" E fu amore, e fu rivoluzione !
Discorsi sulla strada e vita piena.
Ma Giuda amava più di ogni sermone le urla dolci della Maddalena. "

La tempesta alla fine si è placata velocemente, le nuvole sono andate a ballare verso l' entroterra.
Il vento non lo sento più ululare tra le insenature, ha finito di far sbatacchiare le imposte e i rami degli alberti, e deve essersi messo tranquillo, ha fatto pace con le onde e si è messo a coccolare e a cullarle verso la riva, come fa sempre.
Finito tutto di colpo, come se qualcuno ad un tratto avesse staccato la spina.
Posso ascoltare le grida dei gabbiani, che sono usciti delle loro tane umide tra le rocce per volare a festa sopra alla scogliera, asciugando le loro piume all' aria.

Non sei più tra queste coperte, e niente mi tiene più in questo letto, per questo me la filo via anche io, rotolando tra le lenzuola fino a balzare giù dal materasso.
Mi passo una mano tra le ciocche bionde, guardandomi un attimo allo specchio, appeso vicino alla porta semichiusa.
Vedo segnacci rossi e violace sul collo, dei graffi sopra alle spalle, c'è persino il segno di un morso, vicino alla clavicola.
Ne vado quasi fiero di questi marchi labili, ci passo sopra le dita e premo, per sentire il dolore.
Sogghigno, e curvo la schiena indietro, gonfiando la pancia ed petto.

Ho male ovunque, e questo mi piace.

" Maddalena, io ti amo tanto.
Lui voleva il cielo, e io voglio stare qua.
Il paradiso mio sta solo nei tuoi fianchi.
Seni dolci, per occhi stanchi.
Bocca rossa, di caramella.
Questa vita sulla terra è così bella. "

Esco dalla camera sgambettando, con la schiena nuda che illuminata dalla luce triste che entra dalla finestra senza imposte.
Lancio un' ottima occhiata alla stanza distrutte, alle coperte che ciondolona dal letto verso il pavimento, ai vetri puntellati di goccioline d' acqua, ai vestiti sparsi sopra ai mobili, e poi grattandomi la schiena esco.

Il corridoio è vuoto, attraversato da una luce lieve lieve, pallida, che ricorda quella di un ospedale.
Faccio una smorfia e filo avanti, scalpicciando con i piedi nudi sopra al pavimento gelato, fino alla cucina.
Riposi sopra al tavolo, con la testa appoggiata sulle braccia e le braccia appoggiate sopra al tavolo.
Davanti a lui è abbandonata in disparte una tazza piena di chissà quale tisana strana, che fuma pigramente, in attesa di essere bevuta il prima possibile.
Dev' essere qualcosa ai frutti rossi, ne riesco a sentire l' odore.

I capelli di Bendik sono tutti sparsi sulla sua fronte, ha le spalle spoglie e la pelle d' oca per il freddo.
Dietro di lui la finestra che affaccia sul resto della città ha le tendine scostate, e si vedono muri sfocati in lontananza.
Non posso fare a meno, guadando il suo viso, di ricordarmelo, mentre prima, intrappolato sotto di me sforzava la gola per gemere, e gemere.

:- Mh, Nor, se andassimo via, da qui ?

{ Come vedete non si va avanti di molto, eh. Che danese LENTO. }