Capitolo 17
Vidi
mio fratello corrermi incontro a scatti, sparendo ogni tanto, e quando
me lo trovai a pochi centimetri dal viso riuscii a scorgere il riflesso
dei miei occhi nei suoi, ora più che mai, grazie a quella
luce intensa, dorati. Erano però anche lucidi di lacrime.
Sentii le sue braccia avvolgermi il collo all’improvviso e
rimasi per qualche secondo confusa e spaesata. Che ci faceva lui
lì?
La sorpresa più grande però fu vedere anche Ale,
la mia migliore amica, e dietro di lei i miei genitori.
«Ma
cosa… Posso sapere che cavolo ci fate tutti voi
qui?», chiesi con gli occhi sgranati, dando qualche pacchetta
distratta sulla schiena di mio fratello, che mi stava quasi soffocando.
«Siamo
venuti a tirarti fuori dai guai, signorina!»,
strillò mia madre. Ciononostante, avevo come la sensazione
che una volta risolto quell’enorme casino – se mai
ci fossimo riusciti – ne avrei avuti ben altri di
guai… proprio con lei! Mi aspettava la punizione
più spregevole che la sua mente potesse procreare.
Però sorrisi, felice di vederli e di sapere che erano
accorsi per me, solo per me. Mi sentii anche maledettamente in colpa
per averli fatti preoccupare e spaventare, ma fu solo un attimo
passeggero, anche perché dietro di loro scorsi la figura di
Fiore.
«Fiore»,
balbettai, sorpresa di vedere anche lei. Lei non osò alzare
lo sguardo ed intuii che forse era dispiaciuta per come si era
comportata con me l’ultima volta che ci eravamo viste.
«Fiore io non sono arrabbiata con te, davvero… Sei
tu quella che dovrebbe esserlo, perché io
ho…».
«Cosa?»,
domandò Alessandro, spuntando da dietro una piccola folla.
Aveva un sorriso solare sul viso e lì per lì
credetti di avere le allucinazioni, ma quando si avvicinò a
me e mi prese per le braccia per aiutarmi ad alzarmi dalla sabbia
sentii la consistenza del suo corpo muscoloso e col fiato mozzato in
gola, euforica, gli gettai le braccia al collo gridando.
«Oh
mio Dio, allora sei vivo! Non ti sei perso in nessuna altra dimensione!
Ma allora… perché non eri con me?»,
domandai frastornata, guardandolo negli occhi.
Lui
ridacchiò. «Credo che sia successo
perché…».
«Mi
dispiace interrompere il vostro felice raduno, ma credo che dovrete
prestarmi un po’ d’attenzione».
I
miei occhi lampeggiarono di rabbia vedendo la vecchia megera che a
causa della sua bassa statura faticava a tenere sotto controllo
Charlotte, che si dimenava furiosamente nonostante la vecchiaccia
avesse una mano fra i suoi capelli rossi e il pugnale nascosto nel
bastone che usava per aiutarsi a camminare puntato al suo petto.
«Stai
ferma, sciacquetta!», gracchiò la vecchia e con
uno strattone la fece cadere a carponi sulla sabbia, provocandole un
taglio sullo zigomo con il pugnale. «Oh, perdonami cara, non
era mia intenzione».
Charlotte
digrignò i denti, nonostante le lacrime che le scorrevano
sul viso, e un po’ del suo sangue prese a gocciolarle dal
mento.
«Lasciala
andare», urlai piena di rabbia, avanzando di un passo.
«Come,
scusa? Non ci penso minimamente! Vi ha aiutati a fuggire e deve
pagarmela, in qualche modo!».
«Se
io dovessi fartela pagare per tutto ciò che hai fatto a me,
alla mia famiglia e ai miei amici avrei già dovuto mandarti
all’oltretomba!», sbraitai rossa di rabbia e non mi
accorsi nemmeno di svanire e ricomparire di fronte a tutti, talmente
tanto era il potere che mi circolava nelle vene. Feci ben attenzione a
non aprire i palmi delle mani, perché dalle mie nuovissime
conoscenze sapevo che potevo liberare il mio potere creando buchi neri
e non era decisamente il caso, di fronte a tutta quella gente.
La
vecchia iniziò a ridere, guardandomi come se fossi la cosa
più divertente che avesse mai visto. «Attenta,
bambina, o rischierai di perderti tu stessa in chissà quali
dimensioni».
«Odio
darle ragione, ma è così», disse Fiore
comparsa magicamente al mio fianco. Portò le mani sulle mie
spalle e mi sussurrò all’orecchio: «Se
non ti calmi rischi davvero di autodistruggerti».
