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Autore: Candidate    21/01/2012    9 recensioni
Sesshomaru e Moriko hanno finalmente visto realizzato il sogno per il quale avevano tanto tribolato; la foresta sembra il luogo ideale per ospitare la loro semplice quotidianità spensierata. Il loro legame è così forte che permette loro di affrontare anche le prove più ardue. Ma i nemici di Sesshomaru non sono mai stati pochi: che cosa accade nel mondo quando gli astri imperturbabili si rifiutano di osservare? Alcuni riescono a scorgere la trama del destino, ma solo pochissimi arrivano a intravedere anche l'ordito. Riuscirà Moriko a sorreggere l'enorme peso che il destino le ha gettato sulle spalle? Sulle note delle sue canzoni, un bardo ve lo narrerà.
Sequel di Sigillo, prima storia storia della trilogia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I canti di Realtà, racconti sul destino circolare.'
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Capitolo 3

Nella semi incoscienza si sentiva avvolta da una tempesta di neve, il profumo puro del freddo la trasportava, un corpo gelido e duro come il marmo contro il suo, il lieve movimento di un petto muscoloso che si alzava e si abbassava lentamente e regolarmente, il tamburo sommesso di un cuore che batteva vicino al suo orecchio. Una tranquillizzante Presenza protettiva. Poi una sensazione di bagnato sulla guancia e sul collo, una sfumatura di odore metallico che sembrava sporcare quello della neve fresca trasportata dal vento. Aprì gli occhi lentamente, aiutata dalla penombra creata dagli alberi. Il viso assorto nel sonno di quel meraviglioso dio che era il suo compagno. Era in braccio a lui che stava seduto con la schiena appoggiata al tronco sottile di un albero. Continuava a tenerla stretta nella morsa del suo abbraccio nonostante fosse addormentato. La pelle nivea del suo viso era oltraggiata da ombre di sangue rappreso e impastato con polvere. Alzò lentamente una mano e si toccò la guancia per capire cosa la stesse bagnando e le sue dita si macchiarono di rosso. Osservò la stoffa bianca del kimono inzuppata di sangue, macchiata di rosso opaco. Ricordava di quando l'aveva visto, al villaggio, oltrepassare la barriera di Tenseiga e non le era sembrato ferito. Come era potuto accadere? Era stato via per cinque lunghissimi giorni, ma ora dormiva tenendola vicino a sé. Moriko si sentì amata. Era strano che Sesshomaru dormisse di giorno, era strano che dormisse, in generale... doveva essere proprio sfinito.

Si sentiva piacevolmente stanca, cullata da un caldo languore che nemmeno la preoccupazione per quel sangue riusciva a scacciare. Tutto attorno a loro era quiete e silenzio, la vita immersa nell'immobilità laboriosa della foresta, solo il caldo venticello estivo a far ondeggiare le foglie della volta arborea. Pensò di alzarsi per cercare qualche erba medicinale per creare un impacco, così che la veloce guarigione di quel meraviglioso corpo demoniaco potesse procedere senza ostacoli, ma poi si rese conto che non sarebbe mai riuscita a sciogliere quell'abbraccio protettivo senza svegliarlo. Quindi optò per un risveglio più sopportabile. Sollevò lentamente il busto con la sola forza degli addominali, ma una fitta al basso ventre le tolse il fiato. Attese qualche istante per riprendersi. Poi raccolse il suo viso marcato fra le mani e poggiò delicatamente le labbra sulle sue per creare un delicato effetto di solletico, infine il bacio vero. Le lunghe dita del demone le afferrarono le spalle, trascinandola nella posizione in cui era fino a poco prima. Si sentì abbracciare stretta mentre il contatto delle loro labbra si faceva più intenso e più passionale.

