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Autore: Flaren_    16/01/2012    0 recensioni
Una ragazza come tante altre, sognatrice, timida e romantica.
Un ragazzo inglese, più studente che professore, sicuro di sè, e senza un problema al mondo, ma con un segreto che si porta dietro da anni.
Cosa succederà a Ronnie quando Lucas, un misterioso ragazzo neolaureato, diventerà il suo professore di Letteratura?
L'amore per Shakespeare, per Oxford e un Liceo Classico di Roma sono le uniche cose che li legano, ma che riusciranno ad intrecciare i loro destini in un modo inimmaginabile, forse. O forse no.
Tra aforismi, tulipani olandesi e segreti mai svelati, può sbocciare l'amore tra un professore e una studentessa?
{Believe significa "credi". Credi in te stesso, credi nel Destino, credi nell'Amore. Credi in quello che vuoi, ma non smettere mai di farlo, perchè se non credi in niente... il niente è tutto quello che avrai. }
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Believe"
di
Flaren







Capitolo 1: Ronnie





<< Ehi, Ronnie, secondo te è giovane il nuovo prof? >>
Alla domanda che la mia amica Alessia, per tutti Alex, mi aveva posto pochi giorni prima avevo risposto dicendo che dal nome – Lucas E. A. Evans – sembrava abbastanza vecchio, a meno che non fosse nobile. Nessuno lo aveva mai visto né sentito nominare, perciò non si poteva avere una vera idea su di lui. L’unica cosa che sapevamo era che avrebbe preso il posto di Mancini, il nostro professore di letteratura, che era andato in pensione.
Invece, l’idea che mi ero fatta del nuovo prof – sulla quarantina, alto, con gli occhiali e magari anche un po’ stempiato – era totalmente sbagliata. Anzi, dire sbagliata era un eufemismo.
Quando entrò nella classe, dove si era creato un certo chiasso, tutti pensammo che fosse un studente più grande tornato a trovare i professori, non ci sfiorò neanche l’idea che potesse essere  lui, il misterioso Evans. E invece, era proprio quel ragazzo alto, biondo miele, con gli occhi talmente chiari da sembrare color ghiaccio, il nostro nuovo professore.
Entrò in classe con naturalezza, portando con sé solo la giacca, che sistemò sulla sedia dietro la cattedra.  
Nell’aula calò il silenzio, mentre tirava fuori dal cassetto un registro rosso fiammante, nuovo di zecca. Firmò attentamente quello di classe, si sistemò la camicia bianca, di cui portava le maniche arrotolate fino ai gomiti, e finalmente ci guardò.
<< Buongiorno, ragazzi. Come avrete capito, sono il sostituto del professor Mancini, che ha deciso di godersi la sua meritatissima pensione. Immagino che abbiate delle domande per me. >>
Sofia, la reginetta della classe, alzò la mano con un sorriso accattivante. Lui le fece segno di parlare mentre le labbra rosse e perfette si aprivano in un gran sorriso, scoprendo una chiostra impressionante di denti candidi e perfetti.
<< Quanti anni ha, prof? >>
Si levò un coro di risatine, mentre Evans si appoggiava alla cattedra, incrociando le gambe fasciate da jeans scuri. Era vestito proprio come uno di noi, come uno studente, anche piuttosto figo.
<< Ne ho venticinque. Qual è il tuo nome? >>
Lei fece un altro sorrisetto, sicura del proprio fascino. << Sofia Cardi. >> rispose, sbattendo le ciglia con aria civettuola, sotto lo sguardo torvo di Edoardo, follemente innamorato di lei – ovviamente non ricambiato – fin dal primo anno.
<< Lei è americano? >> chiese qualcun’altra, probabilmente Monica, la migliore amica di Sofia.
Scosse la testa. << Nel caso non fosse evidente dal mio accento, sono inglese, di Londra. >> rispose, forse con una punta di ironia che mi fece sorridere sotto i baffi.
Mi voltai per guardarla: arrossì e abbassò la testa, mormorando qualche scusa.
Decisi di fare una domanda io. Lo guardai negli occhi, essendogli proprio davanti, e lui ricambiò il mio sguardo, forse curioso, forse infastidito.
<< Che università ha frequentato? >>
Sorrise, soddisfatto. << Una domanda molto interessante, signorina …? >>
<< Ronnie Diamante >> risposi, sistemandomi i capelli ramati sulle spalle.
