Questa one shot l’avevo scritta un po’ di tempo fa per un concorso
indetto sul forum, che però non si è mai fatto. E’ nata in modo bizzarro…
Premetto che io ho sempre avuto una passione per i gemelli Weasley (anche se il
mio preferito è Fred….) ma li ho sempre immaginati un po’ più maturi di quelli
descritti dalla Rowling. Perciò ho deciso di ambientare questa storia nel
futuro, in modo che George sia più grande. Quando poi ho letto nel sesto libro
dell’incantesimo di cui cade vittima un altro personaggio che adoro, Katie
Bell… Beh, la mia testolina è partita per la tangente! E così ho iniziato ad
immaginare una storia tra George e Katie… E la storia si è formata praticamente
da sola, io non ho dovuto fare altro che scriverla. Leggendo la storia vi
renderete conto che ho alterato un po’ i fatti, spostando l’incidente di Katie
al secondo fine settimana ad Hogsmeade ( mentre nel libro Katie tocca la
collana nel primo fine settimana). E’ una piccola licenza necessaria per far
litigare George e Katie, spero mi perdonerete!
Infine una dedica. Questa ff è dedicata a colei che mi sopporta da
due anni a questa parte… Colei che mi segue passo dopo passo nella mia carriera
di scrittrice in erba, che mi fa da beta reader e da personal trainer quando mi
butto giù… Colei che con infinita pazienza sopporta quasi ogni pomeriggio via
msn le mie allucinanti concioni su Russell Crowe w e su tutte le storie che mi
vengono in mente… La mitica, dolcissima, ineguagliabile Sissi alias Clopina, che oggi
compie gli anni!!! Tanti, tanti auguri Sissina!!! Bene, io ho finito… Vi lascio alla storia!!! Mi raccomando, se
avete tempo lasciate una piccola recensione, anche se negativa, le critiche
sono sempre accettate!
UNA
NOTTE LUNGA UNA VITA.
Prologo.
Stai dormendo
abbracciata a me, come ogni notte da quando ci siamo sposati. Mi sono svegliato
diversi minuti fa, non so per quale motivo, e ti sto guardando.
I tuoi capelli neri come la notte sono
sparsi un po’ sul cuscino e un po’ sul mio petto, gli occhi sono chiusi e le
labbra piegate in un lieve sorriso.
Non mi stancherei mai di guardarti, sei
così bella da non sembrarmi vera. Ti accarezzo piano le mani, poi le braccia
fino alle spalle, ti sfioro le labbra con un dito.
Ti muovi leggermente, il tuo sorriso si
allarga e le tue braccia mi stringono ancora di più. Allora rimango immobile,
per non svegliarti, e per parecchi minuti mi beo del profumo dei tuoi capelli e
della tua pelle di seta.
Provo a riaddormentarmi, ma il sonno non
viene. Allora mi alzo piano, scosto le tue braccia dal mio corpo e in punta di
piedi mi dirigo in cucina. Prendo un bicchiere di latte, poi decido di berlo in
soggiorno. Sprofondo sul divano, guardandomi intorno.
La nostra casa l’abbiamo arredata
insieme, e in due anni l’abbiamo resa sempre più nostra. Alle pareti ci sono le
foto dei nostri momenti più belli, ci sei tu con tuo fratello, io con tutta la
mia tribù, il nostro nipotino, il figlio di mio fratello Bill e di sua moglie
Fleur, e soprattutto la foto del giorno del nostro matrimonio. La guardo, meravigliandomi che siano passati
già due anni, a me pare ieri.
Se chiudo gli occhi riesco addirittura a
sentire la stessa emozione di quel giorno, il batticuore, il mio nervosismo e
Fred e Lee che mi prendevano in giro…
“Calmati, le spose sono sempre in
ritardo!” mi ripetevano mentre io guardavo nervosamente l’orologio.
Poi
finalmente il portone della chiesa si aprì ed entrasti tu al braccio di tuo
padre, bella come un sogno.
