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Autore: SonLinaChan    31/08/2006    6 recensioni
Dopo la caduta della barriera e la sconfitta di Darkstar, Lina, Gourry, Amelia e Zelgadiss sono tornati alle proprie vite, ed il continente ad una apparente calma... ma gli equilibri del mondo al di qua della barriera sembrano destinati ad essere scossi, da una micaccia che si profila ai confini del regno di Sailune...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gourry Gabriev, Lina Inverse, Personaggio originale, Philionel, Amelia, Zelgadis Greywords
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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D’accordo

Questo capitolo termina con il classico finale di capitolo che io leggendo avrei odiato, quindi… non odiatemi.XD Cercherò di aggiornare presto. (anche se purtroppo gli esami incombono di nuovo…) Come sempre, commenti e critiche sono graditi! ^^

 

D’accordo. Ero irritata..

Sapevo che in quelle circostanze avrei dovuto essere disperata, spaventata… e vi assicuro, nulla di tutto questo mancava al campionario di sensazioni che quella meravigliosa avventura era riuscita ad offrirmi… ma in quel momento l’irritazione pareva prevalere su tutte.

Volete sapere da quanto tempo ero rinchiusa in quella cella? Una settimana.

E potete immaginare quanto tempo era necessario ad Uregh per trovare un dottore che potesse visitarmi? Bé, IO lo immaginavo, e l’idea che il disgustoso e perverso verme che mi ero trovata di fronte al mio arrivo ad Ulan Bator si divertisse a tenermi rinchiusa per alimentare la mia paura e la mia frustrazione era sufficiente perché ogni altro sentimento giorno dopo giorno venisse offuscato dalla rabbia…

Oh, non che desiderassi che Uregh scoprisse tanto presto della mia bugia, è chiaro. Se dovevo essere sincera, non avevo la più pallida idea di cosa avrei fatto, poi. Ma, se avevo capito un minimo la psicologia di Uregh, sapevo cosa stava tentando di farmi. Ero finita nei sotterranei del suo palazzo. Trascorrevo le mie intere giornate in una indistinta penombra, in cui l’unico segnale dello scorrere del tempo erano gli intervalli regolari a cui le guardie mi portavano la brodaglia grassa che usavano definire ‘pasto’… Ero rinchiusa in una cella singola, ma ero attorniata dal putridume, dai ratti, e da delinquenti di ogni genere. Gente da cui normalmente sapevo come difendermi, certo, ma quanto era accaduto negli ultimi mesi aveva ridimensionato notevolmente la mia fiducia nelle mie capacità di togliermi dai guai… ora ero sul chi vive persino quando mi ritiravo dietro al paravento che mi offriva un minimo di privacy per espletare le mie funzioni corporali. E, ovviamente, la prospettiva di un bagno non era che un labile miraggio. Uregh probabilmente sperava che quell’esperienza mi portasse al cedimento totale. Sperava che quando si sarebbe presentato di fronte a me mi sarei prostrata ai suoi piedi confessando la mia menzogna e pregandolo di farmi ritornare al lusso che con la mia trovata di qualche sera prima credevo di avere irrimediabilmente perduto. Oh, e non avevo dubbi che, contro OGNI aspettativa, Uregh me lo avrebbe concesso… quale magnifica impennata del suo ego avrei permesso, umiliandomi di fronte a lui… Ma aveva sbagliato strategia. Non facevo che ripetermelo. Perché per quanto il senso di impotenza e la mente inattiva fomentavano in me la paura e la rassegnazione, altrettanto la rabbia alimentava la mia lucidità. Dopo la disperazione iniziale, mi ero risvegliata ad uno stato di riflessione quasi febbrile. Uregh era meno furbo di Elmerish. Aveva altrettante risorse, forse, ma era meno furbo. Invece, a me il cervello era tutto ciò che rimaneva. E dovevo sfruttarlo, perché avevo intenzione di uscire di lì.

La mia mente era lucida.

Lucida.

Non stavo impazzendo.

 

Quella sera (era davvero sera? Il mio stomaco mi suggeriva che un pasto era in arrivo, ma sinceramente avevo perso totalmente il conto delle ore…), stavo strofinandomi vigorosamente i capelli con la poca acqua che le guardie mi concedevano di tenere nel catino dietro il paravento. Detestavo essere sporca. Anche quando trascorrevo notti all’addiaccio insieme a Gourry, il mio compagno ed io cercavamo sempre di fermarci vicino a qualche corso d’acqua, non solo per rifornirci di acqua da bere, ma anche per poter curare almeno le basi della nostra igiene personale. Essere sporca mi dava l’impressione di non avere il pieno controllo di me stessa. E se non controllavo nemmeno me stessa, come potevo essere padrona della situazione in cui mi trovavo?

‘Se Uregh davvero riuscirà a mettermi le mani addosso, spero che si ritrovi come minimo assediato da una colonia di pulci…’

Strinsi i denti, strofinando più forte. Avevo l’impressione che la sabbia mi penetrasse nei vestiti, da quando mi trovavo ad Ulan Bator. La stessa sensazione che provavo durante le notti nel deserto. Strisciante, subdola… non sapevo come facesse a penetrare nella cella, in quei sotterranei, ma la sentivo… mi corrodeva la pelle ad ogni movimento nel mio giaciglio, dietro il paravento, in ogni metro di quello spazio angusto. Smisi di strofinare, e mi resi conto che mi tremavano le mani. Avevo voglia di vomitare, anche se non c’era nulla nello stomaco che potessi rigettare.

 

“E’ l’ora della cena!!!”  Gridò una guardia, passando attraverso il corridoio fra le celle. “Venite a prendervela, bastardi, o resterete digiuni!!!”

Uscii da dietro il paravento, e mi avvicinai alla grata che mi separava dalla guardia responsabile delle prigioni, un po’ barcollante. Occhieggiai il carrello con la zuppa. Sempre la stessa, ogni giorno. Al solo vederla, insorgeva in me un senso di nausea.

La guardia mi rivolse un sorriso insolente. “Vuoi zuppa, donna?” Mi sbatté un piatto sotto il naso, con malagrazia. “Non è proprio il cibo raffinato che una cortigiana si aspetterebbe, eh?”

Non ero molto amata, fra le guardie. Uregh pareva il solo a nutrire una insana passione nei miei confronti. Agli occhi degli altri uomini di Ulan Bator, non ero che una mocciosa dal carattere e dall’aspetto quanto mai discutibili, probabilmente buona solo per fungere da sguattera nelle cucine. Non ero certa di quale atteggiamento detestassi di più.

Per una volta, non risposi alla provocazione. “Si può sapere quand’è che il vostro signore ha intenzione di decidere cosa fare di me…?” Chiesi, fra i denti.

La guardia mi fissò con disprezzo. “Non osare rivolgerti con quel tono ad una guardia di Ulan Bator, donna. E non darti più importanza di quanta tu non ne abbia. Il mio signore Uregh ha ben altro a cui pensare che a come trattare una stupida femmina ed i suoi istinti di ribellione. Deve predisporre un esercito. A te potrà pensare una volta che le truppe saranno partite. Mi auguro con maggiore lucidità di quanto abbia fatto finora…” Sibilò…

“Già, perché ovviamente il signor codardia si guarderà bene dal partire lui stesso per Sailune… chissà perché la cosa non mi stupisce…” Commentai, a voce sufficientemente alta perché la guardia mi udisse…

L’uomo si volse verso di me, livido di rabbia. “Come OSI offendere il mio signore???” Afferrò le sbarre, e mi fissò dritto negli occhi.

“Il tuo signore mi ha dato forse modo di farmi un’opinione diversa su di lui?” Replicai, fra i denti. “E portati via quella zuppa.” Occhieggiai il piatto che stringeva fra le mani, con un fremito di disgusto. “Non posso più mangiare quella roba.”

Il volto del soldato si fece pallido di rabbia. “Stammi a sentire, donna…” La sua voce si era abbassata ad un cupo sibilo… “Ne ho abbastanza di te… Vedi di stare zitta, e mangiare la tua cena senza crearmi problemi. Perché in caso contrario non mi farei tante remore a farti succedere qualcosa di MOLTO sgradevole… sono stato sufficientemente chiaro…?”