 

Nella semi incoscienza del sonno sentiva un movimento che lo faceva ondulare, come se fosse stato su una barca. Un'onda più irruenta lo fece sbilanciare e lo sforzo che fece per rimanere in piedi gli causò una fitta alla spalla. Avrebbe voluto stringerla per provare a calmare il dolore ma sapeva di non poterlo fare, perché le sue braccia erano impegnate a mantenere qualcosa di più importante e non poteva assolutamente mollarlo, altrimenti sarebbe caduto in acqua e l'avrebbe perso per sempre. Quel qualcosa che stringeva era caldo, sentiva il calore che emanava penetrargli nei muscoli delle gambe e nella parte sinistra del petto. Forse era qualcuno e non qualcosa. Poi un fuoco e una bruciatura sul viso e sulle labbra, poi il contatto morbido con... La sua mente si svegliò dal sogno tormentato, placato dalla dolcezza di quel contatto che aveva scambiato per una bruciatura. La strinse inchinandosi con lo spirito ai quattro punti cardinali per averla di nuovo sveglia, sana e salva. La baciò come se fossero passati secoli dall'ultima volta che aveva potuto farlo. Succhiò l'energia che lei gli offriva per placare il suo spirito. La spalla doleva e continuava imperterrita a sanguinare, ma non aveva importanza. Mentre quelle labbra sensuali lo distraevano due mani birichine gli tastavano alla cieca i pantaloni cercando l'apertura delle tasche. Il demone sorrise fra sé: Moriko cercava il dono. Erano cinque giorni che non si vedevano e lei se lo aspettava, il gioco era già cominciato. La lasciò cercare facendo finta di nulla, già pregustando la sua faccia delusa e lodando la propria lungimiranza quando aveva pensato che sarebbe stato più semplice trasportare quell'oggetto tenendolo all'interno del kimono, bloccato dalla stretta della cintura sulla vita. Lei non doveva aver sentito la sagoma rigida. Iniziò a baciarle il viso, gli occhi, il collo. Poi, quando capì che lei aveva trovato l'entrata delle tasche, la baciò di nuovo sulle labbra per non darle spazio per liberarsi. Quella variante del gioco lo divertiva molto. La sentì dimenarsi stizzita e così la abbracciò più stretta per bloccarla. Solo con il braccio destro, il sinistro non voleva saperne di rispondere. Osservò il suo viso contrariato, i suoi occhi che lo fissavano perplessi. La strinse ancora di più avvicinandola al punto in cui stava il dono in modo che lei potesse accorgersene, sempre se non l'avesse scambiato per altro. Il corpo della ragazza si bloccò un istante:

-Ah ma allora era qui!-

-Sì.-

La lasciò libera di agire e lei, lesta, infilò la mano fra i lembi del kimono estraendo un ventaglio. Punta delle stecche in giada bianca e seta perlacea ricamata con piccole farfalle rosse. Si godette lo sguardo meravigliato della sua principessa, i suoi occhi resi rilucenti dalla bellezza di quel dono.

-Ma è intonato al mio kimono bianco...-

-Sì, quello che non vuoi indossare perché ti piace troppo e hai timore di poterlo rovinare. L'ho fatto fare apposta.-

-Oh grazie!-

La attirò a sé e le sussurrò in un orecchio:

-Ti voglio vedere con quel kimono addosso, mia Signora.-

Moriko si tirò indietro, facendo finta di non cogliere la passione che animava il demone:

-Ma poi... se si macchia? Guarda questo che porto oggi! Tutto sporco di terra e di sangue! Eppure questa mattina era lindo... ah... i miei biscotti!-

-Sono in salvo i tuoi biscotti, anche se alcuni sono spezzati. Quando ti metti quel kimono?-

-In un giorno speciale, promesso.-

 

