Eccomi tornata! :) Pensavo davvero
che questo capitolo sarebbe
stato l’ultimo ma, ahimè, evidentemente nella mia
testa la storia è già bella
pronta mentre sulla carta tutte le mie idee sembrano diluirsi in lunghe
pagine!
Spero che continuerete comunque a
seguirmi in questi due o
tre capitoli che ci separano dalla conclusione della vicenda. Ora!
Passo a
ringraziare le persone che mi seguono e chi continua a recensirmi!
Tutto ciò mi
dà fiducia! :)
Buona lettura!
Sweet Pink
“Siete
una donna
bellissima, piccola ragazzina.”
Callie si girò su un
fianco e sospirò stancamente: no, non
aveva in alcun modo preso sonno, quella notte. E come avrebbe potuto? Il ricordo delle labbra di
Alexander le
bruciava nell’anima e nello stomaco da parecchie ore. Da
quando lui le aveva
dato la buonanotte, in realtà.
L’aveva riaccompagnata
presso il salotto, dove tutti gli
invitati erano ancora impegnati nei loro intrattenimenti, e
l’aveva lasciata
andare. Però, prima di questo, Alexander l’aveva
bloccata sulla soglia e di
nuovo si era impossessato delle sue labbra, come se non potesse farne a
meno.
Qualcuno avrebbe potuto vederli, ma a lui questo non sembrava
importare. E, in
tutta sincerità, nemmeno a lei.
Poi, non si
erano più
scambiati nemmeno una parola.
Callie si portò una mano
alle labbra: poteva ancora
sentirla, la lingua di Alexander, accarezzarla dolcemente e farla
precipitare
in un vortice di confusione e lussuria. Sì
poiché, era inutile negarlo, lei
avrebbe voluto davvero che quell’uomo mandasse in frantumi
anche l’ultimo
mattone di quel muro ormai in pezzi.
Le sue mani
e le sue
labbra avrebbero avuto il potere di farlo.
Per la prima volta dopo tanto tempo,
era pronta ad ammettere
con sé stessa di desiderare un altro uomo. Non solo dal
punto di vista
sentimentale, ma fisico. Certo, aveva flirtato con qualche giovane
negli anni
passati, ma non era la stessa cosa.
Da quando Henry Bell
l’aveva picchiata, umiliandola e
sottomettendola con la forza delle sue mani incollerite, da quando
aveva
calpestato la sua dignità e il suo cuore con le sue continue
bugie…Callie non
era riuscita più a fidarsi veramente degli uomini, a
pensare, un giorno, di
potersi concedere ancora una volta a qualcuno.
Ma ora era diverso. E a cambiarla era
stato proprio
quell’uomo impossibile che diceva di odiare.
Quell’uomo borioso che le aveva
salvato la vita, che le lasciava delle cicatrici ogni volta che la
toccava.
Lo voleva.
La ragazza si prese la testa castana
fra le mani con un
gesto secco e improvviso: a che pensava!
Non doveva dimenticare quanto male si
fossero inferti a
vicenda, non poteva scordare che il più grande ostacolo tra
loro probabilmente
era ancora in piedi e ben solido.
“Non
posso darti
quello che stai cercando, Callie.”
Ricordò il tremore leggero
della sua figura solida e forte,
mentre raccontava l’accaduto di molti anni prima. La sua voce
insicura, quasi
impaurita; così diversa da quel tono saccente e ironico a
cui lei era ormai
abituata. Alexander era un uomo ferito.
E amava
ancora Laura.
Non amava
lei.
Quel pensiero le provocò
una fitta dolorosa allo stomaco che
sembrava voler risalire, a tradimento, fino al cuore. La consapevolezza
di
essere, in fondo, solo una sostituta si propagava attraverso ogni corda
del suo
animo, avvelenandolo.
Perché
lui l’aveva
baciata.
Callie si alzò a sedere
sul letto, i lunghi capelli castani
che disordinatamente cadevano sul suo bel volto stanco. Davanti a lei,
l’oscurità di quella stanza grande e ordinata era
rotta solamente da pallidi raggi
di luna che filtravano attraverso le pesanti tende, appena socchiuse.
Avrebbe voluto dormire almeno un poco
e, in più, sentiva di
stare scottando. Si prese le guance fra le mani: erano così
calde. Forse aveva
la febbre.
“Siete
una donna
bellissima, piccola ragazzina.”
Alexander
bruciava…bruciava qualsiasi cosa.
