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Autore: Yvaine0    15/01/2012    5 recensioni
Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-...sciocchezze. E così, litigio dopo litigio, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.

Pan Fletcher, diciottenne, ragazza di città, si ritrova catapultata in un mondo a lei estraneo, caratterizzato da laboriosità, aria pura, e sentimenti sinceri. Armata di mp3, di un bizzarro interesse per le mucche e di un rassicurante manuale di sopravvivenza create da lei stessa, affronta questa avventura che la vita le regala senza ben sapere cosa pensare di tutto ciò che le sta per accadere.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Che diavolo ci fai TU qui! Questa è casa di mio nonno!"
"Io qui ci vivo!"
Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
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Cows and jeans
 
23


 
Camminavo pigramente per la strada.
La caotica città in cui ero cresciuta si manifestava in tutto il suo prepotente potere disorientante quel pomeriggio. 
Un terzo della popolazione si era riversata nelle strade e l'aria era così densa di smog che sarei volentieri scesa nelle fogne per respirarne un po' più fresca. Cose simili accadevano solo nei giorni prefestivi e quando c'erano i saldi, quando si inaugurava un nuovo negozio -da qualche parte nel mondo-, quando c'era il sole, quando pioveva, quando nevicava e quando la gente respirava.
Ero abituata alla vita in quella città, ma non ricordavo quanto fosse fastidioso dover chiedere "permesso" più e più volte, prima di riuscire a concludere una frase, a causa della gente che si ammassava davanti alle vetrine dei negozi.
"Permesso. Permesso! PERMESSO!" strillai, cercando di far spostare un gruppo di ragazzine che stavano ostruendo il passaggio di fronte alla vetrina di un negozio di abiti da sposa. 
Nessuna di loro mi calcolò e così optai per passare con la forza, spintonandole senza alcun ritegno, seguita da una ridacchiante Emily.
"E poi perché guardano quei cosi? Avranno tredici anni, miseriaccia!"
La mia amica rise. "Il fascino immortale dell'abito bianco..." spiegò, divertita.
Alzai gli occhi al cielo. "Vorrà dire che, quando e se accadrà, mi sposerò in blu" sentenziai, seria. Lo dicevo per puro e semplice puntiglio, spinta dall'irritazione causata dall'afa e dal poco spazio a disposizione per respirare in mezzo a tutta quella gente. Tuttavia in quel momento ero decisamente convinta di ciò che avevo detto.
Questo non impedì ad Emily di scoppiare a ridere di gusto. "Non dire sciocchezze: il vestito da sposa deve essere bianco, altrimenti che tradizione sarebbe?"
Soffiai una risatina sarcastica. "È la ragazza dai turchini capelli a spazzola che mi parla di tradizione?" domandai, guardandola di sottecchi.
"Touché".
"Cosa stavo dicendo?" chiesi, cercando di mascherare la somma soddisfazione che mi aveva pervasa.
Lei tuttavia la colse e scrollò il capo divertita. "Parlavi dei tuoi genitori e dell'avvocato. Cosa devi comprare?"
"Un CD" risposi, facendo mente locale. "Ah, sì, ci sono. Okay, forse mi prenderai per scema. Anzi, senza forse. Mi hanno regalato, ehm, ...una cosa. Non che io non sia contenta, però mi sento come se mi ... mi stai ascoltando?" chiesi, accigliata.
Emily distolse a fatica lo sguardo da una vetrina e mi sorrise imbarazzata. "Scusa, mi ero distratta. Ma hai visto quella gonna?"
Espirai bruscamente dal naso, indispettita. "No, stavo cercando di comunicarti la mia somma preoccupazione per l'improvvisa ondata di affetto proveniente dagli adulti di casa mia, in effetti" replicai. Ok, il caldo mi rendeva irritabile, ma da quando in qua una gonna è più importante di un'amica che sta confessando le proprie perplessità?
"L'affetto ti preoccupa?" domandò, fingendo di non aver notato il mio disappunto.
