Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: VaniaMajor    14/01/2012    10 recensioni
Kagome possiede un portafortuna. Non avrebbe mai immaginato che a causa sua sarebbe stata portata in un altro mondo, coinvolta in una guerra orribile e legata misteriosamente a un demone dai capelli d'argento...Ma chi è il Principe dai capelli neri dei suoi sogni? Perchè la sua onee-chan deve soffrire tanto? E c'è speranza di tornare a casa...viva?! La ricerca delle Hoshisaki è iniziata. Una AU di Inuyasha e della saga di Cuore di Demone!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Author's note: Chiedo scusa per il ritardo e per non aver risposto alle recensioni (leggo e ne provo gioia, ve lo giuro...), ho avuto qualche problema lavorativo che mi ha scombussolato le giornate. Ora Kagome ha un nuovo pensiero scomodo: chi è Kikyo e perchè le somiglia?! Quali sono le vere ragioni dell'odio di Sango per Naraku? E cosa succede al Palazzo dell'Imperatore di En???

CAPITOLO 3

LE RAGIONI DI SANGO

Sulla porta le attendeva una donna sulla cinquantina che scambiò qualche breve parola con Sango e poi si allontanò.
«Prego, entra.» disse Sango, sollevando la tenda malandata che chiudeva la soglia di una casetta in legno quasi al limite del villaggio. Kagome fece per raccogliere l’invito ad entrare quando tra i suoi piedi sgusciò il demone Kirara, ora ridotto alle dimensioni di un gattino. La ragazza sobbalzò suo malgrado e il piccolo yokai si fermò in centro alla stanza per guardarla e lanciarle un miagolio, prima di scomparire dietro una porta scorrevole accostata.
«Non aver paura di Kirara. E’ la mia compagna di caccia, non ti farebbe mai del male.» la rassicurò Sango. Si sedette a terra vicino al focolare spento e Kagome seguì il suo esempio, titubante. La casa della guerriera, che ora si stava sciogliendo i lunghi capelli castani, sembrava ancora più spartana di quella della sacerdotessa Kaede. La stanza era cupa, nonostante fuori splendesse il sole.
«Ehm…mi dispiace se disturbo te e la tua famiglia…» mormorò Kagome, rifugiandosi dietro una frase di circostanza per cercare di recuperare la lucidità. La battaglia e il successivo atteggiamento ostile della vecchia Kaede l’avevano alquanto scioccata.
«Stai tranquilla, vivo sola. I miei genitori sono morti da tempo. La donna che hai visto prima ha solo…badato ad alcune cose, in mia assenza.- disse Sango, senza apparente emozione- Questo non è nemmeno il mio villaggio.»
«Ah no?» chiese Kagome, perplessa. La giovane scosse la testa, iniziando a liberarsi dei pezzi d’armatura che indossava sull’aderente abito nero.
«Io sono una Cacciatrice. L’ultima, ormai. Eravamo un corpo speciale di guerrieri al servizio di Sesshomaru-sama, ma il nostro villaggio è stato distrutto da Naraku un paio di anni fa.- spiegò, poi tornò ad alzare gli occhi su di lei- Ma non è questo che vuoi sapere, non è vero?»
Kagome arrossì, ma non poteva negare di essere piena di domande.
«Chi è Kikyo?- chiese, piano- Perché la vecchia Kaede ha reagito tanto male notando che le somiglio?»
Sango corrugò la fronte, abbassando lo sguardo sulle proprie mani.
«Kikyo…era una miko. Una sacerdotessa di inaudita potenza, morta cinquant’anni fa.- disse- Era l’anima prescelta da Shinsetsu, lo stesso prisma rosa che ora porti al collo tu.» Indicò il pendente di Kagome, che lo strinse tra le dita in un gesto inconscio. «Era la sorella maggiore di Kaede. E’ anche la persona che ha maledetto il Principe Inuyasha e ci ha gettati nella situazione che vedi.»
«Che…cosa?!» balbettò Kagome, sbalordita.