Ricordo che le gambe iniziarono a tremarmi,
non mi ero mai sentito così emozionato. Mi appoggiai a mio fratello Fred che
sghignazzava, ancora oggi mi prende in giro per la mia emozione di quel giorno.
Tu arrivasti davanti a me, mi fissasti con
i tuoi splendidi occhi neri, spendenti di felicità, e mi dicesti a bassa voce:
“Scusami per il ritardo…”
In
quel momento avrei voluto stringerti fino a farti male ed urlare a tutto il
mondo che eri mia, ma mi trattenni, ti presi la mano e ti risposi:
“Non c’è di che… Altri cinque minuti e me
ne andavo!” Anche quella volta sfoderai la mia ironia caustica per difenderti,
come ho sempre fatto per tutta la mia vita.
Finisco di bere il latte e mi allungo sul
divano, e all’improvviso mi viene in mente un altro giorno, un giorno di cinque
anni fa. E’ strano che mi torni in mente proprio ora che tutto è passato, ora
che sei mia, ora che nulla potrà più separarci… Eppure lo ricordo come se fosse
ora. Era una piovosa giornata di novembre, ed il mio umore era perfettamente
intonato alla giornata…
**********
Novembre, cinque anni prima.
Piove a dirotto da due giorni, la strada acciottolata davanti al
negozio è lucida di pioggia e riflette le luci al neon della vetrina del nostro
negozio. Anche oggi c’è stato il solito viavai di clienti, a quanto pare
neppure la pioggia riesce a tenere lontani i nostri avventori.
In questo momento sono
alla cassa, mentre Fred mette in ordine le scatole che un cliente ha
sparpagliato sul bancone e Lee serve un’arzilla ottantenne in cerca di un
Filtro d’Amore, e da come lo guarda temo proprio che voglia sperimentarlo su di
lui.
E’ ormai un anno e
mezzo che io e Fred abbiamo aperto il nostro negozio di scherzi, ed ora che Lee
si è diplomato e ci ha raggiunto il nostro sogno è perfettamente realizzato.
Fino ad un mese fa ero assolutamente e perfettamente convinto di aver raggiunto
il massimo dalla vita, ma ora sinceramente mi importa molto poco di tutto
questo. Certo il lavoro è una vera benedizione, almeno mi impedisce di
impazzire e mi costringe a rimanere ancorato alla realtà, ma l’entusiasmo e
l’energia che avevo una volta li ho persi e non so se riuscirò mai a
ritrovarli.
Guardo l’orologio e mi
riscuoto, è quasi ora del nostro appuntamento quotidiano. Faccio un piccolo
cenno a Violet, lei capisce e corre a darmi il cambio. Vado nel retrobottega e
subito mi raggiungono Fred e Lee.
“Vai da lei?”
“Salutamela!”
“Sì, e se ci sono novità
facci sapere!”
Li guardo con affetto, sanno benissimo che in questo momento ho
bisogno più che mai del loro conforto e mi aiutano come possono. Noi tre ci
siamo sempre capiti senza parlare, io e Fred perché siamo gemelli e finora non
abbiamo passato neppure un’ora separati, e Lee… Non so perché, credo che sia il
concetto delle anime gemelle esteso all’amicizia. Quello che so è che fin da
quando, a undici anni, io e Fred incrociammo le nostre strade con la sua noi
tre abbiamo formato un trio perfetto ed inscindibile.
Un nodo di pianto mi
serra la gola, ma non posso crollare ora… Crollerò stasera, al buio, in camera
mia, ma ora no.
Abbraccio Fred e Lee,
poi mi Smaterializzo. Quando mi Materializzo mi ritrovo nell’atrio del San
Mungo, l’ospedale dei maghi. C’è il solito viavai di pazienti e malati, la
giovane strega dietro il bancone della reception mi vede e mi strizza l’occhio.
Si chiama Juliet ed è molto simpatica,
quando c’è lei di turno mi fermo sempre a scambiare due parole prima di andare
via. Ricambio l’occhiolino, salgo sull’ascensore e premo il pulsante col numero
quattro. Mentre salgo mi ritrovo a pregare silenziosamente perché tu stia bene,
perché oggi sia una giornata migliore di ieri.
