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Autore: May90    17/01/2012    3 recensioni
[Marina]
["Marina" di Carlos Ruiz Zafòn]
[Spoilers sul finale!!!] (Tentativo di prima persona, spero convincente)
Michail Kolvenik.
In vita é stato un genio incompreso passato per un demonio.
In morte é stato un marito compianto.
Ora é una marionetta di legno e metallo, che desidera vivere ad ogni costo contro le leggi della Natura e della Vita.
Questa é la sua resa dei conti, la sua ultima possibilità, il bivio tra l'eternità e la fine.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzino urla il nome della sua bella, mentre il teatro si sbriciola come un castello di carte.

A dispetto della sua aria sconvolta, l’avvento delle fiamme non mi stupisce né mi spaventa.

Eppure mi sorprende che quello sciocco sia qui, disarmato anche se aveva a disposizione quella pistola, solo nonostante ancora una persona manchi al mio appello.

Guarda lei, guarda me ed ha paura. Teme che le abbia fatto del male.

Come se la Natura non ne avesse già fatto abbastanza a questa sua debole creatura. Basta toccarla per capirlo, vederla accartocciarsi a terra nel momento in cui l’ho appoggiata sulla piattaforma, sentire quell’essenza ruvida nel suo respiro appena il fumo ha cominciato a salire. Da quando l’ho depositata qui, non ha smesso di rivolgermi un’espressione comprensiva,  animata dalla condivisione di più di un’esperienza. Entrambi abbiamo visto l’ombra della fine allungarsi su di noi anche troppe volte. Entrambi sappiamo di non aver mai avuto abbastanza tempo, mentre ne vorremmo ancora moltissimo. Entrambi cerchiamo di vincere la morte, anche se in modi molto diversi.

Sa che sogniamo la stessa cosa, ma che solo io ho deciso di non arrendermi.

Per un istante, brevissimo, riesco ad ammirare la sua rassegnazione, la sua accettazione e sopportazione del destino. Poi quella vista mi causa quasi un male fisico dove i miei innesti si sovrappongono alla pelle, dove mi viene iniettato il siero, dove quel coltello mi ha ferito pochi giorni fa. Distogliamo quasi insieme lo sguardo e attendiamo fino a quel richiamo velato di terrore.

- Marina! -

 

Un vile sollievo appare sul suo volto, quando riconosce essere ancora in lei quella vita fugace.

E’ proprio uno stupido, il piccolo Oscar. Non vede che sta scomparendo. Non vede che muore ogni istante in cui ancora vive. L’ho visto a casa di lei, in sua compagnia, sempre a rincorrerla, eppure non si accorge che si sta spegnendo.

Se lo vedesse, ora non estrarrebbe quella boccetta. Se la terrebbe cara, stretta, fino a quando ne avrà bisogno per la sua triste sirena.

Non mi sento di essere troppo buono in questo momento e tanto sciocco da lasciarmi fregare da uno stupido. Non ora che ho ucciso con le mie mani anche Luis, che non ha avuto neanche il coraggio di spararmi. Non ora che sono vicino a continuare la mia vita e la mia vendetta sul mondo e sulla Natura. Non ora che attendo con ansia di incontrare Eva e mostrarle che aveva torto nell’impedirmi di lottare per vivere. Non ora che ho accanto la mia preziosa figlia, che mi capisce e mi sostiene. Altri cadaveri su questa strada non mi spaventano.

Quindi gli mostro la sua amica sospesa senza fatica su quell’abisso di fiamme e so che l’avvertimento lo ha colpito di pieno.

Si avvia, impavido, su quella passerella sospesa nel vuoto. Non bastano gli avvertimenti eroici, o disperati, di Marina.

Ma forse vorrebbe farli bastare per me.

- Non vuoi morire, lo so. – sussurra debolmente, solo per le mie orecchie – Ma neanche noi vogliamo, Michail. -

- Tu non hai scelta. – le rispondo, con quella voce dura che uso poco, perché poco mi sarebbe appartenuta. Una volta.

- Capisci, allora, perché non mi fai paura? – dice ancora, debolmente – Morirò come mia madre, lo so da tempo, e fa meno paura che vivere forzatamente, provocando il terrore negli altri. Per questo, mi fai pena. –

So che non è vero, ma forse proprio per questo non sopporto sentirglielo dire, con tutta la forza che una menzogna profondamente desiderata riesce a trasmettere.

