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Autore: ViolaNera    19/01/2012    4 recensioni
Il Trio.
Un trio che esiste ancora, senza più la sincerità di un tempo, soltanto grazie a Matt che fa da collante (inconsapevole) tra lui e Tino.
Non che si odino, ma crescere e ritrovarsi con una cotta per lo stesso ragazzo non li ha aiutati.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Finlandia/ Tino Väinämöinen, Norvegia, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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«Che silenzio, che noia!», si lamenta cantilenando.

Prende per le spalle prima uno e poi l'altro dei suoi amici e li fa dondolare con sé per la strada. Ridacchia contento nel sentire i loro lamenti soffocati e se li stringe contro ulteriormente.

Sospira, alzando il mento per guardare le tonalità cangianti del tramonto.

«Vi voglio bene, ragazzi. Davvero», mormora, tra l'affettuoso e il soddisfatto.

Tino e Berwald si scambiano uno sguardo rapido e quasi ferito, poi voltano la testa a tempo, entrambi consapevoli di tradire quel sentimento, entrambi in colpa per quanto accaduto tra loro; come se quei fatti potessero sporcare la sincerità di Matt, oltre che loro due.

«Non vi sprecate a dirmi che me ne volete anche voi, mi raccomando!», scherza il terzo stritolandoli selvaggiamente e ridendo forte per le ennesime proteste.

«T-ti vogliamo bene, Matt!», strepita Tino dimenandosi.

«Sì, ora molla o ci rompi il collo», borbotta Berwald, ormai quasi porpora.

«Mmh, non so se lo farò», cinguetta, adocchiando una panchina e guidandoli fin là, una buffa massa a tre teste che non smette di vacillare.

Si siedono in blocco, gemendo (almeno ai lati).

Tino cessa di contorcersi e gli mette timidamente le braccia attorno al torace, posa la guancia sulla sua giacca e chiude gli occhi. Prende un piccolo respiro e si struscia piano per una manciata di secondi, cercando poi di rimanere perfettamente immobile.

«Oh», mormora Matt fissandolo dall'alto, leggermente chino in avanti, una mano posata dolcemente sulla sua testa. «Il nostro piccolo si è addormentato?»

«Va' al diavolo», risponde Tino, pronto, con un sorrisetto dolce.

Berwald, vedendolo, non può fare a meno di sorridere di riflesso a labbra chiuse, senza accorgersene, senza nemmeno considerare che la solita fitta di gelosia è affiancata da un altro sentimento, strano ed impalpabile.

Pace.

Dev'essere merito di Matt, come sempre.

«Era da un po' che non riuscivamo a passare una giornata insieme, noi tre», borbotta il ragazzo al centro. «Anche se Tino spara come un demonio e non mi fa vincere nemmeno per cortesia, stare con voi cancella tutti i miei pensieri.»

Il suo tono sembra insolitamente malinconico alla fine di quella considerazione e spinge entrambi a sollevare lo sguardo su di lui, riportati alla realtà.

«C'è qualcosa che ti preoccupa?», chiede Tino inclinando la testa.

«Puoi parlarcene, Matt.»

«Gr-grazie, lo so!», balbetta, stravaccandosi sulla panchina con un sorriso gigantesco. Tino gli rimane abbracciato, anche se a poco a poco si separa da lui e comincia a studiarlo attentamente.

Matt sembra riflettere sulla possibilità di aprirsi con loro (o almeno così sembra dal modo in cui lo sguardo gli viaggia tra le nuvole rossastre), ma poi scuote la testa e si sfrega il naso con l'indice, somigliando terribilmente ad un bambino pronto a far dispetti.

«Tornando all'argomento precedente!», si rianima, tendendosi indietro ed infilando due dita nella tasca anteriore dei jeans. Estrae un paio di biglietti rettangolari fatti di cartoncino. «Ta-dan~. Ho preso questi per noi! Che ne dite di sabato pomeriggio? Ci state?»

«Per cosa sono?», chiede Tino prendendone uno e leggendovi sopra. Il suo viso si illumina e stringe la mano libera a pugno, sollevando un ginocchio verso l'alto in segno di esultanza. «Ah, il luna park!»

Alza la mano al cielo e finge di sparare con un'arma immaginaria. «Conta su di me! Farò incetta di premi! Nessuna pietà, pivelli!»

«Mh... io... ho paura delle giostre che vanno in alto», farfuglia invece Berwald, fissando miseramente il proprio biglietto. Sentirsi il guastafeste non è quello a cui aspira, ma...

Matt scoppia a ridere e Tino lo imita a bassa voce, contagiato. Berwald si incupisce il doppio.

«Ci siamo noi», promette solenne dandogli un'amichevole testata. «Non può succedere niente di brutto quando siamo insieme. Ti proteggeremo dall'altezza cattiva!»