Il suo interesse per la mia alimentazione, ci avrei scommesso, dipendeva UNICAMENTE dalla sua sollecitudine nei miei confronti… nulla c’entrava il fatto che si ostinavano a sciogliermi la droga nel cibo credendo che non me ne accorgessi…

Mi sporsi verso di lui. “Avrei paura di te se non fossi codardo esattamente quanto il tuo signore…” Sibilai, in risposta. “Ma so perfettamente che non farai proprio nulla che possa nuocermi senza che te l’abbiano ordinato, sapendo che il risultato sarebbe finire in questa cella al mio posto…”

Ero un’incosciente, forse, ma davvero non avevo timore di lui. Era quella droga che aveva iniziato a spaventarmi, invece, più di qualsiasi soldato al servizio di Uregh sarebbe mai stato in grado di fare. Erano più di due mesi, ormai, che ci ero costretta, e non era più soltanto questione di non poter utilizzare la magia. Ricordavo cosa aveva detto Elmerish, quando me la aveva mostrata la prima volta. Portava la pazzia, e poi la morte. Ed io temevo di perdere me stessa, in entrambi i sensi. Anche se per motivi diversi, quella da sempre era la mia paura più grande…

“Ma non mi dire…” La guardia mi fissò, e sulle sue labbra comparve un sorriso. “E se io raccontassi che ti sei ribellata e che mi hai costretto a fermarti con la forza, donna?” La sua voce divenne nuovamente un sibilo. “Non è necessario che ti uccida. Ma potrei farti molto male…”

Ero stanca. Ero dannatamente stanca di quel trattamento impari, di quel sorriso di superiorità, di quelle provocazioni. Da quando ero finita nelle mani di Elmerish, quello era l’unico atteggiamento che avevo ricevuto dalle persone che mi circondavano. Ora basta. Basta!

“Ti ha mai detto nessuno che sei mediocre e scontato quanto le tue minacce, grand’uomo?” Replicai, fra i denti.

Il volto del soldato si fece scuro, come se quelle parole avessero mutato all’improvviso la sua disposizione nei miei confronti. Si allontanò dalle sbarre, e mi fissò con cupa serietà. “Te la sei voluta, donna.”

Si volse verso la porta di accesso al corridoio delle celle, e portò una mano alla bocca. “Rijah!” Chiamò, a gran voce. “Rijah, aham icchasi!”

Quella che poteva essere una giovane recluta si avvicinò di corsa al soldato più anziano, e gli rivolse un veloce inchino. I due parlarono brevemente fra loro in una lingua che non comprendevo, e notai che il giovane mi rivolgeva veloci occhiate, mentre annuiva al suo superiore. Al termine della conversazione, rivolse all’altra guardia un ulteriore inchino, e tornò di corsa sui suoi passi, lungo il corridoio.

Strinsi i denti. “Che diavolo gli hai detto?”

Il soldato mi rivolse un sorriso. “Di andare a chiamare il Maestro dei sacerdoti di corte, un mio buon amico. E di farlo scendere quaggiù personalmente, mentre lui sorveglia i suoi appartamenti. Dal momento che hai rovesciato la tua cena, ho bisogno che mi porti un altro flacone di droga…” Ebbi un sussulto. La guardia lasciò cadere all’improvviso il piatto che ancora aveva in mano, proprio accanto al pavimento della mia cella. Fissai il piatto, e poi lui, stupita, e non del tutto certa di capire… “Sai, il mio signore si è raccomandato che nessuno oltre a me e lui possa mettere mano a quella sostanza, dato che i Turid sono gelosi delle loro pozioni, ed il generale Elmerish ce ne ha lasciato una quantità appena sufficiente per il periodo in cui sarà lontano da Ulan Bator… un altro segno dell’atteggiamento prudente che tu tanto disprezzi in lui, ma che gli ha permesso di arrivare dove si trova… e che ora ha anche il vantaggio di lasciarci un po’ di tempo da soli…” Lo fissai, inorridita, quando iniziò a sfilarsi la cinghia dei pantaloni…

Infilò la chiave nella toppa della cella, e la porta si aprì con uno scatto. Il soldato avanzò, mentre io indietreggiavo fissandolo in preda all’agitazione, e pensando febbrilmente ad un modo per sfuggirgli…

“Fa male, la cinghia, sai?” La strattonò fra le mani, come a saggiarne la consistenza. “Ma certo non ti ferirà a morte… e sono sicuro che il sacerdote capirà il mio gesto… nemmeno lui è così propenso a lasciare impunite le donne indisciplinate…”

Strinsi i denti. “E scommetto che sarà propenso invece a mascherare le mie ferite in modo che i tuoi superiori non si accorgano di nulla…”

La guardia sorrise, nuovamente. “Sei perspicace. Una pessima qualità, in una donna.”

‘Complimenti, grand’uomo. Hai vinto il superpremio per la battuta più scontata.’

Si fece avanti, cercando di afferrarmi per un braccio, ma io indietreggiai, di scatto, interponendo fra me e lui il lurido giaciglio di paglia, che insieme al catino d’acqua e alla latrina formava l’unico arredamento della cella. Sapevo benissimo che non sarei andata lontano, comunque. In quei tre metri quadrati, non avevo grandi spazi per rifugiarmi…

“Non ho molto tempo, donna.” Intimò lui. “Meno me ne fai perdere, più io sarò generoso con te…”

‘Certo, come no…’ Lottai per impedirmi levare gli occhi al cielo. Mi sentivo stupida, a scappare. Era ovvio che non avevo scampo, e con gli altri detenuti che a turno incitavano me o la guardia, quella scena cominciava ad assomigliare troppo ad un incontro di scommesse clandestine, per quel che mi riguardava… Nonostante questo, continuai ad indietreggiare, fino a che la mia schiena non si trovò a premere contro il muro. Che dovevo fare, farmi frustare, e davanti a tutte quelle persone, senza opporre nemmeno un minimo di resistenza?

Quando fui schiacciata fra lui e la parete, tutto ciò che mi rimase da fare fu fissarlo, cercando di mascherare nel mio sguardo la paura generata dal presentimento del dolore.

“Non ti piace, eh?” Mi afferrò un braccio, e lo torse, dolorosamente, in modo che mi trovassi premuta faccia al muro, e che gli dessi la schiena. “Forse potrei convincere il sacerdote a farti la visita che il mio signore ha in preventivo per te, dopo averti curato…” Sussurrò, continuando a stringere il mio arto. “Sai, il mio signore è molto in collera con te… a lui non piace perdere, e tanto meno con una donna capricciosa…” Strattonò il mio braccio con tanta forza che sussultai, e lacrime involontarie di dolore mi affiorarono agli occhi… “Ha deciso di lasciarti qui a marcire per un po’, prima di permetterti di tornare al lusso della corte… ma forse se gli facessi comunicare il risultato della visita in anticipo cambierebbe idea… e ho come l’impressione che nemmeno questo ti piacerebbe, non è così?”

Sapete cosa odio ancor più di una guardia carceraria sadica? Una guardia carceraria sadica che si diletta di psicologia!

“Forse… o forse mi piacerebbe non dover più avere a che fare con te…” Mormorai, fra i denti…

La sua stretta sul mio braccio si fece ancora più forte. “Oh, non ho dubbi, in proposito, dopo ciò che ti accadrà ora… ma sai, non credo ti rimpiangerò a lungo… perché non ho dubbi neanche sul fatto che tornerai a trovarmi, dato che non ti sarà difficile irritare di nuovo il mio signore…” Mi spinse malamente contro il muro, e sollevò la cinghia.

Altro appunto: detesto i ‘cattivi’ che parlano troppo.

Non so neanche esattamente come mi venne in mente. Mi feci avanti con la testa, forse per allontanarmi da lui, e quando la gettai all’indietro, direttamente contro il naso del mio catturatore, e mettendoci tutta la violenza di cui ero capace, lo feci più per istinto che per premeditazione… e nemmeno avevo idea che gli avrei fatto TANTO male.

Fu quando la guardia indietreggiò, lasciando cadere la cinghia per reggersi il naso sanguinante, che mi resi conto di essermi davvero creata una via di fuga.

Il mio corpo agì prima ancora che il mio cervello registrasse quanto stavo facendo. Raccolsi la cinghia dal suolo. La guardia vide ciò che stavo facendo, e protese le mani avanti, per afferrarla prima di me, ma la forza della disperazione mi rese più veloce. Afferrai l’oggetto con entrambe le mani, e mi gettai su di lui. La guardia lottò per un istante, cercando di afferrare i miei polsi, ma il sangue che gli annebbiava la vista ed il colpo appena ricevuto gli rallentavano i movimenti. Riuscii a spingerlo al suolo, e gli strinsi la cinghia attorno al collo, con tutta la forza di cui ero capace.

Mi fissò a lungo, gli occhi pieni di stupore, mentre continuavo a stringere, e stringere. Un po’ alla volta, la forza abbandonò, le sue dita, strette ai miei polsi. Quando le sue mani lasciarono la presa, e i suoi occhi si riversarono all’indietro e si chiusero, solo allora mi decisi a mollare la presa.

Mi sollevai in piedi. I miei polsi erano lividi per la stretta, e le mie mani tremavano incessantemente, mentre la mia mente era in completo subbuglio.

L’avevo ucciso? Non lo sapevo, e stupidamente non avevo nemmeno il coraggio per controllare. Avevo la sensazione che dovesse rianimarsi da un momento all’altro, e farmela pagare per l’umiliazione che gli avevo inflitto…

Mi guardai attorno, cercando di mantenere la calma. I detenuti attorno a me scalpitavano, ma il corridoio che attraversava le celle pareva deserto. Avevo qualche possibilità di scappare? Sicuramente le guardie avrebbero piantonato i piani superiori, e…

‘Oh, al diavolo!’