La butto per terra e mi ritiro nell’ombra, come un animale ferito.

Penso a Marìa e spero solo che si sia messa in salvo da questo incendio. Da quando l’ho ritrovata, sono preoccupato per le sue reazioni: tutta la verità le è calata addosso improvvisamente e, nonostante collabori con il mio stesso entusiasmo al nostro progetto, fatica a concepire fino in fondo chi sono, chi siamo.

Penso a chi ho ucciso e so che solo Sentìs e i gemelli Glazunow se lo meritavano davvero. Ma Dio non guarda in faccia a nessuno e il mio regno non può essere peggiore del suo. Se mi fossero stati lontani e mi avessero lasciato vivere con i miei compagni, non avrebbero fatto questa fine.

Penso ad Eva, che ha certamente lasciato la boccetta al ragazzino perché salvasse la sua amata: un gesto romantico e fatalista, un gesto per la redenzione delle nostre anime, molto da lei. Dovrebbe sapere che non ho più interesse a proteggere i vivi. Non sono mai stato davvero un medico, lo lasciavo a Joan. Non sono stato fino in fondo un filantropo, la natura umana in se stessa mi ha sempre fatto orrore. Ho avuto considerazione solo per i viventi più danneggiati dalla Natura e per i morti che non lo meritavano. Poi ho amato lei, ma in questo non ci sono altri significati.

 

Torno a guardare l’equilibrista che è ormai molto vicino alla sua amata, tanto che sembra pronto a portarla via, approfittando della mia assenza. Mi godo il momento in cui scorge la sua speranza vanificarsi. E poi rinascere inaspettatamente con un gesto spettacolare, degno dello stupido che è: apre la boccetta e la sporge nel vuoto.

Se ha paura che li uccida non appena avrò ciò voglio, è nel giusto. Ma ha tirato troppo la corda.

Quel liquido mi serve. Ne ho bisogno. Non posso vivere senza. Non voglio morire di nuovo. Non voglio morire. Non voglio perdere. Non voglio farmi sconfiggere.

Non mi importa della ragazza, la scaglio via. Non mi importa del ragazzo, ma so che anche solo un’altra goccia smeraldina andrà persa sarò pronto a farlo a pezzi.

Ho avuto fretta e non mi sono accorto che quello stupido non aveva mai avuto intenzione di restituirmelo. Con questa frenesia folle, ho solo peggiorato le cose. Me ne accorgo quando la mia mano artigliata disintegra il flaconcino, comunque già vuoto dopo essere sfuggito a alla presa debole delle dita tese.

In un istante solo tutta la mia razionalità si spegne. Il diavolo prende del tutto il sopravvento.

Li uccido. Li uccido entrambi perché stanno ammazzando me.

Sono vicini, spaventati dalla mia reazione, certi che moriranno. 

 

Dimenticare lei! Che stupido!

E’ l’unica cosa che riesco a pensare mentre sento alle mie spalle la detonazione. Il corpo ricostruito mi fa percepire sul subito solo un pizzicore, vicino a dove dovrebbe battere il cuore. Quando un altro colpo fende l’aria e mi raggiunge ad una mano, che si frantuma con un fragore di legno marcio, sento sangue denso che scivola sulla pelle ruvida e altrettanto chiaramente le prime fitte di dolore, che mi attraversano come l’elettricità.

D’istinto mi giro a guardarla.

Eva é invecchiata in questi anni che ho trascorso in quella tomba, ma ha ancora la vita sottile e l’eleganza innata dei movimenti, che le permette di camminare sulla stretta passerella senza guardare a dove mette i piedi, ma solo me. E’ lieve come una delle mie farfalle, vestita dell’ampio abito nero, coperta dal velo scuro. Le mani raggrinzite stringono con forza la pistola di Luìs, caricata con i proiettili fabbricati da Joan, a giudicare dal dolore che mi sta attraversando.

E’ un beffardo contrappasso: le tre persone che più mi sono state vicine sembrano di nuovo unite nel volermi cancellare, come un errore. Forse è anche peggio: come un loro errore, qualcosa che dovevano interrompere sul nascere, lasciandomi morire di quella malattia deformante prima che potessi nascere a nuova vita.

Mi stanno tradendo un’altra volta.

