[No. III ]
Erano
ben cinque minuti che trascorrevano
nel più totale silenzio.
Ma non era uno di quei bei silenzi tranquilli, che ti fanno sentire al
caldo e protetto
come se fossi tra le braccia di tua madre. No, quello era carico di
tensione e
veniva spezzato solo da qualche colpo di tosse e il ticchettio della
pioggia di
Marzo che cadeva sopra il vecchio tetto della villa.
Axel se ne stava seduto sopra al
bracciolo del divano, la schiena ricurva verso il basso e la testa
sorretta dal
palmo della mano destra aperto.
Osservava leggermente preoccupato Roxas, che continuava a guardarsi
intorno
come se quella fosse la casa di uno sconosciuto.
Il più piccolo rimaneva in piedi, irrigidito e con lo
sguardo leggermente intimorito. Si torturava
entrambe le mani e qualche volta si portava un dito o due alla bocca
per
masticarsi le unghie oppure le pellicine.
Un altro colpo di tosse da parte di Axel, seguito da un tuono in
lontananza.
«Roxas … » cominciò il fulvo,
rizzando la
schiena e osservando l’altro ragazzo dritto negli occhi.
«Avanti, dimmi che
succede. E non dirmi che non è niente perché si
vede che non è così.»
Meglio arrivare subito al sodo, soprattutto quando quel silenzio
minacciava di spezzarlo in due dall'ansia.
Roxas si mordicchiò per l’ennesima volta
il labbro inferiore, scuotendo la testa.
Si sentiva stupido, tremendamente, ma il
discorso non poteva non tornare a galla.
Durante il breve viaggio dal centro di Twilight Town a casa di Axel
avevano parlato
nuovamente dei paparazzi e adesso dentro la testa di Roxas sfrecciavano
nuovamente le immagini della sua vita privata spiattellata sulla bocca
di
tutti.
Lui non era quel tipo di persona, a Roxas andava bene una vita
tranquilla.
Non voleva essere l’eroe della sua storia – quella
parte poteva pure lasciarla
a Sora e alle sue manie di eroismo-, gli bastava solamente scriverne
una parte
e gustarsi le piccole cose, forse le più belle.
Che gusto c’era nell’essere travolti in piena
dall’amore quando poi la fama te
lo porta via a furia di scatti fotografici e notizie false?
Perché non potevano semplicemente essere Roxas e Axel di
Twilight Town, senza
nessun altro aggettivo affibbiatoci vicino?
Forse il suo era un pensiero un po’
egoista, ma come poteva anche solo non desiderare di trascorrere del
tempo
tranquillo insieme al suo ragazzo?
Roxas sospirò nuovamente, passandosi una
mano sopra la fronte e scostando la frangia bionda che gli solleticava
le
palpebre. Prese fiato e parlò, sempre giocherellando con le
dita.
«Pensavo a tutta questa storia del gossip
… Tutto qui.»
Axel incrociò per un attimo il suo
sguardo azzurro, che però sgusciò via, e sorrise
lievemente.
Si portò una
mano tra i capelli e li
spettinò, ridacchiando.
«Ci farai l’abitudine, tranquillo.» disse
il rosso, con un sorriso a trentadue denti e un’alzata di
spalle.
Roxas digrignò un attimo i denti, sollevando di scatto il
volto e osservando
Axel malamente.
«Magari io non mi ci voglio abituare,
però. Non mi piacciono, lo sai! »
Il rosso ridacchiò ancora, roteando gli
occhi al cielo e sorridendo leggermente beffardo.
«Te lo ripeto: dopo un po’ non ci farai
nemmeno caso.»
Roxas abbassò ancora il capo, lievemente
ferito dalle parole dell’altro.
Proprio non capiva, eh? Non era facile vedere la propria vita, la
propria
storia, presa di mira da persone sconosciute che ti giudicavano male
solamente
per un tuo gesto.
Roxas andava a scuola e non passava la mattina a casa con Axel? Cattivo
fidanzato.
Roxas prendeva un brutto voto? Non meritava affatto di stare con Axel.
Roxas era basso? Axel si meritava una
persona più alta e bella.