Finalmente l’ascensore si ferma al piano,
scendo ed entro nel reparto Lungodegenti. Cammino per qualche minuto fino alla
porta della tua stanza, poi mi accingo ad entrare.
“Ciao, Cupido! Anche oggi qui?”
“Ciao,
Rosy! Come sta?”
“Dorme… Oggi è stata una buona giornata!”
Sorrido. Rosy è l’infermiera più giovane e più simpatica del reparto.
Credo che si sia un po’ innamorata di me, alcune volte mi guarda sospirando e
dice che come al solito è arrivata in ritardo. Io mi limito a dirle che prima o
poi anche lei incontrerà il suo Principe Azzurro, poi torno a concentrarmi su
di te.
Entro piano nella stanza, quasi avessi
paura di svegliarti, poi chiudo la porta alle mie spalle. Tu sei lì, nel letto,
sembri profondamente addormentata. Solo il pallore estremo del tuo volto ed il
colore esangue delle tue labbra rivelano la gravità delle tue condizioni. Mi
avvicino e ti bacio piano le labbra, poi mi siedo accanto a te.
“Ciao, Katie, come stai? Io tutto bene. Sai, oggi mi è successa una cosa
stranissima…”
Inizio a parlarti di mille sciocchezze
nella speranza che tu riesca a sentirmi e magari rispondermi… Mentre la mia
bocca inanella mille parole inutili la mia mente sta ripassando come un film
tutta la nostra vita insieme.
Mi ricordo ancora il primo giorno che ti
incontrai, il primo settembre di sette anni fa. Io avevo dodici anni, avevo
terminato il primo anno ad Hogwarts e quel giorno, insieme a Fred e Lee, ero
appena arrivato al binario nove e tre quarti e mi accingevo a prendere
l’Espresso per Hogwarts, che ci avrebbe riportato a scuola dopo le vacanze
estive.
Ti notai subito in mezzo alla calca. Avevi
undici anni ma ne dimostravi molti di meno, eri uno scricciolo tutto denti,
occhi e trecce nere. Non so cosa mi colpì di più, se fu la tua apparente
fragilità, lo scintillio dei tuoi occhi neri o la comica smorfia in cui avevi
contratto il tuo visetto tentando di caricare sul treno un baule grosso il doppio
di te. Quello che so è che ti corsi
accanto e afferrai il baule prima che ti rovinasse addosso.
“Ti aiuto, lascia fare…”
“NO!
Ce la faccio da sola…” borbottasti caparbia, sollevasti di nuovo il baule… E di
nuovo lo afferrai un attimo prima che ti cadesse addosso.
“Da brava, aspetta…” dissi in tono
condiscendente, poi afferrai il baule e lo issai sul treno.
“Ecco fatto, piccolina…” mi venne spontaneo
chiamarti così, malgrado avessi solo un anno più di te ero più alto di almeno
dieci centimetri e pesavo almeno dieci chili più di te. Tu mi fulminasti con
un’occhiata assassina, poi borbottasti un “Grazie” tra i denti e corresti via
trascinandoti il baule lungo il corridoio.
Dopo pochi minuti il treno partì e quando
io, Fred e Lee entrammo nello scompartimento centrale, quello in cui sedevamo
sempre, trovammo te strenuamente impegnata nell’ardua impresa di caricare il
baule sulla reticella dei bagagli. Ovviamente corremmo al tuo soccorso, cosa
che ti fece infuriare ancora di più, poi procedemmo alle presentazioni.
“Siamo George e Fred Weasley.”
“Lee
Jordan!”
“Katie Bell…” bofonchiasti a mezza voce,
sedendoti immusonita. Ben presto però iniziammo a coinvolgerti nei nostri
scherzi, e tu dimenticasti il tuo cipiglio da dama offesa. Insomma, arrivammo
ad Hogwarts che già eravamo amici.