Provai
a calmarmi e ci misi un bel po’, a causa di quella rabbia
cieca che riuscivo a malapena a controllare. Forse era proprio quello
l’intento di quella vecchiaccia, farmi arrabbiare
così tanto da portarmi all’autodistruzione.
«Lascia
fare a me», mi bisbigliò ancora Fiore, prima di
avviarsi a passo deciso verso la vecchia.
«Fiore»,
esclamò la vecchia con uno strano tono di voce, mentre
indeboliva lentamente la presa sui capelli di Charlotte.
«Come sei cresciuta…».
«Risparmiati,
mamma».
Gran
parte delle persone intorno a me trattennero il respiro, sorprese dalla
notizia, e persino io lo feci, sentendo un brivido di gelo corrermi su
per la schiena. Fiore era la figlia di quella vecchia megera? Non
potevo crederci, ma solo in quel modo mi accorsi che molti tasselli del
puzzle riuscivano a trovare il loro posto. Per esempio, riuscii a
rispondere ad una delle domande che mi erano sempre vorticate nella
testa: se anche Fiore possedeva il dono di viaggiare tra le dimensioni,
perché la vecchia non aveva mai tentato di rubarlo a lei?
Perché infondo era pur sempre sua figlia e doveva volerle
ancora bene.
Per
avere ulteriori delucidazioni su tutta la storia non dovetti aspettare
molto, fu la stessa Fiore a raccontare tutto quanto.
«È
ora di farla finita con questa storia, mamma. Non posso sopportare che
tu faccia del male ad altre persone innocenti, solo perché
vorresti tornare giovane e riavere indietro il tuo dono e
perché non riesci ad accettare la mia decisione di stare in
questa dimensione con la persona che amo».
Mi
voltai verso Alessandro, ma lui non ricambiò lo sguardo,
fisso sulla sua fidanzata.
«Lo
sapevi perfettamente che con l’arrivo della vecchiaia il dono
sarebbe lentamente diminuito», riprese Fiore, iniziando a
camminare avanti e indietro di fronte a sua madre. «Ma tu hai
anticipato le cose, utilizzandolo in maniera così
spropositata quando eri giovane e viaggiavi per tutte le dimensioni,
cercandone sempre di nuove. Ammiravo la tua voglia di conoscenza,
sapevi sempre tutto e ogni volta che potevi andavi a trovare le
popolazioni delle altre dimensioni, fino a quando papà
è morto».
A
quelle parole la vecchia trasalì, portandosi una mano sulla
fronte. Sembrava che quell’excursus nel suo passato la stesse
facendo rabbonire, ma non mi sarei calmata fino a quando non
l’avrei vista indifesa e lontana dalle persone che amavo.
«Quando
è successo hai capito quanto poco tempo fossi stata
realmente con lui in vent’anni di matrimonio, quanto poco
conoscessi lui e me, la tua stessa figlia. Ma a quel tempo io ero
già grande, avevo badato a mio padre fino a quando sul letto
di morte mi salutò e mi disse di dirti che ti amava
nonostante tutto, e da quel momento in poi mi sono allontanata da te,
iniziando ad odiare il tuo stile di vita. Tu hai sempre abusato del tuo
potere e hai accorciato i tempi della sua scomparsa, provocandoti anche
una grave malattia che ti sta portando via…».
Fiore si fermò di fronte alla vecchia e si
inginocchiò sulla sabbia per poterla guardare negli occhi.
«Io ho ereditato i tuoi stessi enormi poteri e vorresti che
facessi la tua stessa vita? Tutto quello che hai passato e che hai
dovuto patire… non ti è servito a nulla, allora?
Io ho trovato l’amore, qui, e non intendo lasciarlo. Tu
avresti dovuto fare lo stesso. Se tu l’avessi
fatto… a questo punto non saresti qui, ad un passo
dalla…».
La
vecchia alzò una mano per schiaffeggiarla, ma Fiore
sparì e altrettanto velocemente comparve a qualche metro di
distanza, gli occhi ardenti ancora fissi nei suoi.
«Pensi
di riavere il dono strappandolo ad un’altra persona? Questa
tua ossessione ti ha davvero accecata. Dovresti sapere che questi
trucchetti non funzionano, che ogni dono è unico e non lo si
può rubare. Devi metterti il cuore in pace, preserva da
altri inutili fatiche il tuo corpo stanco…».