Quella frase lo fa vergognare ancora di più. Davvero ha pensato che gli avrebbero detto di tutto, prendendolo in giro?

Amici.

Da troppo tempo non assapora quella sensazione di leggerezza, il non aver paura di essere sincero, anche se per una cosa così stupida, in fondo ridicola.

Si ripete che c'entrano anche il sorriso di Matt ed i suoi occhi, azzurri come il cielo in primavera, a creare quell'atmosfera rilassata.

Non è certo per il modo dolce e comprensivo col quale lo sta guardando Tino.



«Ho la febbre, non posso venire.»

«Che sfiga! Hey, è molto alta? Stai male male?», quasi grida Matt, gettandosi sul letto con il ricevitore attaccato all'orecchio e le chiavi già strette in mano.

«Abbastanza. Mia madre mi appende se metto piede fuori in questo stato.»

«Ma certo, lo capisco. Allora rimandiamo!»

«N-no, lascia stare. Ho aspettato fino all'ultimo per vedere se si abbassava, ma così facendo non ti ho dato modo di organizzarti. Vai con Tino, siete già d'accordo. Non voglio rovinare il pomeriggio a nessuno, veramente.»

«Ma io volevo andare insieme a voi due.»

«Lo so.»

«Non è una scusa, vero?»

C'è un attimo di silenzio, all'altro capo del telefono. Matt si incupisce nell'attesa.

«... Ma che dici?»

«Dico che se hai così paura delle giostre non ci devi salire per forza, guarda che-»

«Ho la febbre, te lo ripeto», sospira con voce lugubre, interrompendolo.

Per un attimo aveva temuto che l'avesse smascherato, dimenticandosi che Matt non ne sarebbe mai capace.

«Matt.»

«Che c'è.»

«Stai facendo la bocca imbronciata? Hai le labbra spinte all'infuori e le guance gonfie?»

«No.»

«Invece sì», sospira Berwald tirandosi addosso la coperta. «Sei in Modalità Capriccio.»

«E va bene, sì. Uffa.»

«Non è il caso che rinunciate per me. Verrò la prossima volta, promesso.»

«Va bene. Uffa. Riguardati.» Una pausa e poi «Sei sicuro?»

«Sì. Smetti di dire uffa», sospira fissando il soffitto. «Mi dispiace.»

«Non fa niente, non è colpa tua. Stasera passo a portarti le arance.»

«Non sono in carcere», protesta con un sorrisino appena accennato, lieto della resa.



Quando suona il campanello, Berwald si chiede perché sia andato a trovarlo così presto. Aveva detto stasera e sono appena le sedici. Possibile che alla fine quella testa dura non sia uscito?

Apre la porta e rimane svariati secondi a fissarlo, cercando di capire perché la sua vista gli stia inviando un'immagine così diversa da quella che si era aspettato.

La mano dell'ospite sale immediatamente alla sua fronte per saggiarne la temperatura. «Non sei caldo come credevo», dichiara in tono sollevato.

«T-Tino.»

«Moi», lo saluta stringendo meglio un piccolo cesto. «Posso entrare? Hana, vieni. Non dovresti stare in piedi, ti immaginavo a letto. Dove sono i tuoi? Non va bene aprire la porta se sei ammalato e... che fai, non la richiudi?»

È entrato parlando a raffica e mi ha tranquillamente scavalcato come se niente fosse.

«Arance», gli annuncia sollevando il cestino.

«Non sono in carcere», ripete anche a lui chiudendo la porta, decisamente stordito.

«È per farti una spremuta. Ho letto che la vitamina C dovrebbe aiutarti a guarire prima. Credo. Insomma, le vitamine sono vitamine e le raccomandano tutti. Avrei dovuto chiedere a Lukas.» Si incanta a pensare a qualcosa e poi scrolla le spalle dirigendosi in cucina. «Allora, i tuoi?»

«Sono fuori fino a stasera. Senti, Tino...»

Lo segue in cucina, fermandosi sulla porta per prendere in braccio la cagnolina bianca e coccolarla, mentre osserva il ragazzo aprire ogni anta per trovare lo spremiagrumi. Lo scova al quarto tentativo, ma lo avrebbe trovato al primo se non avessero smesso di andare uno dall'altro come un tempo.

Quel pensiero lo addolora senza preavviso, scavandogli dentro con crudeltà.

«Che ci fai qui?»

Tino si ferma con la prima arancia in mano ed un coltello nell'altra.

«Sono venuto a vedere come stavi, mi sembra ovvio. Girano brutti malanni strani in questa stagione e se non ti curi bene non guarirai come si deve e so che non badi a te stesso a sufficienza. Hai idea di quanto possa peggiorare una malattia da niente se viene trascurata?»

