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Autore: lispeth_    15/01/2012    3 recensioni
Guardava quegli occhi neri come la pece percorrere tutta la stanza. La stava cercando, sentiva il suo respiro ansioso di poterla toccare un'altra volta. Roxanne voleva urlare, ma facendo così avrebbe rivelato il suo nascondiglio all'assassino. La sua risata le fece gelare il sangue. "Ti troverò Roxanne Holmes, non puoi scappare" ringhiarono le sue labbra. Non era umano, era un mostro. E andava fermato, prima che fosse troppo tardi.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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What if this storm ends?
And leaves us nothing

 


L’amore era in stretto contatto con l’egoismo. Innamorarsi di qualcuno comporta che la persona interessata ricambi a tutti i costi i tuoi sentimenti. Pura pretesa, pura violenza. Perchè strappare via un cuore senza permesso?
Magari sarebbe stato più facile pensare all’amore a qualcosa di diverso. Poteva pensarlo come qualcosa di un colore puro, intattaccabile e leggero. Ma tutto quello che in quel momento provava non era altro che un enorme peso in quel buco al posto del cuore. Roxanne si sentiva sprofondare nel momento in cui quel giorno tornò a casa sua. Bastò una semplice chiamata per rendersi conto di quanto quel peso fosse straziante.
Sawyer non era partito da nessuna parte. Era stato attaccato da qualcosa o qualcuno ed era in fin di vita all’ospedale. Quale meschina persona aveva osato colpire il suo cuore? L’avrebbe pagata di certo su questo ne era totalmente sicura.
Aveva parlato con Sarah Graham in lacrime. Poche parole uscirono dalla sua bocca troppo impegnata a singhiozzare per il proprio figlio. Avevano trovato il ragazzo al parco, dietro a un fottuto albero dove poteva essere visto da chiunque eppure era rimasto lì per un giorno e mezzo. Da solo, al buio e senza alcuna protezione. Quello che non si riusciva a capire era che cosa lo avesse colpito. Sarah non sapeva assolutamente niente, suo figlio le era ancora precluso viste le sue gravi condizioni.
Roxanne aveva preso immediatamente le sue cose ed era corsa immediatamente all’ospedale.
L’Angel Place Hospital, un nome una garanzia, occupava gran parte della cittadina con il suo imponente palazzo alto tre piani. Sembrava essere l’unico edificio moderno costruito per dispetto dal sindaco della città cancellando per sempre il verde del parco precedente. Roxanne frequentava quel parco con sua madre prima che fosse tutto cancellato da fondamenta profonde e alti muri in pietra.
Si fermò di fronte alla grande porta in vetri scorrevole pensando all’ultima volta che era entrata in quel posto. Lì era stata ricoverata ed era morta lo stesso giorno sua madre. Tante anime erano ancora racchiuse in quelle quattro mura: anime di angeli che non erano in grado di raggiungere il paradiso perché strappate alla vita troppo presto.
“Roxanne finalmente sei arrivata” Sarah la stava aspettando fuori dall’edificio, trucco colato per le lacrime e un orrendo giubbotto rosa confetto che probabilmente aveva comprato nel negozio di vestiti usati.
“Sono arrivata il più presto possibile, si sa qualcosa?” quella domanda fece scoppiare Sarah in un pianto rumoroso che fece girare tutte le persone presenti nel parcheggio dell’ospedale.
“E’ ancora dentro…ma non si sa ancora niente. Non vogliono farmelo vedere… oh il mio povero figlio” disse a fatica per poi premere il suo viso bagnato sulla giacca di lana di Roxanne. Le bastarono cinque minuti per sfogarsi dopo di che si staccò tirando su con il naso e tirando un leggero sorriso di speranza.