La mattina dopo un tiepido sole e una
leggera nebbiolina
fecero capolino timidamente e avvolsero la tenuta dei Norris di uno
stupendo
manto dorato. Chiunque avesse osservato la villa, in quelle ore del
mattino, di certo
l’avrebbe trovata
ancora più signorile e magnificente di quanto non fosse
già; ma nessuno dei
padroni si era mai preoccupato troppo di questo aspetto: in generale,
David
Norris si interessava alla caccia, al gioco e agli affari, mentre era
Teresa ad
occuparsi dell’amministrazione della casa e dei figli. Il
marito le lasciava
totale potere decisionale sull’intera tenuta ed era stata
lei, appena arrivata
in Inghilterra, ad ordinare che fossero piantati gli immensi giardini
sul
retro.
Lei, che era cresciuta in una terra
di sole e fiori, non
poteva sopportare di vivere in una casa desolata e fredda. In quegli
stessi
giardini aveva giocato Alexander da bambino,
scorrazzavano scalmanati Jimmy ed Edward; in
quell’esatto punto,
all’altezza del roseto, Laura aveva accettato di sposare il
figlio maggiore dei
Norris.
E ora, al suo posto, Callie
Honeycombe si sporgeva verso una
rosa per poterne cogliere il profumo delicato. I suoi occhi nocciola,
solitamente luminosi e vivaci, sembravano distratti e distanti.
Alexander
l’ha avvelenata.
Questa era stata la considerazione
finale di Teresa Norris,
intenta ad osservare l’esile figura di Callie attraverso la
finestra della
camera da letto. Dall’alto, quella ragazza le sembrava ancora
più minuta e
gracile, come un ingenuo miraggio pronto a dissolversi da un momento
all’altro.
“Quella
ragazza…assomiglia a Laura.”
Teresa socchiuse gli occhi e
sospirò tristemente. Le parole
appena pronunciate da David Norris erano veritiere, lo sapeva. Ma
ammetterlo
direttamente le avrebbe causato troppo dolore.
Così si voltò,
pronta ad affrontare il marito a testa alta:
David era in piedi di fronte a lei, ritto come un solenne monumento di
marmo e
negli occhi brillava una severità che riusciva solamente ad
irritarla e
preoccuparla al contempo.
“Non hai la minima
intenzione di perdonare tuo figlio?”
“No, almeno
finché lui non riuscirà a perdonare sé
stesso
per ciò che ha fatto.” rispose freddamente
l’uomo, senza spostare di un millimetro
il suo sguardo da Teresa: era in collera con lui, era evidente.
“Ora sembra che sia
arrivato il momento.” sostenne con una
nota di furore la donna; le mani che minacciavano di strappare in due i
guanti
bianchi che teneva stretti fra le dita. “La signorina
Honeycombe gli sta
ridando speranza e vita, l’hai visto anche tu. Ha ripreso a
suonare.”
“Questo non sostiene
nulla.”
“È passato tanto
tempo!”
David ignorò la voce ora
apertamente inviperita di sua
moglie e ribatté, perfettamente sereno e stoico “
Assomiglia a Laura: Alexander
crede di potersi redimere, crede di amarla, ma è solo una
sostituta.”
“Ed è questa la vostra
umanità, signor Norris?! Questo ciò che pensate
di vostro figlio?”
David conosceva bene la moglie e
sapeva perfettamente che
quando questa si rivolgeva a lui con il voi
doveva temere tempeste d’ira imminenti. Questo non lo
trattenne comunque dal
dire: “ La rovinerà, lo sai anche tu.”
“Io credo in Alexander! Ho
fiducia in lui, cosa che voi non
avete minimamente, a quanto pare!” lo rimbeccò
Teresa con forza. L’avrebbe
strangolato, se solo avesse potuto: David, l’amore della sua
vita e padre dei
suoi figli, trattava uno di loro come un nemico. Non poteva
più perdonarlo per
questo.
Il signor Norris le voltò
le spalle e, con una calma
invidiabile, si avviò verso la porta della camera. Era
pronto ad uscire perché,
per lui, la conversazione era già finita. Soffriva nel
vedere Teresa contro di
lui e non riusciva a tollerare che potesse arrabbiarsi per un fatto
così
evidente.
Alexander
non amava
Callie.
“Molto bene. Voglio proprio
vedere cosa combinerà nostro
figlio.” asserì acidamente, per poi aggiungere
“ Ti aspetto di sotto, fra dieci
minuti. I nostri ospiti saranno già tutti in
piedi.”
