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Autore: chaska    18/01/2012    2 recensioni
Quella mattina, per una volta in tutta la sua vita, si stava rivelando meravigliosamente normale. A Toronto splendeva tranquillamente il sole, gli uccellini cinguettavano, le auto trafficavano le strade e i toronte- toronti… insomma, gli abitanti di Toronto conducevano la loro solita e noiosa vita di sempre. Senza contare che era una domenica mattina, Dieu, praticamente la noia permeava quella città come ogni domenica mattina che si rispetti.
Tranne per quel bambino che stringeva fra le braccia, certo.
[Personaggi: Doctor!Francis Bonnefoy – Companion!Matthew Williams ]
Genere: Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Rating capitolo: Verde
Personaggi:  Doctor!Francis Bonnefoy – Companion!Matthew Williams
Osservazioni personali:  Uhm, queste note sono importanti per chi non conosce Doctor Who, infatti questa è una one shot AU basata nell’universo di questo telefilm, e cioè, secondo la logica di quest’ultimo questa fic è totalmente possibile x°. In caso dunque non lo conosceste rimediate subito leggete queste righe. Che dire del doctah più famoso nell’universo? Lui stesso si definisce ‘a madman with a blue box’, definizione che gli calza a pennello. Il Dottore è un alieno, appartenente alla razza dei Signori del Tempo, che vanta fino ad ora 11 personificazioni umane. È in possesso del TARDIS, ovvero una navicella spaziale che viaggia sia nello spazio che nel tempo, e che ha la forma di una cabina della polizia degli anni ’50, dal magnifico colore blu, seh. Dato che il dottore è un donnaiolo incallito si sceglie sempre una companion donna, ma visto che a me piace lo yaoi gli ho dato Canada al posto di qualche altra donzella BD. Beh, a parte dire che questa dovrebbe essere la sua ipotetica dodicesima rigenerazione (sì, può rigenerare il proprio corpo 12 volte) non ho altro da dire. Aw, River mi sta minacciando con la sua pistola per gli spoiler che ho scritto (anche se sono delle inezie, figuratevi ù_u è lei che è fanatica LOL) quindi è meglio che scappi *RUN! RUUUUUN! Muore*
Ah, yeah.
Ok, questa coppia è perfetta, cioè,  the doctor and the who! *scappa perchè inseguita da ben due fandom e dalla sopraccitata River cha fa per tre(?). RUUUUUUUUUUN!*

 

 

 

 

 

 

 

 

Le Docteur

 

Quella mattina, per una volta in tutta la sua vita, si stava rivelando meravigliosamente normale. A Toronto splendeva tranquillamente il sole, gli uccellini cinguettavano, le auto trafficavano le strade e i toronte- toronti… insomma, gli abitanti di Toronto conducevano la loro solita e noiosa vita di sempre. Senza contare che era una domenica mattina, Dieu, praticamente la noia permeava quella città come ogni domenica mattina che si rispetti.

Tranne per quel bambino che stringeva fra le braccia, certo.

 

Quanto tempo era potuto passare? Cinque minuti scarsi? Beh, erano stati sufficienti perché tutto tornasse nuovamente alla normalità. E meno male per quella sua insolita fortuna, quel piccolo bambino dai capelli biondi che teneva quella bolla di apatia lontana da lui.

«Dovresti stare attento quando attraversi la strada, lo sai? »

Il bambino sorrise debolmente e lo guardò negli occhi, rallentando il passo in quella loro passeggiata improvvisata e stringendo quell’enorme pupazzo a forma di orso fra le braccia.

«Io sto attento, però succede sempre lo stesso. »

L’uomo, anch’egli dai capelli dorati, si fermò improvvisamente, mentre guardava corrucciato il piccolo. Non era normale, non proprio. Un bambino qualsiasi avrebbe messo su il broncio e avrebbe protestato, gridando che non era colpa sua. E invece lui no, lui aveva sorriso, come se si stesse arrendendo a qualcosa di più grande di lui. Insomma, quanti anni poteva avere?

