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Autore: PattyOnTheRollercoaster    15/01/2012    1 recensioni
Tess alzò lo sguardo e deglutì, mordicchiandosi un labbro, le mani giunte in grembo. «Devo dirti una cosa.»
«Sei sposata.»
«No.»
«Sei malata.»
«No.»
«Sei un uomo!»
«No!»
[...]Tess abbassò la voce e sussurrò: «Ho una figlia».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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II
Capitolo II
Mama’s fuckin’ lover





   Tracciai un paio di righe sul foglio e poi iniziai con i ghirigori. Perché prendere appunti? Dopotutto c’erano i libri. Voltai la testa e a qualche banco di distanza dietro al mio e incontrai la figura di Nandika. Lei si che è intelligente!, mi venne da pensare in quel momento. Concentrata e attenta, la penna volava sul foglio dalla quantità di parole che scriveva al minuto. Un record che dubitavo chiunque potesse superare in quella classe. «Denssom guarda la lavagna», mi voltai in fretta e mi misi davanti il foglio sul quale qualche flebile appunto prendeva vita, per poi essere puntualmente perduto o ignorato. Non vedevo l’ora che suonasse l’intervallo, giusto per poter parlare con Nandy del nostro viaggio, e per raccontarle com’era andata con Il principe Caspian.
   Per quattordici anni ero stata maledettamente bene senza sapere chi fosse questo principe azzurro, ma d’altronde che mi aspettavo da che faceva film fantasy? Quando avevo visto mamma osservare le foto di quel tipo sul pc mordicchiandosi un labbro e leggendo notizie, in un primo momento pensai che si trattasse dell’ennesima caccia alle news sui film del Signore degli Anelli. Che Tolkien fosse risorto per farne un quarto? Cristo, no!, pensai in quell’istante, perché Tess ha la brutta abitudine di portarmi a vedere i film e non parlare d’altro per una settimana. Però poi quando seppi che quello era un tizio che aveva incontrato al supermercato e le aveva chiesto un appuntamento… hm, quasi era meglio la resurrezione di Tolkien.
   «Densson!» Il prof di chimica mi richiamò di nuovo, la campanella suonò, gli studenti si alzarono di corsa e così feci anch’io, sperando di salvarmi. Vidi il prof sospirare e guardare sconsolato lo sciame di alunni fuggire dalla sua classe.
   Rimasi fuori in corridoio fino a che anche Nandy non uscì dalla classe e assieme ci avviammo agli armadietti. «Allora? Com’è andata con Il Principe Caspian? Com’è?», domandò Nandy interessata. Sapevo che a lei piaceva quel libro, e anche il film. Io non sapevo nulla sugli attori o simili, ma Nandika mi aveva raccontato tutto sul libro. Non ero una grande appassionata di letture ma io e Nandy convivevamo in quel modo: lei mi parlava dei suoi libri e io della mia musica. Eravamo un connubio di interessi perfetto e opposto.
   «E’ un gran cazzone.» Nandy parve delusa: non sapevo se perché mi credeva o per il contrario.
   «Perché?»
   «Perché si, era tutto un: uh! cosa vorresti fare da grande?», lo scimmiottai con voce mongola. «Insomma un… un… un pirla!»
   Nandy parve rifletterci su, ma poi giunse ad una conclusione: «Voglio l’autografo di quel pirla». La osservai con se fosse matta. «Andiamo! Cosa ti costa? Per favore fammi venire a casa tua un giorno che c’è anche lui. Ti prometto che non gli chiederò niente, solo l’autografo.» Avevo già deciso per il sì, dopotutto avere Nandy vicina quando c’era lui poteva essere un grosso vantaggio, e poi non volevo certo negarle un’occasione del genere: sapevo quanto ci tenesse. Esitai un po’ troppo però, così Nandika continuò: «E dài! Immagina se mia madre uscisse con Kurt Cobain! Non vorresti un suo autografo?».
   «Ma non puoi fare paragoni: questo non succederà mai!»
