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Autore: Stellalontana    19/01/2012    3 recensioni
E non c’era niente di sbagliato in quello che stavano facendo, niente di così giusto e così bello nell’intera Irlanda e nell’intero mondo conosciuto.
Allora questa storia fa parte della challenge "Dal Nome alla Storia - Only Slash" di Nonna Papera! ed è la mia prima "opera", perciò siate tutti molto molto clementi con me e fatemi sapere che cosa ne pensate, commenti positivi o negativi sono tutti bene accetti! Un bacio Stella*
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel nome'
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Allora, questa storia fa parte della Challenge Dal Nome alla Storia - Only slash di Nonna Papera! sul forum di EFP ed è la prima slash che scrivo in assoluto, perciò per favore siate clementi con me e fatemi sapere il vostro parere così potrò migliorare! Il banner non è mio, ma mi piaceva un sacco. Lo trovate nella discussione della challenge. Beh, direi che è tutto perciò... Stay tuned!




La Collina Dietro La Chiesa




I.


Kilian salì arrancando su per la collina, fino a raggiungerne la cima.
Gli piaceva starsene lì seduto in mezzo ai fiori primaverili, accarezzato dal vento che spirava da sud e portava il sentore dell’estate. Spesso si sdraiava in mezzo all’erba ad osservare il cielo e le nuvole pigre che lo solcavano, portando pioggia o tempesta chissà dove. Avrebbe potuto starsene lì per ore ad ammirare il cielo, ma c’erano troppe cose da fare, giù alla fattoria per rimanere ad oziare in mezzo ai fiori. Per di più da quando il vecchio prete della chiesa era morto e ne era arrivato uno più giovane, che non faceva altro che reclutare i giovani del villaggio per il chiericato.
A Kilian non piaceva affatto la chiesa. Era un luogo cupo e vuoto, con quelle panche sempre in ordine e l’odore di candele che si sentiva fin nella piazza del mercato. Era un luogo inutile, secondo lui, tanto Iddio non c’era e non lo si poteva vedere, che bisogno aveva la gente di confessare a un prete quello che aveva fatto, quando lui nel suo lettuccio di paglia parlava continuamente con Lui?
Ma ovviamente non si sarebbe mai sognato di dire queste cose ad alta voce, altrimenti si sarebbe beccato una bella bastonata sulla schiena e quella era la prima cosa che voleva evitare.
«Che ci fai qui?» 
Kilian sobbalzò e si alzò a sedere, voltandosi nella direzione da cui proveniva la voce. Dietro di lui appoggiato ad un lungo bastone contorto se ne stava un ragazzo, biondo e abbronzato che lo fissava con insistenza. Kilian si alzò in piedi e si avvicinò.
«Non credevo che questa collina appartenesse a qualcuno» osservò irritato da quell’apparizione che aveva disturbato la sua pace. Il ragazzo rise, una risata cristallina come il suono delle campanelle.
«Non è mia, infatti» rispose «Ti ho solo chiesto perché sei qui»
«Fatti miei» replicò scuro Kilian, squadrando il nuovo venuto da capo a piedi. Aveva l’aria selvaggia, di chi sta molte ore all’aria aperta o nel bosco, gli abiti erano puliti ma non certo nuovi e la casacca aveva bisogno di qualche rammendo sulle maniche. Per il resto sembrava un qualunque altro ragazzo del villaggio, solo che Kilian non l’aveva mai visto nella piazza o nei campi. Sembrava fosse spuntato dal nulla, come un fungo dopo la pioggia. I suoi occhi erano più chiari di qualsiasi altra persona Kilian avesse conosciuto e ad un tratto si accorse che il ragazzo non lo stava fissando, bensì il suo sguardo era diretto su un punto oltre la sua testa, lontano, verso la costa.
«Ma tu sei cieco!» esclamò Kilian, per poi tapparsi la bocca con la mano.
La fronte del ragazzo si aggrottò, ma poi il suo volto abbronzato si aprì in un sorriso scintillante. «Sì» annuì.
«Perdonami» rispose invece Kilian «sono stato sgradevole. Non volevo»
«Non importa. È inutile nascondere la verità, non trovi?»
Kilian rimase in silenzio per qualche momento, prima di riprendere fiato. «Non ti ho mai visto prima. Vivi qui?»
