Rating capitolo:
Verde
Personaggi: Doctor!Francis Bonnefoy
– Companion!Matthew
Williams
Osservazioni personali:
Uhm, queste note sono importanti per chi non
conosce Doctor Who, infatti questa è una one shot AU basata
nell’universo di
questo telefilm, e cioè, secondo la logica di
quest’ultimo questa fic è
totalmente possibile x°. In caso dunque non lo conosceste rimediate
subito
leggete queste righe. Che dire del doctah più famoso
nell’universo? Lui stesso
si definisce ‘a madman with a blue
box’,
definizione che gli calza a pennello. Il Dottore è un
alieno, appartenente alla
razza dei Signori del Tempo, che vanta fino ad ora 11 personificazioni
umane. È
in possesso del TARDIS, ovvero una navicella spaziale che viaggia sia
nello
spazio che nel tempo, e che ha la forma di una cabina della polizia
degli anni
’50, dal magnifico colore blu, seh. Dato che il dottore
è un donnaiolo
incallito si sceglie sempre una companion donna, ma visto che
a me piace lo
yaoi gli ho dato Canada al posto di qualche altra donzella BD. Beh, a
parte
dire che questa dovrebbe essere la sua ipotetica dodicesima
rigenerazione (sì,
può rigenerare il proprio corpo 12 volte) non ho altro da
dire. Aw, River mi
sta minacciando con la sua pistola per gli spoiler che ho scritto
(anche se
sono delle inezie, figuratevi ù_u è lei che
è fanatica LOL) quindi è meglio che
scappi *RUN! RUUUUUN! Muore*
Ah,
yeah. Ok,
questa coppia è
perfetta, cioè, the doctor and the who! *scappa
perchè inseguita da ben due fandom
e dalla sopraccitata River cha fa per tre(?). RUUUUUUUUUUN!*
Le
Docteur
Quella mattina,
per una volta in tutta la sua vita, si stava rivelando
meravigliosamente
normale. A Toronto splendeva tranquillamente il sole, gli uccellini
cinguettavano, le auto trafficavano le strade e i toronte-
toronti… insomma,
gli abitanti di Toronto conducevano la loro solita e noiosa vita di
sempre. Senza
contare che era una domenica mattina, Dieu,
praticamente la noia permeava quella città come ogni
domenica mattina che si
rispetti.
Tranne per quel
bambino che stringeva fra le braccia, certo.
Quanto tempo era
potuto passare? Cinque minuti scarsi? Beh, erano stati sufficienti
perché tutto
tornasse nuovamente alla normalità. E meno male per quella
sua insolita
fortuna, quel piccolo bambino dai capelli biondi che teneva quella
bolla di
apatia lontana da lui.
«Dovresti stare
attento quando attraversi la strada, lo sai? »
Il bambino
sorrise debolmente e lo guardò negli occhi, rallentando il
passo in quella loro
passeggiata improvvisata e stringendo quell’enorme pupazzo a
forma di orso fra
le braccia.
«Io sto attento,
però succede sempre lo stesso. »
L’uomo,
anch’egli dai capelli dorati, si fermò
improvvisamente, mentre guardava
corrucciato il piccolo. Non era normale, non proprio. Un bambino
qualsiasi
avrebbe messo su il broncio e avrebbe protestato, gridando che non era
colpa
sua. E invece lui no, lui aveva sorriso,
come se si stesse arrendendo a qualcosa di più grande di
lui. Insomma, quanti
anni poteva avere?
«Quanti anni
hai? »
«Sei.
»
Appunto, sei
anni. No aspetta, c’era qualcos’altro che non
andava.
«Hai sei anni e
i tuoi genitori ti fanno girare per la città da solo?
»
Il bambino strinse
ancor di più a se il peluche, che se avesse potuto sarebbe
diventato rosso per
la mancanza d’aria.
«Io non ho genitori.
Vivo in un orfanotrofio, e poi siamo a Toronto, cosa vuoi che mi
succeda qui?
Non succede mai niente. »
Logica
inoppugnabile, più o meno.
«Non sei stato
investito da un’auto per un soffio prima, questo lo chiami
niente? »
L’uomo
inarcò il
ciglio destro, una sua specialità, credetemi, e
guardò il bambino curioso.
«Te l’ho
detto,
mi succede sempre, ormai mi sono abituato. »
Se il piccolo
sospirò
triste, l’uomo alzò anche l’altro
sopracciglio per la sorpresa. Certo, essere
investiti ogni giorno è una cosa normale, come dargli torto.
«Al dice che
è
colpa di un alieno. »
«Al?
»
«Mio fratello,
lui è stato adottato da una famiglia di New York e sta
lì. »
Che cosa
terribile, veramente.
«Comunque,
parlavi di un alieno? »
«Sì,
è per
questo che porto sempre con me Pumijiro, così può
proteggermi. »
L’uomo si
abbassò sulle ginocchia, facendo in modo di essere alla
stessa altezza del
bambino e quindi poterlo guardare direttamente negli occhi.
«Si chiama
Kumajiro. »
«Cosa?
»
«Me l’ha
detto
il tuo orso, dice che non lo chiami mai con il suo nome.
»
Il piccolo
mostrò
un’espressione che raramente il suo volto poteva vantare, ne
era sicuro.
Insomma, lo guardò enormemente sorpreso.
«Puoi parlare
con il mio orso? »
L’uomo
tirò
leggermente la testa indietro mentre rideva.
«Certo, io sono le decteur! I peluche non sono nulla per
me. Ah, senza offesa Kumajiro. »
«L-le decteur?
»
«Sì, credo
che
il TARDIS si debba ancora riprendere, non riesce a tradurre bene
ciò che dico.
»
A circa
metà
frase, il bambino si perse completamente. Quell’uomo era
strano, ma strano in
senso buono.
