Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: ReeDiscordiaJ    21/01/2012    1 recensioni
Questa storia è stata inventata da me (J) e parla di una serie di omicidi avvenuti nel Medio-Evo. è una storia totalmente inventata quindi non ha riferimenti con persone vere o storie vere ma potrebbe anche darsi che siano successi davvero gli avvenimenti di cui parlo o qualcosa di simile... Comunque sia: buona lettura e spero che vi divertiate.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Se quella precaria fonte di benessere che noi chiamiamo fede ma che sarebbe più giusto chiamare isterismo venisse a mancare il mondo non farebbe altro che sprofondare nel caos più totale. E nel caos c’è del giusto: è equo.”
Quando iniziai a compiere quell’impresa sapevo che non sarebbe stato facile ma non avrei mai potuto prevederne le conseguenze; solitamente, in fondo, la primogenita di un conte dell’Inghilterra non avrebbe mai collaborato con dei cavalieri in tale azione eppure quando lo feci non ero che una ragazza affascinata forse dal rischio e desiderosa dell’ebbrezza che il pericolo poteva darmi. Nata donna non avrei mia potuto ereditare i possedimenti del mio padre ma troppo scettica nei confronti della chiesa e più che altro leale solo all’imperatore, quella di badessa non sarebbe stata una giusta vocazione per me; tantomeno, però non avrei permesso ai miei genitori di concedermi in sposa a un uomo che non nutrisse nei miei confronti veri sentimenti; o forse l’avevano già scelto quando entrambe perirono durante un viaggio in Italia, vittime dell’esercito pontificio. Mio fratello ereditò il regno e lui non ebbe mai particolari propensioni alla strategia di guerra, troppo impegnato sui testi sacri, perciò infine il titolo passò nelle mani dell’altro mio fratello sotto al cui regno si svolge la vicenda che mi appresto a narrarvi.
Non maritata, con una dote da far invidia a molti ricchi aristocratici, non ero un’esperta di politica o di guerra ma ero un’abile stratega, cresciuta leggendo libri che la chiesa avrebbe considerato proibiti per motivi che mi restano ancora del tutto sconosciuti e avendo avuto modo di approfondire le mie abilità con quello che è chiamato comportamento consono a una nobil donna che viva a corte e che in gran parte consisteva nell’arte di far cadere il fazzoletto al passaggio dei cavalieri o di alzare leggermente la gonna per mostrare le gambe pallide e nude appena passasse al mio fianco il primogenito di qualche altro signore del luogo o qualsiasi altro uomo che avrebbe potuto in qualche modo essermi utile o essere utile a mio padre o a mio fratello in modo che essi avrebbero potuto offrire noi appoggio nel caso in cui il Papa avesse mosso guerra contro i sostenitori dell’imperatore. Fondamentalmente sedurre uomini mi piaceva e spesso avevo usato anche metodi non proprio ortodossi ma il risultato era sempre stato quello desiderato.
 
Tutto iniziò in una fredda mattina di dicembre a pochi giorni a dire la verità dalla festività del Natale; stretta nella mia mantella ero uscita la mattina sull’albeggiare con mio fratello per una battuta di caccia e per dibattere sull’ordine imperiale giunto la settimana prima dell’invitare il Papa presso la nostra corte. Cavalcavamo nei boschi che parevano ancora più umidi e verdeggianti rispetto al solito in quella mattina. Quegli stessi boschi di cui avevo letto le descrizioni dai libri che raccontavano delle imprese di Giulio Cesare, il grande uomo che aveva bonificato le zone dove sorgeva ora quel castello che chiamavo casa. I cavalli con i loro respiri pesanti creavano mille goccioline grigie nell’aria già piena di nebbia e il freddo sarebbe potuto benissimo penetrare le ossa di qualsiasi persona non indossasse pesanti vesti come quelle che portavamo noi; i rami già gelati dalle nevicate della notte scricchiolavano sotto gli zoccoli degli stessi imponenti animali e si spezzavano sotto il loro peso. Dietro di noi, più distanti, tre tra i cavalieri più fedeli di mio fratello: tre secondogeniti che per lui e per me avrebbero dato la vita. Il primo dietro di noi era Sir Henry, giovane di una bellezza quasi divina, nipote di Re Stefano, alle sue spalle procedevano parimenti Sir William, dei tre il più anziano ma non per questo meno pericoloso o fedele e Sir Andrew che aveva già più e più volte dimostrato il suo attaccamento alla nostra famiglia fin da quando, ancora cavaliere alle prime armi aveva ucciso da solo più di un quarto del contingente dell’esercito papale che aveva secondariamente ucciso i nostri genitori. Stavamo ancora discorrendo su quale fosse tra le diverse possibilità quella più indolore sia per il nostro territorio sia per non disubbidire agli ordini dell’imperatore quando si udì uno scalpitio più forte e divenne quasi impossibile proseguire il nostro discorso a causa del rumore dei rami spezzati dagli zoccoli di altri cavalli. I nostri si spaventarono e fu necessaria una grande forza per trattenerli e impedire