   «Hai ragione», disse Nandy pratica, «mia madre non uscirebbe mai con un americano.»
   «E soprattutto con uno morto», precisai.
   «Ah già, è morto.»
   Nandika era indiana, la sua famiglia era un po’ troppo tradizionalista secondo me, ma lei si era adattata benissimo e riusciva a conciliare quasi sempre come voleva lei la sua vita qui in Inghilterra con i desideri dei suoi genitori. Era la mia migliore amica fin dalle elementari. Anche se avevamo passioni radicalmente differenti e stili di vita quasi opposti avevamo le stesse idee quasi su tutto, e quando le idee divergevano era sempre bello parlarne. Nandika era calma e pacata, sempre sorridente come se covasse dentro un segreto che la rendeva felice, come se il mondo intero per lei fosse meraviglioso. Pareva che niente potesse sconvolgerla. Riusciva sempre a vedere il lato positivo di ogni situazione ed era una di quelle amiche che ti stanno affianco ad ogni costo, sia per le cose insulse che per quelle più importanti. Avrei voluto essere per lei quel che lei era per me; credevo di riuscirci in maniera decente.
   «Ma sì comunque, sì. Ti avviso la prossima volta che viene, ci mettiamo d’accordo.»
   Nandy sorrise di un sorriso più largo del solito. «Grazie! Wow, che figata: conoscerò Ben Barnes. Dicono che fosse un fan di Narnia fin da quando aveva otto anni.»
   A quel punto fui curiosa: «Tu sai molte cose su di lui, non è vero?».
   «Hm… sì, credo di sì. Un po’.»
   «Qualcosa d’interessante? Che mi potrebbe interessare?»
   «Aspetta, metto via i libri e intanto ci penso.» Nandy raggiunse il suo armadietto e io il mio.
   Non usavo poi molto l’armadietto, a parte per lasciarci dentro i libri per settimane intere, almeno finché non c’era una verifica: allora me li riportavo a casa per studiare un po’. Non mi piaceva troppo studiare, mi annoiavo a morte, come tutti gli altri immagino: ma se altri avevano la forza di volontà per continuare a tenere la testa china sul libro, io riuscivo solo a tenerla appoggiata al libro… mentre dormivo. L’armadietto era quindi per me quasi inutile, se non fosse che lo usavo per i vestiti di ginnastica e per i quaderni. Tuttavia quel giorno vi trovai dentro qualcos’altro: un post-it giallo posato sopra il mucchio di roba svolazzò a terra ai miei piedi. Qualcuno doveva averlo infilato lì dentro attraverso una delle fessure dell’armadietto. Lo aprii e lessi: sabato prossimo alle 10.00 War pigs. La grafia era grossa e disordinata, la riconobbi in un istante: Malachi.
   Misi il bigliettino in borsa sorridendo segretamente e tornai da Nandy. Nel momento in cui mi vide cominciò a parlare; senza fermarsi. «Allora: Benjamin Barnes è nato nell’81 a Londra, se non sbaglio. I suoi genitori sono psicologi, o qualcosa del genere, comunque hanno a che fare con la psicologia. Aveva un gruppo musicale quand’era più giovane, gli Hyrise. Ha studiato a Kingston Arti Drammatiche e Letteratura Inglese, poi ho cominciato la sua carriera di attore. A questo punto avrei una domanda», concluse in fretta. La osservai curiosa. «Non è che tua madre me lo cederebbe?» Feci una smorfia. «Dài! Ha un curriculum fantastico! Insomma, lo so perché me l’hai chiesto: speravi che avesse qualcosa che non andava.»
   «Mi bastava qualcosa di piccolo: un disturbo dell’attenzione, una foto compromettente con un pagliaccio e un trapezista mentre consumavano atti osceni», mi lamentai.
   Nandika chiuse a chiave l’armadietto e mi osservò trionfante. «E’ perfetto, non hai niente contro di lui.»
   «Mi sembra di parlare come in un telefilm poliziesco.»