Quando entrasti nella Sala Grande insieme
agli altri ragazzini del primo anno per lo Smistamento io, Fred e Lee
incrociammo le dita sotto il tavolo, e quando il Cappello Parlante ti assegnò a
Grifondoro, la nostra Casa, esultammo. Nacque così la nostra amicizia, malgrado
fossi più piccola di noi ti inseristi alla perfezione nel nostro gruppo.
********************
Quando iniziai a capire che provavo
qualcosa di più dell’amicizia per te? Era il mese di novembre, era già passato
un anno dalla prima volta in cui ci eravamo incontrati.
Tu ed Harry Potter eravate entrati nella
squadra di Quidditch della nostra Casa ed avevamo aperto la stagione con
un’esaltante vittoria sui Serpeverde, i nostri odiatissimi rivali. Quella sera
festeggiammo fino a tardi e bevemmo fiumi di Burrobirra. Alla fine ci
addormentammo tutti in sala comune, troppo ubriachi per salire fino ai nostri
dormitori.
In piena notte mi svegliai. Ti eri
addormentata accanto a me e nel sonno ti eri avvicinata facendo aderire il tuo
corpo al mio, la tua testa poggiata sulla mia spalla. Non so se fu il riflesso
dei raggi di luna sulla tua pelle candida, la carezza di seta dei tuoi capelli
o l’espressione dolce e fiduciosa del tuo viso, fatto sta che d’un tratto non
vidi più in te il simpatico folletto che mi faceva morire dal ridere con le sue
battute e che si comportava sempre come un maschiaccio, per la prima volta mi
accorsi che eri una ragazza e che ti desideravo come mai avevo desiderato nulla
prima di allora. Ricordo che ti accarezzai i capelli, poi feci per posarti un
bacio leggero sulle labbra, ma a metà strada mi fermai e mi scostai da te.
Non riuscii a riaddormentarmi fino
all’alba, ma il mattino successivo ti trattai esattamente come al solito, con
la solita allegria cameratesca.
Perché non ti dissi nulla? Perché non
riuscii ad ammettere neppure con me stesso che mi stavo follemente innamorando
di te? Innanzitutto perché avevo solo tredici anni e l’intensità di quel
sentimento mi spaventava, e poi perché non credevo di essere alla tua altezza.
E già, il mio maledetto complesso di inferiorità nei tuoi confronti nacque
proprio allora, e con gli anni non fece che accentuarsi.
Tuttavia quella notte aveva risvegliato
qualcosa in me, e visto che non potevo avere te decisi di avere tutte le altre.
Iniziò così la mia carriera di latin lover. Le occasioni non mi mancavano, le
ragazze trovavano me e Fred semplicemente irresistibili. Ben presto diventai un
mito nel mio dormitorio, ma tu mi prendevi sempre in giro.
“Ma non vedi che è un’oca? Non ha un grammo
di cervello!”
“Non serve che abbia cervello, basta solo
che sia bella…”
A questo punto ti mettevi a ridere e
troncavi la discussione, oppure ti infuriavi, sbattevi i libri sul tavolo e
correvi nel tuo dormitorio, e poi mi tenevi il muso due giorni. Se fossi stato
meno cieco e più sicuro di me avrei certamente capito che eri gelosa marcia di
me e che non sopportavi che mi gettassi in storie senza importanza. Solo Fred e
Lee sapevano la verità e spesso nelle interminabili notti passate a
chiacchierare mi spronavano a gettare la maschera.
“Diglielo, George!”
“No.
Lei è troppo per me…”
E
così passarono gli anni. Tu non eri più uno scricciolo, eri diventata una ragazza
bellissima e a me pesava sempre di più recitare la parte dell’amico. Oltre alla
tua bellezza, però, con gli anni aumentava anche il nostro divario: io ero
sempre più svogliato a scuola, le uniche cose in cui eccellevo erano il
Quidditch e i guai, mentre tu eri una delle studentesse più brillanti,
eccellente giocatrice di Quidditch e dotata di una lingua e di un cervello
estremamente affilati. Perciò, per quanto fosse difficile esserti amico, mi ero
convinto di non poter aspirare a nient’altro.
Uno dei più bei ricordi che ho di quegli
anni è la sera di Natale del quinto anno, la sera del Ballo del Ceppo.