loro di disarcionarci. Una freccia dalla punta infuocata sfiorò pericolosamente il cappuccio della mia mantella andando a incunearsi in un albero alla mia destra dove poco prima si trovava la testa di mio fratello. Lui e i tre cavalieri che ci avevano accompagnato scesero da cavallo e sguainarono le spade all’unisono posizionandosi poi velocemente intorno a me in modo da farmi essere al centro del cerchio che avevano fermato, ancora sulla mia cavalcatura. I passi dei cavalli diventavano ancora più rumorosi e con loro sembrò avvicinarsi anche una nebbia fredda. Di colpo dai cespugli spuntò il volto di un ragazzo, un cortigiano dalla faccia simpatica che vestiva abiti di buona fattura ma che non venivano rammendati da molto tempo. «Tradimento a corte!» urlò. Era seguito da una donna del popolo, magra oltremodo con lunghissimi capelli castani che ricadevano sporchi, flosci e leggermente mossi per via del fango che si era seccato tra di essi sulla sua figura magra e malaticcia fino alla sua vita fin troppo sottile; indossava qualcosa che un tempo era stato un abito della servitù ma che si era velocemente trasformato in uno straccio pallido e sporco di fango e sangue, indicava con un dito tozzo verso le stalle dalle quali si alzava un’alta colonna di fumo e nel frattempo i cavalieri si stavano avvicinando. «Dobbiamo andarcene!» dissi mentre anche gli altri quattro rimontavano a cavallo; conducemmo i cavalli nel fitto del bosco mentre la giornata diventava più inoltrata e il freddo diminuiva. La mia mantella non era fatta per il trotto e neppure la veste lunga che indossavo e ora entrambe si stavano continuamente impigliando nei rami più bassi del bosco. Ci muovevamo velocemente ascoltando tutto quello che ci circondava per quanto fosse possibile per cercare di capire la posizione dei nostri inseguitori. Saremmo dovuti tornare a vedere chi era rimasto fedele e a soccorrere i feriti e dare loro approvvigionamenti e lo avremmo fatto ma non in quel momento. La mattina scemò velocemente ed era il crepuscolo quando uscimmo dal bosco. Non avevamo parlato durante la nostra fuga ma ora era il momento di fermarci e organizzarci sul da fare. «Dobbiamo andare dall’imperatore» sentenziai un po’ a bassa voce perché non mi sentissero gli altri. Non era mio compito prendere questo genere di decisioni e per quanto potessi essere una consigliera di mio fratello non dovevo mostrarmi tale davanti ai suoi cavalieri, quando c’erano i cavalieri dovevo essere solo la ragazza di corte da proteggere. «Siete in errore Anthea» disse mio fratello rivolgendomi i suoi occhi chiari. «L’imperatore non può garantirci certi tipi di protezione. Questo non è un attacco esterno ma è un tradimento e finchè non conosceremo i nomi di coloro che hanno guidato la rivolta egli non può offrici nessun aiuto.» Lo guardai.
«E a chi dovremo rivolgerci, secondo Voi?» gli chiesi mascherando lo scetticismo nella mia voce. La risposta mi appariva fin troppo chiara solo che non volevo assecondarla. «A nostro fratello.» rispose. «Egli e l’abbazia di cui è abate, con i suoi frati benedettini; la fede ci aiuterà.»
«Andate Voi, quindi» gli dissi. «Sapete che ritengo la Chiesa strettamente responsabile della morte dei nostri nobili genitori; in quanto alla fede…»
«Lady Anthea» intervenne Sir Andrew per impedirmi di esprimere il mio pensiero sulla fede. Se fossi stata del popolo o se semplicemente i miei genitori avessero scelto di appoggiare a spada tratta il Papa a quel tempo sarei stata cenere o forse neppure più quello; sarei stata parte del vento. Ma a volte si è fortunati ed ero nata nobile e istruita con la cultura classica da genitori che non credevano che l’isterismo che si era creato intorno alla fede potesse portare a qualcosa di benigno. «Sir Andrew non c’è male nella verità.» disse mio fratello. «Quanto a Voi Anthea seguirò il Vostro consiglio e mi recherò da solo dal nostro nobile fratello; Voi e i nostri cavalieri procedere verso la contea di Shiring in cerca di aiuto.». Annuii appena mentre lui riprendeva il suo trotto per la pianura diretto verso il nord dell’Inghilterra dove si trovava l’abbazia benedettina di nostro fratello. Lo seguii con gli occhi fino a quando il suo mantello non divenne una coda scura in mezzo al verde della pianura. «Lady Anthea, dobbiamo andare» disse Sir William prendendo le briglie del mio cavallo e iniziando a condurlo al passo in modo che mi trovassi sempre nel centro del cerchio formato dai tre cavalieri. La strada tra la nostra contea e Shiring era un viaggio di un paio di giorni a cavallo e speravamo che non nevicasse perché in quel caso saremmo stati anche un bersaglio più visibile oltre che a moltiplicare il tempo in cui avremmo raggiunto la contea. I miei genitori erano stati in ottimi rapporti con il conte di Shiring ma visto che anch’egli aveva abbandonato la vita terrena il territorio era passato nelle mani del figlio, Richard e non sapevamo se lui avrebbe seguito la linea politica di suo padre.