«Le docteur…»
«Oui, e adesso vediamo
se tuo fratello Al ha ragione. »
Così,
senza
nemmeno dargli qualche istante per rendersi conto di cosa stesse
effettivamente
accadendo, quello strano dottore prese il volto del piccolo fra le
mani, e
cominciò a scrutarlo serio negli occhi. Il bambino trattenne
il respiro per la
sorpresa, mentre l’unica cosa a cui riusciva a pensare era
che le sue mani
erano enormemente morbide e calde.
«Come ti chiami?
»
«M..Matthew.
»
«Mathieu, bene. »
«No, Matthew.
»
«È quello
che ho
detto, non? Comunque ascoltami.
»
Il bambino
ingoiò
un po’ della sua saliva, e stavolta per l’ansia e
una decina di altre cause
messe insieme, trattenne ancora una volta il respiro.
«Mathieu, respira.
»
Beh, non era
proprio quello che si aspettava. Con un po’ di sforzo riprese
a respirare.
«Ha ragione?
»
«Chi?
»
«Mio fratello.
»
«Di sicuro ha una
bella immaginazione. »
«E..?
»
Il dottore
mantenne le mani sul suo volto, ma addolcì lo sguardo mentre
dava un’ultima
occhiata al suo volto.
«Filtro di
percezione. »
Matthew fece del
suo possibile per continuare a respirare, impresa in cui
riuscì pienamente, ma
il suo corpo cominciò ugualmente a tremare.
«Calmati Mathieu, non è una cosa
così grave, è
pure un filtro molto debole. »
«Ma
cos’è? »
«È una
tecnologia aliena che.. beh, mettiamola così: al tuo livello
rende molto
difficile alle persone distratte di accorgersi di te. E questo posto
è pieno
zeppo di persone distratte, primi fra tutti gli autisti, sempre con la
testa
fra le nuvole loro…»
«E Al…»
«Tuo fratello ti
vede, non? Si vede che ti vuole
bene.
»
Matthew si
rilassò nel sentire quelle parole, complice il sorriso del
dottore stesso.
«E posso fare
qualcosa per questo filtro? »
Il dottore
sorrise ancora, ma stavolta era un sorriso diverso. Non aveva il puro
scopo di
rasserenare Mathieu, gli era nato
spontaneo perché quel piccolo umano gli piaceva davvero. Da
tempo ormai
incontrava solo persone che volevano che lui risolvesse tutto subito, quel
piccolo
invece metteva in gioco tutto se stesso, e glielo stava dimostrando con
quelle
parole decise e con quello sguardo pieno di paura, finalmente uno
sguardo da
bambino.
«Certo, sono le decteur, non? »
Matthew
annuì
deciso.
«Allora fa
esattamente ciò che ti dico: aspettami.
»
Ci fu un momento
di silenzio che parve enorme, ma il dottore sapeva come
nessun’altro come il
tempo fosse un gran burlone in realtà.
«Vediamo…»
L’uomo
staccò un
mano dal volto del piccolo canadese per guardare il proprio orologio,
poi la
riportò dov’era. Matthew ne fu segretamente
contento, aveva sentito un freddo
spaventoso in quei pochi secondi.
«L’appuntamento
è qui, davanti a quest’albero. Ci vediamo alle
dieci e mezza del 18 gennaio 2027,
fra quindici anni esatti, che ne dici? »
«Quindici…
anni?
Dottore, sono troppi! »
Eccolo il suo Mathieu, eccolo a lamentarsi come un
bambino qualsiasi. Sorrise nel vedere quel piccolo progresso.
«Fidati di me, Mathieu, sono le
decteur. »
Qualche istante
di silenzio, di pura indecisione, e poi Matthew annuì
lentamente.
Da quella
promessa, da quella cabina blu scomparsa nel vento, passarono
esattamente
quindici anni.
Quindici anni di
attesa per il piccolo canadese, che nemmeno a specificarlo, divenne un
adulto.
Un adulto che, scoccate le nove di mattina, già si trovava
nello stesso luogo
in cui quindici anni prima, una volta solo, era scoppiato a piangere.
E invece adesso
aveva posato una piccola valigia blu a terra, blu come la cabina magica
del
dottore, e vi si era seduto sopra speranzoso.
Sì, e
avrebbe
aspettato anche tutto il giorno se fosse stato necessario! Un giorno
per il dottore,
un giorno di attesa per quello strano individuo, per quello che per
tutti era
solo un ingenuo sogno infantile. Per tutti tranne che per suo fratello,
che
seppur ridendo come un matto, gli aveva fatto promettere di passarlo a
prendere
quando sarebbe andato con lui.
Un giorno,
dottore, nove ore di attesa prima che tramonti il sole. Nove ore di
solitudine,
nove ore di scommesse nell’attendere il suo
dottore. Nove ore, prima che Matthew si alzasse da quella valigia blu
come
quella cabina, come il TARDIS, e dicesse addio per sempre a quel suo
sogno
infantile.
Nove ore, niente
di più.
Nove ore, e un
minuto. Un minuto in cui con un rumore assordante si fece strada per la
silenziosa Toronto. Mai rumore fu più dolce alle orecchie
del biondo canadese,
mentre si girava a vedeva la cabina blu. E poi uno scricchiolio, mentre
la
porta si apriva e ne usciva il biondo dottore.
«Mathieu?
»
E sorrise,
mentre pensava che avrebbe aspettato un po’ prima di andare a
prendere suo
fratello.
«Che peccato, hanno
tagliato
l’albero... »
«Dottore, lo sai che
sono
stato lì seduto per nove ore?
»
«Sei fortunato
allora,
l’ultima volta ho ritardato di sei mesi!
»
«…ah.
»