Atterrarono
a Indigo Plateau. Il sole era calato,
pioveva, ma nessuno si preoccupava più, ormai.
Entrati
nella Sede, videro un uomo seduto a un
tavolo. Il mantello, che ancora non si era tolto, era zuppo di pioggia,
i suoi
bei capelli rossi arruffati e bagnati. Sedeva al tavolo col capo tra le
mani,
disperato; ma si alzò bruscamente quando arrivarono,
scansando il mantello.
“Blu!”
“Lance”
esclamò il giovane venendo verso di loro.
“Lance, ho parlato con Lorelei, ha detto…ha detto
che Rosso è stato qui,
l’altro ieri.”
Era
stravolto, tutti lo notarono.
“Sai
dov’è andato? V’ha detto cosa avrebbe
fatto?
Lance, lo sai?”
Il
volto di Lance si mantenne estremamente rigido.
“Ha detto” disse lentamente “Che avrebbe
atteso a Monte Argento il Campione
della Lega, per tutto il tempo necessario.”
Blu
lo guardò a lungo, incredulo e felice.
“Da…davvero?”
“Blu.”
Il tono di Lance era estremamente serio.
“Tu sei un Capopalestra.”
Gli
occhi del giovane si spensero immediatamente.
Chinò lo sguardo. “Sì, io…lo
so.”
“Non
ti è permesso allontanarti durante la Lega,
lo sai.”
“Lance,
non si potrebbe…ti prego…”
“Blu,
devo pregarti di non mettermi in difficoltà.
Sono il Presidente della Lega Pokémon, e devo negarti questo
permesso come lo
negherei a Jasmine di Olivinopoli, a Blaine dell’Isola
Cannella. Perciò ti
prego, non insistere.”
Blu
aveva vergogna di guardarlo in viso. Cogli
occhi bassi, mormorò: “Molto bene.” Poi
scansò il Presidente e fece per uscire.
Lance
si manteneva rigido. Era mortificato. Luisa
gli tirò un braccio, Argento l’altro. Si
guardarono.
“Blu…”
“Sì,
capo?”
“Naturalmente,
nessuno verrebbe a saperlo, forse
neppure io, se tu ti allontanassi durante la notte.”
In
un secondo, Blu era ai piedi di Lance e gli
abbracciava le ginocchia, continuando a ripetere: “Grazie,
Lance, grazie,
grazie!”
I
tre ebbero pietà di lui. Lance lo rialzò. Blu si
ricompose.
“Mi…mi
dispiace, Lance. Perdona la mia irruenza.”
“Non
importa” rispose il giovane. “Abbi maggior
controllo di te, Blu. Piuttosto, per quale motivo eri venuto?”
Blu
sorrise. “Sono venuto per portarti il numero
degli allenatori cui ha conferito la mia medaglia.”
“Cioè?”
Il
Capopalestra estrasse un foglio. “Questi sono i
nomi. Comunque, sono sei in tutto.”
“Solo
sei?” esclamò Luisa.
Blu
alzò le spalle. “Non è semplice
sconfiggermi,
Campionessa.”
“Non
come Sandra, che, pur vantandosi di essere la
migliore, mi ha portato una lista di quarantasei candidati”
disse Lance
distrattamente. “Comunque, non posso farglielo notare. Resta
pur sempre la
nipote del Maestro. Ti ringrazio, Blu. Ho bisogno di questa lista,
domani
apriranno le iscrizioni alla Lega Pokémon.”
“Domani?”
chiese Argento. “Questo significa che
per tutto l’Altopiano Blu inizieranno a circolare
allenatori?”
“Precisamente”
replicò Lance. “Quanti supereranno
l’ultimo ostacolo, cioè la Via Vittoria, avranno
diritto a sfidare la Lega
Pokémon.”
“E
dunque” disse Luisa “Anch’io
combatterò?”
“Certamente”
rispose Lance. “Non deluderci, Luisa.
La donna che ha sconfitto Suicune non può lasciarsi
sconfiggere da un branco di
mocciosi.”
“Suicune”
ripeté Blu. “Lance, è vero quanto mi ha
raccontato Lorelei? Che i Pokémon leggendari sono giunti fin
qui e che al
vostro arrivo si sono inchinati davanti a voi?”
“È
così” rispose Luisa. “Ma a te cosa
importa?”
Blu
si voltò a guardarla. “Rosso sta dedicando la
sua vita a farsi riconoscere come Prescelta Creatura, Luisa.”
“Non
possiamo farci nulla.”