La
vecchia parve davvero lasciarsi andare alle lacrime e dar ascolto alla
figlia perduta, ma all’ultimo momento la rabbia le
attraversò come un lampo le iridi scure e urlò
con tutta la voce che aveva, fissandomi dritta negli occhi:
«Consegnami il tuo dono, stupida ragazzina! Tu non
l’hai mai voluto, l’ho visto nei tuoi occhi la
prima volta che ci siamo viste! Non lo meriti!». Strinse
ancora con più forza i capelli di Charlotte, che gemette, e
le puntò in modo ancora più pericoloso il pugnale
del suo bastone al petto. «Consegnati, o vedrai morire la tua
amichetta!».
Guardai
Charlotte negli occhi e lei mi guardò implorante, ma scosse
il capo lentamente, rivolgendomi un mezzo sorriso. Avrebbe preferito
morire, piuttosto che vedere quella vecchia megera realizzare il suo
piano malvagio, ma io non l’avrei mai abbandonata, non una
seconda volta.
Così,
contro tutte le persone che provarono ad ostacolarmi durante il mio
breve tragitto, camminai verso la vecchia, che mi guardò
cercando di leggermi negli occhi la mia prossima mossa per provare ad
ingannarla.
«Prometti
di lasciarla andare, se mi consegno a te?», le domandai in
tono pacato. «Tanto, da quello che ho capito, non riuscirai
mai a rubarmi il dono, per quanto tu lo desideri esso
rimarrà sempre dentro di me e forse c’è
qualcosa che non sai: io ho imparato a volere il mio dono, adesso ne
riconosco i lati positivi e non lo rifiuterei per nulla al
mondo».
La
vecchia mi guardò in cagnesco e berciò:
«Certo, ragazzina, libererò la tua amica se ti
consegni a me».
«Bene»,
risposi e sospirai, poi allungai lentamente i polsi verso di lei,
sperando che Davide avesse intuito il mio piano quando
l’avevo guardato negli occhi prima di andare dalla megera.
La
vecchia, sorpresa dal mio comportamento fin troppo arrendevole, ci mise
un po’ a fidarsi, ma quando lo fece per mettermi un nuovo
paio di manette anti-dono lasciò andare Charlotte, che cadde
sulla sabbia, sfinita.
Adesso!
pensai con tutte le mie forze e vidi mio fratello comparire al mio
fianco per teletrasportare lontano da lì Charlotte. Sorrisi
pensando di averla fatta franca, ma quando mi voltai per trovare il
viso della vecchia la vidi mentre sollevava il suo bastone col pugnale.
Pensai che mio fratello sarebbe stato colpito alla schiena, ma non ebbi
i riflessi tanto pronti per fare qualcosa.
All’improvviso vidi Davide cadere di lato e uno schizzo di
sangue mi colpì il volto. Chiusi gli occhi e quando li
riaprii, colmi di lacrime, vidi Charlotte inginocchiata al mio fianco,
con il pugnale della vecchia conficcato in mezzo al petto.
«Stupida»,
mi disse con un fil di voce, prima di sorridermi e di chiudere gli
occhi, cadendo di nuovo sulla sabbia.
«NO!»,
gridai e senza nemmeno accorgermene aprii entrambi i pugni, facendo
fuoriuscire un flusso impressionante di energia, che si
accumulò e creò un varco grande il doppio di
quello che avevo creato la prima volta.
Questo iniziò a risucchiare più cose possibili,
si alzò un gran polverone e molte persone si gettarono a
terra per non finire nel buco nero.
«No,
Arianna, chiudilo subito!», gridò Fiore,
affiancandomi e prendendomi le mani.
Davide,
spaventato a morte, allungò una mano verso Charlotte, che
continuava a perdere sangue, e in un batter d’occhio
sparirono nel nulla. Sperai che avessimo pensato la stessa cosa.
«Non…
non ci riesco!», gridai disperata, mentre i primi scagnozzi
della vecchia megera venivano risucchiati nel vortice e scomparivano.
Fiore
provò a chiudermi i palmi delle mani, ma venne sbalzata
indietro da una forza a me sconosciuta e la guardai sentendomi la
persona più impotente e stupida del mondo, perché
non saper controllare la propria forza è la peggiore
impotenza.
La
vecchia megera intanto si era aggrappata ad una roccia della scogliera
e guardava il buco nero atterrita e allo stesso tempo affascinata da
tutta quella potenza dirompente.
Pensai
che dovevo fare assolutamente qualcosa, ma cosa?
«Ary!».
Mi
voltai all’udire la voce di Nick, anche lui aggrappato ad una
roccia insieme ai suoi fratelli, ma nel suo sguardo non vidi nemmeno un
briciolo di paura, né nessun altro sentimento che potesse
dimostrare il disprezzo che pensavo provasse nei miei confronti vedendo
tutto quello che stavo facendo. Vidi solo amore e ripensai ai momenti
belli passati insieme a lui, finché una strana calma non
iniziò a sedare la mia rabbia e il mio dolore per
ciò che la vecchia aveva fatto a Charlotte.