Teresa aspettò che David
chiudesse la porta prima di
lanciare i guanti bianchi contro di essa: odiava la sua fredda
razionalità.
L’aveva sempre odiata!
Callie
era perduta
nel giardino segreto.
Quel nome gli era stato da Jimmy ed
Edward due anni prima;
quando Alexander, tornato da Londra per una visita alla famiglia, li
aveva
sfidati ad un estenuante nascondino. Anche se era ormai un uomo adulto
e
“rispettabile” non si negava mai un ora di gioco
con i fratellini più piccoli.
Comunque, al primo che avesse
scoperto il suo nascondiglio
nel parco, sarebbero andate dieci sterline. E, per i bambini, era una
ghiotta
tentazione!
Lo cercarono per tutto il pomeriggio
senza mai trovarlo.
Così, il suo nascondiglio fu ribattezzato il giardino
segreto anche se, a dirla tutta, non era che la porzione
di giardino più lontana dalla villa.
Quel giorno, i due fratellini non
erano stati né troppo
furbi né troppo fortunati e Alexander, come al solito, aveva
vinto.
Callie Honeycombe non sapeva tutto
questo e, con l’aria di
un’esploratrice sperduta nella giungla africana, si aggirava
fra gli alti
alberi e i cespugli sempreverdi osservando ogni angolo di quel
giardino. Era
semplicemente stupendo.
Come la madre, la ragazza aveva
sempre adorato i fiori e le
piante anche se non ne era particolarmente portata per la cura: non che
il
giardinaggio fosse compito di una signorina, s’intende, ma
ogni tanto invidiava
la delicatezza con cui il giardiniere di casa Honeycombe curava il loro
piccolo
giardino.
“è
bellissimo! Siete stato fortunato a
nascere qui!”
“Ma il mio non è
nulla paragonato a questo.” pensò Callie
alzando lo sguardo verso il cielo azzurro. Era stata una magnifica
mattinata di
sole, spazzata solamente da un vento pungente e freddo che faceva
irrigidire le
ossa sotto la pelle e i vestiti. Nell’aria, la ragazza
sentiva una strana
corrente elettrica che la portava ad avere un senso
d’aspettativa tutto
particolare: non aveva ancora incontrato il signor Alexander.
Non sapeva bene se voleva vederlo, in
effetti, perché
quell’uomo bruciava qualsiasi cosa. E lei non faceva
eccezione. Una notte
insonne non era bastata a comprendere come mai a tanta
felicità doveva
equivalere ora un senso di così disarmante malinconia.
Il mio
giardino, non è
nulla se paragonato a questo.
“…Aspettava
un
bambino, eravamo felici, facevamo progetti…”
Non poteva
nemmeno
essere paragonata ad una donna del genere.
“Non riuscite a fare altro
se non perdervi, signorina?”
La voce ironica e calda ebbe
l’effetto di risvegliarla dei
suoi cupi ragionamenti. Quella era la voce inconfondibile della sua
rovina che,
ancora una volta, l’aveva trovata senza alcun bisogno di
sapere dov’era. Callie
si voltò di scatto: Alexander James Norris era in piedi di
fronte a lei e,
malgrado i suoi occhi neri brillassero divertiti, le sembrò
stanco. Quasi come
lo era lei.
La ragazza arrossì un
poco, ma cercò di non scomporsi
troppo: “ Siete sempre così gentile, signor
Alexander...e voi? Mi stavate
pedinando?”
L’uomo sfoderò
uno dei suoi tipici sorrisi eleganti e
rispose, in tono del tutto casuale: “No, affatto. Mi sono
appena alzato, a dire
il vero, e ho pensato bene di venire qui a passeggiare. Sapete, fino a
prova
contraria, questa è casa mia.”
Callie era troppo impegnata a far
tacere il suo cuore
impazzito per potergli rispondere in tutta calma e serenità.
Ora che lui era
lì, fisicamente di fronte a lei, sentiva quasi di non poter
sopportare la sua
presenza perché i suoi occhi neri sembravano ardere. E anche
lei con loro.
“Siete
una donna
bellissima, piccola ragazzina.”
“Vi siete appena alzato? Mi
congratulo con voi, signore: è
mezzogiorno!”
“ Vi ringrazio di cuore del
gentile complimento,
perché io non mi desto mai prima delle due del
pomeriggio.” rispose ancora Alexander, accompagnando con un
gesto di noncuranza
le sue parole.
