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Autore: Tiger    03/09/2006    3 recensioni
probabilmente è poco chiara, ma a me piace... un torneo un po' particolare partorito dalla mia mente pazza...
Genere: Generale, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL TORNEO

 

Erano tre persone vestite in quello stile un po' giovane che le avrebbe mimetizzate a meraviglia. Precauzione poco necessaria, comunque, visto che il Ghetto Vecchio a quell'ora era praticamente deserto. Girarono in un vicoletto sudicio, dove la luce dell'aurora ancora non penetrava. Col favore della penombra, scivolarono oltre una porticina squassata, che cigolò lamentosa. Abbassarono i cappucci e sostarono appena all'ingresso, abituando gli occhi all'oscurità. Davanti a loro un cunicolo poco largo e illuminato da fioche lanterne rossastre scendeva srotolandosi in rampe irregolari di gradoni. In fondo, la lizza.

File e file di gradinate sfuggivano alla conta dello spettatore, incanalando gli aguardi verso il centro. Un rettangolo argentato incorniciava la pedana bianca-avorio del LVI Torneo. Altri cinquant'anni erano passati, nuovi sfidanti si preparavano dietro le quinte ad accogliere la gloria.

Tutti nomi illustri, pensò, guardando l'elenco dei concorrenti. Remibh e Sophye si guardarono intorno spaesati. non avevano ancora aperto bocca, probabilmente stavano cercando di dare ordine alle domande che affollavano le loro corteccie cerebrali. Si accomodò meglio sulla sedia, ormai era semisdraiata. I gradoni non erano ancora pieni, ma almeno avevano trovato posti decenti. Sarebbe stato uno spettacolo interessante.

Tornò a guardare i suoi amici, sorrise. Un sorriso stanco, ma comunque affettuoso. Sapeva che avrebbe dovuto spiegare parecchie cose a quei due profani; avrebbe davvero desiderato che ci fosse lì il vecchio Chong, a prendere le redini del discorso con la sua dialettica squisitamente alessandrina. Se chiudeva gli occhi poteva sentire ancora quella voce lievemente nasale, l'accento un po' strascicato, come cotto dal sole e dall'oppio dello Yunnan, descrivere con parole accurate le tre discipline, e le relative regole. Si abbandonò ulteriormente sulla seggiola, mentre dai suoi ricordi riaffiorava la definizione professionale che l'asceta le aveva recitato, una sera, al tempio di Lhotz.

"La Danza è la più completa delle tre discipline, quella in cui si manifesta il sommo connubio di Corpo, Spirito e Sapienza. Lo strumento è un pennello, sempre pregno di inchiosrto nero. E' il pensiero che lo muove. Le armi sono i Segni delle antiche scritture di potere, che i profani definiscono sommariamente alfabeti magici."   E che non sono altro, per la maggior parte, che lingue morte e loro varianti sviluppatesi nel corso dei secoli sulle scrivanie tarlate di altrettanti asceti.   "Un segno, un turno. Un segno tracciato ovunque, secondo le quattro dimensioni dello spazio*. Sopra superfici visibili o immaginarie, colorando l'aria addensata dal Potere."

Chong si era zittito, fisando il vuoto dinanzi a sè. la domanda dell'allieva sarebbe stata sicuramente banale, ma andava posta. E lo scopo? render impossibile una qualsiasi altra mossa dell'avversario.

I commenti entusiasti di Remibh la riscossero da quei rcordi così frequantemente percorsi. Non si era accorta che la Giornata era cominciata. Rispose con fare svogliato all'amico, le Antiche Arti del Corpo e dello Spirito non la avevano mai attratta molto. E si ostinava a chiamarle ancora arti marziali, con la minuscola.

Con la seconda disciplina si animò maggiormente, e con lei Sophye, che tifava incondizionatamente per il suo Maestro. Stupore e ammirazione stavano diffondendosi per le gradinate; nessuno aveva mai visto Spade tanto veloci e precise.

 

E finalmente, eccolo. Lo sfidante unico della Danza del pennello. La schiena tornò diritta, le gambe composte. I sensi le fremevano di anticipazione. Li osservò capitolare uno alla volta:prima il campione di Rune, poi quleei di Enoch e Astral. Mormorii le portarono le prime voci che avrebbero dato inozio ad un'altr a leggenda: egli padroneggiava il più gra numero di Segni mai pensato.

Li sconfisse tutti, un sorriso arrogante e impietoso sul bel volto. Come era, ormai, considerata usanza, reclamò a gran voce un ultimo avversario.