«Nessuno sa perché sia accaduto. Il nostro regno era a buon punto nella ricerca delle Hoshisaki. Il Principe e Kikyo avrebbero dovuto incontrarsi per suggellare l’alleanza, ma…qualcosa andò storto. Si sa solo che il Principe fu trovato nel luogo dell’appuntamento prigioniero di un sonno che è come la morte e che il corpo di Kikyo, cui la maledizione apparteneva, venne scoperto poco più in là. Era morta, in un bagno di sangue, e Shinsetsu era sparita.- disse Sango, atona- La gente pensò che i due avessero lottato e che Kikyo avesse poi ceduto ai colpi inferti da Inuyasha-sama nel tentativo di difendersi. La considerò una traditrice al soldo di Naraku, perché solo questo avrebbe potuto spiegare il suo gesto folle. Lei non amava gli yokai e aveva sempre considerato ingiusto che gli abitanti di En fossero governati da esseri a suo giudizio impuri.»
«Quindi somiglierei a una traditrice?» disse Kagome, gli occhi spalancati per l’ansia. Non era certo un buon curriculum con cui presentarsi alla reggia di quel Sessho-come-si-chiama!
«Sembrerebbe di sì. Non stupirti del malanimo di Kaede: a causa della fama di sua sorella, venne bandita dal regno per qualche tempo. Fu allora che perse l’occhio. Non credo pensi davvero a sua sorella come una traditrice…ma ha vissuto troppe disgrazie per riuscire a perdonarla.» disse Sango, scuotendo il capo.
«Ne parli come se nemmeno tu pensassi a questa Kikyo come una traditrice…» osservò Kagome, corrugando la fronte.
«Credo di aver cambiato idea oggi, quando Kaede ha riconosciuto in te sua sorella.»
«Aspetta: io non sono la reincarnazione di nessuno.- la frenò Kagome, alzando una mano- Io sono Kagome e basta.»
«Forse, ma non sottovaluto questo genere di segni. Tu sei il successore di Kikyo, se non la sua reincarnazione. Shinsetsu ti ha scelta…e io non credo che avrebbe abitato nuovamente un’anima contaminata dall’odio o dal pregiudizio. Se le somigli tanto, in te c’è per forza una parte di lei.- osservò Sango, sorprendendola- La verità la conosce solo Inuyasha-sama e la scopriremo a tempo debito. Che tu sia Kikyo o meno, con la tua Hoshisaki sicuramente potremo risvegliarlo. E’ tutto quello che mi serve sapere. Ti accompagnerò al Palazzo di Sesshomaru-sama e mi prenderò cura di te.»
Kagome abbassò lo sguardo sulle proprie mani, mentre Sango la lasciava sola un istante per andare a prendere qualcosa da mangiare per entrambe. Il suo ruolo sembrava sempre più essenziale a mano a mano che le veniva rivelato qualcosa di nuovo. La reincarnazione di una sacerdotessa? Una traditrice? O forse una vittima quanto quel principe demone? Alzò il pendente rosa all’altezza del viso, corrugando la fronte.
«La Gentilezza…» borbottò. Il suo pendente era davvero un oggetto particolare, diverso sia dal vetro che dalle pietre dure di sua conoscenza. Era trasparente ma profondo, come se ad osservarlo troppo ci si potesse perdere nel suo colore delicato. Le aveva sempre dato sicurezza, pace. Possibile che avesse quel potere anche su più larga scala?
“Tanto dovrò scoprirlo per forza, se voglio tornare a casa.” pensò, d’un tratto terribilmente stanca e giù di morale. Sarebbe sopravvissuta viaggiando attraverso una terra tanto violenta? E cosa l’aspettava una volta giunta al cospetto del regnante, se non fosse riuscita a risvegliare quel principe dormiente? Sango rientrò in quel momento, tenendo in mano due ciotole con del riso.
«Ho chiesto alla vicina. Come vedi sono un po’ in ristrettezze.- si scusò, passandole il cibo con un sorriso- Spero che tu non sia abituata a mangiare diversamente…»
«Oh, no, va benissimo!» le assicurò Kagome, che aveva tanta fame da accontentarsi di qualsiasi cosa. Pranzarono in silenzio, sedute l’una di fronte all’altra, poi Kagome azzardò la domanda che le ronzava in testa fin da quella mattina.
«Sango…come mai sei così accanita nella tua lotta contro quel Naraku?- chiese, gentile- Capisco che tu voglia vendicare il tuo villaggio, ma…sei una ragazza! Invece ti butti nella mischia come se non desiderassi altro che combattere.»
«Io voglio Naraku morto, è vero, e non solo a causa della distruzione del mio villaggio.- rispose lei, posando la ciotola- In ogni caso, sono stata addestrata per combattere questa guerra. Non ho paura.»