Si avvicinò di qualche
passo a lei e Callie, accorgendosene,
si fece istintivamente indietro: sentiva che lui le stava parlando con
quel
tono studiato che lei detestava perché voleva infastidirla.
Decise, per una
volta, di non dargli alcuna soddisfazione.
“E, di conseguenza, non
andate mai a coricarvi prima delle
quattro di mattina.” ribatté la ragazza con un
finto sorriso di serenità. Si
accorse di star tormentando un lembo di vestito con le mani e
così abbassò lo
sguardo, distogliendolo dagli occhi di lui. Magari senza vederli
sarebbe riuscita
a non impazzire.
Alexander sembrava non accorgersi
dell’agitazione di Callie
e continuava a parlare con il solito tono di divertimento misto a
noncuranza.
Si faceva sempre più vicino senza che lei potesse o volesse
impedirlo. La
ragazza, con lo sguardo ancora ostinatamente basso, si chiese se
l’uomo non
avesse proprio nulla da dire su quello che era accaduto la sera prima.
Sentì una fitta sgradevole
allo stomaco.
“…Non
si è minimamente
accorta che il signor Alexander si sta divertendo a giocare con
lei…”
Amava ancora
Laura.
Alzò lo sguardo nocciola
sull’uomo davanti a lei: le era
talmente vicino da poter udire ogni sfumatura del tono superficiale e
beffardo
con cui le si rivolgeva, riusciva ad intravedere il fuoco in quelle
iridi
nascoste da ciocche ribelli e corvine.
Non amava
lei.
“Voi non state ascoltando
neanche una parola di quello che
vi sto dicendo, non è vero?”
Callie si riscosse con un
sussultò violento alle parole
dell’uomo e, trovandolo piegato su di lei con il volto a
pochi centimetri dal
suo, fece per allontanarsi arrossendo furiosamente.
“No…no!
ecco...io…”
Ed era stato forse un movimento un
po’troppo veloce perché
si trovò a perdere l’equilibrio, il suo corpo che
si sbilanciava pesantemente
all’indietro.
Se non fosse stato per la presa
fulminea di Alexander, di
certo sarebbe caduta rovinosamente a terra. Fu così che, in
pochi secondi,
Callie si ritrovò attirata fra le braccia
dell’uomo tanto detestato e ora amato:
senza quasi rendersene conto, le mani piccole andarono a stringere il
suo
soprabito nero con forza e affondò il viso nel petto ampio
di lui, aspirando il
suo profumo pungente.
Alexander le accarezzò i
capelli castani con un gesto
incerto, ma molto dolce. Sentiva di essere completo così,
con Callie stretta a
lui: il ricordo delle sue labbra umide non aveva fatto altro che
tormentarlo
per tutta la notte. Non era riuscito a dormire.
La sera prima, lei non
l’aveva disprezzato. Non l’aveva
respinto: la signorina Honeycombe non lo detestava come aveva creduto.
Ma a lei
importava…lei, quella sera, voleva capire. Voleva
ascoltarti…
“
Io non vi odio
affatto.”
No. Era da
mesi che
stava bruciando per lei.
“Scusatemi, sono
terribilmente imbranata.”
La voce rotta
dall’imbarazzo proveniva da sotto di lui.
Alexander non riuscì a non sorridere: Callie era
semplicemente adorabile. Era
davvero piena di luce, una luce che lui temeva di spegnere...se solo
una forza
inarrestabile non spezzasse qualsiasi sua convinzione, portandolo
sempre a
desiderarla con tutte le sue forze. Attratto come una falena dalla
fiamma.
Callie era quella fiamma.
“…so
che vi farei del
male, proprio come è successo con…con
lei.”
“Davvero.”
assentì lui e, ignorando il lamento irritato
della ragazza, continuò: “Non vi siete mai chiesta
come mai riesco sempre a
trovarvi, senza sapere dove siete?”
Due occhi luminosi e perplessi si
alzarono su di lui: ora
Callie si stava chiedendo anche come l’uomo riuscisse sempre
ad indovinare con
esattezza i suoi pensieri. Ma Alexander non le diede né il
tempo né la forza di
rispondere perché aveva chiuso le sue labbra sottili su
quelle di lei e, quando
sentì la sua lingua premere dolcemente per entrarle nella
bocca, Callie si
arrese totalmente a lui.