«Quanti anni hai? »

«Sei. »

Appunto, sei anni. No aspetta, c’era qualcos’altro che non andava.

«Hai sei anni e i tuoi genitori ti fanno girare per la città da solo? »

Il bambino strinse ancor di più a se il peluche, che se avesse potuto sarebbe diventato rosso per la mancanza d’aria.

«Io non ho genitori. Vivo in un orfanotrofio, e poi siamo a Toronto, cosa vuoi che mi succeda qui? Non succede mai niente. »

Logica inoppugnabile, più o meno.

«Non sei stato investito da un’auto per un soffio prima, questo lo chiami niente? »

L’uomo inarcò il ciglio destro, una sua specialità, credetemi, e guardò il bambino curioso.

«Te l’ho detto, mi succede sempre, ormai mi sono abituato. »

Se il piccolo sospirò triste, l’uomo alzò anche l’altro sopracciglio per la sorpresa. Certo, essere investiti ogni giorno è una cosa normale, come dargli torto.

«Al dice che è colpa di un alieno. »

«Al? »

«Mio fratello, lui è stato adottato da una famiglia di New York e sta lì. »

Che cosa terribile, veramente.

«Comunque, parlavi di un alieno? »

«Sì, è per questo che porto sempre con me Pumijiro, così può proteggermi. »

L’uomo si abbassò sulle ginocchia, facendo in modo di essere alla stessa altezza del bambino e quindi poterlo guardare direttamente negli occhi.

«Si chiama Kumajiro. »

«Cosa? »

«Me l’ha detto il tuo orso, dice che non lo chiami mai con il suo nome. »

Il piccolo mostrò un’espressione che raramente il suo volto poteva vantare, ne era sicuro. Insomma, lo guardò enormemente sorpreso.

«Puoi parlare con il mio orso? »

L’uomo tirò leggermente la testa indietro mentre rideva.

«Certo, io sono le decteur! I peluche non sono nulla per me. Ah, senza offesa Kumajiro. »

«L-le decteur? »

«Sì, credo che il TARDIS si debba ancora riprendere, non riesce a tradurre bene ciò che dico. »

A circa metà frase, il bambino si perse completamente. Quell’uomo era strano, ma strano in senso buono.

«Le docteur»

«Oui, e adesso vediamo se tuo fratello Al ha ragione. »

Così, senza nemmeno dargli qualche istante per rendersi conto di cosa stesse effettivamente accadendo, quello strano dottore prese il volto del piccolo fra le mani, e cominciò a scrutarlo serio negli occhi. Il bambino trattenne il respiro per la sorpresa, mentre l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che le sue mani erano enormemente morbide e calde.

«Come ti chiami? »

«M..Matthew. »

«Mathieu, bene. »

«No, Matthew. »

«È quello che ho detto, non? Comunque ascoltami. »

Il bambino ingoiò un po’ della sua saliva, e stavolta per l’ansia e una decina di altre cause messe insieme, trattenne ancora una volta il respiro.

«Mathieu, respira. »

Beh, non era proprio quello che si aspettava. Con un po’ di sforzo riprese a respirare.

«Ha ragione? »

«Chi? »

«Mio fratello. »

«Di sicuro ha una bella immaginazione. »

«E..? »

Il dottore mantenne le mani sul suo volto, ma addolcì lo sguardo mentre dava un’ultima occhiata al suo volto.

«Filtro di percezione. »

Matthew fece del suo possibile per continuare a respirare, impresa in cui riuscì pienamente, ma il suo corpo cominciò ugualmente a tremare.