Berwald entra in cucina e si accomoda su uno sgabello, appoggiandosi al ripiano dell'isola con un gomito e tenendo Hana in grembo.

«Grazie per la preoccupazione, ma non è in quel senso che ti ponevo la domanda. Credevo che fossi al luna park a passare una bella giornata con il ragazzo che ti piace, a tentare il tutto per tutto per conquistarlo approfittando della mia comoda assenza.»

Franco, diretto, implacabile. Si sorprende da solo del proprio tono acido, venato di stizza. In mezzo a tutto c'è anche un calore particolare al centro del petto: Tino è andato a trovarlo perché non sta bene. È veramente lì a prendersi cura di lui, in un modo infantile ma concreto.

Perché?

Prova emozioni ingarbugliate e contrastanti, che si complicano ulteriormente quando l'amico gli offre una risposta che lo sconcerta.

«Ho detto a Matt di andarci con Lukas e gli ho ceduto il mio biglietto. Non sarebbe stato carino andarmi a divertire sapendo che avevi la febbre ed eri rimasto a casa.»

Comincia a spremere le arance, dandogli le spalle e non aggiungendo altro.

Berwald è ammutolito, mentre Hana gli lava la mano con gioia.


Gli porge l'enorme bicchiere colmo solo dopo averlo messo a letto e coperto fin sotto il mento. Non può fare a meno di trovarlo terribilmente casalingo.

«Sembri una mogliettina premurosa, sai?»

«Dillo di nuovo e la spremuta troverà nuove vie per entrare nel tuo corpo», sorride a denti stretti senza scomporsi, sempre col bicchiere teso.

Berwald lo prende e beve un sorso, non prima di aver borbottato «Sei terrificante, però.»

Con la schiena appoggiata ai cuscini sollevati e circondato da coperte, Berwald beve diligentemente la sua spremuta con Tino seduto accanto. Non sa come ringraziarlo senza suonare stupido e alla fine il senso di colpa a lungo represso comincia a farsi sentire di nuovo. Moltiplicato dall'inspiegabile gentilezza nei suoi confronti.

Non l'ha costretto lui, certo, ma Tino ha rinunciato a Matt per un giorno, ha fatto qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. Specialmente dopo quel fatto al quale pensa sempre.

«Siamo amici», mormora, mordicchiando il bicchiere di vetro.

Quella semplice constatazione, forzata, considerati gli ultimi avvenimenti, è un pugno allo stomaco.

«... Sì.»

«Nonostante quello che è successo?»

Solleva lo sguardo e lo posa su di lui, su quella piccola figura raccolta su una sedia trascinata al suo capezzale. Sembra minuscolo con quella felpa bianca, non riesce a non provare una strana tenerezza, a guardarlo.

Tino devia il centro del suo interesse dal viso di Berwald ad un tappeto. Altro pugno. Dovrebbe chiedergli scusa, dovrebbe assicurarsi che non abbia mai esitazione a guardarlo, come un tempo.

Il ragazzo piega una gamba ad angolo retto e la appoggia all'altra, giocherellando con un laccio della scarpa da ginnastica. Sembra profondamente turbato.

«È stata colpa mia. Possiamo far finta che... non sia successo?»

Gli sta chiedendo perdono? Come se fosse facile. Non è stato proprio uno sgambetto. E quel che è peggio, lui l'ha replicato, a sangue freddo. O caldo. Non ricorda bene cosa l'abbia spinto a reagire a quel modo, sa solo che è stata una cazzata e che se ne è pentito quasi subito.

Cos'ha risolto, a parte rendergli l'aggressione e sentirsi un idiota? A parte rendersi conto di tenere ancora a lui e di perderlo giorno dopo giorno?

Anche Tino si sente così?

«Vorrei farlo, ma... mi dispiace. Mi dispiace per quello che ho...»

La voce di Berwald si perde e termina la frase con un cenno delle dita, molto blando. Tino lo nota e continua a tirarsi un laccio celeste.

«Sono stato io a cominciare, non so neanche come scusarmi. Sono stato un deficiente, non so come ho potuto comportarmi in un modo del genere. Con te, poi.»

Vede le spalle di Tino abbassarsi di qualche millimetro e si accorge che il suo essere venuto lì, essersi comportato sin da subito con naturalezza e spensieratezza, forse faceva parte di un piano organizzato per provare a farsi perdonare.

Addolcisce l'espressione torva e apre bocca con l'intenzione di accettare le sue scuse, a patto che lo perdoni allo stesso modo.

Sì, dannazione. Devono smetterla. Ne ha bisogno, ne ha davvero bisogno.

«... Quando ti ho toccato, pensavi alla mano di Matt?»