   A mensa presi da mangiare poca roba, non mi piaceva affatto il cibo della scuola, mi faceva venire il voltastomaco. Solo alcuni piatti si salvavano perché non potevano essere troppo precotti, cose come le verdure (di cui la mensa non era così provvista), il purè di patate e qualche tipo di polpetta. Quando fummo sedute e iniziammo a mangiare mi guardai attorno per vedere se c’erano Malachi o uno dei suoi amici. Non ne vidi nessuno e così stavo per raccontare del bigliettino a Nandy quando notai che sul cellulare c’era una chiamata persa di mamma. La richiamai.
   «Pronto?»
   «Pronto Tess. Mi hai chiamata?»
   «Sì, stamattina sono dovuta uscire prestissimo e non ti ho avvisata: hai visto il mio bigliettino sul tavolo?»
   Alla parola bigliettino sussultai, poi mi diedi della patetica. Dio, non potevo continuare a pensare al supposto bigliettino di Malachi in quel modo. Chiusi forte gli occhi e dissi: «No».
   «Vabbè. C’era scritto di prendere il pane, il latte e il cibo per Hugo quando torni. Ce li hai i soldi? Se non ne hai sono nel solito posto.»
   Sbuffai e risposi a malavoglia. «Ce li ho.»
   «Ah Mel», mamma cominciò a parlare con un tono di voce particolare, potei giurare che stesse sorridendo, «ieri non ti ho detto una cosa: Mercoledì tieniti libera, alle sette Ben passa a prenderci per andare al cinema e poi a mangiare qualcosa fuori.» Sgranai gli occhi ma per il momento non trovai nessuna scusa plausibile per evitare di andare. «Mel?»
   «Ci sono», risposi velocemente. «Ah… okay.» Non trovai altro da dire.
   «Perfetto. A stasera amore, ciao.»
   «Ciao ciao.»
   Misi giù e osservai il cellulare, ero sconvolta dalla notizia improvvisa, ma il mio encefalogramma rimaneva piatto: mi aveva uccisa. «Nandy hai da fare per Mercoledì questo?», domandai.
   «Non credo.»
   «Allora puoi venire a casa mia a conoscerlo. Passa a prenderci alle sette.»
   Nandika allargò gli occhi e sorrise. «Sul serio? Wow grazie. Dove andate di bello?»
   La osservai accigliata. «Di bello? Non includo la parola bello se si tratta di lui.»
   «Ah brave! Parlavate di me!» Una voce ci raggiunse e voltandoci potemmo ammirare Seymour, in tutto il suo splendore. Seymour era un amico che avevamo conosciuto qui al liceo, così come Malachi. Al contrario di me e Nandika credo che loro fossero amici perché avevano gli stessi identici gusti. L’amicizia fra maschi è molto diversa di quella tra femmine.
   «Certo che no!», protestò falsamente Nandika sorridendo. «Parlavamo di Malachi, no Mel?»
   Annuii vigorosamente. «Eh!»
   In quell’istante Malachi sedette affianco a me. «Ciao.» Incrociammo gli occhi solo per un secondo, ma non gli parlai del bigliettino che avevo trovato nell’armadietto. Fu come un tacito accordo.

   Seduta alla scrivania tentavo di capire come mai il mio pc non voleva saperne di scaricare quel maledetto cd. Sbuffai un paio di volte, poi vidi Tess sgambettare davanti alla mia porta in reggiseno e collant. Uno spettacolo davvero inusuale da vedere per una madre, immaginavo. «Metti un po’ di musica che piace a me Mel?», domandò a voce alta.
   «Subito», biascicai selezionando alcune cartelle.
   Mamma tornava dall’ufficio alle cinque del pomeriggio o poco prima, ogni giorno tranne la domenica, quando il dentista era chiuso, e il lunedì perché chiudeva alle tre del pomeriggio. Quel giorno era tornata al suo solito orario, e pareva una questione di stato dover uscire assieme a quel principe azzurro: era da un’ora che correva in giro per casa lanciando magliette; per di più lei vestiva sempre nello stesso modo: sobria, non troppo appariscente ma femminile.