Non potevo non tentare, e aspettare che il sacerdote arrivasse e facesse nuovamente attirare su di me le ire di Uregh. Non me lo sarei mai perdonata. Mi piegai sul corpo riverso della guardia, e trovai le chiavi dei sotterranei in una delle sue tasche. Cercai di sfilargli la spada, ma mi resi immediatamente conto che le mie mani tremavano troppo per sorreggerla.

‘Il pugnale. Il pugnale andrà benissimo.’

Lo sfilai dalla cinta del fodero, e me lo affibiai al cordone della tunica, ormai logora e consunta. Non mi fermai nemmeno un istante a guardarmi indietro. Con il cuore in gola, schizzai più veloce che potevo verso la porta di uscita dai sotterranei.

 

Nello stanzino in cui i soldati montavano la guardia non vi era anima viva. Evidentemente, quella sera il capo dei carcerieri e il giovane chiamato Rijah erano gli unici di turno alle prigioni. Mi affrettai su di una lunga scala a chiocciola, e dopo quella che mi parve una infinità di gradini, sbucai in un corridoio illuminato dalla pallida luce del tramonto.

‘E ora dove diavolo vado?’

Non ebbi quasi il tempo di pensarlo. Un rumore di passi che si avvicinavano mi fece sussultare, e feci appena in tempo a ritirarmi nella nicchia di una delle lanterne, ancora spente, adibite all’illuminazione… dall’angolo del corridoio sbucò la figura austera di un anziano, il sacerdote di cui la guardia mi aveva parlato, ipotizzai. Ed in effetti, a conferma dei miei sospetti, l’uomo imboccò la porta delle prigioni, a passo spedito, e scomparve nell’oscurità dei sotterranei.

 

‘Dannazione!’

 

Avevo sperato di avere più tempo. Ora, il sacerdote avrebbe sicuramente dato l’allarme, e nel giro di poche decine di minuti tutto il palazzo sarebbe stato mobilitato per cercarmi.

‘Devo uscire immediatamente di qui!’

Era troppo rischioso restare dentro all’edificio. Ricordavo vagamente che l’ingresso era a meridione, e che Uregh viveva nella parte ovest del palazzo, come accadeva in molti casi, del resto, per permettere al sovrano di usufruire del sole fino ai suoi ultimi raggi… per il resto, però, la disposizione delle sale nel palazzo mi era ignota, e rimanere lì per me sarebbe equivalso a camminare in un labirinto. Sapevo che i cortili erano costantemente percorsi dalle guardie, e che senza il Raywing le mie possibilità di oltrepassare le mura interne senza essere fermata erano pari pressoché a zero, ma non avevo altra scelta se non quella di tentare di nascondermi all’esterno. Forse, se avessi trovato un buon riparo, una volta calmatesi le acque avrei potuto elaborare un qualche piano di fuga…

Percorsi il corridoio fino alla prima delle strette finestre che si aprivano all’esterno, e balzai sul davanzale, guardandomi attorno per scorgere eventuali guardie, nella penombra del giardino. Quando fui certa di essere sola, saltai fuori, e schizzai verso la prima macchia d’alberi che fui in grado di individuare, per riflettere senza essere troppo esposta.

Mi guardai attorno, alla disperata ricerca di un suggerimento da parte dell’ambiente circostante.

‘Pensa, Lina, pensa!’

Da dove mi trovavo, si intravedevano le mura bianche del palazzo. Quando ero arrivata, avevo notato lo spessore considerevole di quella costruzione, e mi era venuta in mente una informazione che Zel aveva scovato quando ancora viaggiavamo per quelle terre insieme a Philia… in diversi regni a sud della barriera si usava scavare dei cunicoli all’interno delle mura stesse, in modo che i soldati potessero scagliare frecce attraverso feritoie, senza essere esposti al fuoco nemico… mi chiedevo se fosse il caso anche di Ulan Bator…

‘Forse nascondendomi lì…’

Mi resi immediatamente conto che non avrebbe funzionato. Se volevo trovare un luogo pieno di guardie, quello sarebbero state le mura. Sospirai.

‘Ma non posso restare qui.’

Scivolai attraverso la vegetazione, acquattandomi ogni volta che intravedevo delle guardie, ed aguzzando la vista in cerca di qualche traccia che potesse aiutarmi. Ad un certo punto, sentii risuonare il corno che chiamava i soldati all’adunata, e capii che da quel momento la mia fuga sarebbe stata dominio di tutti.

Pensate, riuscii persino a non imprecare.

Il fatto che le guardie fossero chiamate a raccolta mi lasciava un ultimo vantaggio, però. Se volevo trovare un nascondiglio, quello era un buon momento per farlo. Schizzai fuori dalla macchia di vegetazione in cui mi trovavo, e mi lanciai verso i cortili delle cucine, dove intravedevo i recinti degli animali. Speravo in un capanno degli attrezzi, una stalla, un qualche edificio in cui alle guardie non venisse in mente di cercarmi.

E fu allora che ebbi l’illuminazione.

‘Un canale fognario!’

Non era possibile che in quella città non ce ne fosse uno. Era grande, Ulan Bator, e avevo già appurato come per molti versi la tecnologia di quella parte di continente superasse la nostra… poteva mancare un espediente igienico del genere?

L’idea in sé era piuttosto disgustosa, ma se fossi riuscita ad imboccarlo sarei riuscita ad allontanarmi dal palazzo, e se fossi stata fortunata forse sarei sbucata addirittura fuori dalle mura della città… Scivolai contro il muro verso le cucine, sperando di potervi trovare vicino un’imboccatura del canale. E, credo per la prima volta da quando quella orribile avventura era cominciata, la fortuna volle premiarmi.

Un percorso lastricato correva dalle cucine attraverso il cortile, e ai lati due canali di scolo correvano verso le mura, dove si incontravano, confluivano in un unico canale, e, poco prima di raggiungere la solida costruzione, sparivano nel sottosuolo. Mi diressi verso quel punto, il cuore in gola per l’agitazione. Una lastra malmessa copriva l’imbocco del canale sotterraneo in cui gli scoli confluivano, ma non serviva rimuoverla per rendersi conto di quanto quel passaggio fosse angusto. Nemmeno così, priva di armatura, ero certa di passarci, e certo qualcuno di stazza anche lievemente superiore alla mia non ne sarebbe stato in grado…

Facendo leva con il pugnale,  rimossi la lastra. Visto senza, il canale appariva tanto stretto e buio da farmi quasi passare la voglia di attraversarlo. Ma non avevo nemmeno il tempo di avere dei dubbi…

Bastarono le voci che sentivo già risuonare alle mie spalle a convincermi.

 

‘E sia. Tre, due, uno…’

Mi calai all’interno. All’inizio cercai di reggermi alle pareti, ma l’acqua che calava dall’alto le rendeva scivolose, e mi fu impossibile mantenere la presa. Precipitai, credo, per diversi metri, la caduta rallentata solo dalle strette pareti, cui cercai di afferrarmi, procurandomi graffi ed escoriazioni. Quando atterrai, penosamente, schiena a terra, mi trovai a ringraziare il cielo di non essermi spezzata le gambe…

Mi rialzai, barcollando. Il condotto in cui ero precipitata era più largo del precedente, e mi permetteva di procedere in piedi… l’acqua che cadeva dal soffitto si accumulava al suolo, confluendo verso un canale più profondo, che scorreva a lato del condotto. Là dove mi trovavo, l’acqua mi arrivava alle caviglie, e atterrando la mia tunica si era completamente infradiciata, ma potevo proseguire abbastanza agevolmente…

‘Certo, se non ci fosse questo odore terribile…’

Mi coprii la bocca con una mano. Purtroppo, non avevo tempo per fare la schizzinosa.

Il tunnel si dipanava in due direzioni, una che correva verso il palazzo, l’altra all’esterno delle mura. Istintivamente, imboccai la seconda, la direzione in cui scorreva l’acqua, pregando che non vi fossero troppe diramazioni, e di non finire per perdermi nel sottosuolo… 

Avrei voluto avere la mia magia per fare un po’ di luce… il soffitto del cunicolo si apriva di tanto in tanto in sottili fessure, attraverso cui l’acqua filtrava verso il canale al mio fianco, ma per lo più il tunnel era avvolto nell’oscurità… camminavo tenendomi a ridosso della parete melmosa, ma talvolta il tunnel si stringeva, ed io mi trovavo assediata da ambo le parti dalla roccia umida, ed immersa nell’acqua putrida fino alla vita. Era ironico, a pensarci bene. Ero uscita da Sailune attraverso un cunicolo, e mi ero cacciata in quell’assurdo guaio, ed ora forse avrei trovato la salvezza per la stessa via… certo, però, ora la situazione era molto diversa… anche uscita da Ulan Bator, non avrei avuto la più pallida idea di come muovermi, e non avevo soldi per comprarmi cibo, una mappa, o un cavallo… i soldati di Uregh avrebbero continuato a cercarmi, questo era certo, ed io non avevo idea di quando sarei stata in grado nuovamente di utilizzare la magia… quando me ne ero andata da Sailune ero al pieno delle mie capacità e delle mie speranze, ero pronta ad affrontare qualsiasi cosa… ed ora non ero che un insetto disperato in fuga…

‘… e poi… prima non ero da sola…’

Il desiderio di sapere che ne era stato del mio compagno lottava con il timore, e la voglia di non venirne mai a conoscenza…

 

Dopo un lungo corridoio avvolto nell’oscurità, giunsi in vista dell’ennesimo cono di luce, proveniente da un’apertura sul soffitto… ma ciò che mi apparve a quel lucore non poté fare a meno di farmi imprecare.