“Ma
voi…”Blu si stava infervorando. Tacque per non
doversene pentire. “Grazie, Lance. Arrivederci.”
Si
voltò e uscì dignitosamente
dall’edificio. I
tre cominciarono a salire le scale.
A
un tratto, al quarto piano, Luisa guardò giù da
una finestra e vide il Capopalestra fermo sulla cima di Via Vittoria.
Spalancò
la finestra e si sporse.
“BLU!”
Il
ragazzo si voltò a guardarla.
“Blu,
solo tu puoi salvarlo! Solo tu, hai capito?”
Il
vento le portò una risata. Un istante dopo, Blu
correva giù per la Via. Ma Luisa seppe che aveva capito e
che stava piangendo.
Il
mattino dopo, Luisa venne svegliata da un
grido. Si mise seduta sul lettone bianco accanto alla finestra e
tirò la tenda.
Fuori
si stendeva una lunga fila di allenatori.
“O
mio Dio” mormorò Luisa guardando in basso.
Spalancò la finestra e si sporse per vedere Lance in tenuta
da Superquattro
camminare con passo marziale. Molto allenatori, per lo più
ragazze, si
sporgevano per chiedergli l’autografo. Lance firmava senza
sorridere.
“È una star molto seria” disse
Argento nella
sua mente. Anche lui era sveglio. “Anche
se è stato sconfitto, poi, resta pur sempre
l’idolo delle folle, eh?”
“Cerca di
ricordare loro che non sono qui per una scampagnata, che è
il momento più
importante della loro vita.”
“Scendiamo?”
“D’accordo.
Voglio assistere al discorso.”
Luis
si vestì e si pettinò in fretta e uscì
dalla
sua camera. Argento l’aspettava fuori. Scesero e uscirono
dalla Sede per una
porta secondaria. Si misero distanti dagli allenatori per poter
ascoltare il
discorso di Lance.
Il
giovane li vide e li salutò con un cenno altero
del capo, prima di porsi in piedi sulla piattaforma rialzata posta per
lui
davanti all’edificio.
“Signori
allenatori” gridò, e la sua voce sola fu
sufficiente a far calare il silenzio. “Sono Lance, Presidente
della Lega
Pokémon e Capo dei Superquattro. Desidero darvi il benvenuto
all’Altopiano Blu
e augurarvi buona fortuna.” Tacque un istante e i suoi occhi
girarono sulla
folla. “Voi state per sfidare la Lega
Pokémon.”
“Non
è un gioco. Non è un posto per bambini.
È
probabilmente l’ostacolo più imponente sul vostro
percorso. Alcuni di voi
vengono da Kanto, altri da Johto; tutti voi avete compiuto un lungo
viaggio per
giungere fin qui e questo vi rende meritevoli di lode. Ma questa
è solo la
prima tappa del vostro viaggio. La vita vera inizia qui.”
E con un gesto indicò l’alto edificio alle proprie
spalle.
“Dopo la Lega voi proseguirete il vostro viaggio.
Attraverserete altre regioni,
catturerete nuovi Pokémon, diventerete più
forti.” Sospirò. “Da
quest’anno,
come saprete, io combatterò solo in qualità di
Superquattro, poiché l’anno
scorso una donna ha sconfitto la Lega Pokémon nella mia
persona. E quindi,
ammesso e non concesso che voi riusciate a sconfiggere me, voi dovrete
sconfiggere la nuova Campionessa, Luisa, a oggi considerata la
più forte
allenatrice del mondo. Lasciate però che vi ricordi una
cosa.”
Lo
sguardo di tutti si fece più attento. “Luisa
non era la più forte allenatrice del mondo, quando sconfisse
me. Il vostro
destino non è nelle mie mani, o in quelle dei Superquattro,
o in quelle di
Luisa. A partire da oggi, il vostro destino si decide qui.”
Si
voltò un istante verso l’edificio. I
Superquattro, alle sue spalle, erano alteri e silenziosi. Bruno gli
passò
un’alta clessidra. Con uno sforzo, Lance lo capovolse.
“Si
dia inizio alla Lega Pokémon.”
E
la clessidra cominciò a scorrere.
La
fila avanzava lentamente per le iscrizioni. Gli
uomini che raccoglievano le domande controllavano per
l’ennesima volta le
medaglie degli allenatori, le liste portate dai vari Capipalestra, i
Pokémon
con i quali si intendeva partecipare. Lance passeggiava tra gli
sfidanti, serio
e dignitoso, in silenzio.
“Lance!”
lo chiamò Luisa avvicinandosi con
Argento. Il ragazzo si voltò a guardarli e sorrise.