Si immerse lentamente dentro l'acqua calda delle terme. Jaken doveva avere un intuito particolare per l'acqua, dato che sembrava un rospo... poteva essere normale, in ogni caso riusciva sempre a trovare una sorgente in cui fosse possibile lavarsi e prendere acqua da bere. Si immerse fino alle spalle mentre l'acqua terribilmente calda le bruciava la pelle. Decise di rimanere immobile per godersi il caldo senza sentirsi ardere. Si sentiva strana... molto strana. La nausea non la abbandonava da quattro giorni e talvolta le capitava di vomitare. Però non si sentiva malata, no. Piuttosto passava il tempo a sognare determinati cibi, come i cetrioli e i biscotti allo zenzero, sentendosi in corpo una smania incontrollabile, desiderava mangiarli a tutti i costi. Invece ciò che non rientrava nella corta lista di prelibatezze dei suoi sogni le dava il voltastomaco. Il giorno prima aveva mangiato mezzo campo di cetrioli ma la nausea non l'aveva intralciata nella sua ricerca spasmodica di quel cibo. Invece l'idea di mettere in bocca un chicco di riso l'avrebbe fatta vomitare per sette volte ancora. Tuttavia non si sentiva preoccupata: il suo corpo era quieto e caldo, armonico, energico, sembrava concentrato in qualcosa, laborioso. Quiete, tutto era quiete. Guardava le foglie degli alberi e quasi le sembrava che loro sapessero, che partecipassero di quel languore caldo, che si protendessero verso di lei per sfiorarle il ventre. L'epicentro di quella sensazione straordinaria era proprio il ventre. Lo sentiva vibrare, lo sentiva caldo, molto caldo, come se tenesse costantemente la borsa dell'acqua sotto i vestiti. Ed era rilassato. Una pace profonda le illuminava il viso, tutti i lineamenti rilassati, anche quando il conato si faceva pressante. Mai in vita sua aveva provato qualcosa di simile. Era davvero speciale. Sarebbe stata disposta a passare tutta la vita con quel senso di nausea latente a patto di non venire mai abbandonata da quella sensazione. Il suo corpo era a lavoro. Si toccò il seno infastidita dal dolore che le causava da qualche giorno, lo sentiva duro e teso, decisamente gonfio. Di certo qualcosa di diverso dal normale c'era, ma non si sentiva malata... piuttosto si sentiva viva.

Il cantastorie decise per una piccola pausa ad effetto, nella sua narrazione, per godersi lo spettacolo delle donne del suo pubblico che sghignazzavano dandosi gomitate. Nella sua vita aveva sempre incontrato donne formidabili in quanto a perspicacia e intelligenza, ma non era strano che in molte potessero già aver intuito. Un ultimo sguardo alla sua compagna, giusto per bearsi gli occhi con la sua bellezza di porcellana. Infine riprese:

Il profumo di neve fresca che le arrivò al naso contrastava con il calore deciso in cui era avvolto il suo corpo. Era una sensazione speciale e impagabile quella di fare il bagno alle terme in gennaio, con la neve alta che ti circonda. Ma era estate, non poteva esserci la neve. Invece poteva esservi una Presenza dietro di lei. Non si voltò, non ne aveva bisogno:

-Non vieni nell'acqua con me?-

-Non nell'acqua calda.-

-Ma questa sorgente ha anche una parte di acqua fredda. Guarda laggiù.-

Disse indicandogli il luogo. Sicuramente anche lui sentiva la necessità di lavarsi dopo cinque giorni di viaggio e battaglia perenne. Come diceva lui:

-Bene, vado a togliermi di dosso l'odore del mio nemico.-

Ecco, come volevasi dimostrare.

Sapeva che Sesshomaru non era proprio un amante delle terme, aveva sempre preferito lo scrosciare di un ruscello al tempo del disgelo. Però le sarebbe tanto piaciuto fare il bagno con lui... in fin dei conti non si vedevano da cinque giorni... Chissà perché doveva per forza fare il bagno nell'acqua fredda...

Si calò di più dentro l'acqua, rabbrividendo per il troppo calore, per poi chiudere gli occhi e perdersi nella contemplazione rilassata della sensazione nuova che tanto adorava.