No, il rosso non riusciva a capire cosa si provava a vedere la propria
privacy
buttata al vento e questo Roxas poteva anche capirlo.
Non gliene faceva affatto
una colpa,
figurarsi. Probabilmente per Axel era così naturale
ritrovarsi sotto i
riflettori che nemmeno faceva più caso ai flash e a quanto
tutte quelle luci potessero spaventare e intontire.
«Axel, ascoltami un attimo. » sospirò,
sollevando lo sguardo e osservando la faccia sorridente del suo
ragazzo. «Io
non ci riesco. Non posso continuare a guardarmi le spalle per vedere se
sono
seguito o stare attento a quando faccio qualcosa di male
perché poi tutti lo
vengono a sapere!»
Prese un respiro, grattandosi velocemente
il naso che iniziava a pizzicare.
«Axel, secondo me dovremmo …»
«Aspetta.» lo interruppe il maggiore, saltando con
un
movimento veloce giù dal bracciolo del divano e
raggiungendolo. «Ho un’idea per sistemare
tutto.»
Roxas sbatté le palpebre un
paio di volte, assumendo poi un atteggiamento
scettico. Possibile che avesse capito che cosa provasse?
«Avanti, spara.»
Axel
sorrise e sollevò la mano destra,
facendo il segno della pistola. Poco prima che potesse davvero
“ sparare” Roxas
lo interruppe, afferrandogli di colpo la mano e stringendola tra le sue
dita.
«Fallo e sei morto.»
«Ma sei tu che mi hai det-»
«Era un modo di dire Axel, solo un modo
di dire.» sbuffò Roxas, non riuscendo
però a trattenere un piccolo sorriso.
Ancora non sapeva se davvero Axel fingeva di essere così
sempliciotto oppure lo
era davvero. Beh, che fosse l’uno o l’altro a Roxas
non importava, non quando
riusciva a strapparli un sorriso anche nei momenti tristi come quello.
«Sii più preciso la prossima volta,
però.»
«Va bene,
va bene.» acconsentì il biondo,
annuendo come se l’altro fosse un
bambino piccolo. «Allora? Questa idea?»
«Semplice: ignorali.» rispose Axel,
allungando entrambe le mani e posandole sopra le spalle del
più piccolo, accarazzandolo.
Roxas scosse la testa, allontanandosi di
qualche passo dal rosso. Come non detto: proprio non riusciva a capire
o ... O forse voleva solamente ignorare il problema?
«Questa non è un’idea …
E’ solo quello
che vuoi te, perché a te sta bene
così.» mormorò il biondo, abbassando lo
sguardo e deglutendo leggermente.
Il ticchettio della pioggia era aumentato e adesso copriva perfino
quello
dell’orologio a pendolo in cima alle scale che portavano al
piano superiore.
Axel assottigliò lievemente gli occhi,
facendo qualche passo in avanti e rimettendosi di fronte
all’altro.
«E allora che cosa vuoi fare? Che cosa
posso farci se sono famoso? Cos’è, devo smettere
di fare il mio lavoro per te?»
domandò, una nota di cattiveria e di accusa nella voce.
Roxas sobbalzò lievemente, stringendo le mani a pugno e
scoccando un’occhiata
terribilmente arrabbiata
verso il
maggiore.
«Non ti chiederò mai una cosa del genere,
lo sai!»
«E allora che cosa mi stai chiedendo,
dannazione! Dimmelo, perché io da solo non ci
arrivo.» sbottò Axel esasperato,
alzando entrambe le mani al cielo e poi sbattendosele sopra le cosce.
Roxas socchiuse un attimo gli occhi,
prendendo il coraggio per dire quello a cui pensava da un paio di
giorni.
Era una delle idee che più gli girava nella testa quando
pensava a come
risolvere la situazione, ma l’aveva sempre scartata
perché sapeva bene che Axel
non l’avrebbe presa bene.
Però ora come ora era l’unica cosa che poteva
fare, anche se non era certamente
la cosa giusta.
Infondo … Era solo per un periodo, solo
finché la notizia non sarebbe stata accantonata da qualche
parte. Poi sarebbe tornato tutto come prima, esattamente
così com'era.