«Nel bosco c’è una capanna dove viviamo io e mio padre. Lui è un boscaiolo» rispose «Tu vivi al villaggio»
Non era una domanda, solo una constatazione, ma Kilian rispose ugualmente. «Sì, con i miei genitori e i miei fratelli. Ah, io sono Kilian» si ricordò all’improvviso. L’altro sorrise.
«Io sono Finbar» rispose «piacere di conoscerti»
Rimasero in silenzio per qualche minuto, mentre Kilian cercava qualcosa da chiedergli che non fosse scortese. Però era curioso di sapere come era successo che era diventato cieco, oppure se ci fosse nato.
«Io... com’è successo?» chiese alla fine. Finbar si scostò i capelli dalla fronte, portandoli dal lato destro della testa, scoprendo una lunga e frastagliata cicatrice da bruciatura sulla parte superiore del volto, dal lato sinistro.
«Cinque anni fa c’è stato un incendio nel bosco. Io stavo giocando con mio fratello nelle vicinanze e non siamo riusciti a scappare in tempo. Mio fratello è morto, mentre io sono diventato cieco. Un ramo mi ha colpito proprio in faccia»
Kilian deglutì, inorridito e anche dispiaciuto, ma non disse nulla. Sicuramente quel ragazzo non sapeva che farsene della pietà altrui, soprattutto della sua.
Finbar sembrò percepire i suoi pensieri e sorrise. «Non devi preoccuparti per me. Io me la cavo benissimo» e per dimostrarlo lanciò in aria il bastone che roteò per un secondo prima di cadere esattamente tra le mani di Finbar che lo puntò di nuovo contro il terreno, con un’espressione soddisfatta. Kilian rise.
«Certo che sei strano tu!»
«Grazie» replicò Finbar con un altro dei suoi bellissimi sorrisi. A Kilian sembrava che fosse sceso direttamente dal paradiso, perché dimenticando quella ferita il suo viso era bellissimo, longilineo dagli zigomi e dalle labbra sottili, ben disegnati, incorniciato dai capelli mossi e biondi come le spighe di grano. Kilian non aveva mai conosciuto un ragazzo più bello di lui nei suoi sedici anni di vita. La sua risata sembrava fatta di campanelle o del suono del ruscello sulle rocce e sotto gli abiti il suo corpo doveva essere robusto, anche se asciutto. Poteva avere la sua età, forse qualche anno in più.
«Quanti anni hai?» chiese. Finbar sembrò pensarci un attimo.
«Diciotto, credo. O diciannove. Mio padre non me l’ha mai detto con certezza. E tu?»
«Sedici» rispose Kilian sicuro «ne compio diciassette alla fine dell’estate. Senti, io dovrei tornare indietro, ma... ecco, ti trovo qui domani?» chiese speranzoso. Finbar sorrise di nuovo e Kilian sentì il suo cuore andare in mille meravigliosi pezzi. Si avvicinò quel tanto che bastava per toccargli la spalla coperta dalla camicia.
«Certo. Io sono sempre qui»
E da allora ci fu davvero.


II.

I diciassette anni di Kilian erano alle porte e lui trascorreva più tempo sulla collina che al villaggio o nei campi, con la scusa che comunque c’erano i suoi quattro fratelli ad occuparsi di tutto quanto. Non era mai stato incline ai lavori manuali e gli costava una fatica immensa mandare l’aratro con i buoi, quindi preferiva di gran lunga lavori meno stancanti.
Quel giorno si era portato dietro un cesto che doveva finire di intrecciare per sua madre e se lo mise sulle ginocchia, in attesa dell’arrivo di Finbar. Da quando si erano conosciuti la loro amicizia era cresciuta velocemente, fino ad arrivare ad una soglia che ancora Kilian non comprendeva. Avrebbe voluto stare con Finbar ogni momento di ogni giorno, gustare la sua compagnia e la sua risata di campanelle, o anche solo starsene seduti l’uno accanto all’altro, mentre Kilian parlava delle nuvole e Finbar lo stava ad ascoltare, bevendo ogni sua parola sul mondo che lui non poteva più vedere. I suoi fratelli credevano che si vedesse con una ragazza e lui non aveva avuto né il modo né il coraggio di contraddirli, anche perché aveva paura di quello che avrebbero potuto dire i suoi genitori. Amicizie come la sua non erano ben viste, soprattutto dalla chiesa. Ed era quella che lo perseguitava. I suoi genitori avevano cominciato a suggerirgli di prendere la via del chiericato, di diventare prete per poter studiare, imparare a leggere e scrivere e ritirarsi in un convento. Ma Kilian era tutt’altro che d’accordo su una scelta del genere. Lui non voleva affatto rinchiudersi da quattro mura a recitare salmi, voleva rimanere lì, insieme a Finbar.