L’amore, come avevo già avuto modo di appurare,
era la miglior cura esistente nell’universo e non avrei mai
smesso di scoprirlo.
Infatti
il buco nero si chiuse lentamente e col fiato spezzato caddi a terra,
esausta. Sentii parecchie voci intorno a me, non vidi più il
sole alto nel cielo accecarmi mentre roteavo gli occhi in una ricerca
frenetica e sentivo il cuore battermi sempre più lentamente
nel petto.
Era una mia sensazione, o quel potere che avevo fatto scivolare fuori
dalle mie mani creando quel buco nero si era portato via parte della
mia vita? Fu quello il mio ultimo inquietante pensiero, prima che il
buio avvolgesse tutto quanto.
***
Quando
riaprii gli occhi, non sapevo che giorno fosse. Avevo le palpebre
così pesanti e mi sentivo ancora così debole che
pensai che avrei potuto dormire ancora per un anno intero.
Voltai
lentamente il capo per guardarmi intorno e mi accorsi che in quella che
aveva tutto l’aspetto di una camera d’ospedale non
ero sola. Seduto accanto alla finestra, con lo sguardo perso oltre il
vetro, c’era Nick. Il sole gli accarezzava dolcemente il viso
e le palpebre socchiuse e la luce ambrata che lo rendeva se possibile
ancora più bello mi fece intuire che era l’alba.
Nonostante non fosse un tipo mattiniero, lui era lì, per me,
a combattere contro il sonno.
«Amore»,
mormorai, non riconoscendo subito la mia voce graffiata.
Lui
si voltò di scatto, sorpreso di sentire la mia voce, ma nei
suoi occhi vidi una luce di gioia pura.
Gli sorrisi dolcemente, mentre lui faceva lo stesso e trasportava la
sedia su cui era stato seduto fino ad allora accanto al mio letto.
«Ehi»,
sussurrò, prendendomi una mano fra le sue e portandosela
alle labbra per accarezzarla con un bacio. «Hai gli occhi
spenti, forse è meglio se ti riposi ancora un
po’».
«No,
sto bene», mentii e fui felice di farlo, perché
vederlo era l’unica cosa in grado di farmi sentire meglio
veramente. «Anzi, credo di aver dormito fin troppo».
«Solo
quattro giorni».
«Solo?
Wow», arricciai le labbra in una risata. «E tu?
Sembra che non dormi da settimane, hai un aspetto orribile».
«Oh,
grazie mille», rispose chinando il capo in un mezzo inchino.
Anche lui, alla fine, non avrebbe voluto che tornassi a dormire: glielo
leggevo in faccia.
«Gli
altri stanno tutti bene?», domandai, cercando di ricordare
tutti i dettagli della “battaglia finale”, da
quando avevo deciso di intrufolarmi nella casa-labirinto della vecchia
megera fino a quando il buio più totale mi aveva avvolta.
«Sì,
erano solo tutti molto preoccupati per te».
«E…
e Charlotte?». Ricordai la sensazione terrificante che avevo
provato quando avevo sentito il suo sangue schizzarmi in faccia, come
se quella pugnalata al petto l’avessi presa io, e
d’istinto mi portai una mano sul viso, trovandolo pulito.
Nick
mi prese quella stessa mano ed indugiò per qualche secondo,
evitando il mio sguardo. Alla fine, mormorò: «Si
riprenderà». Io però capii subito che
la sua era una bugia, una bugia che probabilmente si ripeteva da giorni
per non accettare il fatto che, no, non si sarebbe ripresa.
Con
le lacrime agli occhi, sussurrai: «Voglio andare da
lei».
***
Entrai
nella sua camera d’ospedale e guardai il macchinario al suo
fianco che mostrava il suo elettrocardiogramma. I battiti del suo cuore
erano lenti, tanto lenti da farmi stare col fiato sospeso ogni volta,
fino a quando non giungeva quello successivo.
Aveva anche una mascherina posata sul viso, che l’aiutava ad
incamerare l’ossigeno nei polmoni.
But you don't know what you got 'til
it's gone
And you don't know what it's like to feel so low
Mi
avvicinai al suo letto, avvolta nel mio accappatoio verde pallido, e mi
sedetti sulla sedia al suo capezzale.
La guardai e mi chiesi se stesse dormendo. Aveva
un’espressione neutra sul viso e i capelli rossi le
ricadevano sulle spalle e sul cuscino candido.