“Avete
seguito il mio discorso?”
“Commovente”
rispose Argento. “Credo però di aver
colto un’allusione al fatto che il destino di molti si decide
qui.”
Luisa
rise. “È stato così per noi, dopotutto:
qui
ti ho salvato, qui ho conosciuto Lance, qui abbiamo
incontrato…beh, il capo,
qui Rosso e Blu hanno sfidato Lance…forse che
l’Altopiano Blu non è il centro
del mondo?”
I
tre risero appena. Attorno a loro, giovani
allenatori passavano, eccitati nel loro nuovo costume di sfidanti della
Lega.
“Sapete”
disse Argento dopo un po’. “È la prima
volta che ci svegliamo senza provare il desiderio di andare da qualche
parte a
scoprire il nostro passato.”
“Non
è fantastico?” chiese Luisa. “Siamo
liberi,
adesso.”
Lance
sorrise appena. “Siamo salvi. Il
Pokéfanatico ci ha salvato.”
“Devi
star qui tutto il giorno, Lance?” chiese
Argento. La sua anima era impaziente e reclamava libertà.
Lance
guardò la folla di allenatori. “No. Tra poco
mi accerterò che le operazioni di iscrizione procedano per
il meglio e che la
consegna d’acqua agli allenatori funzioni come necessario.
Per quanto riguarda
il resto della giornata, preferisco allontanarmi. Non è
conveniente che mi
mostri troppo prima di una Lega. Andate a fare colazione, quando avrete
finito
andremo da qualche parte ad allenarci.”
Luisa
e Argento rientrarono, quindi, e fecero
colazione. Essendo ospiti di Lance, non mangiavano né
tantomeno risiedevano ai
piani degli allenatori, cioè il secondo e il terzo, che
ospitavano le camere,
la mensa e il salotto comune, ma avevano accesso ai piani riservati,
cioè dal
quinto in su. Andarono quindi a fare colazione nella sala da pranzo
privata,
quella dove solitamente mangiavano i Superquattro.
Lance
li raggiunse dopo circa una mezz’ora, quando
stavano riponendo le tazze nel lavello.
“Volete
andare da qualche parte ad allenarci?”
domandò. “O preferite forse andare da qualche
altra parte, per esempio ad
Azzurropoli a divertirci?”
“Perché
no?” rispose Luisa, un attimo prima che il
suo Pokégear suonasse. Rispose e sullo schermo comparve il
volto del Professor
Elm.
“Professore!
Buongiorno. Perché mi chiama?”
“Buongiorno
a te, Luisa. Chiamo in merito a una
telefonata del professor Oak.” Il volto del professore era
molto serio. “Luisa,
mi ha parlato delle vostre domande sulla leggenda della Prescelta
Creatura.
Lascia perdere, hai capito? Sono solo storie. Solo storie, hai
capito?”
Luisa
sospirò. “Certo, professore. Solo
storie.”
“Dammi
retta, Luisa! Non voglio vederti girare
come una pazza per il continente sfidando chiunque per ottenere il
consenso di
Ho-Oh, d’accordo?”
“Certo,
professore. Come desidera.”
“Mi
ha detto che hai due compagni, e che uno è
Lance dei Superquattro. Cosa state combinando,
Luisa’”
“Non
si preoccupi, professore. Abbiamo smesso di
credere a quella storia. Abbia cura dei miei Pokémon,
però.”
“No,
Luisa, è una cosa seria. Smettetela, va bene?
E ho saputo dei tre allenatori e di Mew a Rovine d’Alfa.
C’entrate qualcosa?
Ditemelo.”
“No,
professore. Deve credermi. Lasci che vada,
ora. Non si preoccupi per noi. Stiamo bene, ora. Stiamo andando a fare
shopping
ad Azzurropoli. Arrivederci.”
L’uomo
non era convinto, e tuttavia permise che
andasse. Luisa chiuse la chiamata e si voltò verso i suoi
compagni.
E
tutti e tre scoppiarono a ridere, come non
accadeva da troppo giorni.
Era
bello essere di nuovo liberi e leggeri, dopo
quei giorni trascorsi nell’ansia e nella confusione, a
cercare. Era bello poter
passeggiare per Azzurropoli, come tutti i ragazzi fanno. Ma era
diverso, ora.
Erano più completi. Si erano ritrovati. La Prescelta
Creatura e i suoi compagni
erano uniti, come Mew aveva raccomandato che fossero.