E mentre intrecciava con pazienza quel cesto Finbar gli si avvicinò leggero come una farfalla, posandogli la mano sulla spalla.
«Che cosa fai?» chiese seguendo la linea del braccio di Kilian fino alla sua mano impegnata a piegare i fasci del cesto.
«Un cesto per mia madre per il pane» rispose lui lasciando andare i fasci e prendendo la mano di Finbar nella sua. L’altro si sedette, appoggiando il bastone accanto a sé.
«Io non ho mai fatto un cesto» rispose «non è un lavoro che fanno le donne?»
«Sì, ma noi siamo tutti maschi in famiglia» gli ricordò Kilian «e i miei fratelli sono nei campi. Mia madre sta mettendo sotto sale la carne e non credo che mio padre sarebbe felice di fare un cesto»
Finbar rise. «Sì, giusto»
«Tuo padre?» chiese Kilian. Il padre di Finbar si chiamava Dara e Kilian lo aveva visto solamente un paio di volte, mentre usciva dal bosco e chiamava con voce grossa Finbar. Lui e il padre erano molto legati essendo rimasti soli dopo l’incendio che aveva ucciso il fratello del ragazzo. La madre di Finbar era morta dandolo alla luce e da allora suo padre non si era più risposato. Kilian ammirava quell’uomo che aveva cresciuto due figli piccoli tutto da solo, facendo il boscaiolo.
«Dove vuoi che sia?» domandò Finbar «Nel bosco. Gli hanno ordinato di tagliare una quercia per la chiesa. Puah!» strappò un filo d’erba e si distese fra i fiori «Per me dovrebbero tagliarseli da soli gli alberi, invece di starsene tutto il giorno a recitar litanie»
«Sono d’accordo» rispose Kilian lasciando perdere il cesto. Si distese accanto a Finbar, voltandosi per guardarlo. Se ne stava ad occhi chiusi con il filo d’erba in bocca, le braccia a sorreggere la testa bionda e le gambe una sopra l’altra. Era bellissimo, si disse Kilian, mentre un grosso nodo gli bloccava lo stomaco. Come faceva a dirgli che sua madre voleva mandarlo in convento? Come avrebbe potuto lasciarlo?
Si alzò su un gomito per guardarlo meglio. La sua pelle riluceva al sole, così abbronzata, liscia come se si radesse ogni giorno più volte o avesse comunque poca barba. Lui se si passava la mano sulla guancia sentiva il pizzicore della barba non fatta e se ne vergognò. Poi pensò che era del tutto normale. Avrebbe voluto allungare la mano per toccare quella guancia liscia, anche solo per un momento. Poi Finbar riaprì gli occhi e si alzò sui gomiti, urtando contro di lui. Si voltò gli occhi che saettavano di qua e di là e sorrise.
«Scusa»
Kilian arrossì come una ragazzina, e scosse la testa. «Non importa» allungò la mano per toccargli la spalla e Finbar chiuse di nuovo gli occhi, come se si stesse godendo quella carezza. Perché Kilian non si sentiva mai in imbarazzo con Finbar, ma ogni volta che una ragazza gli rivolgeva la parola gli si bloccava la lingua e non riusciva a dire nulla? Con Finbar era tutto così semplice e giusto che non riusciva a capacitarsene.
Finbar si mosse, mettendosi a sedere con le gambe incrociate.
«Posso fare una cosa?» chiese. Kilian si sedette nella sua stessa posizione, vicinissimo, quasi a toccare le ginocchia dell’altro.
«Che cosa?»
«Voglio vederti» rispose Finbar in un sussurro come se stesse dicendo una bestemmia. Kilian aggrottò la fronte.
«Puoi vedermi?» chiese.