Il cunicolo si divideva in due. Sulla destra, l’acqua scorreva in un tunnel più ampio, filtrata da una grata malmessa. Sulla sinistra, il cunicolo proseguiva deviando significativamente, e perdendosi nel sottosuolo, in direzione praticamente perpendicolare a quella che avevo percorso fino a quel momento…

Rimasi ferma, per un momento, studiando la situazione. ‘Ed ora…?’

Mi calai nell’acqua, con prudenza, e raggiunsi la grata. Facendovi forza, credevo che avrei potuto abbatterla piuttosto facilmente, viste le condizioni in cui si trovava, ma il problema era dove conduceva quel condotto… da dove mi trovavo, vedevo solo l’acqua scorrere, e perdersi nel buio…

Seguendola forse sarei giunta all’esterno, da qualche parte… forse l’altro cunicolo era un raccordo con altre parti del condotto, forse serviva a qualche scopo di cui io non ero a conoscenza… forse, forse… la realtà era che, qualsiasi direzione avessi preso, non avrei avuto in ogni caso la più pallida idea di dove stavo andando.

‘Al diavolo!’

Calciai la grata, che con uno schianto e poi un tonfo si abbatté nell’acqua.

I posteri non mi ricorderanno per la mia prudenza, d’accordo?

Avanzai, lentamente, nel buio più completo, sprofondando fin quasi al petto nell’acqua gelida. Trattenetti il respiro, rabbrividendo dalla testa ai piedi.

‘Le opzioni sono tre… o le guardie di Uregh mi raggiungono, o mi congelo, o esco di qui e diffondo una bella epidemia di colera…’

Presi ad avanzare, ancora tremante per il freddo, attenta a non scivolare sul fondo fangoso. “Dei, quanto pagherei per avere un incantesimo come il Raywing, ora…” Parlai ad alta voce, perché quel silenzio stava cominciando a farmi impazzire. “Che schifo, sento la melma sotto i piedi…” Per un momento mi balenò in mente l’idea che in quel luogo potessero esserci delle lumache giganti, ma la scacciai velocemente dalla mia mente. Pensarci era il modo migliore per bloccarmi lì e non muovere più un passo…

Nonostante i miei sforzi di allontanare il pensiero, la mia mente trovo comunque un GROSSO sollievo, quando iniziai ad intravedere una luce in lontananza…

‘Grazie, grazie, grazie dei… prometto che farò una grossa offerta al primo tempio di Ceipheid che incontrerò quando tornerò a casa…’

Accellerai involontariamente il passo. Mi pareva già di sentire l’aria fresca sul viso…

‘La luce in fondo al tunnel… e dire che mia madre diceva che non è mai un buon segnooooo…’

La oooooo finale è precisamente dovuta al fatto che in quel momento mi ero sentita – DI NUOVO- mancare la terra sotto i piedi.

Fortunatamente, per una volta i miei riflessi mi aiutarono. Chiusi la bocca in tempo per non inspirare l’acqua putrida, anche se non riuscii a mantenere il controllo dei miei movimenti e potei solo lasciarmi trascinare dalla corrente in aumento del canale. Scivolai nell’acqua torbida per diversi metri, finché non mi sentii precipitare. Cercai freneticamente di afferrarmi a qualcosa, ma senza risultato. Annaspando nell’acqua, caddi rovinosamente, gli occhi serrati, per affondare poi in altra acqua profonda, a velocità tale che l’impatto mi lasciò per un momento senza fiato.

Lottai per non svenire. Non potevo aver fatto tutta quella strada per affogare miseramente in qualche canale di Ulan Bator… Aprii gli occhi, e nuotai con tutte le forze verso l’alto, dove vedevo splendere la luce riflessa dall’acqua. Sbucai all’aria calda dell’esterno, ed inspirai ripetutamente, non del tutto convinta che i miei polmoni potessero ancora funzionare. Quando fui certa di non essere annegata, mi lanciai un’occhiata attorno. Ero ai piedi del pianoro su cui si ergeva il palazzo, nel fiume che scorreva placidamente al centro di Ulan Bator, e che la rendeva una zona abitabile, ultimo baluardo contro il deserto, che incombeva dall’interno.

‘Forse il fiume conduce al mare…’

Probabilmente, la capitale apriva la strada ad una zona meno arida, che conduceva alla costa… varie possibilità cominciarono a prendere forma nella mia mente… se fossi riuscita ad uscire dalla città, forse avrei potuto seguire il fiume… certo la prospettiva di raggiungere il mare e  magari trovare lavoro su qualche imbarcazione diretta al nord era più allettante che quella di perdersi nel deserto… o forse potevo rifugiarmi in una città vicina finché non avessi recuperato la magia, per poi cercare di fare qualcosa per fermare le truppe di Uregh…

O forse… dei, non lo sapevo, ma qualcosa avrei fatto.

 ‘Sono libera… sono libera!’ Quella idea mi raggiunse all’improvviso, insieme ad una scarica di adrenalina. Solo tre ore prima non lo avrei mai pensato possibile, ma ora ero lì, fuori dal palazzo, e potevo fare progetti su quali sarebbero state le mie mosse successive. Era stata solo una coincidenza fortuita, un capriccio del caso, ma… mi era stata data una possibilità!

‘Non posso rimanere qui…’ Era tardi, ormai, il sole era già quasi totalmente tramontato, e non si vedeva gente per le strade polverose di Ulan Bator. Però le guardie mi stavano ancora cercando, ed io non potevo permettermi di correre rischi.

Non so bene con quale forza, ma nuotai fino alla riva del fiume, e mi sollevai con le braccia fuori dall’acqua. Rabbrividii, nonostante il caldo della giornata saturasse ancora l’aria ventosa della sera. La mia tunica era in condizioni indicibili, fradicia e ridotta a brandelli in varie sue parti, e avevo perso uno dei sandali che mi erano stati dati dalle ancelle di Uregh, probabilmente nella caduta.

‘Non che lo stile delle vesti mi esaltasse così tanto…’

Mi strinsi nella spalle, e mi tolsi anche l’altro sandalo. Avrei pensato a qualcosa, anche per i vestiti. Magari ne avrei rubati a qualcuno, appena fossi stata di nuovo in grado di combattere.

Immaginai l’espressione che avrebbe fatto la mia amica Amelia, se avesse saputo di intenzioni simili. ‘Ogni tanto il fine giustifica i mezzi…’ Sorrisi di un sorriso amaro. Non solo Gourry… Amelia, Zel… che ne era stato di loro, in tutto quel tempo…?

Scossi la testa. In quel momento non potevo preoccuparmi per loro, in quel momento dovevo pensare a me stessa. Se fossi rimasta nei guai non sarei stata ai miei amici di alcuna utilità.

Schizzai verso le abitazioni, in cerca di un rifugio dove riflettere sul da farsi. In quel momento mi sarei volentieri trovata un posto per riposare per qualche ora, ma mi rendevo conto che era meglio che sfruttassi l’oscurità, finché mi era possibile. Le guardie sulle mura di accesso ad Ulan Bator dovevano già essere state avvisate della mia fuga, il che significava che non mi sarebbe stato facile lasciare la città, e che in nessun punto al suo interno ero realmente al sicuro.

Raggiunsi il limitare delle case, e mi mossi con circospezione. Le strade erano praticamente deserte, fatto salvo qualche mercante frettoloso che tornava a casa col suo carro. Dalle finestre, luci di candele e lanterne si proiettavano sulle strade, e nell’aria si spandeva già un delizioso aroma di cibo. Il mio stomaco gorgogliò, ma feci del mio meglio per non fare caso alla cosa…

‘Avrei bisogno di un mantello…’ Rabbrividii, stringendomi le braccia attorno al corpo. I vestiti bagnati cominciavano a farsi sentire… in più, così non passavo precisamente inosservata…

Mi guardai intorno, in cerca di una soluzione, e mi volsi appena in tempo, perché rischiai di scontrarmi con un gruppo di guardie di pattuglia, che stavano girando l’angolo.

Soffocai un gemito di stupore, e mi ritrassi nell’ombra di un vicolo. I soldati, fortunatamente, passarono senza notarmi.

‘Mi stanno cercando.’ Intuii, immediatamente.

Le guardie si muovevano con circospezione maggiore rispetto a quella che sarebbe stata richiesta da una normale ronda serale, e continuavano a guardarsi attorno. Evidentemente, Uregh quanto meno sospettava che fossi riuscita ad allontanarmi dal palazzo.