Trascorsero
la mattinata intera al Centro
Commerciale, facendo acquisti e scherzando e divertendosi. Comprarono
mille
cose. Quando giunse mezzogiorno, pranzarono all’ultimo piano
del Centro,
divorando tre giganteschi cheese burger dall’aspetto poco
sano e dal sapore
delizioso. E si sentirono i colpa per aver mangiato qualcosa di
così poco sano
e le patatine fritte. Ma si divertivano troppo per pensarci
più di quanto fosse
consigliabile. Nel pomeriggio lasciarono i negozi e passeggiarono a
lungo per
le vie meno trafficate della città.
“Non
pensavo che ci saremmo ancora divertiti così
tanto, sapete” confessò Luisa, camminando.
“Credevo che sarebbe cambiato tutto,
dopo averlo scoperto.”
“Forse
è davvero quel che dobbiamo fare”
suggerì
Argento.
“Fare
come se nulla fosse?” domandò Lance. Il bel
giovane scosse il capo.
“No.
Non dobbiamo comportarci come se non fosse
accaduto nulla. Dobbiamo solo fare quel che vogliamo: giocare se
vogliamo
giocare, combattere se vogliamo combattere. Questo, restando
consapevoli di
essere chi siamo: e allora sono sicuro che tutto andrà
bene.”
Trovarono
che le sue parole fossero giuste.
Mangiarono un gelato e presero il volo per concludere quella giornata.
Sorvolarono
il mare, percorsero la linea della
costa. Giunsero in vista di Isola Cannella. Sulla cima del vulcano
videro una
figura solitaria. Si fermarono a guardarla da lontano, fermi a
mezz’aria.
“È…”iniziò
Argento.
Lance
annuì. “È Rosso.”
“Aspetta
che venga Blu” spiegò Luisa.
“Per
scappare quando sarà troppo vicino. Ma gli è
sufficiente vederlo.”
“Gli
basta vederlo” ripeté Argento. “Ma da
quanti
anni vanno avanti così?”
Ci
fu silenzio per un istante. “Troppi” disse
infine Luisa.
Lance
scosse il capo. “Andiamo via” disse. “Blu
potrebbe sempre arrivare. Lasciamoli soli.”
Si
sollevarono in volo più alto e proseguirono
verso sud per poi tornare a nord, girando con un’ampia curva.
Si abbassarono e
sfiorarono l’acqua, sollevando mille spruzzi.
“Ci
siamo divertiti oggi” disse Luisa.
“È
stato molto divertente” riconobbe Lance.
“Sono
felice che ci siamo ritrovati” disse
Argento. “Adesso sembra tutto molto più
vero.”
Raggiunsero
nuovamente l’Altopiano Blu. Entrati,
trovarono l’ingresso pieno di allenatori.
L’infermiera Joy aveva un gran
daffare ad accontentare tutti.
“Che
caos” mormorò Lance.
“Sarà
così finché non finirà la
Lega?” domandò
Argento, preoccupato.
“Temo
di sì” confermò il ragazzo desolato.
Vergognosa, una ragazza venne a chiedergli l’autografo. Lance
glielo firmò
senza sorridere.
“Che
confusione c’è stasera”
mormorò Luisa,
vedendo allontanarsi la ragazza felice. “Anch’io
ero così un anno fa, Lance?”
“No”
replicò lui. “Non mi chiedesti
l’autografo.
Andiamo nella mia camera. È all’undicesimo piano,
là non giungerà questo
frastuono.”
Salirono
le scale fino al penultimo piano, quindi.
Lance aprì la porta con una tessera metallizzata ed
eseguì un controllo delle
impronte digitali.
“È
per la sicurezza” spiegò. “È
un po’ esagerato
per salire in camera mia, ma del resto, resto pur sempre il Presidente
della
Lega Pokémon.”
La
porta si aprì con uno scatto secco e ai loro
occhi apparve d’un tratto una stanza immensa.
Era
una sala ampia e luminosa, biancoarredata come
le loro, ma più luminosa ancora, poiché grandi
finestre riempivano in un dolce
susseguirsi due intere pareti, rese più simili a vetrate che
a semplici mura, ma
vetrate lucenti e fantastiche, abbellite da leggiadre tende argentate
che
parevano fluenti e ondeggianti come acqua. E poi libri, fiori, mobili e
soprammobili e computer, televisore, tavoli, sedie, poltrone e poi un
enorme
letto rotondo che fin da lontano pareva emanare una fragranza
dolcissima di
lenzuola fresche e stirate…
“È
immensa” disse Argento in un soffio, ammirato.