«Con le mani» replicò Finbar «posso fare quasi qualsiasi cosa. Il tuo odore lo conosco bene» e qui sorrise, e Kilian sembrò che quel sorriso fosse carico di significati nascosti che per il momento preferì non esplorare «ma non so com’è fatto il tuo viso. Se mi permetti di toccarti, almeno posso immaginarmelo»
Kilian rimase in silenzio per un po’, soppesando le parole di Finbar, poi alzò le spalle. «Sì, va bene»
Finbar allungò entrambe le mani e Kilian represse l’istinto di sottrarsi. Se qualcuno li avesse visti... ma era troppo poco il tempo che trascorrevano insieme per perdersi in certi pensieri, decise quando le dita di Finbar toccarono la sua guancia. Una mano percorse la linea della fronte, dall’attaccatura dei capelli fino alla linea del naso, toccandogli il sopracciglio e scorrendo le dita fino alla sua bocca. Ci passò le dita sopra e Kilian rabbrividì. L’altra mano di Finbar si fermò sul suo collo, toccando con dolcezza i capelli lunghi di Kilian che gli coprivano la nuca. Quando le dita di Finbar vi passarono sopra Kilian si ritrovò a emettere un lamento, tanto era piacevole quel contatto. L’altro si fermò, aggrottando la fronte.
«Ho fatto qualcosa di male?» chiese. Kilian scosse la testa, ancora tra le mani di Finbar senza avere il coraggio di dire nulla. Sembrava che ogni parola fosse completamente superflua oltre che inutile a descrivere quello che stava provando. La mano di Finbar che sostava sulla sua guancia tornò a sfiorargli le labbra, il naso, le palpebre.
«Sei bello» disse sottovoce «mi piace il tuo viso»
Kilian trattenne il respiro fra i denti e strinse le mani sui pantaloni all’altezza del ginocchio. Perché le ragazze non gli faceva quell’effetto? O almeno non l’effetto che Finbar aveva su di lui. Si portò le mani ai fianchi, ma si ricordò che per fortuna Finbar non poteva vederlo, altrimenti avrebbe potuto constatare l’effetto che le sue mani avevano sui pantaloni di Kilian, troppo stretti sul cavallo. Kilian si ritrasse appena, quando entrambe le mani di Finbar si appoggiarono sulle sue spalle. Finbar si scostò, come se lo avesse punto.
«Scusa» ansimò «mi dispiace» fece per alzarsi e Kilian lo afferrò per il braccio, sporgendosi più che poteva.
«Non andare!» lo pregò. Lo tirò, forse troppo forte, perché Finbar cadde a terra con un tonfo e rotolò su di lui, facendolo finire lungo disteso tra l’erba alta. I loro visi erano a poca distanza l’uno dall’altro, e una gamba di Finbar era finita tra quelle di Kilian. I loro respiri si fondevano, e Kilian riusciva a vedere ogni ciglia che incorniciava gli occhi ciechi di Finbar. Erano così chiari da sembrare ghiaccio e Kilian pensò che fossero bellissimi anche quando poteva vederci.
«Mi hai fatto perdere l’equilibrio» lo accusò Finbar arcuando le sopracciglia. Kilian ridacchiò, a discapito della situazione.
«Non volevo che tu te ne andassi per colpa mia»
«Non potrei lasciarti» mormorò allora Finbar. La sua mano prese un ciuffo di capelli di Kilian e se lo rigirò su un dito senza tirare. Kilian sospirò.
«Nemmeno io, ma i miei vogliono che vada in convento»
Kilian sentì tutto il corpo di Finbar irrigidirsi in un momento. «Oh» fu il suo commento.
«Io non voglio andarci» si precipitò a dire Kilian «non voglio andarmene da qui»
«Devi fare quello che loro vogliono» disse sottovoce Finbar, sempre rigirandosi la ciocca di capelli su un dito.
«Lo so, perché sono i miei genitori, ma non voglio lasciarti. Io... morirei senza di te»
«Shh» Finbar gli posò un dito sulla bocca «Quando... quando...»
«In inverno. Il prossimo» rispose Kilian con un nodo alla gola. Finbar sospirò e una lacrima scivolò sulla sua guancia liscia.
«Allora abbiamo ancora un po’ di tempo» e la bocca di lui coprì la sua, nel loro primo bacio.
Kilian non aveva mai provato nulla di paragonabile alle labbra calde di Finbar sulle sue. Una sensazione che lo sconvolse e gli fece aggrovigliare lo stomaco. La lingua dell’altro passò sul suo labbro inferiore e lui si lamentò aprendo la bocca per farlo entrare. La bocca di Finbar sapeva di libertà, di vento e di pioggia, quei sapori che Kilian sempre gli aveva collegato, dalla prima volta che lo aveva visto. Kilian avrebbe passato ogni ora del giorno e della notte a baciare Finbar, ma i suoi polmoni reclamavano aria e quando si staccarono entrambi ansimavano. Kilian avrebbe voluto leggere le emozioni di Finbar nei suoi occhi, ma non poteva. Finbar non avrebbe mai saputo che lui aveva gli occhi verdi e che i suoi capelli erano rosso scuro, ma sapeva alla perfezione la loro forma e la loro consistenza, che erano lisci e lunghi e che lui li portava legati al lato della testa. Non avrebbe mai visto le fossette sulle sue guancie ma avrebbe potuto sentirle, passandoci la mano quando Kilian sorrideva.