L’aveva sconfitta: poteva
sentire il dolce sapore della resa
nel battito del suo cuore folle, nelle labbra di lui, nella sua anima
ormai interamente
sua, nelle sue mani che le premevano sulle guance in una carezza piena
di
passione.
Erano tutte
cicatrici.
Ora lei gli
apparteneva. Cuore e anima.
Alexander si allontanò di
malavoglia dalle labbra di Callie
e mormorò, sorridendo divertito: “Non lo sai,
Callie?”
E la ragazza sapeva che,
probabilmente, poteva esserci solo
una risposta possibile. Ma non poteva rispondere…non voleva rispondere. Sì, si
fidava di lui, ma non di sé stessa.
Non amava
lei.
“Non
posso darti
quello che stai cercando, Callie.”
Abbassò lo sguardo.
“Non lo so…” rispose, incerta. E sapeva
di stare mentendo.
Ebbe la sorpresa di vederlo
sorridere. Alexander lasciò la
presa su di lei con un movimento leggero e si allontanò di
qualche passo. “Oggi
pomeriggio…vorrei che veniste con me in un posto.”
le disse con una serietà non
sua.
“Perché?”
chiese Callie con una curiosità neanche troppo
velata. Si rese conto di pendere ormai quasi totalmente dalle sue
labbra:
sarebbe andata con lui fino in capo al mondo.
E questo non
so se sia
un bene…
L’uomo si
scompigliò i capelli neri con un gesto vago:
“Signorina Honeycombe, temo che dovrete fidarvi della mia
parola.”
La carrozza si allontanò
dalla proprietà dei Norris un’ora
dopo pranzo. Nessuno, tra proprietari e ospiti, si era meravigliato nel
sapere
che Alexander aveva invitato la signorina Honeycombe – e solo ed esclusivamente
lei – a venire con lui per un’uscita. Dove la
volesse condurre lo sapeva
probabilmente solo Alexander stesso.
Gli animi di chi osservò
la carrozza allontanarsi, però,
erano molto diversi: mentre Linda e Cecil erano i più sereni
al riguardo, David
Norris e consorte non lo erano altrettanto. Il padre di Callie, da
parte sua,
non avrebbe mai ammesso di esser geloso di quel damerino che le stava
portando
via la sua amata figlia maggiore. Sperava solo che tutto si concludesse
felicemente e al più presto.
Callie, che non era del tutto
consapevole di
quell’agitazione che si animava alle spalle sue e di
Alexander, fece tutto il
viaggio affacciata al finestrino fremente di curiosità e
eccitazione. Non
riusciva ancora credere come l’atmosfera fra lei e
quell’uomo si fosse
rasserenata di colpo, a come riuscisse a parlargli senza rischiare
l’infarto
così, all’improvviso.
No, meglio
non
pensare. Ancora una volta, come la sera prima, si sentiva follemente
felice.
“Guardate! Quella casetta
lassù, è isolata, ma magnifica! A
dire il vero, tutto il paesaggio è stupendo!”
Alexander non staccava gli occhi neri
da lei nemmeno per un
secondo. Sorrideva leggermente alle parole e ai gesti di Callie che, in
ginocchio sul sedile imbottito, sembrava proprio una bambina. Allungava
le mani
sul finestrino e avvicinava il viso al vetro, come se non volesse
dimenticare
neanche un frammento di ciò che stava osservando. Gli occhi
nocciola spalancati
e curiosi.
L’uomo si portò
una mano alle labbra sottili e trattenne una
risata divertita: solo averla vicina gli ridava vita. Luce.
Anche se quegli occhi avrebbe voluto
vederli su di lui, come
le sue mani piccole e curate che immaginò schiuse in una
carezza dolce e
sensuale sulla pelle: l’immagine di Callie sdraiata sotto di
lui e nuda, con un
viso adorabilmente arrossato, lo colpì con una forza tale da
farlo quasi
sussultare sul sedile.
Sapeva che
Callie era
sua ma…non lo era ancora abbastanza.
Fu così che, quando
arrivarono a destinazione, Alexander fu
sollevato dal dover scendere dal mezzo e non avere più la
ragazza così vicina.
Non sapeva se sarebbe riuscito a non toccarla ancora tanto a lungo.