‘D’accordo. D’accordo, mi stanno cercando, ma ciò non significa che io non riesca a sfuggire loro sotto al naso. Sta’ calma, Lina. Calma.’

Improvvisamente, non era più solo il fresco della sera, a farmi tremare. Non volevo tornare in quella cella. Soprattutto, non dopo quello che avevo fatto. Dovevo andarmene di lì. Andarmene.

Partii, in direzione opposta alle guardie ed al palazzo, verso l’ingresso della città. Improvvisamente, non avevo più voglia di fermarmi a studiare un piano. Avrei improvvisato una volta giunta alle mura. Corsi a più non posso. Corsi nell’ombra, fermandomi a controllare ad ogni svolta, ad ogni angolo. Incrociai diverse pattuglie, ma fortunatamente nel buio delle strade nessuna riuscì a vedermi.

‘Ma gli ingressi saranno sbarrati dai controlli, ed io non posso volare…’

Giunsi presto in vista del portale principale, e i miei sospetti furono confermati. Quattro guardie stazionavano al suolo, e ce n’erano altre sulle mura. Anche camuffandomi e muovendomi in mezzo alla gente avrei faticato a passare, figuriamoci da sola, di notte, e conciata a quel modo.

‘Forse dovrei aspettare domani, e cercare di nascondermi nel carro di qualcuno. O forse dovrei addirittura attendere che la mia magia ritorni, e divertirmi a fare saltare un po’ di teste, qui, per andarmene  via…’

La seconda idea era la più allettante, certo… ma dove potevo rifugiarmi, in città, per tutto quel tempo?

 

Ero talmente persa nei miei pensieri, che non me ne accorsi immediatamente. Fu solo quando alzai lo sguardo verso le guardie, nuovamente, in cerca di una qualche ispirazione, che lo vidi. Ed il fiato mi si bloccò letteralmente in gola.

Era di spalle, ma lo avrei riconosciuto fra mille persone… i suoi capelli, il suo modo di camminare… li conoscevo meglio di quanto non conoscessi il mio stesso aspetto…

Non credevo ai miei occhi… no… dopo tutto quel tempo, a tutti quei chilometri di distanza da Sailune, non poteva essere davvero…

“Gou…”

Dovetti azzittirmi da sola, ponendomi una mano sulle labbra. Ma che mi saltava in mente??? Gourry, se davvero si trattava di lui e non di un parto malato della mia mente, era a pochi metri dalle guardie, se avessi attirato la sua attenzione avrei risvegliato anche la loro! Non potevo farmi scoprire, non avevo mezzi per combattere le guardie al portale, e c’erano gli arcieri, sulle mura, saremmo stati immediatamente sotto tiro… e non potevo mettere anche lui nei guai, non di nuovo!

Mi ritirai nell’ombra, di scatto, mordendomi le labbra. Si era voltato, lo sapevo, lo sentivo. Ma così non poteva vedermi, ed io non potevo rendermi visibile, perché sapevo che ora anche la guardia scrutava nell’ombra, nella mia direzione. Ma DOVEVO farmi vedere, perché Gourry stava indirizzandosi verso il portale, se ne stava andando, se ne stava andando. Se ne stava andando!

‘Gourry, vieni da questa parte… attiva quel tuo dannato sesto senso e vieni da questa parte, coraggio, anche se non sai che sono qui, anche se non ne hai motivo…’ Improvvisamente, mi sarei abbandonata ad un molto poco maturo pianto. Non ne potevo più. Non ne potevo più di tutta quella situazione.

“Ehi, mercenario. E tu che diavolo ci fai in giro, a quest’ora della sera?” Risuonò all’improvviso una voce di guardia, dietro di me. “Dico a te, guarda che ho visto che sei feccia straniera! Spero che tu non stia cercando guai!”

Non udii la voce di Gourry, in risposta, solo un lieve vociare indistinto. Evidentemente, lo spadaccino aveva risposto all’ordine della guardia in un normale tono di voce…

Mi arrischiai a sporgere la testa oltre il muro dietro il quale mi stavo nascondendo. Non si vedeva più nessuno, né lo spadaccino né le guardie. Dovevano avere oltrepassato l’arco del portale.

Avevo mente e cuore in fibrillazione. Dovevo fare qualcosa.

Forse, se fossi scattata fuori ora, le guardie non mi avrebbero notata. Gourry li stava distraendo, forse avrei potuto avvicinarmi di soppiatto, e insieme noi…

“Vai da qualche parte, Lina Inverse?”

Sussultai. La voce era risuonata direttamente alle mie spalle.

Non feci in tempo a gridare, non feci in tempo nemmeno a volgermi completamente. Una mano mi afferrò il collo e mi sbatté contro il muro sul quale mi ero appiattita.

“Credo che qui per me ci scapperà una promozione… Il nostro signore era davvero angosciato, per te, sai?” Mi trovai davanti il volto sgradevole di una delle guardie.

L’uomo mi rivolse un sorriso beffardo, e scambiò una battuta nella sua lingua con i suoi commilitoni. Si levò un coro di risate.

Io avevo voglia di tutt’altro che di ridere.

Mi divincolai, cercai di urlare, ma la sua mano mi stringeva ancora il collo in una morsa. Il soldato mi fissò ancora per un lungo istante, quindi rivolse un ordine ad un suo compagno, che annuì, e scattò verso le mura. Quando si volse nuovamente, non c’era più traccia di scherzo, sul suo volto.

“Questo è da parte del mio compagno che hai steso alle prigioni, Inverse.” Non ebbi tempo di reagire. Il suo pugno mi si piantò nello stomaco. La vista mi si annebbiò, e mi mancò immediatamente il fiato. “E questo è da parte del mio Signore.” Un altro pugno, nello stesso punto del precedente. Il grido che normalmente avrei emesso mi si strozzò in gola. “Ed ora è proprio con lui che dovrai vedertela. E ti assicuro che è molto, molto, arrabbiato…”

Mi sollevò di peso, e mi trascinò sgarbatamente verso il palazzo. Potei solo osservare le mura che si allontanavano, la vista offuscata dalle lacrime involontarie che mi erano salite agli occhi.

Non potevo crederci. Un’ora prima stavo esultando per una ritrovata libertà in cui non avrei mai sperato, e ora…

‘Gourry…’

Avrei voluto gridarlo, quel nome, ma faticavo persino a pensarlo… chissà… se era stato davvero un parto della mia immaginazione… chissà se stavo impazzendo definitivamente… avrei voluto pensare diversamente, ma che significato aveva la sua presenza in quel luogo, dopo tutto quel tempo? Volevo sperare, e allo stesso tempo non lo desideravo più… perché avevo imparato bene, ormai, come il necessario complemento della gioia dell’illusione sia la sua successiva delusione… 

 

Sospirai, alla vista del palazzo. Vi giungemmo troppo presto, crudelmente presto, se pensavo a quanto mi era parso lungo il percorso per uscirne. Superai i portali, sotto gli occhi accigliati e minacciosi dei soldati che incrociavamo. Ma fu quando giungemmo all’ingresso della sala delle udienze che mi resi conto davvero del guaio in cui mi ero cacciata. Perché sulla porta c’era una guardia ad aspettarmi, una guardia che conoscevo bene. Il suo collo era ancora livido, ma sembrava attento e sano; la cinghia dei pantaloni era al suo posto, ora. Ma nelle mani reggeva una frusta.

Avrei voluto che l’illusione durasse solo un po’ più a lungo.

 

 

***

 

 

Era già tardo pomeriggio, quando giunse in vista delle mura di Ulan Bator. Il tragitto era stato breve, grazie alle indicazioni di Danielle. In soli due giorni, era riuscito a raggiungere la capitale. Del resto, Gourry non si era praticamente mai fermato. Era strano, ma non avvertiva né la stanchezza, né la fame. Riusciva a pensare solo al compito che doveva portare a termine in quel momento.

 

Gli fece uno strano effetto, avanzare verso i portali imponenti della città. Lì c’era Lina. In quel momento fra di loro intercorreva solo lo spazio di poche mura…

Le guardie lo squadrarono con sospetto, quando oltrepassò i portali, ma nessuno lo fermò. La sua pelle chiara e i suoi capelli biondi inevitabilmente spiccavano, rispetto ai colori più scuri della maggioranza delle popolazione locale, ma nonostante il pomeriggio fosse inoltrato c’era ancora un notevole movimento all’interno delle strade polverose della città, e Gourry aveva scorto anche alcuni altri volti evidentemente stranieri, fra quelli che si muovevano nel traffico all’interno delle mura… probabilmente si trattava di persone provenienti da quella parte di continente, ma la loro presenza era più che sufficiente per mascherare la sua… 

Gourry abbandonò il suo cavallo, legandolo ad un albero, in una piccola macchia di vegetazione a fianco delle mura. Non era certo che lo avrebbe ritrovato al suo ritorno, ma aveva bisogno di muoversi liberamente, e l’animale gli sarebbe stato solo d’impiccio. Avanzò per un po’ fra le strade, senza una precisa meta, per farsi un’idea della situazione… in realtà, era giunto in città senza sapere esattamente come raggiungere Lina… Gourry non si tirava indietro nemmeno di fronte al pensiero di aprirsi la strada a colpi di spada, in tutta franchezza. Ma non avrebbe agito avventatamente, semplicemente perché non aveva la minima intenzione di sprecare la possibilità che aveva di ritrovare la maga. Doveva fare in modo di avvicinarsi il più possibile al luogo in cui era tenuta reclusa.