Quell’anno c’era il Torneo Tremaghi, ad Hogwarts c’erano ragazzi di altre
scuole e tutti erano euforici. Non so neppure io dove trovai il coraggio di
invitarti, tremavo di paura ma come al solito mi barricai dietro il mio solito
cinismo. Tu mi fissasti per un lungo momento, poi te ne andasti senza dirmi ne
sì ne no.
La sera del ballo eravamo tutti in
fibrillazione, io poi non ero neppure sicuro di avere la dama! Quando ti avevo
chiesto di nuovo se saresti venuta, infatti, mi avevi risposto con una frase
sibillina.
“Alle
otto in sala comune”
Alle otto scesi, ma tu non c’eri ancora.
Deluso mi sedetti su una poltrona, poi sentii aprirsi la porta del dormitorio
femminile.
Ti vidi scendere le scale, eri un sogno
con quell’abito rosso e i capelli raccolti.
“Sono abbastanza carina per accompagnare il
playboy più rinomato di Hogwarts?” mi dicesti ridendo.
Non
risposi, ti presi sottobraccio e scesi in Sala Grande tenendoti stretta a me.
Te lo ricordi il primo allenamento del mio
ultimo anno? Io e Fred avevamo iniziato a mettere a punto le Merendine
Marinare, tu ti prendesti una pallonata dritta sul naso e Fred ti diede per
sbaglio una Vescicola Sanguinolenta. Andò a finire che dovetti portarti in
infermeria in braccio, e solo il tempestivo intervento di Madama Chips ti
impedì di morire dissanguata. Ebbene, ricordo che ad un certo punto ti
abbandonasti tra le mie braccia, poggiando la testa sulla mia spalla proprio
come quella notte di tanti anni prima. Non ci crederai, ma ricordo quel momento
come uno dei più belli della mia vita.
Quell’anno notai in te un cambiamento, non
ti andava più di ascoltare le mie confidenze sulle mie mille avventure, spesso
mi lasciavi solo all’improvviso oppure ti trinceravi dietro un libro
borbottando:
“Finiscila e pensa a studiare!”
Erano
tutti segnali chiari della tua sfrenata gelosia, ma ero ancora troppo cieco per
leggerli.
Quell’anno, comunque, finì in modo
disastroso per me e Fred. Ad aprile, dopo la fuga di Silente, la Umbrige, la
nuova preside, ci beccò mentre combinavamo uno dei nostri soliti guai. A quel
punto rompemmo gli indugi e decidemmo di lasciare la scuola e di avviare la
nostra attività.
Non dimenticherò mai il modo in cui mi guardasti mentre scappavo da
scuola, il tuo sguardo tra lo sconcertato e il deluso me lo sono portato dentro
per un sacco di tempo. Quel giorno ero convinto di aver messo una pietra
tombale su ogni mia aspirazione nei tuoi confronti. Quali speranze potevo avere
io, povero, ignorante e neppure diplomato, con te, bellissima,
intelligentissima e corteggiatissima?
E invece mi sbagliavo, quell’estate
iniziasti a piombare al negozio a qualunque ora, mi dicesti che avresti passato
l’estate a Londra da tua zia e che ti faceva piacere vedere i tuoi vecchi
amici.
Iniziammo ad uscire la sera, sempre io e
te perché, malgrado li invitassimo, quelle due volpi di Fred e Lee declinavano
i nostri inviti, adducendo impegni inderogabili.
E finalmente una sera, sotto casa di tua
zia, te lo dissi. Mi uscì all’improvviso, nel bel mezzo di un discorso sul
telefilm del momento, di cui entrambi eravamo spettatori accaniti.
“Ti amo, Katie.”
“Che
cosa hai detto? Ripetilo!”
“Ti amo, Katie…”
Dopo
avertelo detto mi sarei sotterrato, ma non potevo farci niente, mi era proprio
scappato. Tu mi guardasti negli occhi, poi dicesti solo una parola.
“Finalmente….”