Finbar aprì la bocca per parlare ma Kilian lo zittì.
«No» sussurrò.
Ogni parola era superflua, con Finbar. Non c’erano parole per descrivere quanto lo rendesse felice ed euforico, quanto vicino a lui Kilian si sentisse completo. Le mani di Finbar afferrarono il bordo della camicia di Kilian e la tirarono quel tanto che gli permetteva di intrufolarle all’interno. Kilian gemette al tocco di quelle mani così calde. Si sentiva bruciare, doveva per forza bruciare, anche se l’aria era mite e il vento era fresco. E allora da dove veniva tutto quel calore?
Riaprì gli occhi, anche se non ricordava di averli chiusi, e fissò il volto di Finbar. E all’improvviso capì. Era lui il fuoco, il calore, quel calore che gli entrava sotto la pelle. Tanto che gli sembrava di affondare nell’erba, sempre più a fondo, in un luogo in cui c’erano solo loro due, stretti in un abbraccio che avrebbe disgustato la maggior parte del mondo conosciuto.
Ma a Kilian quel particolare appariva di nessuna importanza in quel momento. Le sue mani stavano scorrendo la schiena calda di Finbar e il suo corpo era esattamente come Kilian lo aveva immaginato, robusto e asciutto, i muscoli che si tendevano sotto le sue dita, la pelle liscia dei fianchi e quella un po’ ruvida di peluria sull’ombelico e più giù dove cominciava quella più spessa dell’inguine.
E non c’era niente di sbagliato in quello che stavano facendo, niente di così giusto e così bello nell’intera Irlanda e nell’intero mondo conosciuto.
E il dolore non era niente in confronto a ciò che riempì il cuore di Kilian quando Finbar parlò per la prima volta dopo minuti di silenzio spezzato solo dagli ansiti.
«Ti amo Kilian»


III.

Faceva freddo quel giorno. Un freddo pungente e secco, con un vento di grecale.
Kilian si passò una mano tra i capelli che il vento gli portava in faccia. Poteva vedere la strada maestra che lo avrebbe portato all’abbazia, la chiesa sulla sua sinistra e la sua casa, vicino alla bottega del vasaio, giù, a pochi minuti di cammino dalla collina. Era impaurito, infreddolito e arrabbiato. Non c’era ancora posto per la rassegnazione e il suo dolore era ancora fresco, batteva al ritmo del suo cuore. Non avrebbe mai più rivisto quel posto, non sarebbe più salito su quella collina a guardare le nuvole che sfrecciavano nel cielo azzurro, non avrebbe mai più potuto ascoltare la voce calda di Finbar, o toccare la sua pelle un po’ ruvida. Scacciò quelle immagini dalla sua mente, o avrebbe pianto.
«Non dovevi partire?»
Kilian non si voltò. Sapeva chi era. Conosceva ogni sfumatura di quella voce.
«Ho poco tempo» rispose «mio padre mi aspetta alla chiesa»
Finbar gli si accostò. La mano che reggeva il bastone tremava. «Vorrei poter venire con te»
«No» rispose Kilian voltandosi per guardarlo. Finbar era appoggiato al bastone con entrambe le mani, la punta che affondava nella terra della collina, ormai spoglia. «Non c’è posto per noi, Finbar. Non ci sarà mai»
Finbar voltò la testa verso di lui, come se potesse vederlo. «Lo so. Ma non so se posso accettarlo»
«Non posso nemmeno io, ma è tardi ormai»
Rimasero in silenzio, mano nella mano, mentre il vento si faceva più intenso. Kilian avrebbe voluto rimanere lì per sempre, al freddo, al vento, al sole, stare lì in mezzo a quella collina, insieme per sempre. Ma non potevano. Non c’era posto per il loro amore, né lì né in nessun altro luogo sulla Terra. Avrebbero potuto scappare, vivere da reietti, ma che vita sarebbe stata la loro? Kilian non voleva che Finbar soffrisse, non in quel modo. La lontananza, in fondo, non era niente in confronto ai pericoli del mondo che avrebbero dovuto affrontare.