Mi dissi che, nonostante il mio fratellino avesse avuto la mia stessa
idea trasportandola il prima possibile all’ospedale, non era
bastato a salvarla.
I medici dicevano che il suo fisico non avrebbe retto ancora per molto,
che la ferita che le era stata inflitta era troppo profonda e fin
troppo vicina al cuore, e che, come se non bastasse, quel
pugnale era impregnato di magia nera che, come un veleno – lo
stesso che aveva corroso l’anima della vecchia megera nel
corso degli anni a causa della sua ossessione per il dono, –
aveva iniziato a circolarle nelle vene portandola lentamente alla morte.
Le
lacrime mi punsero gli occhi e il naso incominciò a
pizzicarmi, così alzai il viso verso l’alto per
non farle sfuggire alle ciglia.
«Arianna…».
La sua voce flebile mi giunse incredibilmente alle orecchie ed abbassai
il capo di scatto, guardandola negli occhi. Stava sorridendo
lievemente, come se non avesse neppure la forza per farlo ma ci volesse
provare comunque. Ed ero certa che quel mezzo sorriso non
l’avrei mai dimenticato, perché era il
più bello che avessi mai visto, perché era vero,
perché era quello di una persona che combatteva contro il
dolore e tuttavia era serena.
And every time you smile or laugh you glow
You don't even know, no, no
You don't even know
«Charlotte»,
mormorai e non riuscii più a trattenere le lacrime, che
silenziose mi solcarono le guance.
Sollevando
una mano, con estrema fatica, si tolse la mascherina dal viso, anche a
costo di rantolare mentre parlava.
«Mi fa piacere vederti».
Nelle sue parole percepii un significato nascosto: sembrava che avesse
lottato contro quel veleno solo per vedere me.
«Anche
io sono felice di vederti», accennai un sorriso e le strinsi
una mano nelle mie. «Volevo ringraziarti per tutto quello che
hai fatto per me. Mi hai aiutata nella casa-labirinto, hai salvato mio
fratello… Ma soprattutto, grazie per tutto quello che hai
fatto per Nick».
Charlotte
guardò il soffitto. «Non ho fatto nulla di
così speciale». Venne travolta da un attacco di
tosse e il suo corpo tremò, tanto che la pregai di non
affaticarsi e di rimettersi la mascherina, ma lei scosse lievemente il
capo e si riprese. «Per amore si fa di tutto,
sai?».
«Sì,
lo so».
«Allora
ricordati quello che ti ho detto: proteggi Nick da tutto e da tutti,
amalo più che puoi… o ti aspetterò
all’inferno».
Scossi
il capo con tenacia e mi alzai dalla sedia per avvicinarmi ancora un
po’ di più al suo viso, che accarezzai con la
punta delle dita tremanti. «Tu non andrai
all’inferno, Charlotte. E tu… tu ti riprenderai,
sì…».
Lei
mi sorrise e nel suo sguardo lessi una punta di gratitudine. Mi stava
ringraziando per averle detto quella bugia.
So I'll wait 'til kingdom come
All the highs and lows are gone
A little bit longer and I'll be fine
I’ll be fine…
Charlotte
chiuse lentamente gli occhi, non ascoltando le mie suppliche, e quando
mi arresi sentii il macchinario accanto a lei suonare ininterrottamente
una nota acuta che mi perforò i timpani e mi fece sanguinare
il cuore.
Mi spostai lentamente dal suo viso, presi un lembo del lenzuolo che
l’avvolgeva e glielo coprii. Ma prima rimasi ad osservare
ancora una volta quel sorriso che le incurvava leggermente le labbra
all’insù.
Uscii
dalla sua stanza e trovai subito lo sguardo di Nick, lo ricambiai per
un momento e poi andai dalla cheerleader bionda e da quella mora, che
sedute su delle sedie proprio lì di fronte si abbracciavano
e piangevano.
Mi unii al loro abbraccio, sentendomi unita a loro più che
mai, e ripetei più volte un «Mi
dispiace» che non avrebbe di certo cambiato le cose.
Charlotte era andata e nessuno avrebbe potuto farla tornare indietro.
***
Mentre
camminavo accanto a Nick, stretta al suo braccio, per tornare nella mia
stanza, scorsi le figure di Fiore e di Alessandro infondo al corridoio.
Lo pregai di accompagnarmi da loro e la ragazza, appena mi vide, mi
strinse in un forte abbraccio.
«Sono
felice che tu stia bene», mi sussurrò con le
labbra premute sul mio orecchio. Poi si scostò per guardarmi
in viso e con un’espressione che non riuscii bene a decifrare
mi accarezzò un ciuffo di capelli, tirandomelo di fronte al
viso per farmelo vedere: era bianco, completamente bianco.
