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Autore: yvette    20/01/2012    0 recensioni
questo è uno sfogo puro e semplice. niente di più e niente di meno
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la storia delle mie nefandezze. Questa è la storia dei miei tradimenti. Questa è la mia storia. Tutto è iniziato circa un anno fa con la morte del padre del mio moroso. Una morte improvvisa, violenta, inaspettata. Il mondo è crollato completamente, niente aveva più senso. Una attimo prima eri lì che sorseggiavi un cocktail, l’attimo dopo correvi all’ospedale non sapendo cosa fosse successo, ne perché; correvamo e basta nella speranza che tutto si potesse risolvere. Nevicava e i fiocchi che scendevano erano pochi. In quel momento tutto era privo di rilevanza tranne la morte. Già la morte. Un attimo prima sei convinta che sei intoccabile e poi ti accorgi che tutto sta crollando; sta crollando addosso a te e te sei così paralizzata da non poterti muovere, te ne stai li ferma e aspetti che le macerie ti sommergano, che il dolore ti spazzi via come un pezzo di carta trasportato da un vento impetuoso. Basta è tutto finito, non c’è niente da fare, niente da salvare. Punto. Non puoi fare altro che prendere la cosa così come viene servita. “eccoti il tutto servito su un vassoio d’argento; grazie e arrivederci.”. La verità forse è che ho sempre creduto possibile controllare gli eventi. Sì, l’ho creduto e a lungo. Puttanate. Siamo in balia degli eventi, non controlliamo un cazzo. E dire che l’umanità è diventata maniaca del controllo. Tutti i giorni noi cerchiamo di controllare la nostra vita, le nostre reazioni, le nostre emozioni, le vite degli altri. E poi perché? Perché non possiamo lasciare libero sfogo a quello che si smuove dentro di noi, ai nostri impulsi, alle nostre emozioni? Sarebbe anarchia ma forse non è più controproducente tenersi tutto dentro, evitare di lasciare sfogare tutta la marmaglia di cose che avvengono in noi? Così tutto è cominciato. O forse era solo il continuo di un’altra storia. Il fatto è che quella morte, questa morte, mi ha cambiata. Ha spezzato qualche cosa dentro, la fiducia verso la vita, verso gli altri, verso me stessa. Ho perso la strada. Sì l’ho perduta. E adesso sono qui che cerco un senso delle mie azioni, dei miei comportamenti, di me stessa. Il grande interrogativo esistenziale: chi sono io? Che persona voglio cercare di essere? Il buffo è che fino a un paio d’anni fa lo sapevo alla perfezione. Credevo di sapere tutto di me. Invece non sapevo proprio nulla. Sto iniziando a intravedere la parte nascosta di me, quella che ho sempre cercato di chiudere nel vaso di Pandora e che ora esce con impeto da quel vaso. La mia parte nascosta, il mio abisso, il mio antro nero, la schifezza che si cela in me. Si cela in me come in molte altre persone, se non tutte, suppongo. Questa parte priva di moralità, la bestia che si nasconde in ciascun uomo, dove la ragione è nulla e prevalgono solo gli istinti primordiali. Ecco la parte che in questo periodo della mia vita sto iniziando a scoprire. E ciò mi spaventa. Perché mi accorgo ogni giorno di non essere la persona che credevo che fossi. Ma sono davvero io questa? No, non è possibile che sono io, qualcosa si è impossessato di me e del mio corpo. Questo mi continuavo a ripetere all’inizio di tutto. Almeno fino a ieri. Oggi no. Credevo di aver toccato il fondo, in principio, ma oggi posso dire con certezza che quello non era il fondo. Forse non esiste neanche perché sei tu che ti scavi la fossa con le tue stesse mani e ce n’è di terra da scavare. E allora mi chiedo: fino a che punto mi posso spingere? Qual è il mio limite? Quand’è che la mia anima sarà così compromessa che la cosa diventerà irreversibile? Quel’è il punto di non ritorno? L’ho già superato? Perché continuo a comportarmi così, pur sapendo che farò soffrire una persona che dico di amare? Sono domande a cui non riesco proprio dare risposta. La cerco, ma non la trovo; o forse faccio solo finta di cercarla, per paura di scostare troppo la tenda e rivelare lo schifo che si nasconde. Se tutti potessero avere il ritratto di Dorian Gray sarebbe molto più facile: sapresti fin da subito quanto sei compromesso dentro e se sei in tempo per tornare indietro. Invece devi analizzarti interiormente. È un processo di introspezione, di analisi e di critica nei tuoi confronti. Una sorta di bilancio di te stessa. Ho veramente voglia di compierlo? Ho veramente voglia di scoprire di odiarmi? O forse già mi odio? Ho tradito. Sì, l’ho fatto e più volte. Ho tradito la persona che amo, che mi ama, quella a cui ho dichiarato che mi piacerebbe sposare un giorno. L’ho fatto oggi, ieri, quest’autunno, quest’estate e questa primavera. L’ho fatto. Sono stata io a compiere il fatto, non un’estranea o un alieno. IO. Non ci dovrebbero essere conseguenze per questo tipo di comportamento? Mi è sempre stato insegnato che ad ogni azione corrisponde una reazione. Questa reazione dov’è? Arriverà tutta in una volta? Sarà così grossa da spezzarmi ancora? Probabilmente sì. E io per cercare di porre rimedio, cosa devo fare? Lasciarlo? Sì, sarebbe la soluzione migliore. Ma il coraggio mi manca. È egoistico non lasciarlo per quello che lui rappresenta per me. Sì, è davvero da egoista, ma io sono egoista, tutti lo siamo, chi più chi meno. Dovrei lasciarlo perché non mi merita ma poi penso a lui, a come mi guarda, a come mi ama, al suo calore sotto le coperte, alle sue braccia che mi cingono la notte e mi fanno sentire protetta. Buffo che le stesse cose che mi spingono a non lasciarlo sono anche le stesse per cui dovrei farlo. Non merito tutto ciò. Chi ha tradito lo sa come ci si sente. Fanculo a chi dice che è una cosa sbagliata. Cazzo è ovvio; perché sprecare fiato per dire un’ovvietà? Non sarei qui a scrivere se non sapessi che è sbagliato. Il problema fondamentale è come riuscire a convivere con questo. Come si fa ad andare avanti se si ripetono gli stessi sbagli? Come si fa a convivere con qualcosa di così contrastante con tutto quello in cui ho sempre creduto? Come si fa a tenerlo tutto dentro? Una cosa del genere non ti distrugge? Non ti spezza, non ti abbatte, non ti paralizza, non ti uccide? Forse che io sono masochista? Sicuramente una parte di me lo è. Il mio è un lento e doloroso suicidio? Un suicido dell’anima? Probabilmente.
  
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