   Proprio mentre stavo per dirle di lasciar perdere e di presentarsi all’appuntamento in collant e reggiseno suonarono alla porta. Tess si voltò, gli occhi spalancati. «Non può essere lui.»
   «Tranquilla ma’! E’ Nandy. L’ho invitata finché non arriva quello: lei lo conosce, ha detto che vuole un autografo.» Aprii il cancello e rovistai fra i vestiti scartati da mia madre. Mentre Nandika ancora non arrivava ne scelsi uno che mi sembrava carino e glielo misi in mano. «Perché non questo?»
   Tess fece una smorfia, ma lo indossò. «Non so cosa metterci sopra; ci vuole un maglioncino, è sera.»
   «Siamo a Maggio.»
   «Ma è sera», ripeté.
   «Ne vuoi uno mio? Ho quello corto nero.» Mamma mi osservò perplessa. «Vado a prenderlo, tu apri a Nandy.»
   Quando tornai in salotto dove mia madre stava facendo lo streap tease trovai Nandika e lei che decidevano quali scarpe avrebbe dovuto indossare: dopotutto Benjamin era abituato a vedere donne con i tacchi alti in tutte quelle serate eleganti a cui di certo partecipava, ma era anche vero che lei non indossava spesso i tacchi e non voleva dare l’impressione di essere quella che non era, e ancora bla, bla, bla. Tutto quel filosofare per il Principe Caspian! Secondo me non avrebbe notato la differenza.
   «Ecco qui.» Diedi a mamma la mini felpa e feci un cenno a Nandy dicendole di andare in camera.
   «Buona fortuna Tess», fece lei alzando un pollice e sorridendo.
   «Ah, grazie mille Nandy.»
   Una volta in camera abbassai il volume della musica e sedetti a gambe incrociate sul letto, dove Nandy si era già sistemata com’era nostra consuetudine fare. Non avevo ancora avuto il tempo di raccontarle del bigliettino così, fremente, iniziai la storia: «Devo dirti una cosa che è successa». Lei si sistemò meglio sul letto, pregustando una notizia succulenta. «L’altro giorno ho trovato un bigliettino nell’armadietto. E’ di Malachi, ne sono sicura tipo al 90%. Dice di incontrarci alle dieci al War pigs sabato prossimo.»
   Nandy sorrise. «Davvero? Solo tu e lui?»
   «Non lo so», feci una smorfia, «Secondo te?»
   «Io credo di sì… Perché non glielo chiedi? Tanto per essere sicuri.»
   «E se poi dice che siamo in altri cinquanta? Poi capisce che volevo sapere se era un appuntamento vero fra noi due.»
   Nandika ci pensò un po’ su. «Be’ non ha il diritto di saperlo? Insomma uno ti lascia nell’armadietto un bigliettino enigmatico e tu non puoi chiedere spiegazioni? E se fosse stato un imbecille che non sapeva scrivere?»
   «Ma Malachi sa scrivere!», protestai.
   «Sì comunque… Non c’è niente di male a chiederglielo. Fai così: mandagli un messaggio con scritto che il suo bigliettino era proprio una cacca, però dillo in modo gentile.»
   «Cioè?», domandai confusa.
   Nandy ci pensò e iniziò a inventare: «Scrivigli: ciao sono io eccetera, allora… se è per una festa a sorpresa sappi che non è il mio compleanno. Che dobbiamo fare? Chi c’è con noi?»
   «Hm buona idea», commentai con le sopracciglia corrugate.
   «Poi vedi tu come va avanti. Ha detto Sabato prossimo? Non questo quello che viene?»
   «Gli chiederò anche questo per essere sicura.» Restammo un attimo in silenzio e poi ci osservammo. Non potei fare a meno di sorridere.