«Che…
che cos’è?», balbettai spaventata,
toccandomi i ricci che mi cadevano sulle spalle e trovandoli ancora
tutti del biondo scuro che riconoscevo.
«Il
potere che abbiamo è definito un dono per le grandi
possibilità che ci offre, ma bisogna stare attenti a come lo
si usa, o potrebbe ritorcersi contro di noi». Fiore mi fece
l’occhiolino.
Le
sue parole mi fecero tornare alla mente la sensazione terrificante che
avevo provato quando avevo esagerato col mio potere, creando
quell’enorme buco nero sulla spiaggia, e non ero riuscita
più a controllarmi: avevo pensato che parte della mia vita
fosse fuoriuscita dal mio corpo e ora, guardando quel ciuffo di capelli
bianchi, me ne convinsi del tutto.
«Hai
ancora molto da imparare», mi disse ancora, accarezzandomi il
mento con fare materno. Poi si voltò verso il suo fidanzato
e si lasciò abbracciare, guardando oltre il vetro che
mostrava l’interno di un'altra camera d’ospedale.
Ebbi
paura a scoprire chi vi fosse all’interno, paura che vi fosse
finito per colpa mia, ma quando vidi l’anziana donna stesa
sotto un manto di coperte candide provai un tuffo al cuore. Aveva perso
le sembianze con cui l’avevo sempre vista, ma la riconobbi
subito: la vecchia megera. Osservandola, giunsi alla conclusione che
ora era semplicemente l’anziana madre di Fiore, che aveva
perso ogni voglia di combattere e che alla fine aveva accettato il suo
destino, donando un po’ di pace al suo cuore e alla sua anima.
Aveva i capelli bianchi proprio come il mio ciuffo, il viso stanco e di
un colore smorto, cosparso di rughe, e le sue mani erano nodose e prive
di forza.
«Il
veleno della sua ossessione si è radicato troppo
profondamente nel suo cuore per permetterle di guarire, ma sono felice
di vedere che è tornata quella di sempre e che abbia trovato
un po’ di pace», disse Fiore, lo sguardo vacuo
puntato su di lei. «In questa donna anziana, brutta e senza
più forze rivedo la donna giovane, bella e piena di energie
che era mia madre».
La ragazza si voltò improvvisamente verso di me e mi prese
le mani nelle sue: «E devo ringraziare solo te per questo. Se
tu… tu non avessi tentato il tutto e per tutto con lei,
rischiando così tanto, non avrebbe mai capito quanto la vita
sia breve e quanto poco permetta alle persone malvagie di sentirsi bene
con se stesse. Sei stata molto coraggiosa, Arianna».
«Io
non ho fatto niente», biascicai, rifiutando i suoi
ringraziamenti. «Ma sono felice di essere stata
d’aiuto, in qualche modo».
Guardai Nick al mio fianco e gli sorrisi lievemente. «Sono
stanca».
Lui
mi posò un delicato bacio sulla testa.
«Andiamo».
Salutai
Fiore e Alessandro con un gesto della mano e mi lasciai condurre da
Nick fino alla mia stanza, al cui interno trovai i miei genitori, mio
fratello e la mia migliore amica, che mi sorrisero e mi accolsero con
baci e abbracci.
Mi stesi sul letto, davvero stremata, e gli sorrisi ascoltandoli
parlare, contagiata dalla loro allegria, fino a quando non mi ricordai
che avevo dormito per quattro giorni e chissà che
cos’era successo nell’altra dimensione.
«Ale,
ma i tuoi genitori non saranno preoccupati per te?», domandai
stropicciandomi gli occhi con una mano.
La
mia migliore amica ridacchiò e disse: «Mia madre
crede che io sia a casa tua per aiutarti a studiare», poi
guardò mio fratello, che mi sorrise.
«Non
ti preoccupare, siamo già tornati nell’altra
dimensione prima che tu ti svegliassi».
«Davvero?
E come avete fatto?».
«Grazie
ai fratelli di Nick», rispose Davide.
Guardai
Nick ad occhi sgranati e mi accorsi che in effetti non avevo ancora
visto Joe e Kevin.
«Loro
sono andati a casa da mamma e papà», mi rispose
Nick, come se mi avesse letto nel pensiero. «Ma da quello che
so volevano subito tornare qui per aspettare che ti
svegliassi».
«E
tu… tu non sei andato con loro?», chiesi.
