette un verso basso e livoroso come un ultimatum
– o
la pappa o la vita.
La
signora Bingham si alzò per consegnare l'animale al nipote e
ordinargli: - Vai, ora... E fatti accompagnare da Dominic,
così gli
mostri un po' il giardino!
Bellamy
sembrava persino meno entusiasta di Dom, all'idea – ma, un
momento... Non aveva forse preso il massimo dei voti in recitazione?
-
È
solo un giardino,
nonna...
Ormai,
però, era troppo tardi: la signora Bingham
incalzò il nipote,
costringendo sia lui sia Dom ad alzarsi da tavola in tutta fretta: -
Correte, su! Non vorrei che Miele diventasse di cattivo umore...
-
Bestiaccia lunatica... Ahi!
Appena
furono in veranda il siamese saltò a terra con elegante
nonchalance,
non prima di aver marchiato la mano di Matt con un lungo graffio
vermiglio.
Provando
nei confronti della mini-belva un'istintiva simpatia, Dom
sogghignò.
-
Carino.
Bellamy
si sfiorò il graffio con cautela, borbottando: - È
fuori di testa... E nonna è più pazza di lui ad
averlo chiamato
“Miele”.
Restarono
entrambi a guardare il gatto scomparire dietro una siepe, in
silenzio: poi Bellamy indicò tutto intorno a sé,
elencando
annoiato: - Vabbe', uhm... Questo è il giardino. Quelli sono
dei
fiori. Quelli sono dei nani in gesso. Quella è erba. Fine
del giro,
puoi rientrare.
-
Non so se mi va di tornare là dentro. - disse sinceramente
Dom,
puntando la poltrona in vimini – sembrava piuttosto
confortevole.
Bellamy
sospirò, infilandosi le mani in tasca.
-
A chi lo dici.
-
Non vai a mettergli da mangiare? - gli ricordò Dom.
-
Qua attorno è pieno di gabbiani e lui è un
gatto... Lasciamo che la
natura faccia il suo corso. - sentenziò Bellamy,
dondolandosi sui
talloni e chinando il capo in avanti.
-
Cioè che i gabbiani lo spolpino vivo?
-
Non sono così cattivi...
-
Hai visto i manifesti che il sindaco ha fatto attaccare in giro per
la città?
-
Allarmismo inutile... Si chiama “equilibrio del
terrore”.
-
Non credo si chiami davvero così, sai?
Bellamy
soffiò come probabilmente soffiava Miele durante i suoi
attacchi
d'ira peggiori, e Dom pensò che l'atmosfera, nonostante
tutto, fosse
inaspettatamente rilassata. Per quanto Bellamy giocasse in casa non
sembrava godere di alcun vantaggio pratico su di lui, anzi:
più il
tempo passava più appariva a disagio ed irritato.
Si
permise quindi di pungolarlo un po', per il semplice gusto di farlo:
- Vai a dargli da mangiare, su.
-
Chi cazzo sei, il presidente onorario del WWF?
-
E tu sei il presidente onorario del Club del Culo Pesante. -
Bellamy
aprì bocca per rispondere a tono, ma cambiò idea
all'ultimo;
invece, prese un bel respiro e sputò tutto d'un fiato: -
Nonna ti ha
detto qualcosa su di me, ieri sera?
Il
dubbio che fosse tutta una commedia per incastrarlo tornò a
farsi
strada in Dom: - Sì...
A
quel punto Bellamy sbottò: - Che palle! Quand'è
che imparerà a
farsi i cazzi suoi?
-
… e mi ha detto che dici troppe parolacce, tra le altre
cose. -
puntualizzò Dom, e l'altro mugugnò qualcosa di
indistinto.
-
Scusa?
-
Ho detto che
è
imbarazzante. - scandì con più forza Bellamy,
guardandolo dritto
negli occhi.
Non
aveva torto, di sicuro.
-
Ti vuole bene. - ponderò Dom.
-
Purtroppo.
-
Dai, almeno è divertente.
-
Perché tu non devi conviverci ogni giorno.