«Ti amo Kilian»
Kilian guardò Finbar che si era portato la mano al viso, per nascondersi. Le lacrime sgorgavano dai suoi occhi ciechi e Kilian sentì uno strappo all’altezza del cuore. Si mosse per abbracciarlo e rimasero in quella posizione per alcuni minuti, prima che Finbar lo lasciasse per baciarlo. Quello sapeva davvero di addio.
Kilian scostò i capelli biondi dal volto del ragazzo, deglutendo le lacrime.
«Questo non è un addio, Finbar» sussurrò. L’altro si asciugò la faccia con la manica della tunica.
«No? E cos’è?»
«È un arrivederci» sospirò Kilian «un giorno saremo di nuovo insieme, e allora nessuno potrà più dividerci»
«Sì, ma quando? Dove?»
«Presto. In Paradiso»
Sentì Finbar sospirare e si appoggiò a lui, alla sua spalla. «Lo credi davvero?» gli chiese Finbar.
«Perché tu no?»
Finbar si morse piano un labbro. «Non lo so. Non so più niente»
Kilian gli prese il volto fra le mani. «Devi crederci, Finbar. Non capisci? È l’unica cosa che possa tenermi vivo. L’unica cosa che potrà farmi vivere nell’-» si fermò, incerto «tra quelle mura»
L’altro annuì lentamente. «D’accordo. Allora ci crederò»
Il silenzio cadde ancora una volta tra di loro. Kilian guardava Finbar, l’uomo che amava con tutto il suo cuore, e lo teneva per mano, come se potesse scomparire da un momento all’altro nel vento. Sarebbe stato forse meglio che non si fossero mai incontrati, mai conosciuti e nemmeno mai amati?
«Forse sarebbe stato meglio non esserci mai incontrati» disse sottovoce. Finbar scosse la testa.
«No. È meglio lasciarci» trasse un sospiro tremante «che non esserci mai incontrati»*
Kilian sospirò, arcuando appena le labbra. «Ma se dobbiamo soffrire così...»
«Kilian io ti amo» lo interruppe Finbar «non smetterò mai di amarti, dimmi che anche per te è lo stesso e lasciarti sarà meno doloroso»
«Sì» sussurrò Kilian lasciando che le lacrime gli bagnassero le guance «ti amo anche io»
Finbar strinse le mani di Kilian con forza, e lo abbracciò, circondandogli la vita con le braccia. Kilian seppe in quel momento che se anche non fosse dovuto partire, se per un qualche motivo avrebbe dovuto lasciare Finbar, non avrebbe mai potuto amare nessun altro. Finbar era parte di lui, e lo sarebbe stato per sempre. Nel suo cuore non c’era posto per un amore diverso, nemmeno quello per Dio che lui non aveva. Ma si sarebbe preso le sue responsabilità, come gli aveva insegnato suo padre. La sua famiglia non avrebbe mai saputo, nessuno avrebbe mai dovuto sapere di Finbar o di loro due. Il loro segreto sarebbe morto con loro, se lo sarebbero portato nella tomba, fino a che il tempo non avesse fatto dimenticare a tutti che erano nati. In quel modo sarebbero stati al sicuro, dalla gente, dalla Chiesa, dal mondo. E un giorno sarebbero stati di nuovo insieme, se davvero un Paradiso o un Inferno esistevano veramente.
Kilian non sapeva se quello era giusto o sbagliato, ma quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe baciato Finbar, che lo avrebbe stretto a sé, che avrebbe sentito la sua pelle nuda sulla sua, a discapito del vento, del freddo e delle nuvole che annunciavano la pioggia. Nessuno era loro testimone, solo la collina, o le nuvole silenziose. Nessuno avrebbe saputo o intuito quello che era accaduto quell’estate, nessuno avrebbe mai raccontato il loro amore così breve e nessuno avrebbe mai conosciuto il dolore nei loro cuori.
Ma ci sarebbe sempre stata la collina dietro la chiesa a ricordar loro di come si erano conosciuti, di quello che era successo in quell’estate, di quello che avevano capito e imparato.
Avevano capito che l’amore può essere amaro o dolce, pazzo o disperato, ma che è molto più bello se è fatto in due.




N.d.A.:
- Il nome Kilian è di origine irlandese e significa “ecclesiastico”, da qui la chiesa e l’obbligo di Kilian di entrare in convento.
- Il nome Finbar, è sempre di origine irlandese e significa semplicemente “di capelli biondi”.
* Questa è una canzone di De André “Giugno ‘73” la trovate qui
   
 
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