Chioccia
[Sweets]
Pulcino.
Ogni volta che l’agente Booth lo chiamava in quel modo, Sweets avrebbe voluto rispondergli a dovere. Sfortunatamente, non ne aveva mai avuto il coraggio.
Quando quella parola usciva dalle labbra del poliziotto, Lance lo guardava di traverso, socchiudeva le labbra ed emetteva un leggero sbuffo. Gli dava fastidio il fatto che Booth gli avesse dato quel soprannome. Si sentiva... piccolo.
Certo, era davvero giovane per essere lì all’FBI. Ma se il Bureau l’aveva preso come psicologo c’era pure una ragione: era bravo nel suo lavoro.
Sentirsi dare del pulcino lo metteva a disagio, facendogli venire mille dubbi: se nemmeno l’agente Booth lo riconosceva come una figura importante, allora come poteva avere fiducia in sé stesso?
“Agente Booth, vorrei che la smettessi di chiamarmi in quel modo”, gli disse un giorno, preso da un impeto di coraggio.
“In quale modo?”, domandò l’altro, fingendo di non capire.
“Sai a cosa mi riferisco”.
“Forse ho capito, pulcino”, rispose Booth, con fare provocatorio.
Sweets sbuffò, sprofondando nella poltroncina del suo ufficio con espressione affranta. “Ecco, appunto”.
Booth si mise a ridere. “Andiamo, Sweets, non puoi prendertela per una cosa così piccola”.
Lance lo fissò dal basso della poltrona, con sguardo implorante.
“Senti”, disse Booth, accucciandosi di fronte a lui, “mi dispiace che tu te la prenda tanto... giuro che non lo faccio per dispetto”.
“Io non sono un pulcino. Non voglio esserlo”.
“Non lo sei, infatti”, replicò Booth con un sorriso. “Siamo noi i tuoi pulcini. Tu sei la nostra chioccia”.
Sweets lo fissò stranito. “Che cosa intendi dire?”.
“Tu sei quello che sa tutto su di noi. Noi veniamo da te, ci confidiamo e tu te ne vieni fuori con qualche perla di saggezza, come farebbe una mamma chioccia con i suoi pulcini. E non lo fai solo per lavoro. Lo fai sempre”.
Sulle labbra di Sweets comparve un sorriso. Booth gli mise una mano sul capo e gli frizionò i capelli con fare amichevole. Poi si mise in piedi.
“Ma non aspettarti che io smetta di chiamarti pulcino”, esclamò.
Lance gli lanciò un’occhiata fulminante.
“Ora almeno sai che, quando ti chiamerò così, starò mentendo”, spiegò. Poi allungò una mano per aiutare Sweets ad alzarsi in piedi.
365 parole
Ma insomma, di cosa potevo parlare che riguardasse Sweets? Pulcino com'è (caro lui ^^), dovevo sfatare questa leggenda: giovani non significa sprovveduti o ignoranti! Viva Lance! :)
Ci vediamo al prossimo capitolo :)
Chiara
Ogni volta che l’agente Booth lo chiamava in quel modo, Sweets avrebbe voluto rispondergli a dovere. Sfortunatamente, non ne aveva mai avuto il coraggio.
Quando quella parola usciva dalle labbra del poliziotto, Lance lo guardava di traverso, socchiudeva le labbra ed emetteva un leggero sbuffo. Gli dava fastidio il fatto che Booth gli avesse dato quel soprannome. Si sentiva... piccolo.
Certo, era davvero giovane per essere lì all’FBI. Ma se il Bureau l’aveva preso come psicologo c’era pure una ragione: era bravo nel suo lavoro.
Sentirsi dare del pulcino lo metteva a disagio, facendogli venire mille dubbi: se nemmeno l’agente Booth lo riconosceva come una figura importante, allora come poteva avere fiducia in sé stesso?
“Agente Booth, vorrei che la smettessi di chiamarmi in quel modo”, gli disse un giorno, preso da un impeto di coraggio.
“In quale modo?”, domandò l’altro, fingendo di non capire.
“Sai a cosa mi riferisco”.
“Forse ho capito, pulcino”, rispose Booth, con fare provocatorio.
Sweets sbuffò, sprofondando nella poltroncina del suo ufficio con espressione affranta. “Ecco, appunto”.
Booth si mise a ridere. “Andiamo, Sweets, non puoi prendertela per una cosa così piccola”.
Lance lo fissò dal basso della poltrona, con sguardo implorante.
“Senti”, disse Booth, accucciandosi di fronte a lui, “mi dispiace che tu te la prenda tanto... giuro che non lo faccio per dispetto”.
“Io non sono un pulcino. Non voglio esserlo”.
“Non lo sei, infatti”, replicò Booth con un sorriso. “Siamo noi i tuoi pulcini. Tu sei la nostra chioccia”.
Sweets lo fissò stranito. “Che cosa intendi dire?”.
“Tu sei quello che sa tutto su di noi. Noi veniamo da te, ci confidiamo e tu te ne vieni fuori con qualche perla di saggezza, come farebbe una mamma chioccia con i suoi pulcini. E non lo fai solo per lavoro. Lo fai sempre”.
Sulle labbra di Sweets comparve un sorriso. Booth gli mise una mano sul capo e gli frizionò i capelli con fare amichevole. Poi si mise in piedi.
“Ma non aspettarti che io smetta di chiamarti pulcino”, esclamò.
Lance gli lanciò un’occhiata fulminante.
“Ora almeno sai che, quando ti chiamerò così, starò mentendo”, spiegò. Poi allungò una mano per aiutare Sweets ad alzarsi in piedi.
365 parole
*Nota dell'autrice*
Credo di essere caduta nell'ovvio con questa flash... mi dispiace immensamente! *si prostra ai lettori*Ma insomma, di cosa potevo parlare che riguardasse Sweets? Pulcino com'è (caro lui ^^), dovevo sfatare questa leggenda: giovani non significa sprovveduti o ignoranti! Viva Lance! :)
Ci vediamo al prossimo capitolo :)
Chiara