   Nandy sapeva che era dall’inizio dell’anno scolastico che mi piaceva Malachi. Seguivamo la maggior parte dei corsi tutti assieme (tranne quelli che avevamo scelto per conto nostro): Nandika, Seymour, Malachi e io. Prima io e Nandy avevamo conosciuto Seymour e parlavamo spesso con lui. Poi un giorno, mentre pranzavamo assieme, invitò un suo amico a sedersi con noi così conoscemmo anche Malachi. Erano entrambi molto simpatici e mi piaceva averli come amici. Seymour era alto, ossuto e biondo, portava degli occhiali sottili e gli piacevano tutti gli sport, era incredibilmente preparato su tutti gli sport del mondo. Giocava a calcio in una piccola squadra e a quanto mi dicevano era anche bravo. Io non capivo niente di queste cose certo, ma era sempre divertente vederlo impegnato in conversazioni sportive. Anche a Malachi piaceva il calcio, credo che si fossero conosciuti ad una partita. Era più basso di Seymour e anche un po’ più robusto. Aveva spalle larghe e i capelli neri che crescevano lunghi a ricci cascanti. Quel che univa i due probabilmente era una sorta di rude chimica maschile: la pensavano esattamente allo stesso modo su tutto, e le loro famiglie non erano poi così diverse. Quel che invece aveva agito su di me era il fatto che Malachi suonasse la batteria: da maniaca della musica quale sono non potevo certo resistere ad un musicista, anche se alle prime armi. Con il tempo avevo capito che Malachi mi piaceva, c’era qualcosa nel suo atteggiamento che lo rendeva affascinante, il suo viso mi pareva bellissimo e con lui ridevo sempre. Uscivamo spesso tutti assieme, anche con altri amici, il Venerdì o il Sabato sera, più raramente durante la settimana perché la scuola, anche se non ci andavi matta come me, era qualcosa di troppo impegnativo. Durante la settimana di solito uscivo con Nandy, quando non faceva le sue folli maratone di studio.
   «A questo punto mi serve un consiglio…», cominciai a dire a Nandika. Lei mi osservò attenta, di sicuro sperando che fosse qualcosa alla sua portata per poter consigliarmi nella maniera più saggia possibile.
   «Dimmi tutto.»
   Il campanello suonò.
   Tess inciampò sul tappeto.
   Nandy saltò giù dal letto.
   Hugo alzò la testa rugosa.
   «Sono Benjamin», mi informò la voce al citofono.
   «Conosci la strada», replicai pigiando il pulsante di apertura.
   In pochi secondi tutto quel che era successo che aveva mandato la casa nel caos – anche se francamente non capivo perché lui fosse tanto speciale da sconvolgerci – andò al suo posto. Mamma si rialzò e si sistemò il vestito, Nandika prese la sua borsa e si disse pronta ad andare prima che noi uscissimo purché con il suo autografo in tasca, Hugo abbassò la testa e scivolò dentro l’acqua. In quel momento pensai di presentare a Benjamin il nostro animale domestico: se non gli piaceva avrebbe perso un punto agli occhi di mamma.
   Infilai la mano nella sua vaschetta e presi Hugo, aprii la porta e uscii nel corridoio. Benjamin avanzava e quando mi vide sorrise, io mi fiondai sotto di lui e gli misi sotto al naso Hugo. «Ti piace? Si chiama Hugo.»
   Lui si ritrasse d’istinto e poi osservò meglio la tartaruga fra le mie mani. «E’ carino.»
   «Solo?», domandai acida. Mi volsi verso casa e in quel momento mi ricordai di avvisare Benjamin: «Ah, posso chiederti un favore?».
   Sembrava riluttante, ma la sua vena da adulto responsabile e superiore ad una ragazzina parve prevalere. «Dimmi pure.»
   «La mia migliore amica… lei ti conosce, mi ha chiesto se potrebbe avere un tuo autografo e io le ho detto di sì. Non è un problema vero? E’ in casa adesso, ma se ne sta andando.»
   Ben piegò leggermente le labbra all’ingiù, poi disse: «Certo, non c’è problema. Ma non dovresti prendere impegni per altri».
   Quel commento mi diede fastidio in maniera allucinante. Cosa credeva? Di essere già diventato il mio nuovo papà?! Chiusi gli occhi per non esplodere e mi fermai davanti alla porta, li riaprii e dissi: «E’ il tuo lavoro».