 

Si sedette sul bordo della pozza, vicino alla fonte che zampillava acqua fresca. Si tolse le scarpe con la mano destra e mise i piedi dentro l'acqua. Fredda, come piaceva a lui... Sia d'estate che in inverno. Tuttavia non gli dispiaceva talvolta fare il bagno con Moriko, dentro l'acqua calda. Adorava il suo viso arrossato per il caldo e i suoi occhi vispi velati dal vapore. Lui rimaneva freddo in ogni caso, e provava gusto nel toccarla distrattamente per farla sobbalzare. Amava il contrasto di temperatura delle loro pelli e accentuarlo ulteriormente era un gioco che considerava davvero carino. Cinque giorni senza di lei... avrebbe voluto giocare nell'acqua calda... Ma non era proprio possibile. Aveva passato tutto il viaggio di ritorno cercando di non pensarci, di concentrare il suo potere demoniaco in modo da confermare l'ipotesi in cui voleva credere. Niente. Anche lasciando libero tutto il potere guaritore il sangue non smetteva di uscire. In realtà non avrebbe mai potuto guarire completamente la ferita dato che il pugnale rimaneva conficcato dentro il suo corpo. Non riusciva a estrarlo da solo: il suo braccio destro non riusciva ad arrivare all'altezza giusta della spalla in modo da avere una buona presa sul manico e fare forza, gli sarebbe servito l'aiuto del braccio sinistro per spingere sul gomito e mandare il destro più giù. Ma il sinistro non... fece un respiro profondo per prepararsi ad ammettere con se stesso la cruda verità. Il sinistro... il suo adorato braccio sinistro... semplicemente non riusciva a muoverlo. Però era al suo posto: aveva controllato diecimila volte. Per tutto il viaggio di ritorno era stato come se non ci fosse affatto stato, non era riuscito a guadagnare nessuna sensibilità durante quelle ore, così lo aveva stretto con la mano destra per sentire la forma muscolosa sul palmo e tranquillizzarsi. Poi, lentamente, aveva iniziato almeno a formicolare, segno che il suo potere guaritore stesse funzionando almeno un minimo. Ma non riusciva ancora a muoverlo. Avrebbe dovuto chiedere a Jaken di estrarre il pugnale... un pugnale avvelenato. Avrebbe davvero dovuto farlo, magari togliendo la fonte di veleno sarebbe riuscito a risolvere prima la questione. Invece... Si era sentito catapultato indietro nel tempo, il ricordo del dolore profondissimo e sconquassante che si diramava dalla spalla fin nel basso ventre, per tutta la schiena per scendere verso le gambe. E il cervello che continuava a mandare impulsi in quella direzione, tutti impulsi che finivano nel vuoto. Il senso di umiliazione e di impotenza. Il dolore, il dolore... Non sapeva con quale forza incredibile fosse riuscito ad arrivare a sedersi per terra e ad appoggiare la schiena al tronco dell'albero, quel giorno. Però era svenuto, non appena si era reso conto di essere in una buona posizione per non essere disturbato, appena la tensione dei nervi si era allentata, era svenuto. Troppo sangue perso e troppo dolore, sia del corpo sia dell'animo. Sarebbe potuto morire quel giorno, nemmeno un demone è immune a un braccio amputato, con il sangue che schizza inarrestabile fuori dalle arterie. No... non aveva voluto pensarci. Non aveva voluto chiedere a Jaken aiuto, come durante quel periodo in cui il suo adorato braccio non era al suo posto. Anche svestirsi e rivestirsi da solo, a quel tempo, era un'impresa impossibile. Quante volte aveva dovuto chiamare Jaken? Povero diavolo, lui era stato davvero bravo a non fare commenti di sorta, a non guardare il moncherino, a fare finta di niente. Ma l'idea di non essere autosufficiente era rimasta dentro di lui come una cicatrice ulcerata. Tante volte Moriko aveva tentato, durante le notti in cui si sentiva più disinvolta e intraprendente, a spogliarlo lentamente con le sue mani. Non glielo aveva mai lasciato fare, mai. L'idea che mani che non fossero le sue armeggiassero con bottoni e cintura era qualcosa di inammissibile. Poverina, Moriko ci rimaneva male quando lo vedeva scostarsi e spogliarsi velocemente da solo. Non le aveva mai detto niente, ma forse aveva capito da sola, sapendo il fatto del braccio. Un altro respiro profondo per farsi coraggio, ogni pensiero su quell'argomento era capace di scatenare incubi notturni per settimane, lo sapeva bene. L'angoscia lo attanagliava alla bocca dello stomaco. Che trauma... maledetto che fosse quel dannato mezzo demone, lo aveva davvero segnato a vita. Tentò, decise di tentare ancora una volta. L'impulso del suo cervello parti solerte e... si perse. Non si muoveva... No, non era vero. Muoveva appena le dita. Sospirò sonoramente per il sollievo: il braccio era recuperabile. Formicolava, non aveva molta sensibilità, ma almeno ricominciava lentamente a muovere qualcosa. Doveva togliere la fonte del veleno dal suo corpo e sarebbe stato a cavallo. Non vedeva l'ora che tutto fosse finito, sognava il momento in cui avrebbe arrotolato una ciocca di capelli di Moriko attorno al suo indice sinistro. Però... per togliere il pugnale... gli serviva aiuto comunque. Anche per spogliarsi gli sarebbe servito. Non poteva non lavarsi di dosso tutto quel sangue rappreso e impastato di polvere, l'odore di morte che lo circondava. Quel veleno doveva essere potente: era certo che l'odore di carne morta che lo avvolgeva fosse la sua stessa carne, quella in prossimità della ferita, che andava in putrefazione. Non c'era altro rimedio, doveva chiamare qualcuno e farsi aiutare... Forse sarebbe anche riuscito a togliersi i vestiti ma che riuscisse ad avere ragione anche del pugnale non era possibile, anche perché quello non era un pugnale qualsiasi... era uncinato. Furba la vecchia, maledizione a lei... Aveva fatto bene a eliminarla, era davvero pericolosa. Rimaneva il fatto che aveva un pugnale avvelenato conficcato nel suo corpo come una freccia. Non se ne parlava di chiamare Jaken, assolutamente, lo avrebbe riportato troppo crudelmente a quel periodo, troppi ricordi... Invece... Moriko avrebbe avuto, almeno una volta nella vita, la soddisfazione di poterlo spogliare. Certo, le avrebbe dovuto spiegare... ma non poteva davvero fare altrimenti.