Callie osservò con stupore
l’enorme casa che si innalzava di
fronte a lei: era di poco più piccola di quella dei Norris,
ma vi somigliava
parecchio; l’unica differenza era il verde. Qui il parco
sembrava esser
avanzato fino a lambire le finestre della villa, come se gli alberi
avessero
voluto fondersi con essa: non era un atto di trascuratezza, ma voluto.
Sembrava un castello delle fiabe, in
un certo senso, e la
ragazza l’amò dal primo momento.
“…volevamo
venire a
vivere tutti e tre in Inghilterra, vicino ai miei genitori.”
Questa
è casa sua.
Callie socchiuse gli occhi e
chinò la testa di fronte a
quella enorme costruzione: non era del tutto sicura di volerne varcare
la
soglia. Le pareva di entrare in un territorio sacro e invalicabile,
poiché
tutto quello che vi avrebbe trovato era portatore di dolorosi ricordi.
Amava ancora
Laura.
Soffrirai.
No. Lui
l’aveva
cambiata.
Ti
tradirà. Non fidarti. Ti
rovinerà.
No! Lei
l’aveva
cambiato. Con lei era diverso!
Tu non sei
lei.
Fortunatamente arrivò
tempestivamente Gordon, il
maggiordomo, ad accogliere lei ed il padrone sulla soglia e Callie fu
distratta
da quei pensieri così confusi.
“Bentornato
padrone.”
salutò, inchinandosi davanti ad Alexander. Poi
si rivolse alla
ragazza : “
Signorina
Honeycombe, è un piacere rivederla.”
Callie rispose al saluto, mentre
notava uno strano
sorrisetto addolcire le rughe sul volto dell’anziano.
Immaginò che fu davvero
contento rivederla in compagnia del suo signore e si accorse troppo
tardi di
stare arrossendo.
“Più
volte ho pensato
che volesse far di voi la padrona di questa casa…”
“Gordon, và ad avvertire Lucy del nostro arrivo e
dille di
preparare il tea. Voglio che sia servito il prima possibile,
d’accordo?”
Gordon annuì ed
esclamò, tutto sorridente: “Subito,
signorino! E dove desiderate che sia servito?”
Alexander si accigliò
all’agitazione gioiosa del suo vecchio
servitore e, guardandolo con finta indignazione, rispose “In quel posto. Ora và, prima che
la
signorina Honeycombe ti trovi troppo impudente!”
Callie, che se la stava ridendo per
il signorino utilizzato da Gordon,
si riscosse e asserì: “ Non siate
scortese, signore! Gordon sarà pure un domestico, ma
è di una premura mai
vista. Quando mi sono recata da voi, qualche mese fa, lui mi ha accolto
anche
se eravate già partito e mi ha trattato così
gentilmente!”
Alexander sgranò gli occhi
neri e la guardò, stupito: non
era a conoscenza di questo fatto. “Ma…cosa?!
Gordon!”
Il vecchio maggiordomo era
già lontano, si voltò solo per
congedarsi con un frettoloso quanto agitato inchino. Poi
sparì all’interno
della casa, battendo in ritirata.
Callie aveva assistito a quella bella
scenetta con il
sorriso sulle labbra e ora cominciava ad essere curiosa di sapere cosa
esattamente fosse quel posto.
Siccome
l’avrebbe comunque saputo presto, si rivolse ad Alexander e
commentò: “Non
dovete maltrattarlo.”
Il volto dell’uomo era
ancora voltato verso il punto in cui
il suo domestico era sparito. “è con
me da quando ero solo un bambino, quindi parecchi anni
fa…Credo che sia l’unico
dei miei servi che possa rivolgersi a me con quei toni da genitore
premuroso.”
rispose lui senza guardarla.
Callie studiava la sua espressione e
il suo tono di voce,
sorpresa: Alexander James Norris le si stava rivelando sempre
più sotto un
nuovo aspetto e una nuova luce. Non le sembrava nemmeno più
la persona che aveva
imparato a conoscere fin dall’inizio!
Qual
è il tuo vero io?
È
forse questo, non è
vero?
Ma tutto fu cancellato dalla sua voce
che la invitava ad
entrare in casa insieme a lui. Così Callie fece il passo e
oltrepassò quel
confine, specchio del passato dell’uomo impossibile che
diceva di amare.
La ragazza guardava Alexander aprire
la grande porta che li
divideva da quel posto. Era una
porta
imponente e in legno chiaro, intarsiata da motivi floreali che si
susseguivano
l’uno dentro l’altro: si chiese se, oltre la
soglia, vi fosse un altro mondo. E,
soprattutto, perché fosse stata ben chiusa a chiave.