«Nemmeno di morire?» insistette Kagome, attonita. Come poteva una ragazza avere tanta forza d’animo?! Non riusciva nemmeno a paragonare le sue compagne di classe a quella giovane così energica, ferrea. Sango piegò la bocca in un sorriso amaro.
«Morire non mi è concesso. Non ancora.» disse, poi si alzò. «Vieni. Perché tu capisca qual è il nemico con cui abbiamo a che fare, devo farti vedere una cosa.»
Kagome si alzò a sua volta, perplessa e un po’ timorosa, e seguì Sango nella stanza accanto, oltre la porta scorrevole. Con sua sorpresa, scoprì che la camera era occupata. Seduto su un vecchio futon, con Kirara accoccolata sui piedi, c’era un ragazzo poco più giovane di lei, con i capelli neri, vestito di uno yukata malandato. Si guardava le mani con sguardo distante, come immerso in profonde riflessione.
«Ah…ehm…chiedo scusa per il disturbo! Io sono Kagome Higurashi!» si presentò Kagome, con un lieve inchino di cortesia. Sango le posò una mano sulla spalla e scosse la testa.
«E’ inutile, Kagome. Mio fratello, Kohaku, non capisce le tue parole. Non più.» la freddò. Kagome spalancò gli occhi, mentre una sensazione di freddo si faceva strada dentro di lei.
«E’…malato?» chiese, sapendo già che questo termine non poteva spiegare la totale mancanza di reazioni in una persona. Si trattava di un caso grave di catatonia, come minimo.
«E’ stato ridotto così da Naraku, dopo la distruzione del nostro villaggio.- rispose Sango, atona, fissando il fratello immobile- Le Hoshisaki perdono di potere se non risiedono in un organismo ospite. Durante l’attacco, Naraku ha rapito mio fratello e ha cercato…ha cercato di utilizzarlo come sede di Hageshisa, la Violenza.» Deglutì a fatica, mentre prendeva fiato. Bastò quella breve incertezza per dare a Kagome un’idea più precisa della sofferenza e della sete di vendetta che albergavano nel cuore di Sango. «Il corpo di Kohaku ha rigettato la Hoshisaki, ma ne è stato contaminato. Quando Naraku mi ha concesso di ritrovarlo…- strinse i denti tanto da farli stridere- era come lo vedi ora. Una bambola che vive a malapena. Si muove se lo sposti, poi rimane com’è finché non ti ricordi di fargli cambiare posizione. Non parla, non sente nulla. Ha bisogno di essere assistito in ogni cosa. La morte sarebbe stata una fine più onorevole.»
«Non dire così!-» sbottò Kagome, afferrandole una mano. Sango scosse il capo.
«Non puoi capire.» disse, fredda.
«Forse no, ma…anche io ho un fratello e una sorella, e so come mi sentirei se succedesse loro qualcosa.- protestò – Non c’è un modo per tentare di farlo tornare normale?!»
Sango abbassò lo sguardo, scrollando le spalle.
«Se le Hoshisaki delle Tenebre fossero distrutte, forse Kohaku sarebbe libero. E’ l’unica speranza che mi rimane.- disse- Ora capisci perché voglio uccidere Naraku? Perché io e tutta En gridiamo vendetta? Quel bastardo gioca con i sentimenti delle persone, fa del male a tutti nel modo più perverso che si possa immaginare. E’ un mostro, Kagome…un mostro!» Si coprì il volto con una mano, la bocca tirata in una smorfia sofferente.
Kagome ristette per un attimo, non sapendo cosa fare, poi il suo buon cuore ebbe la meglio e le passò un braccio attorno alle spalle per farle coraggio. Era finita in un guaio molto più grande di lei, in un mondo che avrebbe dovuto avere la decenza di stare dentro le pagine di un romanzo, ma ormai non c’era modo di tirarsi indietro.
«Shinsetsu è la nostra sola speranza, Kagome.- mormorò Sango, senza osare scoprirsi il volto in quel momento di debolezza- Ti prego…ti prego, vieni con me da Sesshomaru-sama. Salva Inuyasha-sama e, forse, salverai anche mio fratello.»
Kagome avvertì un groppo in gola, e non seppe se era per la propria situazione o per il sincero dolore che stava provando per la sorte avversa della ragazza che le aveva salvato la vita. Qualunque fosse la risposta, la decisione da prendere era una soltanto.
«Verrò con te, Sango.- le disse, tenendola stretta- Portami da Sesshomaru-sama.»