“Andrà tutto bene, sicuramente si rimetterà in questi giorni, non c’è bisogno di essere così pessimisti riguardo a questa situazione”
“Sono sicura che tu abbia ragione Roxanne, se non ci fossi tu probabilmente impazzirei”
Entrarono insieme in ospedale. Un  via e vai di persone. Traffico di urla e suoni. C’era qualcosa di dannatamente tragico in quel posto, era come vedere per la prima volta la morte e madre natura in faccia collaborare insieme. In quel posto morivano e nascevano persone nello stesso momento. Sorrisi e pianti nello stesso momento, era come assistere all’apocalisse. Sawyer si trovava nel reparto di terapia intensiva nonostante non avesse assolutamente niente che non andava, era solamente incosciente e tutti speravano che presto aprisse di nuovo gli occhi. Roxanne più di tutti sperava che ritornasse da lei il più fretta possibile, non aveva mai avuto così bisogno di lui come in quel momento. Aveva paura di non poter più rivedere i suoi occhi cerulei, era come essere senza cielo. Si sedettero su delle panche troppo scomode per appartenere ad una sala d’aspetto. E il tempo passo con lenti rintocchi, il suo cuore sembrava procedere più velocemente di quelle lancette di legno. La paura pulsava nelle vene e premeva contro il suo cuore. Per quanto tempo avrebbero dovuto aspettare? Più i minuti passavano e più Roxanne perdeva la speranza di poter rivedere il suo Sawyer. La vita aveva deciso di prenderla in giro, le aveva disposto di due unici punti di riferimento a breve scadenza: sua madre era morta in un attimo e in quel momento la morte svolazzava tra i capelli corvini di Sawyer.
Un agente di polizia dopo aver continuamente stressato invano Roxanne e Sarah cominciò a passeggiare avanti e indietro per la stanza tenendo le mani dietro alla schiena: secondo lui quello che era successo a Sawyer non era stata una semplici coincidenza era stato sicuramente qualcuno che aveva intenzione di colpirlo da tempo, altrimenti non avrebbe organizzato tutto nei minimi dettagli.
Finalmente un camicie bianco si avvicinò alle due donne, l’espressione del dottore non dava sicuramente speranza o forse era semplicemente il suo umore giornaliero dopo aver fatto troppi turni notturni.
“Lei è la madre di Sawyer Levine giusto, la signora Graham?” chiese con un tono basso e serio. Aprì la sua cartellina scribacchiando qualcosa di illeggibile per poi puntare lo sguardo negli occhi di Roxanne nell’attesa di una risposta.
“Si sono io. Come sta mio figlio? Si rimetterà” incalzò immediatamente Sarah cercando comunque di contenere la sua troppa e giusta agitazione.
“Suo figlio sembra essere fuori pericolo, ha subito una commozione celebrare ma nulla di così grave. L’unico problema incorso è la sua incoscienza, ma potete comunque entrare nella stanza” disse scansandosi dalla porta dietro di sé.
Stanza 222.
In mezzo a quattro mura celesti si trovava il letto di Sawyer Levine immerso in un sonno a piccoli respiri. Qualcosa premette contro il cuore di Roxanne non appena lo vide immobile in mezzo a quelle lenzuola bianche. Sarah, come c’era da aspettarsi, si mise a piangere nonostante la cera di suo figlio non fosse così male.  Roxanne invece si avvicinò immediatamente a lui posando le dita sulle sua labbra leggermente schiarite, sembrava avesse freddo e le labbra si fossero improvvisamente congelate. Perfino le sue mani erano fredde e la sua pelle era leggermente ruvida a causa di piccoli tagli infieriti da una mano nemica.  Pareva ugualmente un angelo immerso in quel profondo sonno incosciente.
Roxanne si lasciò sprofondare nella poltrona vicino alla finestra e si mise a guardare fuori anche se l’oscurità celeva qualsiasi cosa, qualche puntino di luce proveniente dalle finestre delle case rendeva tutto molto natalizio, nonostante fosse ancora Novembre.
“Sarah hai bisogno di riposarti, vieni qui..questa sedia è molto più comoda. Controllerò io se Sawyer si risveglia”, la donna ormai sopraffatta dalle troppe lacrime sembrava che stesse per crollare da un momento all’altro. Si vedeva che era da giorni che non dormiva e sinceramente Roxanne non aveva voglia di vedere nessuno svenire. Accompagnò Sarah alla sedia che chiuse immediatamente gli occhi.