Quindi sospirò ancora e prese il coraggio a due mani,
ignorando il sudore alle
mani e la gola secca.
«Dovremmo
lasciarci.»
Ecco,
quella sembrava proprio una scena
di un film drammatico, pensava Axel.
Subito dopo le parole di Roxas un tuono
aveva squarciato il cielo e il silenzio aveva avvolto la casa.
Proprio come in un
film.
Però questa volta Axel non
interpretava
nessuna parte e Roxas nemmeno.
Quindi quella frase pesò come un macigno
sopra il cuore del rosso, quasi
come a
schiacciarlo.
Scosse la testa e sollevò lo sguardo
verso Roxas, continuando imperterrito a negare con il capo.
«Smettila di dire cazzate, nanerottolo.
Che razza di idea sarebbe?»
Roxas continuava a tenere lo sguardo
basso e non rispondeva, si
limitava a spostare
il capo da destra a sinistra.
Axel strinse forte le mani a pugno,
digrignando i denti e sentendosi sempre più impotente.
Che cavolo di idea era quella? Perché, che stava succedendo?
Non avrebbe mai voluto che a causa di stupide foto o
altro tutto quello che avevano creato si distruggesse.
Non voleva rinunciare alle serate con Roxas, alle loro uscite in
incognito
oppure alla colazione al bar dietro la chiesetta con il cappuccino e la
brioches.
Entrambi si definivano a vicenda come “ventata
d’aria fresca”, visto che quando
stavano insieme lasciavano perdere tutti gli altri problemi e si
rilassavano.
E per loro era sempre stato così, il loro rapporto.
Semplice, facile, come respirare.
E proprio per quello Axel non riusciva a credere alle sue orecchie.
Fece un passo avanti, esitante, e afferrò una mano di Roxas.
«Dimmi solo una cosa, solo questa
.» il
rosso deglutì, non
del tutto sicuro di
voler sapere la risposta del biondo. «Sei innamorato di
me?»
Roxas sollevò lo sguardo di colpo, mentre
il cuore perse un battito. O forse non era il termine giusto, visto che
il suo
cuore continuò a battere come al solito, solo che
sembrò fremere dentro la
gabbia toracica.
Certo, certo che lo sono.
Aprì la bocca e la richiuse un paio di volte,
boccheggiando. Sulle gote intanto il rossore si espandeva come una
macchia
d’olio.
Eppure, nonostante la risposta a quella domanda
continuava a rimbombarli nel cervello e sentiva il cuore gridarla,
dalla sua
bocca non uscì nulla.
Axel aspettò, aspettò e aspettò, ma
dopo un po’ abbassò
lo sguardo, ferito.
Lasciò scivolare la mano via da quella di Roxas e la
lasciò ciondolare contro
il suo fianco.
Sempre senza alzare lo sguardo da terra si girò, dando le
spalle a Roxas, e
scosse la testa.
«Se nemmeno sai rispondere a
questa
domanda forse sì, è meglio lasciarci per
davvero.»
E prima che Roxas potesse anche solo dire
qualcosa, se ne andò via.
Afferrò la prima giacca che si ritrovò sottomano
e uscì di casa, sbattendo la
porta.
Roxas rimase fermo in mezzo al salotto con le lacrime agli occhi
finché non
sentì le ruote della macchina di Axel sgommare e partire,
finché non rimase
solamente il rumore dei tuoni e dei singhiozzi.
La testa di Axel si
addossò sopra al bancone del bar,
sbattendo ritmicamente un paio di volte fino a fermarsi.
Rimane con la fronte schiacciata contro al legno scuro per qualche
minuto,
finché non voltò il volto verso destra e
pressò la guancia contro la superficie
tiepida.
Si passò una mano sugli occhi, mentre un lungo sospiro gli
scivolava fuori
dalle labbra dischiuse.
«Barista, dammi un
altro bicchiere di
whiskey» biascicò senza nemmeno tentare di alzare
lo sguardo verso l’uomo
dietro al bancone. Ma forse era meglio così, altrimenti
avrebbe visto la sua
espressione esasperata e lievemente irritata.