   «Infatti ho detto che non c’è problema. Ma è un consiglio in generale.» Ben mi sorpassò dandomi una leggera pacca sulla schiena e andò a salutare mamma.
   Rientrai imbronciata e rimisi Hugo nella sua vaschetta. Mi avvicinai a Nandy, che se ne stava seduta in poltrona con la borsa sulle ginocchia, e le sussurrai: «Meglio per te che non lo conosci altrimenti non saresti più una sua fan».
   Nandika mi osservò con occhi severi. «Un giorno ti dirò cosa ne penso, ora non mi pare il momento adatto.»
   Sospirai e mi gettai sul divano. Probabilmente c’era qualcosa che non andava, lo sapevo benissimo. C’era qualcosa che era anche colpa mia. Tess aveva avuto uno o due fidanzati importanti da quando ero piccola, nessuno di loro mi era mai particolarmente piaciuto è vero, ma con Benjamin era diverso e non riuscivo a capire il perché. Sentivo di detestarlo più di qualunque altra persona, a pelle, senza un motivo preciso. Nandika riusciva sempre a leggere questi strani sintomi del mio comportamento, così come io riuscivo a leggere i suoi. Speravo che avrebbe saputo essere un balsamo a questa mia irritabilità, anzi: probabilmente lo sarebbe stato.
   Nel frattempo Tess e Benjamin stavano parlottando fra loro e alla fine Ben si volse verso di noi sorridendo e venne a sedersi affianco a me sul divano. «Tu devi essere Nandika», disse porgendo una mano alla mia amica, che lo osservava estasiata.
   «Sì.»
   «E’ dalla prima volta che sono venuto qui che Mel mi parla di te.»
   Nandy si girò verso di me sorridendo compiaciuta. «Per forza, chi la salva dalla sua autodistruttività altrimenti?», disse poi ridendo. Ben rise assieme a lei e poi le firmò l’autografo.
   A quel punto mamma sbucò dalla camera da letto con la borsa in spalla e disse: «Nandy vuoi uno strappo a casa?».
   «Oh no, grazie mille Tess sono due passi lo sai.» Nandy si alzò dalla poltrona rimettendo a posto il suo autografo con la stessa cura con la quale io trattavo i miei cd. «Ci metto dieci minuti.»
   «A me non dà fastidio», disse Ben alzandosi a sua volta. «Se siamo pronti…»
   «Dài Nandy, siamo di strada no?», domandai osservando mamma.
   «Sì infatti.»
   «D’accordo», si arrese alla fine Nandika.
   Quando ci infilammo tutti in macchina, Tess e Benjamin davanti e io e Nandy dietro, mamma stava dando le indicazioni a Ben quando mi venne in mente che prima il principino non se l’era presa con mia madre quando aveva preso per lui l’impegno di riportare a casa Nandika. Sbuffai contrariata e mi misi a guardare fuori dal finestrino. In poco più di mezz’ora avevamo già lasciato a casa sua Nandy ed eravamo dentro al cinema, a lottare per scegliere un film.
   «Andiamo a vedere il nuovo film di Clint Eastwood», disse, in modo alquanto prevedibile per me, mamma.
   «No, vediamo Limitless», gracchiai soltanto. Mi gelai sul posto e mi volsi lentamente verso Benjamin, che aveva detto esattamente la stessa cosa nello stesso istante. Le nostre voci si erano fuse in qualcosa che ritenevo innaturale e grottesco: qualcosa in comune.
   Tess sorrise e mi guardò. «La maggioranza decide.»
   «Vada per Limitless», disse Ben soddisfatto mettendosi in fila per i biglietti.
   Lo osservai depressa con le braccia conserte mentre faceva la fila, e sembrava così dannatamente perfetto! Neanche un minuscolo difetto, nemmeno la soddisfazione di scorgere in lui una seppur minima debolezza. Sbuffai e rivolsi gli occhi altrove mettendo il silenzioso al cellulare.