«Calmati Mathieu, non è una cosa così grave, è pure un filtro molto debole. »

«Ma cos’è? »

«È una tecnologia aliena che.. beh, mettiamola così: al tuo livello rende molto difficile alle persone distratte di accorgersi di te. E questo posto è pieno zeppo di persone distratte, primi fra tutti gli autisti, sempre con la testa fra le nuvole loro…»

«E Al…»

«Tuo fratello ti vede, non? Si vede che ti vuole bene. »

Matthew si rilassò nel sentire quelle parole, complice il sorriso del dottore stesso.

«E posso fare qualcosa per questo filtro? »

Il dottore sorrise ancora, ma stavolta era un sorriso diverso. Non aveva il puro scopo di rasserenare Mathieu, gli era nato spontaneo perché quel piccolo umano gli piaceva davvero. Da tempo ormai incontrava solo persone che volevano che lui risolvesse tutto subito, quel piccolo invece metteva in gioco tutto se stesso, e glielo stava dimostrando con quelle parole decise e con quello sguardo pieno di paura, finalmente uno sguardo da bambino.

«Certo, sono le decteur, non? »

Matthew annuì deciso.

«Allora fa esattamente ciò che ti dico: aspettami. »

Ci fu un momento di silenzio che parve enorme, ma il dottore sapeva come nessun’altro come il tempo fosse un gran burlone in realtà.

«Vediamo…»

L’uomo staccò un mano dal volto del piccolo canadese per guardare il proprio orologio, poi la riportò dov’era. Matthew ne fu segretamente contento, aveva sentito un freddo spaventoso in quei pochi secondi.

«L’appuntamento è qui, davanti a quest’albero. Ci vediamo alle dieci e mezza del 18 gennaio 2027, fra quindici anni esatti, che ne dici? »

«Quindici… anni? Dottore, sono troppi! »

Eccolo il suo Mathieu, eccolo a lamentarsi come un bambino qualsiasi. Sorrise nel vedere quel piccolo progresso.

«Fidati di me, Mathieu, sono le decteur. »

Qualche istante di silenzio, di pura indecisione, e poi Matthew annuì lentamente.

Da quella promessa, da quella cabina blu scomparsa nel vento, passarono esattamente quindici anni.

Quindici anni di attesa per il piccolo canadese, che nemmeno a specificarlo, divenne un adulto. Un adulto che, scoccate le nove di mattina, già si trovava nello stesso luogo in cui quindici anni prima, una volta solo, era scoppiato a piangere.

E invece adesso aveva posato una piccola valigia blu a terra, blu come la cabina magica del dottore, e vi si era seduto sopra speranzoso.

Sì, e avrebbe aspettato anche tutto il giorno se fosse stato necessario! Un giorno per il dottore, un giorno di attesa per quello strano individuo, per quello che per tutti era solo un ingenuo sogno infantile. Per tutti tranne che per suo fratello, che seppur ridendo come un matto, gli aveva fatto promettere di passarlo a prendere quando sarebbe andato con lui.

Un giorno, dottore, nove ore di attesa prima che tramonti il sole. Nove ore di solitudine, nove ore di scommesse nell’attendere il suo dottore. Nove ore, prima che Matthew si alzasse da quella valigia blu come quella cabina, come il TARDIS, e dicesse addio per sempre a quel suo sogno infantile.

Nove ore, niente di più.

Nove ore, e un minuto. Un minuto in cui con un rumore assordante si fece strada per la silenziosa Toronto. Mai rumore fu più dolce alle orecchie del biondo canadese, mentre si girava a vedeva la cabina blu. E poi uno scricchiolio, mentre la porta si apriva e ne usciva il biondo dottore.

«Mathieu? »

E sorrise, mentre pensava che avrebbe aspettato un po’ prima di andare a prendere suo fratello.

 

 

 

 

«Che peccato, hanno tagliato l’albero... »

«Dottore, lo sai che sono stato lì seduto per nove ore? »

«Sei fortunato allora, l’ultima volta ho ritardato di sei mesi! »

«…ah. »

   
 
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