La domanda esce dalle sue labbra prima che possa fermarla ed il sorpreso silenzio successivo è abbastanza denso e pesante da farlo pentire almeno cinquanta volte. O cento.

Che razza di strade prende il suo cervello?! Doveva dire un'altra cosa!

«Non... non direi», risponde il ragazzo, a voce bassissima, continuando a non guardarlo.

Allora non dimenticarlo è il suo pensiero insensato ed immediato.

Grazie al cielo la bocca, questa volta, rimane chiusa, ma per sicurezza la riempie con l'ultimo sorso della bevanda tiepida. Deglutisce e gli porge il bicchiere vuoto, cercando di mostrarsi sereno come se tutto fosse risolto.

«Grazie, mammina.»

«Fai lo sbruffone perché l'hai finita, eh?», ridacchia Tino, prendendo il bicchiere e dandogli la base sulla testa. Si sente un rumore sordo che li fa sorridere entrambi, prima di distogliere gli occhi velocemente, in direzioni opposte.

Cosa mi sta succedendo? Perché vorrei allungare le braccia e avvicinarlo al mio petto, vederlo stringersi a me con la stessa espressione rilassata e dolce che ha mostrato con Matt sulla panchina?

Solleva una mano, quasi tremando, ma la abbandona e stringe invece la coperta.

È solo la voglia di essergli di nuovo amico.

Tino gli manca, lo sente con precisione come la punta di una lama piantata alle reni e quel modo di porsi, del quale non beneficiava più da molti mesi, gliel'ha ricordato con dolorosa e soffocante nostalgia.

«Tu hai pensato a Matt quando io...», sussurra Tino rigirandosi il bicchiere tra le mani.

Berwald scuote la testa, serio. «Ero troppo sorpreso, non ho pensato a niente. Avevo paura di sentirli che ci cercavano.»

La tua mano era la tua. La tua, solo la tua.

Non posso dirlo. Sembra strano.

È strano.

«Già, ho scelto un luogo ed un momento che...!», ridacchia ancora, allungando il braccio e posando il bicchiere sul comodino ordinato. «Forse un giorno ci rideremo su?»

Tino sembra riflettere su qualcosa, con lo sguardo concentrato, poi si alza e gli rimbocca le coperte, di nuovo, lisciandole ed intrappolandole per bene sotto il materasso.

Mi sta chiudendo dentro un bozzolo?

Tino nota il suo sorrisetto sconcertato e scrolla le spalle con fare pratico. «Così non prendi freddo. Mi raccomando, resta a letto e curati, così per lunedì potrai tornare a scuola. Io adesso devo andare, ma se hai bisogno e i tuoi non sono ancora tornati...»

«Carino.»

Gli è scappato a voce alta? Dallo sguardo stranito di Tino sembra proprio di sì. Si sente le orecchie andare a fuoco, ma resiste stoicamente al suo sguardo ravvicinato.

«Hai detto carino?»

Ah, merda. Devo farmi visitare al cervello, sono sicuro che ha qualche disfunzione.

«È carino questo tuo lato dolce, non stavo certo...», bofonchia. «Mi... piace», confessa, tirandosi le coperte fin sotto il naso.

«Credevo di essere terrificante, non dolce», risponde Tino con tono ironico, chinandosi impercettibilmente ed abbassando la coperta per impedirgli ogni via di fuga dal discorso.

«N-no, lo sei sempre stato. Con me non tanto, ultimamente, ma so che lo sei. È un tuo modo di essere. Quando lo dimostri, io ti trovo...»

«Carino?»

«Attraente.»

Recupera la coperta e se la tira sopra il naso, fumando anche dalle narici.

L'espressione sbigottita di Tino non aiuta la propria timidezza. Diamine, lo ha quasi (quasi?) sbattuto contro una cattedra e gli ha infilato una mano dentro i pantaloni, ascoltandolo gemere sotto il suo tocco, ma quei discorsi...

Perché ha cominciato?!

«Stavi andando?», tenta, cianotico.

«Sì.»

Una mano gli si posa sulla fronte e gli tira i capelli indietro, indugiando forse troppo in quel gesto.

«Ci vediamo lunedì, Berwald.»

«'nedì», grugnisce, sentendosi terribilmente idiota.









-Angolo Autrice-


Wiii, sono contenta! Perché? Boh, forse non vedevo l'ora di arrivare a questo punto e dimostrare di non essere solo una pervertita! Motivo per il quale ho messo un po' più roba rispetto ai precedenti. Ci tenevo tanto che si chiarissero, povero BerBer.

E poi: ma che succede tra 'sti due?

Uh uh uh! *coccola Hana e ignora pubblico*

Alla prossima settimana con la conclusione! E sì, l'avevo detto che era breve!

   
 
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