   «Andiamo», disse venendo verso di noi con tre biglietti in mano. «Sala dodici.» Prese per mano Tess e io sbuffai nuovamente, ma più piano in modo da non farmi sentire.
   Il film pareva bello e a metà tempo mamma mi aveva mandato a prendere i pop corn e da bere. Non volevo neanche immaginare che cosa stessero facendo mentre io non c’ero. Forse parlavano di me; parlavano male di me. E ne avevano le ragioni, dovevo ammetterlo. Non ero fra le personalità più simpatiche in quella sala. Quando uscimmo dal cinema il cielo era nero e senza stelle, come se sapesse della mia disgrazia e la volesse rendere ancora più cupa.
   «Andiamo a mangiare qualcosa? Io ho fame, voi?», domandò Benjamin.
   «Pop corn e coca cola non sono il pasto più decente», confermò Tess. «Dove vuoi andare Mel?»
   «E’ uguale», bofonchiai mettendo le mani in tasca.
   Fuori dal cinema c’era una folla di gente, credo che fossero lì perché era la prima serata di un film di cui non ricordo il nome. In quell’istante un gruppo di ragazze poco più grandi di me ci passò davanti e un bel po’ di loro si fermarono a guardare Ben come se fosse un miracolo sceso in terra, un arcangelo! Probabilmente Lucifero, pensai amaramente. Un paio di loro osservarono mia mamma con stupore misto a disgusto o qualcosa di simile, ma proseguirono e si voltarono ogni tanto a guardarci.
   «Conosco un ristorante niente male. Nessuna di voi è vegetariana vero?»
   «No», disse mamma. «Perché?»
   «Perché lì i piatti migliori hanno la carne.» Benjamin sorrise e prese la mano di Tess. Ci avviammo alla macchina e poi in un ristorante che aveva un aspetto rustico ma molto curato. Ordinai un piattone che comprendeva carne ai ferri, patate al forno e insalata, e speravo tanto nel vedere i piatti altrui che mi rimanesse un po’ di spazio anche per il dolce. Per fortuna io sono una di quelle persone che possono mangiare come bufali e rimanere magri. C’erano periodi in cui non mangiavo quasi nulla perché non avevo mai fame, e periodi invece in cui mi abbuffavo di tutto e di più.
   «Com’è andata oggi a scuola tesoro? Che avete fatto?»
   «Niente.» Niente di interessante comunque. Ci pensai un po’, giusto per animare la conversazione, ma poi mi venne in mente quel che mi aveva Nandy sul nostro viaggio in America. «Ah ecco… il mio viaggio è completamente partito.» Ben si volse verso di me ma non disse nulla. «Il padre di Nandika le ha detto che assolutamente non ci può andare. Faranno un sacco di festeggiamenti tradizionali per il matrimonio di sua sorella.»
   «Oh, mi dispiace tesoro», cominciò Tess piegando la testa da un lato. «Magari si potrà l’anno prossimo, ma sai che senza i parenti di Nandika che ti ospitano non potremmo mai pagare un hotel, il viaggio e le spese che farai una volta lì.»
   Annuii e mi ficcai il bicchiere con la coca cola davanti alla faccia. «Non fa niente», biascicai.
   La cena continuò fra chiacchiere inutili che mi sforzai di stare a sentire. Non successe nulla di eclatante finché non tornammo a casa e Tess s’infilò subito in bagno prima di salutare il suo nuovo uomo. Io e Benjamin stavano seduti sul divano, e non so nemmeno perché ci ostinassimo a farlo. Io non volevo parlare con lui e lui non voleva parlare con me. Non sarebbe stato strano se gli avessi detto “ciao” e mi fossi chiusa nella mia stanza. In fondo quella era casa mia e potevo fare come volevo. Stavo quasi per farlo quando lui parlò. Imparai presto che Ben aveva la grande capacità di tirare fuori gli argomenti più spinosi nelle situazioni più drammatiche.
   «Melany, io ti sto antipatico vero?»
   Lo guardai dalla mia posa scivolata sul divanetto e alzai un sopracciglio, solo per poi distogliere in fretta lo sguardo. «Sei l’uomo dei sogni: attore e pure intelligente.»