Sbuffai, conscia del fatto che stesse cercando di farsi perdonare. "Sì, visto e considerato che non ho fatto niente per meritarlo" ripresi. 
Non meritavo un'auto nuova. Non c'era stato motivo per regalarmela, non avevo fatto proprio nulla di buono per guadagnarmela e non avevo mai implorato nessuno affinché me ne comprasse una -al contrario della stragrande maggioranza degli adolescenti della mia città. 
Avevo la sgradevolissima sensazione che tutti -eccezion fatta per mio fratello- stessero cercando di farsi perdonare il soggiorno forzato a Sperdutolandia. Era uno sforzo apprezzabile, tecnicamente parlando, ma il pensiero che cercassero di comprarsi il mio perdono regalandomi un'auto mi faceva sentire una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Delusione? Forse. O forse la temperatura maledettamente alta stava cercando di farmi venire un esaurimento nervoso.
"L'affetto lo si dà e lo si riceve. Non è necessario accorgersi del perché, non sempre è dato saperlo" spiegò Emily distrattamente.
"Ma io lo so il motivo".
"Qual è?"
"Si sentono in colpa per avermi spedito laggiù". O lassù, forse. In geografia ero sempre stata una frana, non sapevo se Sperdutolandia fosse a nord o a sud rispetto alla mia città. In fondo, però, cosa importava? Avevano installato persino il navigatore satellitare nella macchina nuova, per evitare che mi perdessi. Avevano pensato proprio a tutto! Tranne forse al capitale che avrei spesso in benzina per arrivarci.
Una parte di me si sentiva in colpa per la mia reazione sospettosa a quel dono. In fondo poteva essere solo un regalo di compleanno in anticipo -e che anticipo, diavolo, mancavano più di sei mesi!- come lo avevano giustificato loro. La cosa continuava a puzzarmi, però.
Notando che alla mia adorata migliore amica non fregava nulla di ciò che avevo da dire, lasciai cadere il discorso e la trascinai dentro ad un negozio di dischi prima che si mettesse a sbavare e ad abbracciare una vetrina o l'altra.
Da quando è così frivola?
Cacciai il pensiero, decisa a farmi meno problemi possibile. Ero indubbiamente di cattivo umore, ma continuando a prendermela per ogni sciocchezza non sarei certo stata più felice.
L'aria nel negozio era pigramente mossa da un vecchio ventilatore.
Sospirai di sollievo quando l'aria venne soffiata verso di me, rinfrescandomi appena.
Un punto a favore per il ragazzo dietro al bancone. "Ehilà!" ci salutò al nostro ingresso.
"Ehi, Matt! Faccio un giro!" lo salutai, iniziando a passeggiare tra gli scaffali stipati di CD, DVD e dischi in vinile.
"Ciao, Matt!" cinguettò Emily, trotterellando fino alla cassa.
La guardai sorpresa, con le sopracciglia inarcate, e ridacchiai sotto i baffi.
"Lily" le sorrise cortese, sporgendosi in avanti con gli avambracci premuti sul bancone.
Oh, ma quanta confidenza, signori! 
"Abbiamo fatto progressi, vedo" ridacchiai sottovoce, voltando loro le spalle. 
Da quando eravamo entrate per la prima volta, per caso, in quel negozio, due anni prima, e Matt ci aveva accolto con un'infinità di cortesi chiacchiere e pregevoli citazioni musicali, Emily era rimasta affascinata -come aveva detto?- dalla luminosità di quei meravigliosi occhi verdi. Aveva giurato di averli visti brillare ogni volta che aveva citato uno dei suoi idoli musicali. O meglio, dei loro idoli, perché ne avevano davvero tanti in comune.
"Cosa posso fare per te?" chiese gentilmente il commesso alla mia amica.
"È arrivato il CD che ho ordinato?"