«Ci
ho provato a convincerlo, ma non si è voluto schiodare da
questa stanza per tutti i quattro giorni del tuo sonno
profondo», disse Davide, ridacchiando. «Comunque,
grazie a Joe e Kevin che sapevano di Ale, di mamma e di papà
qui, sono riuscito a portar avanti e indietro anche loro, per non
creare sospetti, soprattutto nel caso della famiglia di Ale».
La
mia migliore amica mi sorrise. «È stato brutto
tornare a casa senza di te, ma ora che ti sei svegliata
possiamo…».
«No»,
la interruppi e mi guardò sbalordita. «Voglio
prima parlare con le persone che vivono qui e spiegare ciò
che ho intenzione di fare per aiutarli a tornare nell’altra
dimensione, se vogliono».
I
miei genitori, abbracciati, si scambiarono uno sguardo dolce ed intriso
di orgoglio e mi sorrisero.
***
Fui
dimessa dall’ospedale il giorno seguente, a pomeriggio
inoltrato. Per il momento non avevo intenzione di tornare
nell’altra dimensione, ma avevo spinto tutti quanti a
tornarci con mio fratello, perché avevo bisogno di stare un
po’ da sola per riflettere e prepararmi per ciò
che sarebbe avvenuto nei giorni successivi: il funerale di Charlotte e
la conferenza che era stata indetta per me, esclusivamente per me,
nella quale avrei spiegato la mia idea per aiutare tutte le persone che
desideravano tornare nella loro dimensione.
Dopo
vari tentativi e persino un piccolo screzio con mia madre, riuscii a
convincere i miei genitori a tornare nell’altra dimensione e
con Ale non fu particolarmente difficile, anche perché
doveva per forza per non farsi dar per dispersa dalla sua famiglia, ma
mi aveva costretta ad un compromesso: sarebbe venuta a trovarmi tutti i
giorni che avrei passato lì.
L’unico
che non riuscii proprio a convincere ad andarsene fu Nick, che aveva
deciso che sarebbe rimasto al mio fianco, in quella dimensione, fino a
quando non mi sarei sentita pronta a tornare. Avevo provato a
dissuaderlo con ogni mezzo, avevo persino provato ad inscenare una
litigata, ma lui mi aveva bellamente ignorata ed aveva passato tutta la
sera a sistemare la loro villa che quando era stata invasa dalla
popolazione del paese, istigata dalla vecchia megera, aveva messo a
soqquadro tutto quanto.
Nel
frattempo io mi ero chiusa in quella che era stata da sempre la mia
camera a sbollire la rabbia che non provavo, ma vi ero stata poco tempo
perché senza nemmeno farlo apposta mi ero teletrasportata in
spiaggia, quella stessa spiaggia che aveva fatto da sfondo a molte
delle avventure vissute in quella dimensione.
Mi ero seduta sulla sabbia, stretta nel mio stesso abbraccio a causa
del vento freddo che spirava dal mare ed alludeva
all’avvicinarsi dell’inverno, e guardando la luna
mi ero chiesta perché fosse così ostinato a voler
stare con me invece di tornare dalla sua famiglia, la cosa che
desiderava da sempre. La risposta più plausibile che riuscii
a trovare fu che era pazzo, pazzo d’amore, e che
probabilmente anche io mi sarei comportata allo stesso modo.
Sorridevo
ancora, quando sentii i passi di qualcuno sugli scogli alle mie spalle,
che circondavano quella piccola spiaggia come se fosse una bellezza di
dominio privato. Non mi girai, sapevo chi era quel qualcuno.
Poco dopo, infatti, sentii le sue braccia cingermi dolcemente da
dietro, facendomi appoggiare la schiena al suo petto. Sollevai il viso
ed incontrai il suo, bello come sempre.
«Ti
sei spaventato, quando non mi hai visto in camera?», gli
domandai a bassa voce, come se potessi davvero rompere il magico
equilibrio che da millenni spingeva il mare ad infrangere le sue onde
sulla riva.
Nick
sorrise divertito e negò con un cenno del capo.
«Ormai mi sono abituato e so che non andresti da nessuna
parte, senza di me».
«Ah
sì? E come fai ad esserne così sicuro?».
Scrollò
leggermente le spalle. «Mi ami».
L’aveva
detto con una semplicità spiazzante, tanto che anche io ne
rimasi vagamente sorpresa, ma poi sorrisi e mi girai fra le sue
braccia, per guardarlo dritto negli occhi.
«Devo proprio proclamarti vincitore, questa volta»,
mormorai prendendogli il mento fra le dita ed avvicinandomi alle sue
labbra.
Nick
socchiuse gli occhi e mi accarezzò le spalle, le braccia,
fino a giungere ai miei fianchi. «Uhm? Solo questa
volta?».