Annuì, e si sfregò le mani. << Mi sono laureato all’Università di Oxford, che sicuramente voi tutti conoscete.>>
I miei occhi si accesero di entusiasmo: il mio sogno era andare ad Oxford a studiare!
<< E, mi dica, com’è? I corsi sono difficili? Secondo lei le possibilità per uno studente straniero sono molto basse? >> chiesi, a raffica, mentre i miei compagni iniziavano a parlottare. Sentii qualche risata.
Sembrò sorpreso dal mio entusiasmo, inclinò la testa di lato e sorrise. << Credo che sia l’università migliore d’Europa, e per gli studenti meritevoli, signorina Diamante, anche se stranieri, le porte sono sempre aperte.>>
Il modo in cui pronunciò il mio cognome, con un tipico accento londinese, mi fece sorridere. Si vedeva che era da poco in Italia.
<< Prof, è fidanzato? >> ci interruppe Sofia, scatenando l’ilarità generale. Vidi Claudio che tirava una gomitata a Matteo, sussurrandogli qualcosa che non sembrava nulla di lusinghiero nei suoi confronti.
Alzai gli occhi al cielo. Sempre la solita civetta.
Evans sembrò infastidito dalla sua domanda, ma non fece una piega e rispose, tranquillamente: << No, non sono fidanzato. Se lo fossi stato, non avrei lasciato Londra. >>
Lei rise, divertita, e gli fece l’occhiolino, mentre la fissavo con aria disgustata. Provarci in quel modo, davanti a tutti, con un professore, per di più … bè, ai miei occhi suonava assolutamente maleducato e vergognoso.
<< Le ragazze inglesi devono essere molto cieche o molto addormentate, Lucas. >> disse, con quello che avrebbe dovuto essere un tono seducente.
Quella volta non rise nessuno, tutti gli sguardi erano puntati su di lei, che non solo aveva continuato a fare la gattamorta con lui, ma che oltretutto lo aveva chiamato con il suo nome di battesimo.
Questo sembrò infastidirlo molto: batté una mano sulla cattedra, decisamente irritato.
<< Gradirei molto se evitaste di usare il mio nome di battesimo, signorina. Preferirei che mi chiamaste professore come fanno tutti i vostri compagni. Sono sicuro che non accadrà più. >> disse, freddo e tagliente, fissandola torvo.
Lei arrossì vistosamente e chinò il capo. << Mi scusi. >> mormorò, e mi venne da ridere.
Iniziavo ad ammirare il nuovo insegnante, soprattutto per come aveva zittito Sofia: ero sicura che non si sarebbe mai più permessa tanto, dopo essere stata ripresa davanti a tutti. Per di più, non avrebbe potuto lamentarsi né accusarlo di niente davanti a qualche compagno o amico : tutti i presenti le avrebbero detto che Evans aveva ragione, lei aveva proprio esagerato.
Dopo aver risposto a qualche altra domanda, lui si sedette di nuovo alla cattedra, e iniziò a spiegare il programma, assolutamente interessante rispetto a quello che ci avrebbe proposto Mancini: quasi totalmente incentrato sulla letteratura inglese, con ampi spazi dedicati a Shakespeare, Austen e Brontë. 
Intuii che il prof doveva nutrire un particolare amore per alcuni degli autori: Mancini avrebbe dedicato molto meno a Shakespeare, ma avrebbe quasi sorvolato sulla Austen e avrebbe dato qualche sporadico cenno alla Brontë, concentrandosi soprattutto sulla letteratura francese e russa.
Decisi che Evans mi piaceva, come insegnante. Sì, era giovane, ma sapeva il fatto suo, e per di più, oltre a d avere i miei stessi gusti letterari, il fatto che si fosse laureato ad Oxford lo innalzava ancora di più ai miei occhi.
Quando la lezione finì, mentre tutti si catapultavano fuori dalla classe per godere dell’intervallo, io misi a posto con calma i miei libri, e quando alzai la testa vidi che mi fissava, soprappensiero.