Ringraziai il cielo che i piccioncini stessero conversando tra loro, facendo sì che la mia ricerca passasse inosservata. Per quanto Matt potesse essere gentile, divertente e persino piuttosto intelligente, sapeva svolgere bene il suo lavoro e dunque, come tutti i commessi che si rispettino, quando fiutava un possibile acquirente diventava dannatamente insistente. Ecco perché preferivo sempre non chiedere, anche quando mi serviva qualcosa in particolare. L'unica volta che ero entrata e mi ero subito rivolta a lui in cerca di aiuto, ero tornata a casa con non meno di quattro CD, due dei quali acquistati solo ed esclusivamente per sfinimento.
Proseguii la mia ricerca, ascoltando distrattamente la conversazione in atto.
"Green Day?"
"Esatto".
"Sì, è arrivato, ora lo prendo" proclamò, uscendo da dietro la cassa e dirigendosi deciso verso un determinato scaffale. "Scusa" sussurrò, scansandomi, per poi procedere verso il suo obiettivo.
"Niente" risposi. Non che mi avesse ascoltato, sia chiaro.
"Non avevi detto che non ti piacevano?" le chiese mentre prendeva il CD richiesto.
Annuii tra me. Ottima domanda. In effetti non le piacevano, potevo confermarlo.
"È per il compleanno di un'amica" rispose lei. Matt evidentemente si voltò verso di me, perché Emily si affrettò a continuare: "Non lei, no. E' per Mary Thompson" spiegò.
"Ah, sì, penso di conoscerla" fece lui, con un'alzata di spalle.
Mentre mi chiedevo se ci fosse anche solo una persona in tutta la città a non aver mai sentito parlare di Marijuana Thompson, una strana idea mi passò per la mente. "Non sarà mica il suo compleanno, la super festa a cui mi trascinerai?" domandai sospettosa, agguantando finalmente il CD per Kameron. Abbozzai un sorriso di circostanza, per non sembrare troppo scettica al pensiero.
Emily rise. "Indovinato!" esclamò, divertita.
Il sorriso mi si congelò sulle labbra e lasciai cadere le braccia lungo il corpo. "Lily!" Il mio tono lamentoso suonò vagamente simile ad un guaito.
Non potevo credere che mi avrebbe trascinato alla festa di compleanno di Marijuana Thompson. Lei nemmeno mi conosceva!
"Oh, avanti Pan! Ti prometto che ti divertirai, sarà uno spasso!" mi incoraggiò sorridente.
Sbuffai. Mi incamminai verso la cassa per pagare, con passo strascicato. "Yuppie" feci, senza enfasi.
Matt rise, tornando alla cassa per farci pagare. "Ti vedo molto entusiasta" commentò divertito.
Lo guardai di sottecchi. "Già, non riesco a contenere l'entusiasmo" replicai sarcastica, con in volto l'espressione di una delle adolescenti dark dei film.
Emily mi diede una gomitata, ridendo. "Ma smettila! Ti divertirai!" mi assicurò lei, puntando poi gli occhi sul mio nuovo acquisto adagiato sul bancone, mentre io estraevo i soldi dalla borsa. "A day at the races?" domandò. "Ma non l'hai comprato lo scorso Natale?"
La guardai sorpresa, interrompendo momentaneamente la mia ricerca del portafogli. 
Ecco una delle qualità che più le invidiavo: la memoria. Emily ricordava ogni singolo dettaglio di... di tutto, cavolo. Era un mostro, da quel punto di vista.
"In effetti sì" confermai, dopo aver fatto mente locale. In realtà la mia perlustrazione mentale del Natale precedente aveva fornito pochissimi risultati e l'acquisto di un CD da auto-regalarmi non presenziava tra questi. Tuttavia ero certa di avere già quell'album nella mia collezione e mi fidavo ciecamente dell'ottima memoria della mia compare. "Questo però non è mio, è per un amico" risposi.
Me ne pentii all'istante.
Sul volto di Emily era comparso un sorriso malandrino e malizioso degno di Sirius Black ai tempi d'oro. "Un amico, eh?"