Bellamy
mormorò di nuovo qualcosa a testa bassa, e Dom dovette di
nuovo
chiedere che lo ripetesse ad alta voce.
Gli
occhi chiari ridotti a due fessure, la mandibola serrata e i capelli
a formare la solita cortina divisoria tra lui ed il resto del mondo,
Bellamy sillabò: - Sei qui perché ti faccio pena?
-
Ho ricevuto un invito e non ho fatto in tempo ad inventarmi una scusa
plausibile, tutto qui.
Era
la verità, più o meno.
Uno
straziante lamento felino si levò da un punto imprecisato
del
giardino.
-
Ok, quel sacco di pulci isterico ha sofferto abbastanza... Vado a
sfamarlo. - si decise Bellamy, aprendo l'armadietto e prendendo un
enorme pacco di croccantini.
-
Matthew, tesoro, stavamo proprio parlando di te!
A
giudicare dalla sua faccia, non era esattamente il genere di frase
che Bellamy amava sentirsi rivolgere.
Le
tre donne in soggiorno avevano l'aria di conoscersi da sempre,
sorridenti e tranquille; Diane disse a Bellamy: - Tua madre e tua
nonna mi hanno detto che suoni il pianoforte.
-
Più o meno, sì. - si schernì il
ragazzo, alzando un piede come se
fosse intenzionato a muovere un passo e non avesse ancora deciso in
quale direzione.
Diane,
ignara del suo disagio, continuò entusiasta: -
Perché non ci fai
sentire qualcosa, eh?
Come
a cercare un po' di sostegno e come se fosse consapevole di averlo
cercato nel luogo sbagliato, Bellamy guardò Dom e poi si
voltò di
nuovo verso la donna: - Io non...
-
Su, non essere timido! - già, in fondo non doveva essere
troppo
divertente trascorrere ogni giorno con una campionessa di tatto come
Maureen Bingham.
L'anziana
donna si avvicinò al piccolo pianoforte verticale del
soggiorno,
sollevando il pesante drappo che proteggeva i tasti dalla polvere e
premette un tasto, mentre iniziava a raccontare: - Tre o quattro anni
fa... Avevi dodici anni, Matthew, giusto? Ha vinto un concorso
scolastico con un brano di Ray Charles. La giuria era in visibilio, i
suoi compagni l'acclamavano come fosse una rockstar consumata, i
genitori in platea si chiedevano chi fosse quel bambino così
dotato...
-
Nonna. - disse Bellamy, i pugni serrati lungo i fianchi e la voce
ridotta ad un gorgoglìo rabbioso.
-
Un talento naturale, fin da piccino... E pensare che ha cominciato
con la sigla di Dallas! Paul c'è stato un pomeriggio intero
per
insegnargliela e...
La
signora Bellamy riuscì a fermare il monologo di sua madre
con un
quieto: - Mamma. -
Quest'ultima
accarezzò un'ultima volta la tastiera, teneramente: poi
tagliò
corto, ricoprendo i tasti e tornando seduta: - Va bene, va bene... Ma
la timidezza dovrà passargli per forza, se vuole davvero
mettere su
una band.
In
un tentativo di stemperare la tensione di cui alla fine persino lei
si era accorta – il silenzio in soggiorno era pesante come
gli
sguardi che nonna e nipote si erano scambiati durante il loro alterco
- Diane sorrise esitante: - Tale padre, tale figlio.
-
… spero di no. - mormorò la signora Bingham. Sua
figlia quasi le
parlò sopra, rivolta ai due ragazzi presenti e muti come
statue: -
Volete andare in camera? Immagino non vi interessino le nostre
chiacchiere...
Dom
non potè far altro che seguire Bellamy, il quale aveva
iniziato a
salire le scale che portavano al primo piano prima ancora che la
signora Bellamy tacesse.
-
Scusa il disordine.
Dom
ripensò a quanto gli aveva raccontato la signora Bellamy il
giorno
prima a proposito del disordine di suo nipote – non aveva
esagerato: quella stanza era un disastro.