   Benjamin fece un pallido ghigno. «Voglio pensare che tu sia simpatica sotto sotto.»
   «Pensa quello che vuoi.»
   «Senti…», Ben si chinò in avanti verso di me e parlò con sicurezza, «Non so perché ce l’hai tanto con me e sinceramente credo di non averti fatto nulla per meritare così tanto disprezzo.»
   Mi volsi verso di lui, stupita, ma non avevo parole in bocca da riversargli addosso, avevo il cervello bloccato, come al solito quando si trattava di avere la risposta pronta.
 Ben continuò, imperterrito. «Io non voglio mettermi fra te e tua madre, capito? E non voglio nemmeno farle del male comportandomi come uno stronzo, okay? A nessuna di voi.»
   Mi faceva sembrare una teenager psicopatica con quel discorso. «Ascolta un attimo coso…», cercai le parole da dire e poi sputai fuori: «Non sono una patetica ragazzina che vuole tenersi la mamma tutta per sé, d’accordo?».
   «E allora perché fai così?», domandò Ben esasperato stringendosi nelle spalle e indicandomi con tutte e due le mani.
   «Io non…»
  In quel momento la porta si aprì e Tess uscì fuori dal bagno. Ci zittimmo e risistemammo in una parvenza di apatia, mentre mamma veniva in salotto, beatamente ignara dell’astio che correva fra noi. «Senti Mel, perché tu e Ben non vi scambiate il numero di cellulare? Così se mi cerchi puoi anche chiamare lei», aggiunse rivolgendosi a lui.
   Senza il coraggio di dire di no presi il telefono e scrissi il numero, nominandolo sotto Mama’s-fuckin’-lover.

   Era venerdì sera ed ero appena tornata dal tradizionale giro assieme a Nandy, Malachi e Seymour. Feci una doccia in silenzio e indossai il pigiama. Sotto le coperte infilai le cuffie dell’i-pod e presi in mano il cellulare. Erano quasi le due quando finalmente decisi di mandare un messaggio a Malachi. C’era scritto “Se per caso quella di Sabato è una festa a sorpresa sappi che non è il mio compleanno. Che ci andiamo a fare al war?”. Malachi. Invia.
   La risposta tardò di qualche minuto. “Se ti mando un bigliettino è perché è una sorpresa. Ti do un indizio: Rolling Stones.”
   I Rolling Stones erano uno dei miei gruppi preferiti. Ce n’erano parecchi, è vero, ma loro stavano su un podio. “Ora sì che è tutto chiaro. Chi c’è con noi?” Sperai che la domanda sembrasse del tutto casuale.
   “Nessuno. Ci vediamo Sabato prossimo allora! Ciao!”
   Scrissi in fretta la risposta e feci scorrere la rubrica fino alla lettera M. In quell’istante pensai di udire un rumore, tolsi gli auricolari nel buio e rimasi con le orecchie tese. Non udii nulla. Rimisi gli occhi sullo schermo del telefono, pigiai il destinatario e inviai il messaggio.
   Alle 10 al war pigs sabato prossimo.




















Buonsalve. Allora, da oggi in poi cercherò di aggiornare ogni domenica, spero di farcela.
Mi piace il personaggio di Nandika, il rapporto fra lei e Melany è simile a quello che c'era fra me e una delle mie più care amiche (non che ora non siamo più amiche, però non abbiamo più quindici anni ed è leggermente diverso xD). Comunque nessuno dei personaggi è ispirato a qualcuno che conosco u_u
Allora, questo è il primo capitolo dal punto di vista di Mel, e spero che vi sia piaciuto. Ho deciso di fare questo cambio di prospettive perché pensavo che sarebbe stato carino entrare nella testa di entrambi i personaggi, per mostrare quanto la pensano e reagiscono diversamente anche se sono nella stessa situazione.
Be'... non ho molto altro da dire, quindi ci vediamo settimana prossima ^^
Patrizia
   
 
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