‘Vorrei sapere qual è, però. Il palazzo sarà enorme…’

Lo occhieggiò, da lontano, sull’altura da cui incombeva sulla capitale. Normalmente sarebbe stato logico pensare che fosse reclusa nelle prigioni… d’altra parte, probabilmente aveva dei suoi appartamenti nel palazzo, se davvero avevano fatto di lei una… cortigiana…

Gourry strinse i pugni, ricordando le parole dense di cattivi presagi con cui Ainos l’aveva congedato. Scosse la testa, e respinse quel pensiero. No, Lina non si era arresa, non era da lei. Aveva dato del filo da torcere ai suoi catturatori, ne era certo.

‘Scommetto che si staranno già pentendo di averla scelta come prigioniera…’ Un sorriso gli affiorò sulle labbra, mentre si figurava Lina ed il suo consueto atteggiamento verso chi cercava di tenerla a freno. Quel sorriso si spense presto, però. Gli bastò un altro sguardo al profilo minaccioso della fortezza, perché la preoccupazione tornasse ad attanagliarlo.

‘Devo raggiungere il palazzo, e raccogliere delle informazioni.’

Gourry aveva adocchiato anche dei soldati di Oberon muoversi nella città… forse parte del gruppo di militari che aveva condotto lì Lina… se questo da un lato era confortante, perché gli confermava che le informazioni di Ainos erano corrette, d’altra parte di primo acchito lo aveva posto in allarme. Temeva che qualcuno lo riconoscesse, e che mettesse in allarme gli altri soldati, facendo sì che portassero via Lina. Gourry non riusciva a concepire l’idea di doversene andare da quel posto senza di lei. Fino a quel momento solo il pensiero che l’avrebbe ritrovata lì lo aveva fatto andare avanti…

 

Tuttavia, fino ad allora nessuna delle guardie aveva fatto veramente caso a lui, sebbene fosse capitato che qualcuna di esse lo vedesse chiaramente in volto. Evidentemente, non lo conoscevano, o non collegavano il suo viso alla descrizione che era stata data loro, o all’immagine che avevano di lui dai tempi dell’Assedio a Sailune… e, in effetti, per certi versi era comprensibile… lo avevano visto solo da lontano, e inoltre ora il suo volto era più magro, e solcato da qualche nuova cicatrice… senza contare che da qualche giorno non si radeva, e una barba ispida gli tormentava le guance…

 

Gourry si grattò il mento, infastidito da quella peluria cui solitamente non permetteva di crescere. Cercò di riflettere, occhieggiando un gruppo di guardie di Oberon, che approfittavano del relativo fresco del tardo pomeriggio per giocare ad una febbrile partita a dadi, sotto ad una macchia di vegetazione appena al di fuori delle mura. Gourry non era molto abituato ad elaborare strategie, almeno non in situazioni simili. Di solito era Lina a pensare a quel genere di cose. Cercò di immaginare che cosa avrebbe fatto la maga se si fosse trovata al suo posto…

‘D’accordo. Proviamo con un po’ di psicologia…’

Se c’era una cosa che Gourry aveva imparato nel periodo in cui aveva fatto parte di un esercito, era che non c’è modo migliore di estorcere informazioni ad un soldato che comportarsi secondo il più farsesco stereotipo maschile, e trattarlo come il proprio migliore amico, anche la prima volta che lo si incontra. Possibilmente, aggiungendo molto alcol nel corso del processo.

“Ehi, voi…” Gourry si avvicinò al gruppo di soldati, con aria di ostentata indifferenza. “Vi disturba un altro giocatore?”

Si sedette su una roccia vicino al gruppo, non attendendo la loro risposta.

I soldati lo fissarono per un istante, probabilmente stupiti che qualcuno esterno alla corte si rivolgesse loro in lingua comune.

“E tu chi saresti?” Fece uno di loro… “Non sei di queste parti…”

Gourry si strinse nelle spalle. “Sono un mercenario a caccia di ingaggi.” Afferrò i dadi, e decise di aprire la mano successiva. “Ero sulla costa, ma ho sentito che un generale straniero era giunto alla capitale, e mi sono chiesto se il suo arrivo non riguardasse la fantomatica guerra di cui tutti parlano… perché sarebbe proprio il tipo di impiego adatto ad uno come me…” Scagliò i dadi, e solo allora gli venne in mente un piccolo particolare… non aveva soldi per giocare…

Fu certo di avere sentito la mano di un dio passargli accanto, e muovere deliberatamente i dadi, quando una coppia di uno si materializzò miracolosamente di fronte al suo sguardo per un momento terrorizzato.

I soldati eruppero in imprecazioni. A Gourry parve di essere morto e resuscitato nel giro di due secondi. ‘Se finissi in cella per aver scatenato una rissa con le guardie di Oberon perché non ero in grado di saldare una scommessa, credo che Lina non si limiterebbe a chiamarmi ‘cervello di medusa’…’

“Sei dannatamente fortunato, mercenario!” Sbottò una delle guardie, lanciandogli, al pari degli altri, la moneta d’oro in posta. “Se hai questa fortuna sfacciata anche in battaglia, potresti davvero esserci utile!”

Gourry afferrò le monete, con mano ancora esitante. Ne lasciò una suolo. “Con questa mi ci pago un sorso di quello…” Fece un cenno con la testa verso la bottiglia che i soldati si stavano passando di mano in mano… una battuta che probabilmente suonava molto virile, e dunque funzionale allo scopo, ma che in quel momento era uscita del tutto spontanea. Qualunque cosa ci fosse in quella bottiglia, Gourry ne aveva bisogno.

Il soldato rise e gli batté una pacca sulla spalla. “Ci sappiamo godere la  vita, eh?” Gli porse la bottiglia, e contemporaneamente la moneta svanì nelle sua tasche, a velocità da record.

Gourry la afferrò, e annusò brevemente. Sembrava un qualche tipo di distillato…

“Ad ogni modo, caschi male, mercenario. Ora come ora non possiamo arruolare proprio nessuno.”

Gourry batté le palpebre. “Ah… davvero?” Si portò la bottiglia alla bocca, e per poco non si trovò a sputarne il contenuto. Quella roba era fortissima!

Fortunatamente, il soldato non ci fece caso. Gliela prese di mano, e ne bevve un lungo sorso. Quindi, si strinse nelle spalle. “Il nostro generale non si trova più qui. E fino a che non torna, non ci è permesso arruolare nuovi uomini.”

Gourry si accigliò. L’uomo che aveva portato lì Lina… se n’era andato? Ma la maga era rimasta ad Ulan Bator… giusto? “E perché… è andato via…?” Chiese, il cuore in gola.

Il soldato lo squadrò. “Uhm… ma tu quanto sai di questa guerra, mercenario?”

“M… molto poco, in realtà…” Si affrettò a rispondere Gourry. “So solo che c’è stato un assedio in uno dei regni a nord della barriera…”

Il soldato annuì. “E’ esattamente da lì che veniamo. Il mio superiore ha portato qui degli oggetti di trattativa, un ostaggio e degli schiavi, insomma… per assicurarsi l’alleanza di questo paese. Presto da qui partiranno le truppe di Uregh, e noi le guideremo. Ma il nostro generale era necessario al fronte, perciò è ripartito con gran parte dei nostri uomini. Oggi sono giunti i rinforzi che il mio signore ci aveva inviato, del resto, quindi anche noi saremo presto di partenza…”

Gourry annuì, lentamente, cercando di non lasciar trapelare la propria impazienza. Quelle informazioni non gli interessavano, non in quel momento. Era un’altra cosa quella che voleva sapere… “Dunque… dovrei aspettare qui finché la battaglia non sarà finita, e il generale tornerà… una bella fregatura…”

“Direi…” Commentò una delle guardie, ricevendo a sua volta la bottiglia. “A quel punto non ci sarà granché da guadagnare.” Ridacchiò.

“Bé, puoi sempre partire per le terre al di là della barriera.” Commentò il soldato di prima, aprendo una nuova mano di dadi. “Un uomo solo viaggia più velocemente di un esercito in marcia, se ci precedi là ti troverai nel cuore della battaglia.”

Gourry lanciò il suo turno di dadi.

Diamine. Aveva perso.

Appoggiò una delle monete che aveva guadagnato al suolo, riluttante.