***


Sesshomaru aprì gli occhi, passando dal sonno alla veglia nello spazio di un secondo. Si tirò a sedere, tutti i sensi all’erta. No, non era stato un rumore a svegliarlo. Tantomeno un’intrusione. Solo…una sensazione. Stava accadendo qualcosa. Il suo sangue gli diceva che un evento di qualche importanza era avvenuto, o stava per avvenire.
Si alzò, già vestito. Era tornato nel pomeriggio da un lungo giro di perlustrazione della zona di confine e si era steso per riposare solo perché non se lo concedeva da giorni. Nelle zone di guerra c’era troppo movimento, Naraku aveva ricominciato nel suo tentativo di invasione e numerosi villaggi erano stati distrutti. Purtroppo il maledetto era sempre più forte…ormai possedeva cinque Hoshisaki attive e credeva di aver già vinto la guerra.
Gli occhi ambrati dell’Imperatore di En divennero specchi senza sentimenti, mentre antichi pensieri scomodi venivano ricacciati nell’oblio prima che venissero a galla. En possedeva quattro Hoshisaki, ma tre erano completamente inservibili. Solo quella che riposava nel figlio maggiore di Inuken poteva dirsi viva e attiva. Naraku, oltre all’impero, stava distruggendo lentamente anche le loro esistenze.
Sesshomaru afferrò la spada Tenseiga e se la allacciò al fianco, mentre lasciava i suoi appartamenti. La sua eredità…Inuken aveva lasciato ai figli le sue Hoshisaki grazie a un incantesimo, che aveva legato le punte di stella alle zanne di cui l’inu-yokai si era privato. Peccato che suo padre le avesse distribuite in maniera del tutto sconsiderata, offrendo Tsuyosa a quel moccioso di Inuyasha sotto forma della spada Tenseiga e rifilando al figlio maggiore l’inutile Awaremi sotto forma di Tenseiga. Nessuno dei due figli di Inuken aveva mai imparato a gestire la propria eredità.
“Padre, il tuo errore ci costerà l’Impero e l’orgoglio di yokai.” pensò con astio, non per la prima volta. Aveva ereditato il regno in giovane età, in una situazione che avrebbe fatto impazzire chiunque. Nonostante ciò, teneva il confine da più di cento anni. Cos’altro si pretendeva da lui?!
«Jaken!» chiamò, una volta uscito sulla lunga balconata. La luna piena gettava la sua luce violacea sul giardino, delineando le colonne che sorreggevano il soffitto e facendo vibrare in maniera arcana le loro lunghe ombre. Sesshomaru lanciò un’occhiata corrucciata alla luna. Era molto vicina, vivida. Dava quasi fastidio alla vista. Inoltre, la sua sfumatura lo irritava. Somigliava a quella dell’Hoshisaki che aveva cercato con tutte le sue forze per cinquant’anni e temuto per altrettanto tempo.
«Jaken!» chiamò ancora, seccato. Un istante dopo, il suo servitore caracollò in avanti dal corridoio alla sua destra, ansimando per la corsa.
«Se…Sesshomaru-sama! Avete bisogno di me?» chiese il piccolo demone rospo, deferente.
«E’ accaduto qualcosa?-» chiese, brusco. I grandi occhi di Jaken si appuntarono sul suo volto con apprensione.
«Non mi risulta, Sesshomaru-sama.- rispose, agitato- Il castello è tranquillo, le guardie sono al loro posto. Non sono arrivati dispacci dal fronte, né altro! Mi sembra che anche i pellegrini stiano dormendo, non sento chiasso né…»
Sesshomaru si incamminò, lasciando il proprio sottoposto a parlare all’aria. Se il suo istinto non l’aveva completamente ingannato, c’era solo una cosa che poteva avergli trasmesso quella sensazione d’allarme. Jaken gli corse dietro, cercando di tenere il passo.
«Pensate stia succedendo qualcosa, Sesshomaru-sama?- chiese, preoccupato- Vi assicuro che tutto è in ordine! Il vostro Palazzo è a prova di intrusione, lo giuro sulla mia testa…ehm…no…sulla testa dei vostri servitori!»
«Qualcosa c’è.» disse soltanto il demone vestito di bianco.