Dannazione. "Sì, è chiaro" risposi all'erta. In realtà ero fin troppo sulla difensiva, tanto che chiunque avrebbe pensato che stessi mentendo. Il punto era che non avevo mai sopportato l'assurda tendenza delle persone a udire la parola 'amico' e capire 'fidanzato'.
Emily si scambiò un'occhiata di intesa con Matt, che scoppiò a ridere.
"Ceeerto".
Inveii mentalmente, scuotendo il capo.
"Oh, dai, non c'è niente di cui vergognarsi nell'avere un ragazzo" mi rassicurò il commesso pacatoìamente.
"Ma non ce l'ho!"
Assunse l'aria di chi la sapeva lunga e mi guardò con le sopracciglia inarcate.
Al diavolo! Lo fulminai con lo sguardo, indicando il CD. "Chiudi il becco o vado a comprarlo da un'altra parte" lo minacciai, estraendo finalmente il portafogli dalla borsa.
I due risero di gusto.
Sbuffai e consegnai i soldi a quel tipo, desiderosa di lasciarmi alle spalle quel discorso. "Vogliamo smetterla?" sibilai infastidita, notando che non smettevano di lanciarmi occhiate divertite.
Per tutta risposta loro scoppiarono a ridere una seconda -o forse terza- volta.
 
Anche il secondo giorno di vacanza era trascorso nel più completo ozio. Avevo pranzato a casa mia con la mia migliore amica, mostrandole le mie nuove -anche se ancora scarse- capacità culinarie. Chiaramente avevo cotto troppo la pasta, tanto che mangiarla fu un'impressa degna di Bear Grylls, ma ne ero stata comunque decisamente soddisfatta.
Durante il pomeriggio eravamo rimaste in salotto a guardare un film, cercando di ignorare le proteste di Joshua e Malcom a ogni mio commento. Avevo anche rischiato di sbafarmi un'intera vaschetta di gelato davanti al televisore. Pericolo da cui ero stata coraggiosamente salvata dal prode cavaliere Joshua, il quale aveva deciso di sottrarmi il contenitore dopo la quarta cucchiaiata per dividere il bottino con il suo caro amichetto. Farabutto! E' inutile dire che avevo augurato a entrambi -fissandoli intensamente e senza battere le palpebre(*)- di congelarsi il cervello mangiandolo.
In quel momento, invece, ero stesa supina sul mio letto con la testa pendeva da un lato del materasso. Fissavo la scrivania come se fosse la mia unica ancora di salvezza. Come se potesse animarsi da un momento all'altro e mettersi a farmi aria sventolando due enormi foglie di palma.
Fuori pioveva. 
Pioveva a dirotto e questo lasciava ben prevedere l'imminente aumento della già soffocante percentuale di umidità nell'aria. Ero talmente stravolta dai fastidiosi valori climatici da non riuscire nemmeno ad interpretare il mal tempo con un presagio di morte in stile Cooman.
Emily era seduta per terra, la schiena e la testa contro la porta, stravolta quanto me. Tuttavia, nonostante il caldo soffocante stesse rischiando di ucciderci entrambe, lei non faceva che pensare alla festa di quella sera. La festa di compleanno di Marijuana Thompson. Tuoni e lampi.
"Non so cosa mettermi stasera" mi confessò con un sospiro.
"Che disdetta" commentai atona, continuando a fissare il tavolo. La mia voce suonava un po' gutturale per via della scomoda posizione che mi ostinavo a tenere.
"Potrei mettere il vestito azzurro che ho comprato la scorsa settimana" continuò assorta. "O potrei farmi prestare quello nero da Jasmine..."
"Jasmine?" 
Una delle calamità naturali che quella sera avrebbero minato la mia esistenza con i loro sciocchi punti interrogativi? Perché, lo sapevo, una volta scoperto che ero quella esiliata in campagna, le domande sarebbero piovute come l'acqua di fuori in quel momento.