“Mmm…” Borbottò, facendo un breve calcolo delle monete che aveva in tasca, e di quante mani ancora poteva permettersi di perdere… “Bah… sì, potrei fare così…” Agguantò di nuovo la bottiglia, che gli veniva porta, ma stavolta finse solo di bere. “Ma avete detto che c’è anche un ostaggio, qui…? E che senso ha portarlo così lontano dalla battaglia?” Provò ad essere diretto, sperando di non risultare troppo sospettoso…

Il soldato che aveva vinto la mano era fortunatamente propenso alle chiacchiere. “Quella? E’ solo una mocciosa. Più che come ostaggio serviva come trastullo da letto per Uregh…” Scoppiò in una risata volgare. Gourry gli avrebbe volentieri torto il collo a mani nude. “Il nostro generale aveva capito che sarebbe stato un dono gradito al reggente…” Proseguì il soldato incurante. “… ma mi sa che Uregh gliela restituirà bella e impacchettata, quando tornerà qui. Quella porta più problemi, che piaceri. Per quanto ne so, ora si trova nelle carceri perché si è rifiutata di concedere le sue ‘grazie’ al reggente.” Scoppiò in un’altra risata. “Mi pare di vederlo, quell’enorme ammasso di lardo che si fa abbindolare da una mocciosa!”

La mente di Gourry entrò immediatamente in fibrillazione. Nelle carceri. Nelle carceri!

“Devo andare!” Gourry scattò in piedi tanto repentinamente che i soldati ai suoi due lati fecero un balzo indietro. Li fissò per un momento, praticamente senza vederli. “Grazie della partita.” Scattò via, senza dar loro tempo di replicare. Prima di girare l’angolo, notò che i soldati lo fissavano allontanarsi, con l’aria di ritenerlo completamente pazzo.

‘Oh, al diavolo.’ Gourry si strinse nelle spalle. Con uno scatto che non concedeva nemmeno ai suoi migliori affondi, superò l’arco che lo avrebbe nascosto alla vista dei soldati, e prese a perlustrare febbrilmente le strade che attorniavano l’accesso al palazzo, in cerca di una via di accesso. Ma gli bastarono pochi minuti perché il suo senso di attesa si trasformasse in frustrazione. Tutte le vie di accesso erano, com’era prevedibile, totalmente bloccate dalle guardie.

Si fermò ad osservare i portali del palazzo, cercando con scarso successo di riflettere. Accarezzò l’elsa della spada, decisamente tentato a servirsene immediatamente, per risolvere il problema… Ma si rendeva conto che era avventato… sarebbe già stato costretto a combattere per portarla fuori di lì, ed era più che probabile che Lina in quel momento non fosse in grado di difendersi da sola… doveva risparmiare le sue forze…

‘Devo avere pazienza. Pazienza. Siamo stati lontani per tanto tempo, qualche ora in più non cambierà le cose…’

Ma come faceva ad arrivare alla prigione, senza farsi strada con la forza…?

Gourry si allontanò dai portali, in cerca di una qualche ispirazione da cogliere nelle strade della capitale. Rifletté per quasi un’ora, vagando senza meta per le vie lastricate, che si stavano svuotando progressivamente delle bancarelle che le avevano affollate nel corso del caldo pomeriggio. Era già quasi notte, quando si rese conto che era tornato ai portali di accesso alla città. Il sole non era che una sottile striscia di luce, che scivolava lungo le dune all’orizzonte, calando un manto di tenebra sui tetti bianchi della capitale. Il vento fresco della sera impregnava l’aria, e minuscole particelle di sabbia sferzavano il viso di Gourry, facendogli bruciare gli occhi. Nonostante questo, i soldati di guardia stavano ritti nelle loro posizioni, attenti, scrutando nell’oscurità delle strade ormai deserte… Gourry li fissò a lungo, dalla sua posizione all’ombra di una delle lanterne che illuminavano la strada. Stava perdendo tempo. Stava perdendo tempo, e questa era l’ultima cosa che desiderava. Ogni minuto in cui lui stava lì a riflettere sul da farsi, era un minuto in più di prigionia per Lina.

 

Fissò le guardie, ancora una volta. E fu allora che si rese conto che aveva la soluzione più semplice del mondo a portata di mano…

Gourry portò di nuovo mano alla spada.

Quale modo migliore di arrivare ad un carcere, che infrangere la legge?

 

Avanzò verso la luce delle lanterne, avvicinandosi ai portali. Doveva solo compiere un atto di intimidazione, qualcosa che potesse apparire una spavalderia da ubriaco, nulla di più. Le guardie dovevano sbatterlo in cella, senza cercare di ucciderlo. In quanto alla sua spada… Bé, dubitava che sarebbero riusciti facilmente a portargliela via…

Strinse ulteriormente le dita attorno all’elsa, e si fece avanti, pensando a come avvicinare le guardie. Fu quando ormai si trovava a pochi passi dal portale che udì quel grido soffocato…

Volse la testa, perplesso. Non era certo di averlo sentito veramente, forse si trattava semplicemente del vento, ma… gli sembrava la voce di qualcuno, proveniente da un vicolo alle sue spalle… e non sapeva perché, ma quella voce aveva qualcosa di familiare…

‘Non essere stupido, Gourry, non si vede nessuno in quel vicolo, e tu non puoi perdere altro tempo in cose del genere…’

Nonostante questo… nonostante questo per qualche motivo era così tentato dall’idea di andare a vedere… 

 

“Ehi, mercenario. E tu che diavolo ci fai in giro, a quest’ora della sera?”

Gourry sussultò, e si volse. Diamine. La guardia lo aveva visto.

“Dico a te, guarda che ho visto che sei feccia straniera! Spero che tu non stia cercando guai!”

Gourry lanciò un’ultima occhiata al vicolo, ma in un attimo si decise a lasciar perdere. Non che avesse grandi alternative, del resto…

Si fece avanti, con calma, esibendo il suo migliore atteggiamento strafottente. Gourry non era un grande attore, ma Lina gli aveva dato qualche lezione, in proposito, nei loro anni di convivenza…

“E tu…? E tu cerchi guai, guardia?” Avanzò sotto l’arco del portale, fissandolo con un’espressione che avrebbe spinto lui stesso a prendersi a pugni, se si fosse visto in uno specchio… “Lo sai che cosa faccio di solito a chi mi parla con quel tono?”   

Il soldato lo fissò stupito, come se non si fosse aspettato quel genere di risposta. Quindi scambiò un’occhiata divertita con i suoi compagni. “Oh, oh, o qui abbiamo un completo idiota, o qualcuno che ha bevuto un bicchiere di troppo…”

Gourry colse la palla al balzo. “Ti stai prendendo gioco di me, per caso???” Estrasse la spada, con un movimento estremamente coreografico. Avanzò, fingendo un’andatura barcollante, e senza prendersi la briga di assumere alcuna posizione di guardia. La guardia non poteva non notarlo. E certo il suo aspetto trascurato non faceva che contribuire all’impressione che fosse solo un povero sbandato… 

Il soldato, infatti, scoppiò a ridere, per nulla intimorito. “Perché, se mi prendessi gioco di te che faresti?”

“Ti taglierei la tua lingua inutile, ecco cosa farei!!!” Gourry gridò, e caricò.

La guardia, com’era prevedibile lo bloccò e lo disarmò con tutta facilità. Gourry cadde al suolo, con enfasi tale che difficilmente, venendo abbattuto sul serio, avrebbe potuto fare di meglio. La sua spada volò lontano, oltre l’arco del portale.

Il soldato immediatamente troneggiò su di lui. “Questa sera abbiamo ben altri problemi da risolvere, che stranieri ubriachi. Una notte in cella ti rinfrescherà le idee, mercenario…” Gourry notò con la coda dell’occhio un altro soldato giungere dalla città. Si fermò per un momento a parlare con le altre guardie, in una lingua dai suoni strani. Il soldato che lo sovrastava annuì, fece un cenno con la testa in sua direzione, e disse qualcosa, con un mezzo sorriso sulle labbra. L’altro soldato annuì a sua volta, e schizzò via, lungo le mura, verso una delle torrette da cui i soldati vegliavano sul deserto circostante.

“Rettifico. Problema risolto. Ma questo non cambia la situazione in cui ti trovi. Feccia straniera.” Gli sferrò un calcio nello stomaco, a cui Gourry si piegò semplicemente senza reagire. Non era niente a confronto dei colpi che aveva ricevuto quando era sotto le mani di Ainos, e il soldato dovette semplicemente pensare che era troppo ubriaco persino per avvertire il dolore…

“Ed ora muoviti, non ho intenzione di trasportarti fino a palazzo.” Una spada venne puntata alla sua gola, e Gourry si rialzò, barcollando.

Un altro soldato si fece avanti, domandando qualcosa al suo superiore, ed indicando con un cenno del capo la spada di Gourry, ancora al suolo. Colui che aveva abbattuto Gourry rispose con un ordine secco.

“E’ meglio che non tocchiate la spada…” Avvertì Gourry, in tono cupo.

Il soldato scoppiò a ridere. “Perché, che hai intenzione di fare in proposito?”