“Grazie Rox, sei veramente un angelo” disse con un sospiro per poi addormentarsi immediatamente. Era strano per lei essere paragonata ad un individuo celeste, in fondo non aveva mai creduto in Dio e non aveva mai fatto nulla che potesse ripulire per sempre la sua condotta. L’angelo era sempre stato Sawyer solo per il suo aspetto in fondo gli angeli non esistevano. Se ci fossero stati in quel momento avrebbero aperto gli occhi del suo ragazzo e tutto sarebbe andato realmente per il meglio senza aver la necessità di mentire a sè stessi.  La stanza entrò improvvisamente nel silenzio precedente, si sentivano solamente i respiri incostanti di Sarah che stava lottando contro un incubo contro la perfezione dei sospiri di Sawyer sdraiato sul suo letto. Una dolce melodia che lentamente portarono Roxanne a raggiungere il mondo dei sogni tenendo la mano di Sawyer.


“Allora? Come sta Sawyer?” chiese Renee con la sua solita fretta, non era una ragazza capace di aspettare. Era più forte di lei, voleva sapere tutto e subito. Un po’ come lo era la madre di Roxanne ma con un’incredibile dolcezza che avrebbe convinto chiunque a darle qualcosa.
“Non si è ancora svegliato ma sembra che sia stabile per il momento”
“Ma sono passate tre settimane”
“Lo so Renee quanto tempo è passato ma non sono certo io che decido quando svegliarlo” rispose Roxanne leggermente irritata. Erano passate tre settimane dall’ultima volta che Roxanne era entrata in quell’ospedale, aveva la strana sensazione di portare sfortuna al quel posto. Veniva però informata ogni giorno da Sarah sui nuovi sviluppi del figlio che non sembravano mai essere differenti di giorno in giorno.
“Scusa Rox, non volevo farti arrabbiare. Sono solamente preoccupata per lui”
“Non ti preoccupare so come sei fatta. Sono solo leggermente più nervosa del solito e mi arrabbio facilmente”sbattè fuoriosamente l’anta del suo armadietto e si diresse immediatamente nel bagno delle ragazze senza dire niente all’amica.
Stavano cadendo lacrime dai suoi occhi.
Per un attimo credette di non star guardando il suo riflesso allo specchio.
Eppure era lei. Stessi capelli rosso mogano. Stessi occhi nocciola.
Era solamente più pallida, e la maglietta che indossava sembrava essere troppo grande per lei ma non si sarebbe cambiata per una stupida dimenticanza delle taglie da parte del padre nei suoi regali di compleanno. Si raccolse i capelli in una coda di cavallo cancellando i segni umidi che segnavano le sue guancie. Non aveva intenzione di piangere davanti a tutti. Era un segno di debolezza. Della resa alla realtà.
“A quanto pare dovrei  diventare una veggente” disse una voce stridula alle sue spalle. Non dovette nemmeno girarsi per capire che dietro di lei c’era Cheryl. In qualunque modo quella ragazza aveva intenzione di rovinarle la vita, ma Roxanne non riusciva a capire che gusto ci trovasse nella sofferenza. Lottavamo per la pace e altre stronzate eppure esistevano ancora persone che si nutrivano delle disgrazie altrui.
“Non capisco di che parli”
“Oh ma come no? Sto parlando di quello che è successo a Sawyer, pensando che capitasse a Noah in effetti ma a quanto pare ho semplicemente sbagliato persona”
“Sono felice che tu abbia trovato la tua aspirazione lavorativa per il futuro ora vattene o cuciti la bocca”
“In fondo questo è un bagno pubblico. Se non hai voglia di ascoltarmi non devi fare altro che andartene tu”  fu un invito che Roxanne accettò di buon grado sforzandosi di non rispondere alle cattiverie di Cheryl. In fondo non ne valeva la pena e non aveva voglia di tornare in presidenza ed autocommiserarsi con Evrin. 
Uscì dalle mura della scuola e trovò un posto abbastanza appartato nel cortile della scuola.
Chiunque aveva un posto preferito dove poter nascondersi solamente per riflettere. Certo non tutti trovavano quella sorta di paradiso interiore all’interno del recinto della scuola ma per Roxanne era una semplice panchina rossa. Da lì si poteva vedere il fiume e il suono leggero dell’acqua che scorreva riusciva sempre a rilassarla. Si sdraiò immediatamente fissando il cielo stranamente troppo grigio nonostante non ci fossero nuvole.