A completare la scenetta, mio fratello, dall’altra stanza, alzò al massimo il volume del computer, tutto preso dalla canzone che stava ascoltando.
 
Oh shit, caught that nigga alone
Ain't that a bitch
Hey, uh, this one here is, uhh
for them niggaz that be Johnny Dangerous when they be fuckin fifty deep
But they be fuckin cowards when they by theyselves
You know who I'm talkin about
(You know who I'm talkin about) that's right
You ain't shit without your homeboys
You ain't shit without your homeboys
You ain't shit without your homeboys 
(**)
 
Meraviglioso. Ci mancava proprio il rap per coronare quel momento si smaronamento assoluto. 
"Oh, è una delle ragazze che ho conosciuto girando con Mary".
"Ah, capisco" brontolai scontenta. Arricciai il naso e voltai il capo verso la finestra.
"Non so se è peggio questo schifo di umidità, il rumore delle gocce sull'impalcatura o quella roba che ascolta tuo  fratello" osservò Emily, stiracchiandosi pigramente.
“L’umidità” risposi prontamente. Ero terribilmente insofferente, molto più del solito. Detestavo quel clima con tutta me stessa. “Lily, è così che caldo che anche il mio letto sta sudando!” piagnucolai lamentosa. 
Odio, odio profondo per il caldo e l’umidità! 
Lei rise. “Non sarai tu a sudare?” suggerì divertita.
Scossi meccanicamente il capo. Anche quel semplice gesto era frutto di un’enorme sforzo di volontà. “Assolutamente no. Sono troppo stravolta per sudare, è il lenzuolo che suda!”
Rise di nuovo. “Se lo dici tu! Penso che ti stia andando il sangue alla testa, però”.
Probabile, constatai. Stavo sragionando.
Mi trascinai un po’ più in su in modo da evitare che il capo ciondolasse.
Fu in quel momento che arrivò un SMS al suo cellulare. Emily gattonò fino alla scrivania, recuperò il telefonino e tornò a spalmarsi sul pavimento alla ricerca di refrigerio. “È Mariah” mi comunicò, sorridendo tra sé. “Chiede se stasera porterò qualcuno alla sua festa”.
Era un modo come un altro per chiedere conferma della mia partecipazione.
Sbuffai. Era l’ultima cosa a cui avevo voglia di pensare in quel momento. No, non volevo andarci. “Devo proprio venire?” chiesi, spostando lo sguardo sul soffitto.
La intravidi alzare il capo per guardarmi. “Mi farebbe molto piacere. E poi sono certa che ti divertiresti”.
Sospirai nuovamente. Sapevo che aveva ragione. La pigrizia –notevolmente acuita dal caldo- mi impediva di provare entusiasmo per qualunque cosa comprendesse lasciare il letto -o eventualmente divano o pavimento- e muovermi fino ad un altro posto. In fondo però sapevo che, come tutte le altre volte, Emily non avrebbe lasciato che mi annoiassi. In sua compagnia ero sempre stata in una botte di ferro, nulla poteva urtarmi davvero. Infastidirmi sì, ma in fondo erano davvero poche le cose che non mi davano fastidio.
“E va bene” le concessi, infine, con poco entusiasmo.
Lei batté le mani con entusiasmo. “Fantastico! Oh, non vedo l’ora che sia stasera! Ti presenterò Mary, Jasmine, Chanel e ...”
“Oh, sono proprio curiosa di conoscere quella di nome Chanel!” commentai sarcastica. Già me la vedevo: una biondona alta e formosa, vestita di tutto punto, di cui persino la tinta per capelli era firmata. Talmente ricca da prendere appunti sulla carta moneta. Sempre che non pagasse qualcuno affinché prendesse appunti per lei. “Chanel: un nome, una garanzia” recitai divertita, mimando con una mano una scritta a caratteri cubitali su un cartellone pubblicitario. Roba da far sentire Paris Hilton una stracciona, insomma.