La porta, aprendosi, non emise
nemmeno un cigolio e
Alexander si fece da parte per farla passare. Dipinta in volto
un’espressione
indecifrabile, un sorriso leggero che poteva esprimere qualunque cosa.
Callie si accorse di non aver
sbagliato di molto: poteva
benissimo trovarsi in un altro mondo. Perché quella stanza
differiva totalmente
dal resto della casa che aveva avuto modo di intravedere. Quel luogo
emetteva
luce: era immenso e alto, era candido, innocente, immutato. Era una
libreria
illuminata dalle ampie vetrate che davano sul giardino di fuori, quasi
un luogo
lontano dalla fredda Inghilterra.
Quel luogo
era Laura.
Callie con il cuore in gola e
l’espressione sbalordita, si
portò velocemente al centro dell’immensa sala:
ovunque attorno a lei si
innalzavano libri su libri. Erano centinaia!
Non riuscì a reprimere
un’esclamazione di meraviglia: “O mio
dio! È così bello…tutto
questo…non sembra neanche reale!” e
continuò a
guardarsi intorno freneticamente, camminando da una parte
all’altra, tra gli
alti scaffali. Come avrebbe voluto una libreria del genere in casa sua!
Ritornò verso
l’ingresso, ritrovando Alexander esattamente
dove l’aveva lasciato, appoggiato alla porta chiusa con le
braccia incrociate.
Callie si accorse che i suoi occhi neri non si staccavano da lei e,
improvvisamente, si sentì nuovamente ardere.
Non riuscendo a sostenere quello
sguardo, gli voltò le
spalle e chiese: “Questo luogo…era per lei, non
è vero?”
Alexander non fece in tempo a
rispondere perché un battito
leggero sulla porta annunciò l’arrivo di Gordon
con il tea. Il maggiordomo non
aveva la sua età per niente e capì subito che
aria tirava in quella stanza: non
pronunciò nemmeno una parola mentre appoggiava il vassoio
sul primo tavolo
disponibile e non fiatò nemmeno quando, con un inchino, si
ritirò. Lo sguardo
serio e impassibile di Alexander e l’ostinazione con cui
Callie gli stava
voltando le spalle bastarono a mettere in allarme il servitore.
Intanto la ragazza aspettava ancora
una risposta con un
senso di ansia tale da farle venire perfino la nausea. Le girava la
testa.
“Sì, ho
costruito questa stanza per lei.”
Il tono controllato di lui la
infastidì forse più di
qualsiasi sua affermazione pungente o ironica fatta fino ad allora.
Cercò di
non apparire troppo nervosa o, ancora peggio, gelosa: “Amava
leggere?”
“Sì. Passava
delle ore intere con lo sguardo perso nella
lettura, proprio come voi.”
Proprio come
voi.
Perchè
fa tutto questo
per me?
Tu non sei
lei.
“Perché mi avete
portato qui?” sbottò Callie, senza più
riuscire a nascondere il suo risentimento. Non avrebbe mai dovuto
seguirlo,
mettere piede in quella casa. In più, lo stomaco era
attanagliato dal senso di
colpa: essere gelosa di una persona ormai morta, non la faceva sentire
bene.
Udì Alexander portarsi
lentamente dietro di lei.
“Voglio che tutto questo
sia tuo.”
Callie, con il cuore che le
martellava ferocemente dentro,
si voltò di scatto: l’uomo era a meno di un metro
da lei e lo sguardo sicuro e
calmo che le rivolgeva, per un attimo, le fece paura. Ancora una volta,
non
stava affatto scherzando.
“Invece di guardarmi con
quella graziosa bocca aperta,
perchè non dite qualcosa?”
La ragazza arrossì
furiosamente, ma si riscosse in tempo per
potergli rispondere:” Vi ringrazio di cuore
ma…ancora non capisco perché vi
ostiniate a fare tutto questo. D’altronde sei stato tu a dirmi che da te, io, non potevo
avere nulla, no?”
“Non
posso darti
quello che stai cercando, Callie.”
La ragazza sentì uno
sgradevole sussulto nelle viscere
quando vide gli occhi neri di Alexander aprirsi in
un’espressione di amara
sorpresa. Abbassò lo sguardo per non vederli più.
Ma fu un errore, perché
ebbe l’effetto di far perdere
totalmente il controllo all’uomo che le stava davanti.