Salì all’ultimo piano del palazzo, dirigendosi verso la grande camera interna, circondata da guardie. Non badò né ai loro inchini, né alle occhiate sconcertate. L’Imperatore di En non andava mai a visitare il fratello che giaceva in quella stanza, come morto, da cinquant’anni. Era Jaken a occuparsi dei pellegrini e della valutazione delle false Shinsetsu. Quella notte, però, gli era necessario per mettersi il cuore in pace.
Scostò con un gesto brusco i pesanti tendaggi ed entrò in quello strano miscuglio di camera da letto e mausoleo che era il luogo di riposo di suo fratello Inuyasha. In una grande sala ingombra dei doni di buon augurio portati dai pellegrini, il corpo del Principe di En giaceva supino su un grande catafalco, che Jaken si premurava di tenere sempre pulito e in ordine. Non c’erano finestre: Sesshomaru non voleva che vi fossero vie di accesso dirette a quella sala. Due Hoshisaki dormienti erano meglio che due Hoshisaki rubate da Naraku…
Si avvicinò al corpo immoto, vestito di rosso, immutato dal giorno in cui la freccia di quella maledetta sacerdotessa aveva trafitto il cuore dell’erede al trono di En. I capelli d’argento, identici ai suoi, giacevano sul lenzuolo, catturando i riflessi di luce delle candele accese. Il volto giovane, somigliante a quello del loro defunto genitore più di quello di Sesshomaru, sembrava immerso in un sonno piacevole invece che in un coma senza risveglio. L’asta della freccia spuntava dal petto, corpo estraneo e odioso che era andato a complicare infinitamente la vita di Sesshomaru. Accanto a lui era posata Tessaiga, muta e morta come il suo possessore.
Fissò quel volto, un tempo odiato e poi sopportato a fatica, cercando tracce di cambiamento. Nulla. Sembrava che in Inuyasha non si fosse operato alcun cambiamento, né in meglio né in peggio. Allora perché quella sensazione di urgenza? Perché sentiva che qualcosa stava per accadere?
«Se…Sesshomaru-sama? Tutto bene?» si arrischiò a chiedere Jaken. L’aver constatato che la sorveglianza era perfetta come al solito l’aveva un po’ tranquillizzato, ma con il suo padrone non si poteva mai sapere…
«Sembra di sì.» rispose lui, seccato per quel senso d’allarme inspiegabile che l’aveva spinto in un posto dove non desiderava mettere piede. Guardare Inuyasha in quella condizione gli ricordava troppe cose sgradevoli che voleva soltanto rimuovere dalla memoria. Storse la bocca in una smorfia e fece per voltarsi, deciso ad andarsene, quando Tenseiga vibrò. Sesshomaru si bloccò, abbassando di scatto lo sguardo sulla spada.
«Cosa…» mormorò, sbalordito. Era un segnale? Tenseiga non aveva mai dato segni di vita negli ultimi cinquant’anni…Dunque la sua intuizione non era fallace, c’era davvero qualcosa che non andava! Guardò di nuovo il fratello, cercando di affinare tutti i suoi sensi.
«Jaken, spegni le candele.» ordinò.
«Co…cosa? Ma…» balbettò il piccolo yokai.
«Spegnile.»
Non alzò la voce né cambiò tono, ma Jaken perse il fiato e sentì il sangue ghiacciarglisi nelle vene. Si precipitò sulle piccole fiammelle come se ne andasse della sua vita, soffiando come un ossesso finché la camera non fu al buio.
«Va bene così?» ansimò, voltandosi verso il suo padrone. Ciò che vide lo scioccò oltre misura. Il corpo del principe Inuyasha riluceva di un debole ma distinto bagliore dorato che, dal punto in cui la freccia di conficcava nel petto, si propagava lungo le sue membra a ondate lente e ritmiche, come un battito di cuore. Nella luce delle candele era impossibile accorgersene, ma al buio…
«Se…Sesshomaru-sama…cosa significa?!» chiese Jaken, spaventato dall’espressione sul volto del suo padrone più che dello strano fenomeno sul corpo di Inuyasha.
Sesshomaru non si curò di rispondere. Uscì dalla sala quasi correndo, un’espressione intensa e feroce sul volto. Shinsetsu era tornata a En! Ecco il perché degli improvvisi movimenti di Naraku!
Doveva trovare quella Hoshisaki prima del suo nemico, se voleva dare una possibilità di sopravvivenza all’impero che aveva ereditato.

 

 


 

   
 
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