La sua bocca era ad un soffio dalla mia e sentii i brividi –
e non erano brividi di freddo – quando parlò e le
sue labbra sfiorarono inavvertitamente le mie.
«Lo
sai che hai vinto tutto ciò che potevi di me.
Cos’altro vuoi, oltre al mio cuore?».
«Voglio
che mi sposi».
L’aveva
sussurrato così piano che era quasi impossibile distinguere
le parole le une dalle altre, ma io le sentii forte e chiaro, come se
le avesse gridate, e il mio cuore ne risentì scalpitando
all’interno del mio petto.
«Vuoi
davvero unirti in matrimonio, una cosa così importante, con
una ragazza dai poteri sovrannaturali?». Lui annuì
solennemente col capo.
Sollevai un sopracciglio e sparai la cavolata più stupida
che mi venne in mente, giusto per sdrammatizzare: «Non hai
paura di finire risucchiato in un buco nero? Nemmeno un
po’?».
Nick
ridacchiò e quella volta negò scrollando la
testa. «Starò attento a non farti mai
arrabbiare».
Risi
anche io ed abbassai gli occhi, tracciando con le dita disegni
invisibili sul suo maglioncino.
«E va bene», sospirai e sentii un grosso peso
sfumare dal mio petto, svanito.
«È
un sì?», domandò con gli occhi
improvvisamente più brillanti.
Mi
fece così tanta tenerezza che gli accarezzai i riccioli
sulla testa, ridendo ancora. «Sì, è un
sì!».
Nick
non mi diede nemmeno il tempo di capire quello che voleva fare e mi si
gettò addosso, baciandomi sulle labbra come non aveva mai
fatto prima. La sua gioia era incontenibile e mi sentii felice in un
modo alquanto smisurato: era bastato quel semplice sì a
farlo così contento! Se lo avessi saputo prima, non avrei
aspettato tanto a dirglielo.
Presi
com’eravamo, ci sbilanciammo e cademmo entrambi sulla sabbia,
io sotto di lui. Mentre i granelli che con la loro polvere si erano
sollevati all’impatto ricadevano su di noi, ci guardammo in
viso e ridemmo a crepapelle delle nostre smorfie.
Quando ci calmammo, gli posai le mani sul petto e dissi con finto tono
di rimprovero: «Però mi aspettavo una proposta
degna del tuo nome, Nicholas Jerry Jonas! Non ti sei nemmeno
inginocchiato, né mi hai dato un anello! Davvero, non me lo
sarei mai aspettata da te».
Nick
mi pizzicò il naso fra i denti, facendomi aprire la bocca
sbalordita, e sorrise sbarazzino dicendo: «Non sapevo che te
l’avrei chiesto stasera, in questo modo, né
immaginavo che tu avresti mai accettato! Sono… sono
così felice…».
«Lo
vedo», risposi ridendo, avvolgendogli le braccia intorno al
collo e attirandolo di nuovo a me.
«E
tu? Tu non sei felice?», mi chiese, sfuggendo alle mie labbra.
«Ma
certo che sono felice, che domande! E ora baciami, o rischi di finire
risucchiato in un buco nero ancor prima delle nozze!».
Nick
sorrise e non se lo fece ripetere due volte.
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Ciao a tutti! Questa volta ho fatto
davvero in fretta frettissima (15 giorni esatti u.u), avete visto come
sono brava?! :D
Credo che sia uno dei miei capitoli preferiti, perchè le
cose capitate qui sono tantissime e c'è l'imbarazzo della
scelta per quanto riguarda le emozioni! Prima la tensione per la
"battaglia finale", poi la tenerezza dell'incontro tra Nick e Ary dopo
il risveglio di quest'ultima, poi ancora la tristezza per la morte di
Charlotte e la malinconia per la storia e la fine che farà
la madre di Fiore, per poi concludere con la proposta ufficiosa
di matrimonio!
Beh, non devo neanche dirlo che non vedo l'ora di sapere che cosa ne
pensate voi! Sperando ovviamente di veder ricomparire le persone che
seguivano con passione questa storia :) A proposito, ringrazio anche ___Unbroken,
una nuova lettrice che ha commentato lo scorso capitolo *-*
La canzone che ho usato in questo capitolo è A
little bit longer, dei Jonas :)
E detto questo, credo di aver detto tutto ;)
Ciao, alla prossima!
Vostra, _Pulse_
P.S. (Qualcosa dovevo pur
dimenticare xD) Se volete avere qualche chicca in più su
questa FF o anche sulle altre, potete andare a guardare la mia pagina
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:)