Da
sotto il letto sporgevano maniche di felpe e maglie che sembravano
implorare libertà dalla loro orribile prigionia; decine di
dischi
erano accatastati sul pavimento, accanto ad un giradischi dall'aria
polverosa. Accanto ad un'antiquato abat-jour dal paralume frangiato
in raso, un paio di libri erano aperti sul comodino, con le pagine
rivolte all'ingiù per tenere il segno. Il cestino della
carta
straccia, a fianco della scrivania piena di quaderni, spartiti,
mutande, calzini, era paradossalmente vuoto: paradossalmente,
perché
ovunque c'erano fogli accartocciati, post-it, involucri di merendine
tranne lì dentro.
Spostando
un walkman e qualche musicassetta, Bellamy invitò Dom a
sedersi.
Seduti
l'uno vicino all'altro, le gambe penzolanti dal bordo del letto e lo
sguardo perso nel vuoto, erano il ritratto dell'incertezza.
Urtare
con la mano la custodia di una cassetta diede a Dom uno spunto per
avviare – si sperava – na conversazione.
-
Rage Against the Machine.
-
Ti piacciono? - chiese Bellamy. Dom scosse il capo: - Non li seguo.
… davvero
stantio, come inizio.
Bellamy
affermò: - Sono forti.
-
Lo immagino.
-
E comunque mi dispiace.
Dom
si voltò verso l'altro, che seguitò: - Mi
dispiace di aver
coinvolto anche nonna, mio malgrado... Non avrei dovuto dirle di te,
la conosco bene. Farebbe di tutto per me, glielo riconosco. E poi mi
dispiace per tutto il resto, per averti messo paura e per essere
stato un cretino.
Si
morse il labbro, ondeggiando un piede freneticamente: - È
che nessuno mi dà retta e io sono stanco, capisci? Sono
stanco della
leggenda del bambino prodigio, del pazzo che credeva di essere un
alieno, di essere sempre quello strano. Io so chi sono e voglio che
lo sappiano anche gli altri ma non posso farcela da solo
perché
nessuno, dico, nessuno mi dà retta...
Credi che non abbia già
proposto ad altri quello che ho proposto a te?
-
E e e poi quello che piace a me non piace a nessun altro, non so con
chi parlare, non... - la voce di Bellamy si spezzò e le mani
iniziarono a tremargli convulsamente.
Dom
si riebbe dallo shock di stare raccogliendo uno sfogo oceanico
dall'ultima persona al mondo dalla quale se lo sarebbe aspettato e
disse: - Ti senti male? Chiamo tua madre?
-
No, no, è tutto ok... - bisbigliò Bellamy. -
… mi succede spesso,
in realtà. Non davanti a qualcuno, ecco, però...
Dom
non aveva mai assistito ad un fenomeno del genere: in sedici anni di
vita non aveva mai visto un ragazzo piangere a quel modo.
Un
dubbio però doveva toglierselo, per quanto indelicato fosse:
- …
non fai la commedia, vero?
Matthew
sollevò il capo, tirando su rumorosamente col naso e
scostandosi i
capelli dagli occhi – e Dom ebbe un flashback di
ciò che era
accaduto in biblioteca, capendo che sì, Matthew Bellamy
aveva
davvero tanta paura.
-
No, è che mi mancava rendermi ridicolo di fronte a te.
Non so che dire, non credo neanche sia il caso di lolleggiare a proposito dei pomodori marci che mi merito. Sappiate solo che questo capitolo ha rubato tempo ed energia alla mia tesi e che il mio cervello ha deciso che è cosa buona e giusta e che sono stanca, sfiduciata, incazzata ma amo questa storia, amo che mi stia sbudellando e che mi faccia paura. È un affare privato e più grosso di quel che sembra, a prescindere da quanto sia buona o meno.
(“Se è davvero così privato perché la pubblichi?” “... ssssh.”)
Chiunque
sia ancora in ascolto... Ciao, ti va di spiegarmi perché?
*ride*
E
grazie. ♥