Al terzo dei cinque colpi regolamentari mandò il segnale, una stella verde e rossa. Accettava la sfida. Scese lentamente tra gli spettatori, la cui massa aprendosi per lasciarla passare la accompagnò come una brezza gentile. Lasciò la felpa su una sedia, in posa scompsta, prima di consegare la bacchetta alla giuria. ignorando il sarcasmo dell'altro, con una giravolta prese posto sulla pedana.

Esaminò il pennello con uno sguardo veloce, frutto delle ore passate nel suo negozio preferito in Great Russel Street.  Un numero 16, pelo di lupo. Manico di bamboo cambogiano trattato con Avel. Molto flessibile, poco ubbidiente e assai imprevedibile, riflettè. strumento difficile, ma inequivocabilmente utile. Quello dell'avversario, notò, era già un po' scurito nel manico. partiva avvantaggiato, con quell'energia nel pennello.

Fu dato il segnale di inizio.

Cominciò a punzecchiarla con un livello basso-avanzato di Enoch e Imold, un toccata e fuga per sondare le sue abilità. Ma le risposte erano deludenti, nella loro disarmante scolasticità: ad un Segno di forza uno di acqua, ad una vocale una labiale, al Drago il Ratto. Si spazientì. Passò all'Und, parecchi livelli più in alto. E a quel punto, come per caso, lei si riscosse, con una piccola Enwa (corda) nell'angolo Nord dell'avversario. Ed ecco, prevedibilmente, runa di Ghind nel suo Sud, grandezza doppia. Erano pari, entrambi accerchiati, entrambi in stallo. Ma ecco, la piccola Donol (nobiltà) al centro, mosse gli equilibri. Cominciava l'assiedio, am egli non se ne accorse. Cos'era, in fondo, quella piccola vibrazione di fronte al suo grande potere? Sicuro, scagliò un anatema di Erech davanti a quella stupida. Ma il Tormento di lei si stampò pesante nell'aria alla sua destra, assorbendo l'anatema. Si era messo nei guai da solo. Tornò alle ligue di base, stendendo un invadente basso mandarino a qualche centimetro dal suolo. Non si era ancora mossa. Mentre il pennello tracciava la risposta, si spostò in un altro riquadro del segno, ribaltandone il significato. Arrivò quindi un Ampa (gancio), rotto dalla sua Piuma.

Cominciava la Danza.

I Pennelli dei due fremevano man mano che i loro padroni li riempivano e li vuotavano di energia, e giuzzavano ora eleganti come veli di odaliosca ora rigidi come soldati a segnare d'inchiostro mille e mille atomi dell'aria. I due avversari si muovevano sulla pedana attraversando i Segni precedenti con movimento studiati e solenniche incantarono gli spettatori. Quello scontro sarebbe certamente passato alla storia. Gli innumerevoli gradoni rimbombavano di silenzio, mentre il potere accumulato sulla pedana cresceva. Pochi riuscivano ancora adistinguere le varie mosse.

I due pennelli erano ormai entrambi quasi completamente neri, pronti al finale. Lo sfidante lanciò il suo segno definitivo, il Segno degli Elementi. Mentre il suo manico si svuotava, la costruzione dei Segni tremò, minacciando di sfaldarsi. L'energia dell'urto spinse i contendenti in aria, i piedi sopra il segno più alto. E allora comprese dove aveva sbagliato. Nell'attimo stesso in cui il suo pennello terminava il Segno, il pennello di lei cominciava il suo. Non aveva dato importanza alle piccole vibrazioni dei piccoli Quen di lei, così sottili e nascosti. La vide allargare appena le mani, e il pennello si divise per il lungo in due metà perfettamente bilanciate. Si era lasciato possedere dai Segni, quando doveva interpretarli. Le due metà si muovevano indipendenti, su di un piano che li avvolgeva entrambi a livello della vita. Comprese che non bastava ottenere il potere e dominarlo, bisognava anche saperlo ascoltare. Il pennello si ricompose perfettamente, e tornò al suo posto. I Segni precedenti diventarono argentati, rendendo così finalmente visibile l'architettura di Potenza che le aveva reso possibile, prima nella storia, il Segno senza nome, il Segno supremo che conteneva in sè tutti gli altri.

I segni scomparvero, e loro poterono tornare a poggiare i piedi sulla solida pedana, tributandosi l'inchino dovuto. Lo sfidante ruppe il silenzio.

Che nome dovremo dare a questo Potere?

Non mi avete riconosciuta?

Sono la Tigre Nera.           

 

 

 

 

 

NOTE

-la 4a dimensione è una cosa inventata, ci stava bene con la magia. NON si riferisce alle teorie recenti sul tempo come quarta dimensione dello spazio.

-le varie parole assurde che trovate sono o nomi di lingue o nomi di lettere (segni), sono o inventati di sana pianta o elfici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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