-Moriko?-

-Sì?-

-Dovresti venire qui, per favore... Ho un problema.-

Silenzio per qualche secondo. In effetti doveva esserle suonato strano sentirgli dire “ho un problema”, anche perché significava che al mondo potesse esistere un problema che lui non era in grado di risolvere da solo. Odiava quella sensazione... l'umiliazione...

-Arrivo, solo un secondo.-

 

Strano, davvero strano che Sesshomaru la chiamasse, così di punto in bianco, per un problema non meglio identificato. Aveva avuto il sospetto che qualcosa non andasse in lui. Lo aveva visto muoversi quella sera, nel breve periodo intercorso da quando si era svegliata in braccio a lui a quando si era diretta alle terme. Sembrava che lui facesse di tutto per non mostrarsi di schiena. Sapeva che era ferito, dato che lei stessa era stata bagnata dal suo sangue. Perché quel sangue scorreva ancora? Perché non si voleva far vedere di schiena? Anche la sua andatura non era normale, come i suoi movimenti in generale: sembrava in qualche modo bloccato. Quando camminava oscillava in una maniera singolare, come se qualcosa del suo corpo si rifiutasse di accompagnare l'eleganza misurata dei suoi movimenti. Si coprì velocemente con il telo che aveva vicino, rabbrividendo circondata da tiepida aria estiva che tuttavia pareva gelida brezza di montagna al contatto con la sua pelle surriscaldata dal bagno. Ancora scalza trotterellò verso la sorgente d'acqua fredda. Lo trovò seduto vicino alla riva con le gambe incrociate.