«Axel … »
iniziò a parlare l’uomo, portandosi una
mano sul fianco e chinandosi verso il rosso. «Hai intenzione
di ubriacarti qui
per molto?»
L’attore inizialmente non rispose,
pensandoci su. Poi annuì e allungò una mano,
roteandola.
«Dammi da bere e non rompere, Xigbar.»
Il barista sospirò, slegandosi i capelli
per poi rifarsi la coda, questa volta più in alto.
«Come ti pare, ma sappi che non ti
accompagnerò a casa quando collasserai qua sopra.»
Axel ridacchiò lievemente, strusciando la
guancia sul bancone e trattenendo un gemito.
«Tanto non ho intenzione di tornare a casa.»
Xigbar, che era intento a versare il
liquido ambrato nell’ennesimo bicchiere, si voltò
stranito verso l’attore e
sollevò un sopracciglio. Poi scosse la testa e
ridacchiò raucamente, portando
il bicchiere verso Axel e curvandosi vicino a lui, i gomiti appoggiato
contro
al bancone.
«Hai ancora litigato con il tuo
orsetto-pucci?» domandò con voce in falsetto,
sperando di prendere un po’ in
giro il suo cliente abituale e lanciando anche dei finti baci in
direzione dei
vari clienti. «Ah, Axel, Axel … Quante volte ti ho
detto di non affogare i
dolori nell’alcool? Anche se ora che ci penso tu non ti sei
mai ubriacato,
uhm?»
Il fulvo chiuse gli occhi, che già
minacciavano di inumidirsi, e si schiarì la voce.
«Non abbiamo litigato, diciamo.»
«E allora che ci fai qui? Come mai non
sei tra le sue braccina rachitiche?»
«Perché mi ha lasciato, ecco
perché!»
sbottò Axel, sollevando finalmente la testa dal bancone e
sbattendoci una mano
sopra.
Subito dopo abbassò il volto e scosse la testa, appoggiando
entrambi i gomiti
sopra il bancone e prendendosi la testa tra le mani.
«Lo ammazzo quello stupido, lo ammazzo. »
Xigbar tentennò per un attimo, sollevò
una mano e allungò il braccio verso la schiena di Axel per
consolarlo. Eppure si
fermò a pochi centimetri dalla spalla tremolante
dell’attore, non sapendo con
certezza se l’altro volesse essere consolato o meno.
L’uomo sospirò e si passò una mano
sulla
fronte, osservando due giovani che cercavano di richiamare la sua
attenzione
per essere serviti.
«Vado a sentire che vogliono quei
pischelli e poi torno qui, per questa sera sei ospite del Bar
Shoot!» esclamò,
lanciando uno sguardo alla testa di Axel che annuiva mestamente.
«Grazie … »
Il giovane attore aprì uno spiraglio
dalle mani che teneva sul volto e osservò il barista
allontanarsi,
permettendosi di far scendere una lacrima dai suoi occhi verdi.
« Mi piacerebbe che fosse solo un film e
che Roxas fosse bravo a recitare.»
Peccato che Axel sapeva fin troppo bene
che il biondo non era in grado nemmeno di nascondere una malefatta,
figurarsi a
recitare.
Già, era tutto vero alla fine.
.
.Speakers' corner
Bene, è
arrivato anche questo capitolo qui. Non è lungo come gli
altri, ma seriviva per creare uno stacco; prendetelo come un punto
svolta. Poi si sa, no? Senza un capitolo drammatico non c'è
divertimento!
Quindi ecco qui Axel e Roxas che litigano, questa volta non per qualche
cavolato ma per un motivo serio. Penso che chiunque dopo un po' si
sentirebbe soffocare in una situazione del genere, quindi io comprendo
Roxas e poi sono di parte -W-
Anyway, spero che il capitolo vi piaccia. Commentate, voglio i vosti
insulti gente.
E ascoltate questa canzone, che mi ha fatto da sottofondo alla stesura
del capitolo <3
http://www.youtube.com/watch?v=lPApO5yCsVQ&feature=related