Callie si trovò
dolorosamente imprigionata fra lui e uno
scaffale in un attimo, mentre le mani grandi di Alexander le premevano
sui
polsi con decisione. Era accaduto tutto così in fretta che
non riuscì quasi a imporsi
di reagire.
Così alzò lo
sguardo su di lui, sorpresa.
“Ancora non
capisci?!” le gridò lui, con dipinta in volto
un’espressione rabbiosa a cui la ragazza non era abituata.
“Dimmi esattamente,
signorina Honeycombe, cosa devo fare per farti…comprendere
cosa nutro per te?! Non è abbastanza?!”
Gli occhi bui di Alexander le
bruciavano addosso, a pochi
centimetri da lei. E i suoi capelli corvini le solleticavano il volto
mentre il
loro padrone, senza aggiungere nient’altro, decideva di
prendersi le labbra di
Callie con decisione.
Era accaduto talmente
all’improvviso che Callie credette di
stare vivendo solo un sogno.
“Io
non sono come
quell’uomo.”
Il pavimento era gelido a contatto
con la sua schiena nuda
ma, stranamente, la sua mente era completamente persa
nell’atto di osservare.
Guardare e ammirare le sue piccole mani farsi strada sulla pelle
olivastra di
Alexander che, ora, nascondeva il viso fra i suoi capelli castani,
ormai tutti
in disordine.
“Io
non vi farei mai
del male.”
Ogni cosa. Tutto, in quei momenti,
era andato perduto,
dimenticato. Callie non sapeva più chi era Alexander, non le
importava. Non era
più la persona che aveva fatto emergere il suo passato, che
si era presa gioco
di lei, che l’aveva ferita, annientata. Non era
più il damerino tanto alla moda
e dal carattere altrettanto impossibile visto ogni settimana con una
signorina
diversa.
E non era più
l’uomo ferito con la moglie morta di cui lei
era la sostituta.
Solamente, era l’uomo che amava, sopra di lei e dentro di lei.
Alexander che la stava
prendendo completamente e, così facendo, le lasciava una
cicatrice che Callie
non avrebbe mai più potuto dimenticare.
“Io…non
ho fatto che
pensare a voi in questi due mesi.”
Tempo
prima, a Callie
sembravano ore, l’uomo le aveva sfilato il vestito e, senza
fretta, aveva
lasciato che lei potesse fare lo stesso con lui. La ragazza non aveva
avuto
alcun imbarazzo nel spogliarlo perché, paradossalmente, il
corpo di Alexander
le sembrava di conoscerlo da sempre. In fondo, stava bruciando da
talmente tanto
tempo che ormai non poteva più esser salvata.
E quando Alexander era andato ad
accarezzarla dolcemente tra
le gambe, ogni inibizione era stata abbandonata.
“Non
vi siete mai
chiesta come mai riesco sempre a trovarvi, senza sapere dove
siete?”
Callie si aggrappò con
forza alle sue spalle ampie,
chiudendo gli occhi, inseguendo ogni movimento che lui imprimeva dentro
di lei.
Un fuoco divampava e bruciava all’interno del suo corpo e in
quello di
Alexander: entrambi non avrebbero potuto dimenticarlo,
perché quello che stava
accadendo poteva significare felicità o rovina.
No. Non avrebbero più
dimenticato.
“Non
lo sai, Callie?”
Lo sentì gemere e quella
voce, quel gemito, le scaldò il
cuore: Alexander si abbandonava a lei, fra le sue braccia, sul suo
seno, fra le
sue gambe. Ovunque. Capì forse per la prima volta la reale
portata dei suoi
sentimenti, di quanto l’aveva sempre amato, proprio fin
dall’inizio.
Gli prese la testa corvina fra le
mani e lo baciò a lungo,
mentre quel movimento era sempre più veloce, deciso dentro
di lei. Serrò le
gambe attorno al suo bacino sudato mentre sentiva imminente il momento
di
massimo piacere. Non si stupiva più ormai di sentirsi
ansimare al suo orecchio,
perché tutto ciò che voleva era che Alexander non
si fermasse.
Non desiderava vederne la fine.
“Voglio
che tutto
questo sia tuo.”
Fino
all’ultimo
momento della sua vita.
Nota!
Per quanto riguarda la scena finale
di questo capitolo non ho
ritenuto necessario alzare il rating della storia stessa che ,quindi,
rimane
giallo.
Ok, lo so, potevo fare anche a meno
di specificarlo, vero? :)