Emily sospirò, esasperata. “Sei impossibile, Pan!” mi rimproverò leggermente stizzita.
Ok, sì, forse avevo troppi pregiudizi. Ma, insomma... Chanel?! Mi serviva battute acide e pensieri maligni su un piatto d’argento, maledizione!
La udii respirare a fondo e posare il telefono per terra. “Promettimi che stasera non sarai così scortese”.
Sarebbe stato decisamente poco carino da parte mia essere così acida con le amiche della festeggiata, quando la mia presenza era dovuta solo ed esclusivamente alla disponibilità di quest’ultima. Non che fosse mio desiderio andarci, ma dovevo ammettere che sarei risultata parecchio maleducata. Avrei potuto fare uno sforzo, una volta tanto, no? “Prometto che, se non mi sentirò offesa da nessuno, non sarò affatto scortese” snocciolai, mettendomi una mano sul cuore e chiudendo gli occhi. Rotolai sulla pancia per guardarla negli occhi. “Farò del mio meglio” le assicurai.
Emily mi sorrise. “Sei sempre la migliore”.
Giusto per non smentirmi mai, abbozzai un sorriso malandrino. “Non mi hai fatto giurare” le ricordai.
Lei alzò gli occhi al cielo. “Vai, avanti” acconsentì divertita.
Giuro solennemente di non avere buone intenzioni!” recitai profondamente soddisfatta. Rotolai nuovamente sulla schiena, ridendo di gusto.
“Anche se devi ammettere che questa formula non si adatta molto ai tuoi buoni propositi” osservò, stendendosi nuovamente sul pavimento. 
Il momento di serietà era finito, ora potevamo tornare alle nostre solite occupazioni, ovvero delirare beatamente.
Ridemmo. Entrambe, insieme. Come una volta, come avevamo sempre fatto. 
Ridemmo di cuore, ridemmo come due migliori amiche che potevano contare l’una sull’altra.
 
 
DubbiDomandeDelucidazioni:
*è così che si dice si faccia il malocchio. Questa è una citazione potteriana solo a metà. In realtà, cercando su internet le parole esatte che Hermione dice nella Pietra filosofale durante la famosa partita di Quidditch, ho capito che non è una 'tecnica' che si è inventata la Rowling. Anche se non ho voluto approfondire, perché, ecco, non amo questo genere di cose (magia nera, sedute spiritiche, ... *rabbrividisce*). Che l'occulto stia dov'è, io sto dove sono; io non do fastidio a lui, lui non ne dia a me. (E, che ci crediate o meno, questa volta sono seria^^").
** è l’inizio della canzone Homeboyz di 2pac. Canzone per la quale ringrazio MT, che me l'ha suggerita (perché io di rap non capisco un Botubero), anche se dubito leggerà mai queste righe. Qui trovate il video: http://www.youtube.com/watch?v=rw1bPCrht_Y


In der Ecke - Nell'angolo:
SO che questo capitolo è cortissimo e SO che è orribilmente di passaggio. E anche orribile e basta. Perdonatemi, cercherò di postare al più presto il seguente. 
Spero che si noti quando Pan tenga al rapporto con l'amica e anche che, comunque, qualcosa tra loro è cambiato. 
In compenso, ci tenevo a farvi vedere i disegni di Mary_ di cui ho parlato la scorsa volta nell'Angolo: qui trovate Aggie e invece QUI c'è la sua Pan. Devo ammettere che sono davvero molto somiglianti a quelle che avevo immaginato, motivo per cui posso essere doppiamente felice!
Ne approfitto per ringraziarti pubblicamente, Mary_!:D Alzo -di nuovo- un calice in tuo onore! ^^
Sperando di non avervi deluso troppo con questo capitolo, vado a lavorare sul prossimo. Cercherò di postarlo presto, perché ve lo devo e perché ve lo meritate. :D
Nel prossimo Pan andrà alla festa di Marijuana Thompson, sperando di riuscire a renderla come la immagino. 
Alla prossima!:D



  
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