-Dimmi.-

Non le rispose. Con la mano destra scostò il lembo del kimono scoprendo la spalla sinistra. Ciò che vide le fece montare la nausea fino a livelli insopportabili: era qualcosa di assolutamente ripugnante. Sembrava che un'enorme punta di freccia fuoriuscisse dalla sua spalla sinistra. Ma non era tanto quell'aspetto a sembrarle macabro, quanto la carne tutt'attorno alla ferita: era di un colore violaceo e aveva l'aspetto di un piaga purulenta. Si inginocchiò accanto a lui, velocemente, continuando a guardare la freccia. L'odore di carne in putrefazione la avvolse facendola sudare freddo. Come aveva fatto a non percepire prima un odore così pungente?

-Per tutte le fiamme dell'inferno, cosa ti è successo?-

Il demone parve raccogliere le idee prima di raccontare. Era venuto a conoscenza di una vecchie fattucchiera esperta di veleni che si vantava di poterne creare uno in grado di superare la tossicità delle esalazioni dell'acido delle unghie del grande Sesshomaru. Già il fatto che una comune umana osasse pensare di rivaleggiare con la sua dote demoniaca lo aveva irritato, ma poi aveva anche pensato che quella donna poteva anche essere davvero in grado di fare ciò che affermava. Una persona simile poteva essere un intralcio per lui, quindi l'aveva cercata e l'aveva combattuta. Due giorni di lotta continua. Lei gli aveva gettato addosso veleni su veleni che erano anche arrivati a stordirlo tanta era la loro potenza. Era stata la chiara conferma che quella vecchia aveva una dote pericolosa e che era meglio che smettesse di respirare. Ma, quando finalmente era riuscito a oltrepassare la coltre di miasmi e ad avvicinarsi abbastanza per poterla uccidere, lei aveva fatto qualcosa che non si sarebbe mai aspettato: aveva usato un classico trucco da donna. Lo aveva accolta a braccia aperte, lui e la sua spada, e lo aveva abbracciato lasciandosi trafiggere, come se fosse stata sua madre, anche se sua madre non si sarebbe certo mai sognata di abbracciarlo. Lui l'aveva colpita senza pensarci nemmeno un secondo ma, prima di morire, lei aveva voluto lasciargli un ricordo: aveva tirato fuori dalla manica un pugnale e gli aveva trafitto la spalla. Anche Moriko aveva sempre un pugnale nascosto nella manica, era stato proprio Sesshomaru a suggerirle quel trucco, perché è facile che una donna, il cui fisico, umano o demoniaco, è comunque più debole, venga sopraffatta. Il pugnale è l'ultima spiaggia: quando il nemico è davvero vicino è il momento di colpire. Non riusciva a capire perché quella vecchia non avesse colpito direttamente il cuore, anche se lui si era distratto e lei avrebbe potuto ucciderlo.

-Ma quindi questa non è una freccia, è un pugnale?-

-Esatto.-

Lo aggirò velocemente tirando spasmodicamente la stoffa dell'abito per scoprirgli la spalla. Il manico del pugnale era davanti ai suoi occhi. La ferita sembrava orribile.

-Perché sei in questo stato?-

-Quel pugnale è avvelenato e non posso guarire se prima non lo tolgo. Non toccarmi a mani nude, non so che effetto potrebbe fare al contatto.-

-E perché ancora non l'hai tolto?-

Una grande confusione nella sua mente. Vedere il corpo perfetto del suo uomo ridotto per un quarto del busto a un cadavere in putrefazione, il sangue che colava imperterrito, l'odore, quei colori mostruosi. Nella sua mente tutto si gonfiava e si mescolava, mandandola nel panico più totale. Aveva voglia di urlare e piangere ma, come sempre, la sua personalità non le permetteva il tanto agognato sfogo. Solo le sue mani palesavano l'agitazione profonda tremando. Non riusciva a riflettere su quello che diceva.

-Io... ci ho provato. Ma è troppo in basso ed è conficcato a regola d'arte. Solo con il braccio destro non ci riesco.-

Solo con il braccio destro? E il sinistro? L'immaginazione della ragazza tornò indietro alle scene che la sua mente aveva prodotto sotto l'influsso dei racconti sofferti dei quali il demone l'aveva omaggiata. Senza riuscire a riflettere le sue mani scattarono a cercare il braccio sinistro sotto la stoffa della manica.