Gourry non ebbe il tempo di rispondere. L’urlo della guardia che aveva raccolto la spada risuonò, e parve frantumare la notte. I soldati immediatamente corsero a soccorrere il loro compagno, riverso al suolo, la testa fra le mani. L’arma era stata nuovamente scagliata lontano.

“Appunto…” Mormorò Gourry, con un lieve sospiro…

Il soldato che lo sorvegliava tornò a guardarlo, e gli premette la punta della spada contro la carne. “Che diavolo gli è successo???” Gridò, fissandolo con occhi iniettati d’ira.

“Quella spada è fatta per me.” Spiegò Gourry, con calma. “Si tratta di magia.”

Il soldato lo fissò dritto negli occhi, suo sguardo ora sospettoso. “Cos’è, una delle diavolerie del nord?” Fissò l’arma, evidentemente a disagio. “Ad ogni modo, al nostro signore potrebbe interessare.” Rifletté, in tono più calmo. “D’accordo, raccoglila, e mettila nel tuo fodero. La porterai tu, e quando saremo a palazzo spiegherai al nostro Gran Sacerdote di che si tratta. Ma tieni le mani alte e non tentare scherzi, o ti squarcio quella tua gola da feccia straniera, mi sono spiegato???” Gourry annuì, docile, e non fece commenti all’insulto del soldato. Evidentemente, la sua recita dello sbandato inoffensivo reggeva ancora. Raccolse l’arma, e se la affibbiò alla vita, come faceva da quando ne era in possesso…

“Ed ora muoviti!” Il soldato lo spinse malamente avanti, verso il castello. “Ne ho già abbastanza di te!”

Percorsero il tragitto in silenzio, accompagnati solo da un’altra delle guardie che si trovavano ai portali. Quando giunsero in vista delle mura, l’animo di Gourry era totalmente in preda all’agitazione. Lina. Stava per rivedere Lina.

‘Dei, fate che stia bene. Che sia riuscita a proteggere se stessa…’

“Di qua…” Entrati nelle mura, la guardia lo spinse malamente fuori dal selciato che conduceva all’ingresso principale del palazzo, e lo condusse verso un’entrata secondaria. “Alla feccia non è permesso percorrere gli stessi corridoi del mio signore…”

Entrarono in una zona del palazzo assai spoglia, forse una zona di servizio, in cui si muovevano i domestici. Si mossero per dedali interminabili, attraversarono un cortile, e giunsero infine ad un lungo corridoio, che terminava con una scala, che sprofondava nel sottosuolo. Gourry venne spinto verso di essa, e la imboccò, con il cuore in gola.

‘Dei gradini. Solo pochi gradini.’

In fondo alla scala si apriva un piccolo atrio, completamente spoglio, fatti salvo un tavolo e due sedie. Sulla sinistra si schiudeva una stanza, probabilmente adibita alle guardie carcerarie. Stranamente, in quel momento era vuota.

Il soldato fece un cenno con la testa verso la piccola sala, e ordinò qualcosa, per Gourry incomprensibile, al proprio compagno. Il soldato annuì, entrò nella sala, e ne uscì con un mazzo di chiavi fra le dita.

“Pare che dovremo pensare noi a sistemarti, feccia.” Lo spinse avanti, verso l’ingresso alla zona delle celle. “Poggia la spada su quel tavolo, ora. Poi manderò il Gran Sacerdote a scambiare due paroline con te…”

 

D’accordo. Era giunto il momento di mettere fine alla sua piccola recita…

 

Il soldato non fece nemmeno in tempo ad accorgersene. Gourry sfilò la spada dal fodero, in un lampo, e invece di appoggiarla al tavolo si volse, e trafisse la guardia con tutta la violenza di cui era capace. L’altro soldato fissò il suo compagno scivolare al suolo senza nemmeno emettere un rantolo, inorridito e sorpreso. Quindi guardò Gourry negli occhi. Per un lungo momento rimasero a guardarsi, in silenzio, senza muovere nemmeno un muscolo… Quindi la guardia indietreggiò… e se la diede a gambe.

“E… ehi!” Gourry scattò in avanti, ma il soldato era già schizzato via lungo la scala a chiocciola, e sparito alla sua vista.

‘Dannazione!’

Sicuramente era corso a dare l’allarme. Gourry considerò per un momento l’ipotesi di inseguirlo, ma alla fine i suoi desideri vinsero sulla strategia. Lo spadaccino si allontanò dalle scale, e corse verso le celle, nuovamente col cuore in gola. Non poteva più aspettare. Era certo che una volta ritrovata Lina sarebbero usciti da lì, grazie alla sua spada, o in qualsiasi altro modo, ma ora ciò di cui aveva bisogno era tirarla fuori da quella cella, e vedere che stava bene. Abbracciarla, e dirle che non avrebbe mai più permesso che accadesse una cosa del genere.

Le celle si aprivano su un unico, lungo corridoio. Gourry lo attraversò di corsa, voltandosi febbrilmente a scrutare le celle su entrambi i lati, e chiamando Lina a gran voce.

Quando non udì risposta, iniziò a temere che ci fosse qualcosa che non andava…

‘Forse sta dormendo. Forse è priva di sensi. E’ così. Deve essere così.’

Ma ad ogni cella in cui non la vedeva, la sua paura e la sua delusione aumentavano… e quando arrivò in fondo al corridoio, questi sentimenti erano ormai mutati in disperazione…

‘No. No, no, no, non può non essere qui!’

 

Si volse e si guardò attorno, spaesato, stranito, senza la più pallida idea di ciò avrebbe fatto. Non poteva crederci. Non poteva credere che dopo tutta quella strada qualcosa fosse andato di nuovo storto. Si diresse verso l’ingresso, incredulo, arrabbiato, deciso a ripercorrere le celle una per una e trovarla, ovunque fosse nascosta nell’ombra.

Fu allora che i soldati fecero irruzione nella prigione.

“Fermo lì, mercenario! Che credevi di fare???” Gridò la guardia che li guidava, rallentando la sua andatura, ed estraendo la spada. “Avanti, posa quell’arma! Posala, e non verrai ucciso!”

Gourry li fissò, come se non li vedesse. La situazione cominciava ad avere, per lui, contorni irreali. La sua percezione era come ovattata…

“Dov’è…?” Ringhiò, semplicemente, in risposta alle parole del soldato…

La guardia evidentemente non capì. “Di che diavolo stai parlando?” Avanzò di un altro passo, puntando la spada verso di lui. “Ti ho detto, posa quell’arma!”

Gourry non sentì nemmeno quello che aveva detto. Scattò in avanti, la spada alzata, lo sguardo ossessionato. “Ti ho detto di dirmi dov’è Lina!!!” La sua spada cozzò contro quella del soldato, che indietreggiò, di riflesso, stupito da quella forza. “Dimmelo! Dove l’avete portata???”

La guardia forse non capì, forse fu impaurita dallo sguardo di quello spadaccino, in cui leggeva una strana nota di lucida follia. Ma certamente non ebbe il tempo di rispondere. Perché mentre Gourry pronunciava quelle parole, l’arma dello spadaccino andava a piantarsi nella sua gola…

Gli altri soldati gli furono immediatamente addosso. Gourry quasi non se ne accorse. Continuò a respingere i colpi meccanicamente, lucidamente, senza più pronunciare una parola. La sua gola era secca per il troppo gridare.

Quando altri quattro di loro furono caduti, le restanti guardie indietreggiarono, esauste e spaventate, per tirare il fiato. Osservarono con orrore lo spadaccino che avevano di fronte. Non ansimava per la fatica della lotta. Manteneva la guardia, perfettamente riposato, e li fissava con lo sguardo di un lucido assassino.

I soldati presero ad indietreggiare. Gourry li studiò, aspettando una loro mossa. Si sentiva stranamente calmo, ora. La lotta con la sua spada sembrava avere sedato la sua rabbia di poco prima. Forse poteva abbattere anche le altre persone che aveva davanti, per sentirsi meglio. Poteva tenerne in vita solo uno, per minacciarlo, e chiedergli dove si trovava Lina.

Forse invece ne sarebbero arrivati altri, e lo avrebbero ucciso. Ma in quel momento, anche se ne aveva sempre avuto paura, anche se avrebbe significato abbandonare definitivamente Lina, per qualche motivo la morte non lo spaventava.

Stava per decidersi a caricare nuovamente, quando una voce, rauca e sorpresa, risuonò nella sala. Una voce stranamente nota…

“Che diavolo sta succedendo qui…?”

I soldati si volsero a verificare a chi appartenesse, esattamente quando Gourry sollevò lo sguardo verso la sua fonte. Ma nessuno fu sorpreso quanto lo spadaccino della visione che si trovò davanti. Perché di fronte a lui, nell’armatura chiara con le insegne verdi di Oberon, le cui fattezze in quei mesi aveva ormai quasi scordato, si trovava la persona che meno si sarebbe aspettato di incontrare in quel luogo.

Zelgadiss.

  
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