Quando se ne accorse mi sorrise, e si alzò, venendo vicino a me. << Signorina, mi sembra di aver capito che le piacerebbe frequentare Oxford.>>
Annuii energicamente. << Oh, sì, signore! Mi piacerebbe davvero moltissimo! Ho sempre pensato che sarebbe stato bellissimo poter frequentare la facoltà di lettere di Oxford …>>
<< Il suo inglese è davvero perfetto, mi sorprende. >> si complimentò, inclinando la testa da un lato. << Ha anche un buon accento britannico. Uno dei suoi genitori è madrelingua?>>
Scossi la testa, passandomi una mano fra i capelli. << No, signore. Però mia madre lo parla bene, e fin da quando ero piccola ha cercato di farmelo imparare, parlandomi in inglese il più possibile. Successivamente mi ha fatto seguire dei corsi per il perfezionamento della lingua e dell’accento, ma la maggior parte di quello che so lo devo a lei. E fin ora, mi è sempre tornato utile. >> aggiunsi, con un timido sorriso.
Era davvero molto alto, all’incirca una ventina di centimetri più di me, perlomeno. Infatti, ero costretta a tenere il mento sollevato per poterlo guardare in faccia.
Sospirò, soddisfatto, e il suo respiro dolce mi inondò il viso, facendomi rabbrividire.
<< Ah, non sa che bello poter finalmente ascoltare qualcuno che dica più di quattro parole in croce, per di più con un pessimo accento. A volte riesco a stento a trattenermi dal correggerli. >>
Risi, divertita. << Sì, in effetti ha ragione, noi italiani non abbiamo un grande accento, quello della nostra lingua madre risulta molto pesante! >>
Annuì, ridendo anche lui. << Effettivamente sì, ma il fare domande, se mi permette, poco argute non rende di certo più piacevole la conversazione, per quanto possa essere bello, almeno per voi signore, perdersi in argomenti frivoli.  Anzi, a mio parere rende un discorso ancora più fastidioso e deprimente di quello che sarebbe stato altrimenti. >>
Quasi mi persi nei suoi ragionamenti, più che altro perché quando parlava le parole sembravano scivolare dalla sua bocca come dotate di vita propria, e non riuscivo bene a concentrarmi sul concetto che voleva esprimere.
<< Non posso darle torto, ma lei è stupito perché ancora non conosce le persone in questione. >>
Rise della mie espressione esasperata, e arricciò le labbra. << Immagino che queste persone non le vadano molto a genio. >>
Alzai gli occhi al cielo. Parlare con lui era davvero facile, naturale, quasi come respirare. << Immagina bene. Raramente non mi verrebbe voglia di far diventare muta una di loro, perlomeno per provare come sarebbe la mia vita se ci fosse più silenzio. >> sbuffai, mentre lui tratteneva le risate.
<< Non posso che trovarmi d’accordo. >> commentò, con un ghigno.
Dopo un attimo di silenzio per nulla imbarazzato, anzi, molto rilassato, mi ricordai quello che dovevo dirgli.
<< Oh, professore, trovo il suo programma molto interessante. Ho sempre pensato che Mancini avrebbe dedicato poco tempo alla Austen e a Shakespeare.>>
I suoi occhi cerulei si illuminarono. << Le piace Shakespeare? Qual è la sua opera preferita? >>
<< Sembrerò prevedibile, ma ‘Romeo e Giulietta ’ è quella che preferisco in assoluto. >>
Sorrise e chiuse gli occhi.
<< Oh, ma quale luce irrompe da quella finestra lassù? Essa è l'oriente, e Giulietta è il sole.
Sorgi, bel sole, e uccidi l'invidiosa luna già malata e livida di rabbia, perché tu, sua ancella, sei tanto più luminosa di lei. Non servirla, se essa ti invidia; la sua veste virginale e d'un colore verde scialbo che piace solo agli stupidi. Gettala via!
Ma è la mia dama, oh, è il mio amore! Se solo sapesse di esserlo! Parla eppure non dice nulla.
 Come accade? È il suo sguardo a parlare per lei, e a lui io risponderò. No, sono troppo audace, non è a me che parla.>>
<<…  Due delle più belle stelle del cielo devono essere state attirate altrove e hanno pregato gli occhi di lei di scintillare nelle loro orbite durante la loro assenza. E se davvero gli occhi di lei, gli occhi del suo volto, fossero stelle? Tanto splendore farebbe scomparire le altre stelle come la luce del giorno fa scomparire la luce di una lampada: in cielo i suoi occhi brillerebbero tanto che gli uccelli si metterebbero a cantare credendo che non fosse più notte.>> completai, sotto il suo sguardo attonito.