-C'è, stai tranquilla. Mo non riesco a muoverlo. A dire il vero non riesco a muovere neanche la spalla.-

La stava tranquillizzando. Lui stava tranquillizzando lei. Ma come diavolo le era venuto in mente di farsi prendere dall'agitazione? Era lui, in quel momento, che aveva bisogno di sostegno! Lei sapeva... sebbene il demone non si fosse spinto più in là del raccontarle le circostanze di perdita e riacquisto del braccio, lei sapeva. Le tornò alla memoria la notte, quando erano giunti in quell'epoca solo da qualche mese, in cui Sesshomaru si era addormentato accanto a lei. Si ricordava di esser stata svegliata da movimenti agitati. Sesshomaru si stringeva il braccio sinistro con la mano e digrignava i denti. Doveva esser stato un incubo. Non gli aveva mai chiesto nulla, però da quel momento la sua testa si era messa a ragionare. Non doveva esser stato semplice vivere da demone guerriero in un mondo primitivo, senza un braccio. Probabilmente si era trovato nella condizione di non essere autosufficiente nella vita quotidiana fatta di piccole cose, magari vestirsi e svestirsi, dato che gli abiti dell'epoca erano assai complicati in quanto a vestizione. Probabilmente Jaken lo aveva sempre aiutato. Aveva anche cercato di immaginarsi il dolore fisico provato al momento, il senso di perdita e di incompletezza che doveva aver provato. Aveva tentato di immaginare i giorni passati a guarire e a recuperare le forze. Lei poteva capire, un minimo... lei sapeva cosa volesse dire sentire il proprio corpo violato e maltrattato, sconvolto sin nel profondo. Probabilmente i dolori che aveva patito non erano della stessa importanza di quello che aveva stravolto il demone... dal punto di vista fisico. Ma c'era anche l'aspetto psicologico: l'umiliazione. Orgoglio ferito e umiliazione. Lei sapeva davvero cosa significasse. Quelle sensazioni l'avevano ridotta a un passo dall'arrendersi. Quelle riflessioni erano state in grado di spiegarle come mai il demone non le permettesse mai di spogliarlo durante un gioco erotico, nonostante lei ci rimanesse male, anche perché le serviva tantissimo coraggio, ogni volta, per riuscire a risultare disinvolta e seducente nello scambio amoroso. Il fatto che qualcuno lo svestisse lo riportava a brutti momenti, probabilmente al tempo in cui Jaken lo aiutava. Ecco perché stava chiedendo a lei di aiutarlo, in quel momento! Lui sapeva che il problema al braccio fosse passeggero, quindi perché rivivere brutti momenti, più di quanto i ricordi non fossero già alle porte per tormentarlo, facendo intervenire Jaken? Lei era lì con lui...

-Cosa devo fare?-

-Aiutami a svestirmi, mi metto dentro l'acqua fredda così iniziamo a rallentare il flusso del veleno. Poi prendi della stoffa e ti avvolgi le mani, in modo da non toccare direttamente il veleno, anche se non credo che sia efficace se non entra in circolo. In ogni caso... devi estrarre il pugnale.-

La sua mente ebbe un attimo di buio profondo prima che avesse il coraggio di pensare a ciò che quelle parole significavano. Lei avrebbe dovuto estrarre il pugnale? Un pugnale non è una freccia, un pugnale ha una lama che taglia sempre e comunque. Avrebbe dovuto fare forza, chissà quanta forza, su quel corpo resistente ma già provato, avrebbe dovuto aprire lei stessa una seconda ferita provocata dagli uncini che ripercorrevano a ritroso la via attraverso il corpo, insieme al filo su entrambi i lati del pugnale. Lui avrebbe provato un dolore immane. Non se la sentiva di fare una cosa del genere, le mani le tremavano al solo pensiero. D'altra parte era l'unico modo per farlo guarire...

-Va bene.-

Disse semplicemente.