Da
allora iniziò la nostra favola, fu un’estate meravigliosa, passammo insieme
ogni istante, ogni momento libero dal lavoro era solo tuo. Credevamo che quella favola sarebbe durata
per sempre, ma poi arrivò settembre.
Il primo del mese ti accompagnai a
prendere il treno, non mi andava di separarmi da te ma nel contempo sapevo che
ci tenevi molto a prendere il MAGO.
Quando mi baciasti mi venne un magone
pazzesco, ti afferrai e ti baciai con forza davanti a tutti.
“Ti amo, non dimenticartelo mai!”
“Non
lo dimenticherò.”
“Scrivimi, mi raccomando!”
Mi
baciasti di nuovo, poi corresti sul treno.
Per un mese mantenesti le tue promesse, mi
scrivevi quasi ogni giorno e mi raccontavi ogni dettaglio delle tue giornate,
poi d’improvviso i gufi iniziarono a non arrivare ogni giorno, e quando
arrivavano portavano notizie sempre più scarne. Iniziai a vivere nel sospetto,
temevo che qualcosa ti avesse allontanata da me.
Purtroppo i miei timori non erano
infondati, ne ebbi la conferma quel venerdì di metà ottobre. Tu eri ad
Hogsmeade con la scuola ed io decisi di farti una sorpresa. Arrivai al pub di
Madama Rosmeta, entrai…. E ti vidi. Eri bella più che mai, avevi le guance
arrossate e gli occhi scintillanti per l’eccitazione, ridevi e tenevi le mani
in quelle di lui. Lui era molto curato, forse un filino effeminato ma tutto
sommato piacevole. Ti stava raccontando qualcosa di estremamente interessante,
almeno a giudicare da come lo guardavi e pendevi dalle sue labbra. Mi sentii
sprofondare, senza fare rumore mi voltai ed uscii. Ti aspettai fuori da quel
pub per quasi un’ora, e quando finalmente uscisti ti aggredii, ti accusai delle
cose peggiori e alla fine ti lasciai. A nulla valsero le tue scuse e le tue
lacrime, mi spiegasti che quel tipo era solo un amico, uno dei tanti avventori
del pub, che vi conoscevate da due sole settimane e che fra voi non c’era
nulla, ma io ero sordo ad ogni giustificazione e me ne andai lasciandoti in
lacrime. Avrei dovuto essere molto sicuro di me per capire che davvero quel
tipo non era nulla per te, era solo un pappagallo come tanti. Ma il mio vecchio
complesso di inferiorità era tornato prepotentemente a galla e mi imponeva di
lasciarti prima che mi lasciassi tu.
Da allora non ho più avuto tue notizie
fino a quindici giorni fa. Quella sera mi arrivò un gufo che portava un
messaggio molto corto.
“Katie sta male. Corri subito. Ginny.”
Quelle
poche parole, la calligrafia stentata, l’inchiostro sbavato mi fecero capire
che era successo qualcosa di terribile. Non so neppure io come feci ad arrivare
fino a scuola, probabilmente mi trascinò Fred altrimenti credo che mi sarei
Materializzato a Timbuctù.
Erano tutti davanti alla porta
dell’infermeria, Ron, Harry, Hermione, Ginny e anche la professoressa
MacGranitt ed il professor Silente. Mi spiegarono che avevi preso un misterioso
pacchetto ad Hogsmeade, che l’avevi toccato ed eri caduta vittima di un
potentissimo incantesimo. Piansi tutte
le mie lacrime, maledicendomi per non essere riuscito a proteggerti mentre tu
urlavi dal dolore al dì là della porta chiusa dell’infermeria.
Passai tutta la notte dietro quella porta
pregando che ti salvassi, ma il mattino dopo le tue condizioni rimanevano
gravi, così decisero di trasferirti al San Mungo.
Ed ora eccoti qui, amore mio. Sei qui da
quindici giorni ormai, e non ci sono miglioramenti nelle tue condizioni. Alcuni
giorni urli ancora dal dolore, in altri, come oggi, rimani addormentata ed
immobile.