Mi fissò, a lungo, con un’espressione che non seppi decifrare.
<< E’ una delle mie preferite. >> confessai, leggermente rossa di vergogna.
<< E’ anche una delle mie preferite. >>
Il suono della campanella, acuto e stridente come il verso di un uccello, mi fece sobbalzare.
Lui sembrò riscuotersi, prese la giacca e il registro e mi salutò. << E’ stato un vero piacere, signorina. Le auguro una buona giornata. >>
Ricambiai il suo saluto, mentre, ancora mezza stordita, mi lasciavo cadere sulla sedia. I miei compagni iniziarono a rientrare in classe, alcuni in gruppetto, altri soli.
Alex si fiondò nel posto accanto al mio.
<< Allora, com’è questo Evans? >> mi chiese, curiosa, sistemando la borsa sulla sedia.
<< Giovane, ha venticinque anni! E si è laureato a Oxford, capito?! >>
Spalancò gli occhi. << Cavolo … com’è, carino? >>
Annuii energicamente. << Sì, davvero bello, biondo con gli occhi azzurri. >>
Si morse un labbro, ridendo. << Accidenti, mi dispiace proprio essermelo perso! Comunque, già si dice in giro che abbia dato una lezione a Cardi! >>
Risi e iniziai a raccontarle quello che era successo, mentre il professore dell’ora successiva chiudeva la porta della classe e iniziava la lezione.
 
<< Allora, Ronnie, di che avete parlato tu e il prof, durante l’intervallo? >>
La voce acuta di Sofia mi arrivò da dietro di me. Sospirai, e mi voltai.
<< Niente, mi ha solo raccontato un po’ di cose su Oxford … nulla di che. >>
Inarcò un sopracciglio. << Ma davvero … scommetto che già hai perso la testa per lui, allora. Shakespeare e Oxford? Il tuo ragazzo ideale. >> mi schernì, mentre le sue amichette ridevano come delle oche.
<< Perlomeno non mi ha chiesto di smetterla di provarci con lui davanti a tutti. >> ribattei, sbuffando divertita.
Divenne rossa di rabbia. << Bè, comunque era solo un gioco. E’ troppo secchione e cervellotico per me. >>
Annuii, con finta accondiscendenza. << Certo, certo, lo immagino. Voglio dire, è proprio brutto … >>
Stizzita, si voltò e alzò i tacchi. << Su ragazze, andiamo. >> disse, portandosi via le sue amiche.
Sospirai e uscii dalla scuola, avviandomi verso casa.
Stavo camminando persa fra i miei pensieri finchè una voce familiare non mi riscosse.
<< Signorina? >>
Alzai la testa e mi ritrovai davanti proprio l’oggetto dei miei pensieri, alla guida di un’auto nera, sportiva.
Il finestrino era abbassato e lui si sporgeva in fuori per parlarmi, con un paio di occhiali da sole sulla testa.
Era dannatamente bello, pensai, stordita dal suo sorriso.
<< Salve, professore! Come mai è ancora qui? >>
<< Dovevo sistemare un paio di cose con gli altri professori di inglese. >> mi spiegò, sorridendo. << E’ tutto okay? Mi sembrava abbastanza triste, prima. >>
Arrossii. << No, è che ero solo soprappensiero. Non ero triste, non si preoccupi. >>
<< Se lo dice lei … per caso gradirebbe un passaggio fino a casa? Non ho nulla da fare, e sarebbe un vero piacere. >> si offrì, e mi fece totalmente uscire di testa.
<< E’ molto gentile da parte sua, ma la mia casa è proprio qui vicino. >> risposi, sinceramente dispiaciuta.
<< Ah. Allora a domani, buona giornata. >> disse, deluso. Mi sorrise e alzò il finestrino, sgommando via.
Rimasi per qualche secondo immobile, in attesa che i neuroni riprendessero a lavorare.
Barcollai come una matta, e una signora anziana, sull’ottantina, con lo sguardo preoccupato mi chiese se avevo bisogno di aiuto.
<< Grazie, signora, ma va tutto bene. Sono solo stanca. >>
La vecchina mi sorrise dolcemente, e io ripresi la strada di casa.
 
 
 
   
 
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