Lance
sorrise. “Occupa quasi tutto questo piano”
spiegò “Insieme al bagno, naturalmente.”
“È…è
pazzesco” balbettò Luisa incredula, guardandosi
intorno.
Entrarono.
Lance li fece accomodare su ampi divani
bianchi e morbidissimi.
“Non
faccio mai entrare nessuno qui” spiegò.
“Non
mi va che la gente entri qui.”
“E
perché ci hai portati qua?” chiese Luisa,
mentre Lance, aprendo un piccolo frigo a parete, ne estraeva alcune
bottigliette di gassosa.
Il
giovane sospirò.
“Questa
stanza è un regalo” disse senza guardarli.
“Mio padre la fece costruire per me, la fece arredare per me.
Era il suo regalo
per me. Ogni cosa che vedete è stata fatta da mio padre per
la mia felicità. Pe
questo non amo portare conoscenti e amici qui. I Superquattro non
l’hanno quasi
mai vista, meno di una decina di volte da quando ci conosciamo, e solo
per
brevi visite. Voi capite, questa stanza è per me il segno
più importante
dell’eredità di mio padre.”
La
mano che reggeva le bottiglie tremò. Lance
chinò gli occhi.
“Noi
siamo i Prescelti. Saremo uniti per il resto
della nostra vita. Oggi dopo tanto tempo mi sono sentito
felice…perché ci siamo
ritrovati. E allora ho capito che è da troppo tempo che
siamo divisi, e che non
voglio esserlo oltre.”
Calò
il silenzio sulla bella stanza bianca.
Lontano, tramontava il sole.
“Questo
ti ha lasciato tuo padre, Lance” mormorò
Argento. Arrossì. “Perdonami se ti invidio, sai,
perdonami. So che non dovrei.
Devo chiederti scusa.”
Entrambi
lo guardarono. Argento chinò il capo
sulle proprie ginocchia.
“Cosa
ti ha lasciato tuo padre?” chiese Luisa,
allontanando gli occhi da lui.
Argento
tacque un istante. Poi si alzò in piedi e
lasciò cadere a terra la propria giacca nera. Si tolse la
maglietta e mostrò
loro la schiena.
Sul
bianco folgorante della sua schiena,
campeggiavano cicatrici irregolari e rosse.
“Ecco,
solo questo. Perdona la mia invidia, Lance:
non ne ho il diritto e lo so bene. Non desidero compassione. Ma voi
l’avete
chiesto.”
Colpita,
Luisa allungò la mano e sfiorò con le
dita quei segni rossi.
“Lui
ti ha fatto questo?” domandò.
“È
la più delicata delle cose che mi ha fatto”
rispose Argento allontanandosi. “Comunque sì,
è stato lui.”
Lance
emise un flebile sospiro. “Nessuno gli ha fatto
nulla?”
Argento
sorrise. “È scappato dopo aver ucciso mia
madre.”
“Non
posso crederci.”
“Oh,
sì, credici, Luisa. Avevo nove anni e me lo
ricordo. Davvero, me lo ricordo.”
Luisa
non riusciva a guardarlo negli occhi. “Ma
perché?”
“Non
lo so perché!” urlò Argento.
“Non lo so,
questo non me lo ricordo, mi ricordo che l’ha fatto, va bene?
Ma perché non me
lo ricordo!”
D’un
tratto cadde sul divano.
“Mi
dispiace. Perdonatemi. Non volevo.”
Luisa
e Lance si guardarono per qualche istante. Allora
Lance sedette sul divano di fronte a loro.
“Argento.
Argento, guardami. Non hai nulla da
farti perdonare. Ora basta, è finita. Ora siamo di nuovo
insieme. Siamo tre
pezzi di anima ricongiunti, è tutto a posto. Non sei
più solo, ora.”
Ma
Argento non li guardava.
“Sono
dispiaciuto, io non desideravo dirvi questo.
Io non volevo che voi vi dispiaceste. Non volevo che aveste
pietà di me. Sono desolato
per quanto è successo.”
“Argento”
disse lentamente. “Non aver paura. Siamo
qui, adesso, siamo tutti qui. Ci siamo ritrovati, capisci? Non sei
più solo,
adesso, perché siamo qui, accanto a te. Hai capito
ora?”
“Argento”
ripeté Lance, con voce bassa e musicale.
“Guardami.”
Stancamente,
Argento sollevò lo sguardo dal
divano. Vergognoso, puntò due occhi, che erano verdi e
intensi e pieni di
dolore, in quelli grigi del giovane.
“Hai
paura?” chiese Lance piano.
“Ora
non più.”