“Credevo che qui non ci venisse mai nessuno” disse improvvisamente una voce che la fece sobbalzare. Quel giorno le persone avevano la mania di spuntare all’improvviso per sfizio. Roxanne si alzò di scattò dalla panchina e voltò lo sguardo da dove proveniva la voce.
Rimase paralizzata per qualche secondo dalla paura.
Quegli occhi.
Adrian Kain.
Riprese un po’ di proprio autocontrollò e scosse le spalle come se fosse stata percorsa da un leggero brivido.
“In realtà sono l’unica a venire qui”
“Ahm bè allora vorrà dire che me ne andrò sembri una persona molto territoriale” disse il ragazzo inspirando il fumo dalla sigarette e ributtandolo fuori lentamente dalla bocca. Leggere figure si formarono nell’aria per poi scomparire nel cielo grigio come il fumo. Una lenta danza diretta indefinito.
La sigeretta poi finì a terra pestata da una converse ormai piena di buchi. Roxanne alzò semplicemente un sopraccigliò sbalordita dalla lentezza dei movimenti di Adrian.
“Comunque io sono Adrian” disse lentamente scandendo il suo nome come se avesse una strana pronuncia. Magari proveniva da qualche paese europeo. Qualcosa che aveva a che fare con la scandinavia, avrebbe sicuramente giustificato il colore dei suoi capelli. Ma in scandinavia non avevano gli occhi azzurri?
Stava decisamente fantasticando troppo sulla provenienza di quel ragazzo soprattutto perchè non avendo ancora risposto alla sua presentazione la stava fissando dall’altro al basso.
“Sono Roxanne. Sai ho appena visto Cheryl in bagno magari potresti raggiugerla” quella sua affermazione scaturì una leggera risata che increspò le labbra di Adrian in un modo decisamente troppo sexy per appartenere ad un umano.
“Credi che mi interessi davvero qualcosa di quella gallina dalla bocca troppo larga. Certo non è male a letto ma decisamente non sono fatto per stare con una come quella”
“E questo lei lo sa?”
“C’è bisogno che lo sappia? In fondo non fa altro che guardarsi allo specchio. Magari l’unica cosa che fa quando mi guarda negli occhi e osservare il suo riflesso nelle mie iridi” mise le mani in tasca per poi passarsi lentamente la lingua sul labbro inferiore. Roxanne ebbe un vero e proprio brivido che le percorse tutta la schiena. Quel ragazzo aveva qualcosa di sinistro ma nello stesso momento di affascinante. Era come una calamita posta nella profondità marina: ne eri attratto ma sapevi che per raggiungerlo dovevi per forza morire annegato.
“In fondo non sono affari miei. Cheryl nemmeno la sopporto, quindi dovrei essere felice di vedere star male anche lei ogni tanto”
“Ma tu non sei quel genere di persona giusto?”
“Mi conosci per caso? Non mi sembra davvero”
“Ti ho osservata e ho tentato di farmi uno schema mentale sulla tua personalità. Sai non è difficile comprendere stato d’animo e tendenza di una persona”
“E tu saresti una sorta di psicologo giusto?”
“Stai soffrendo. E non è una di quelle sofferenze di non potersi comprare un paio di scarpe nuove per mancanza di paghetta, tu stai soffrendo realmente. E sicuramente per il ragazzo di cui parla tutto il corso di storia”
Roxanne si alzò immediatamente e puntò uno sguardo cattivo in direzione di Adrian.
Chi diavolo si credeva di essere? Era venuto nel suo posto e si azzardava a psicanalizzarla? Che avevano le persone di quella città? Non erano in grado di farsi gli affari loro e non sapendo che cosa fare decidevano di entrare nella sua vita.
“Non hai niente di meglio da fare?”
“E’ un mio difetto ma in fondo non devo starti per forza simpatico” disse facendo scintillare il piercing che portava al sopracciglio. Il suo sorriso era agghiacciante, proveniva per caso dall’inferno? Adrian aveva proprio l’aspetto del diavolo tentatore.
“Giusto” disse Roxanne prima di scomparire. Si mise a correre. Corse per tanto forse troppo tempo e si fermò quando non aveva più fiato.

Quella notte sognò Sawyer finalmente sveglio. Ma c’era qualcosa di diverso nel suo aspetto.
I suoi occhi erano cambiati. Avevano un colore diverso.
Occhi neri.
  
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