Mi riscuoto dai miei pensieri e ti prendo
una mano, è cerea e gelata. La stringo a me, sperando di riscaldarla, e intanto
continuo a parlarti di cretinate, finché, proprio come quella sera d’estate,
quello che sento nel cuore mi sale all’improvviso alle labbra.
“Ti amo, Katie. Mi senti? Ti amo! Ti amo e
non m’importa nulla di quel manichino, se necessario lo finisco di botte ma non
ti lascerò mai più. Non ho più paura, te lo giuro. Torna da me e ti prometto
che non ci lasceremo mai più!”
“Cupido, devi andare, l’orario di visite
è finito da dieci minuti!” dice Rosy, arrivandomi alle spalle.
Le sorrido, mi alzo e ti bacio, poi esco.
Eppure
stasera non ho il solito peso sul cuore, è come se finalmente mi fossi
liberato. Scambio due parole con Juliet, poi torno a casa. Finalmente, dopo un
mese di lacrime e dolore, vedo accendersi una piccola luce di speranza nella
notte.
Epilogo.
“Amore,
che fai?”
Mi guardi in piedi sulla porta del
soggiorno, stringendoti addosso la tua vestaglia bianca.
“Non ho sonno… E tu che ci fai in piedi?”
Fai
una piccola smorfia.
“Pare che Cucciolo abbia
deciso che le cinque
di mattina sia l’orario ideale per ballare un po’ la salsa…” dici.
Ti sorrido e tu vieni a
sederti accanto a me, poggi la testa sulla mia spalla e chiudi piano gli occhi
mentre io accarezzo il tuo bellissimo pancione in cui da sette mesi sta
crescendo il nostro bambino. Abbiamo già scelto i nomi, se sarà un maschio lo
chiameremo Luck come tuo padre e se sarà una femmina Molly come mia madre. Per
ora, però, siccome non abbiamo voluto sapere il sesso lo chiamiamo Cucciolo.
Continuo a massaggiarti
la pancia e la schiena ed intanto ripenso a tutto quello che è successo dopo
quel famoso giorno di novembre. Dopo altri quindici giorni finalmente ti
svegliasti, eri muta e paralizzata ma eri salva, e per me contava solo questo.
Ti rimasi accanto per tutto il periodo della riabilitazione, fu un percorso
lungo e difficile ma alla fine ne uscisti.
Il giorno di San
Valentino ti dimisero, eri ancora un po’ traballante sulle gambe e avevi solo
un filo di voce, ma nessuno era più felice di te.
“Ti amo, George…”
mormorasti mentre ti prendevo in braccio e ti caricavo in macchina.
Riuscisti anche a
diplomarti, e a settembre dell’anno successivo entrasti a lavorare alla
Gringott come Spezzaincantesimi.
Ora sei in maternità,
ma so che dopo la nascita di Cucciolo ritornerai a lavorare.
Un tempo forse mi sarei
sentito sminuito, avrei iniziato a temere di essere inferiore a te, avrei
guardato con sospetto ogni tuo collega, ma ormai sono cresciuto ed ho acquisito
sufficiente sicurezza in me stesso e nel nostro amore per capire che a te non
importa nulla del fatto che io mi intenda solo di scherzi e burle, tu mi ami
per quello che sono.
“Sai che prima di
svegliarmi stavo sognando il primo giorno che ci siamo incontrati?”
“Che coincidenza…
Anch’io ci stavo ripensando, piccolina!”
Tiri fuori un palmo di
lingua, poi dici offesa:
”Sono alta quanto te, George Weasley, più forte di te e perfettamente in grado
di batterti a Quidditch, quindi sei pregato di finirla con questa piccolina!”
E’ vero, sei grande e
forte ora, ma per me non cambierai mai, sarai sempre il mio folletto sbarazzino
anche a centocinquanta anni.
“Scusa, non ti
offendere… Sai, comunque stavo pensando anche ad un’altra cosa!”
“Cosa?”
“Che ti amo da morire… Ti amo da una vita, te l’ ho mai detto?”
Sorridi, ti volti verso
di me e mi getti le braccia al collo.
“Anch’io ti amo da una vita!” esclami prima
di baciarmi.