Guardo la vigorosa determinazione di Eva, priva di alcuna compassione per il suo amato compagno, priva di comprensione per la vittoria alla morte che rappresento, priva di esitazione come un giustiziere che porti a termine la sua missione. Il dolore si fa subito più intenso e non posso evitarmi un gemito sofferente e disperato.

Non basta alla mia carnefice. Spara ancora e questa volta il ventre esplode dolorosamente.

Un uomo normale sarebbe già morto, ma sa bene che non lo sono più.

Mi disprezza, mi odia, anche lei come tutti gli altri.

Eppure potevamo ricominciare da dove tutto era finito, ora. Io sono ancora qui e noi ora siamo uguali: sopravvissuti al male della vita che ci voleva spazzare via, lei con l’acido che l’avrebbe divorata e privata dell’amor proprio, me con la malattia, la deformazione, la lenta consunzione.

Vorrei urlarglielo in faccia, vorrei aggredirla per farle paura, vorrei obbligarla ad amarmi ancora…

Ma l’ultimo colpo mi raggiunge alla fronte e le mie terminazioni nervose si scollegano velocemente. Mi ritrovo inginocchiato e l’ultima cosa che mi sento di fare è parlare o gridare.

E’ finita. Ho perso.

Vienimi a prendere, se esisti e ci tieni tanto. Nessuno mi vuole più su questa terra e io la odio con tutte le mie forze. Mi hai tradito, vita. Non ho mai avuto nulla da te e ora quel poco che ho cercato di guadagnarmi mi ha abbandonato.

 

Quando riprendo coscienza di me, due braccia sottili mi stringono in un abbraccio.

- Eva… -

Il sussurro è tanto lieve che sarei certo di averlo solo pensato, se non percepissi in lei l’onda di disperazione, cheha intensificato quella stretta. Il petto al quale sono appoggiato trema, mentre i primi singhiozzi suonano alle mie orecchie quasi irreali. Nonostante quel velo, per la prima volta le sono abbastanza vicino per intravvedere il suo viso, ancora irrimediabilmente segnato dalle bruciature e macchiato da una vecchiaia che non mi spaventa né mi infastidisce. A miei occhi, mentre incrociano i suoi, bellissimi entrambi, nelle loro opposte sfumature, è sempre la mia Eva. Non mi ha abbandonato.

- Porta via la tua amica. – incita i giovani innamorati, senza smettere di ricambiare il mio sguardo.

Per un istante, pur senza distrarmi dalla mia sposa, immagino il giovane sciocco che ancora coccola come un tesoro la fragile creatura. Non sa quanto dolore lo aspetta, non sa quanto rimpiangerà l’aver versato maldestramente il mio prezioso siero, non sa quanto sarà difficile ricostruire la sua esistenza dopo quella perdita.

Lo imparerà, come ho fatto io molto prima di lui per tante esistenze a me care, e allora mi capirà. Anche se la cosa non ha alcuna importanza.

Il fuoco avanza silenziosamente, ma lo sentiamo ormai pronto ad inghiottirci. Mi sto spegnendo lentamente in dolori insopportabili dove le pallottole hanno attraversato la carne ancora viva. La testa in particolare mi si sta spaccando in due. Mi tiene da questa parte solo la dolcezza con la quale la mia farfalla nera mi coccola e la sincera sofferenza con la quale mi guarda perdere definitivamente la mia essenza.

Sono al limite e le fiamme ci circondano, quando sento quella frase di speranza:

- Ce ne andiamo insieme questa volta, Michail. Non ci divideremo mai più. -

Mentre parla, sorride, fiduciosa, come faceva da ragazza, quando tutto le sembrava spaventoso e orribile, tranne lo stare con me.

Improvvisamente non mi sembra più una sciocchezza o una pia illusione. Vorrei dirle che voglio crederci. Vorrei dirle che sono contento che sia qui e che non mi disprezzi. Vorrei dirle che la amo.

Ma i miei sforzi mi permettono solo di abbozzare un sorriso.

 

Poi tutto diventa nero.

 

Ma non per sempre. Non questa volta…

§ § § § § § § § § § § § § § § § § § § § § § § § §

Un  piccolo tributo che volevo lasciare ad un personaggio che mi ha colpita  tantissimo (anche se forse non avrebbe dovuto, la cosa é un po' strana). 

L'ho scritto abbastanza di getto e nonostante l'abbia riletto e sistemato, sono convinta non sarà mai come l'avevo in mente.

Spero comunque  sia  gradito a qualcuno. ^^

  
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