Iniziò lentamente, per cercare nel frattempo di calmare i battiti del cuore, a slacciare le fibbie dell'armatura. Non sarebbe mai riuscito a svestirsi da solo senza poter usare entrambe le mani, lo sapeva, lo aveva visto tante volte togliersi l'armatura. Lo guardò in viso e trovò uno sguardo scuro, perso in ricordi che sarebbe stato meglio cancellare. Con le gote un po' arrossate gli accarezzò il viso e percepire sotto le dita la sua pelle liscia, senza nemmeno l'ombra di una barba che non esisteva, la consolò. La vista di quella piaga le aveva fatto temere la rovina totale di quel soffice velluto. Gli passò un dito sulle labbra, delicatamente, come sapeva fare bene. L'effetto desiderato non tardò a manifestarsi: il demone chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da quel tocco leggero e tiepido... che però dovette interrompere per terminare di liberarlo dalla sua protezione. Notò che la sua mano destra scioglieva agile il nodo della cintura dei pantaloni, evidentemente non le voleva permetterle di fare tutto da sola. Era solo tormento. Da quando erano tornati in quell'epoca e Sesshomaru aveva avuto la possibilità di ricominciare a essere se stesso e l'equilibrio del suo spirito si era lentamente ristabilito. Tuttavia Moriko aveva la sensazione che quel sigillo che lui aveva scelto per venire a cercarla, nonché i diciotto anni che aveva passato nel mondo moderno sotto i rigidi precetti dell'umanologia avessero lasciato una traccia in quel suo animo tanto complicato. Se non altro aveva assaggiato cosa volesse dire non avere più sicurezza in sé stessi. Il suo corpo non rivelava i segni delle mille battaglie che aveva affrontato, non una cicatrice rimaneva a sfigurarlo come monito, nemmeno in corrispondenza del braccio sinistro. Però la cicatrice del suo animo... o meglio le cicatrici frutto dei più grandi dolori della sua vita... quelle rimanevano ed erano ben visibili all'occhio allenato di Moriko. La mente di Sesshomaru aveva realizzato di star decadendo verso la pazzia irrecuperabile, fortuna che erano riusciti ad arrestare il processo. Ma qualcosa era rimasto, lui non era tornato quello di un tempo, la sua mente continuava a essere leggermente vacillante. Sempre fredda in battaglia, razionale, calcolatrice e pronta a controllare qualsiasi anomalia per reprimerla. Però, quando si trattava della sua sensibilità, il meccanismo di inceppava. Moriko non poteva esimersi dal ritenere di dover proteggere con tutte le sue forze il suo amato e l'equilibrio tanto prezioso quanto delicato. Sesshomaru era una persona estremamente fragile.

Fece scivolare la stoffa del kimono sulla spalla destra fino a scoprirgli il petto completamente. Lo accarezzò cercando una maniera per addolcire la pillola. La preoccupazione non la abbandonava, anzi si ingrandiva ogni volta che sommava la ferita ai problemi dello spirito del demone. Lo abbracciò facendo attenzione a non toccare la pelle avvelenata, gli passò le dita fra i capelli. Lui rimase rinchiuso nel suo silenzio, ma non era importante: Moriko non aveva bisogno di parole per comprenderlo. Gli diede un lieve bacio sulla fronte, proprio al centro della curva della mezzaluna, come benedizione, e lo spedì dentro l'acqua.

-Aspetta, vado a prendere un telo per avvolgermi le mani.-

Dalla borsa che aveva lasciato vicino alla sorgente di acqua calda tirò fuori anche un vasetto contenente un'erba medicinale. Glielo aveva dato Kagome come rimedio di emergenza nel caso di ferite particolarmente pericolose. La mistura di erbe era stata creata apposta per i demoni e forniva un primo sollievo dal dolore oltre a veicolare il potere demoniaco verso la guarigione. Il risultato era un processo decisamente più veloce. La ferita di Sesshomaru non era certamente pericolosa da un punto di vista fisico, tuttavia lei ci teneva a eliminare al più presto il problema per evitare si sollecitare troppo la sua mente.

-Eccomi.-

   
 
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