 
Al termine del secondo giorno a cavallo, quando ormai la contea sembrava praticamente raggiunta e si poteva ben scorgere la torre di vedetta a sole un paio di ore dal punto in cui ci trovavamo, però un messaggero della stessa contea ci venne incontro. «Chi siete?» chiese squadrandoci. Abbassai il cappuccio della mantella prima di rispondere: «Lady Anthea di Oxford, sorella del conte Matthew di Oxford, figlia del deceduto Sir Albert di Oxford». L’uomo mi scrutò. Si soffermò particolarmente sui miei capelli pallidi raccolti dietro alla nuca che ricadevano in mille boccoli sulla mia schiena come se stesse valutando la mia affidabilità. «Lady Anthea, maestà» commentò quegli chinando la testa in avanti dopo quell’accorto esame. Probabilmente aveva intuito che, anche nel remoto caso in cui non fossi chi dicevo di essere, non presentavo una minaccia né evidentemente sembrava essere preoccupato dai miei tre protettori. «Cosa Vi porta qui?» chiese.
«Tradimento a corte» rispose al posto mio Sir Andrew. «Siamo in cerca di alleati e vorremmo parlare con Sir Richard e Lady Aliena» conclusi. Il messaggero sembrò pensarci un attimo e alla fine disse: «Siete nobile e la Vostra famiglia è da secoli alleata della famiglia dei sovrani ma Sappiate che Shiring è diversa da quella che Voi ricordate.» non capii il senso di quella frase ma fui grata al messaggero che mi fece entrare nella città acclamata come se fossi la regina; in poco tempo però scoprii che le parole di quel giovane ragazzo che era venuto per riceverci erano vere. Scoprii tutto appena giunta a corte parlando con Lady Aliena, la sorella di Sir Richard che aveva ordinato mi fossero date delle vesti pulite e del cibo che compensasse il digiuno dei due giorni di viaggio. «Mio fratello mi ha riferito i contenuti della Vostra conversazione» esordì mentre ci stavamo preparando per andare nel salone in cui era stato proclamato un banchetto in nostro onore. La conversazione di cui Lady Aliena parlava risaliva a un breve scambio di battute che era subito susseguito il nostro arrivo e non divergeva in realtà molto da quello che avevo avuto con il messaggero che ci aveva condotto in città. «è bello pensare che i conti di Oxford ripongano ancora in noi la loro fiducia ma ultimamente neppure Shiring è la contea sicura di un tempo.»
«Di questo mi ha già informata Vostro fratello, anche se non mi ha chiarito i motivi.»
Aliena congedò le ancelle con un gesto della mano e, quando queste furono uscite, spiegò: «Stanno avvenendo cose strane. I frati incolpano al demonio ma Richard non crede che c’entri Lucifero…»
«Cosa in particolare? Potete fidarVi, non dirò a nessuno delle confessioni che mi farete.»
«Omicidi in serie.» ammise, la guardai mentre una serie di emozioni si dipingeva sul mio volto riflesso nello specchio. «Siete sicura?»
«Non sono mai stata più sicura Anthea. Ogni giorno ce ne sono di nuovi e non ci sono ancora sospettati. Andiamo però, non vorrei far attendere oltre i nostri ospiti.». Scendemmo nella sala dei banchetti e cercai di non apparire scossa dalle informazioni che avevo ricevuto. Non potevo e comunque non avevo tempo per pensare a quello che sarebbe successo durante la nostra permanenza, anche se, in qualche modo credevo che il tradimento nella nostra corte fosse collegato agli omicidi di Shiring, l’unico modo per accertarmene però sarebbe stato quello di tornare a Oxford. Avrei voluto che Matthew fosse lì in quel momento: mi sarebbe stato di aiuto sentire che anche lui era d’accordo con me o discutere del motivo della divergenza delle nostre opinioni nel caso in cui fossero state tali. Certo ne potevo sempre parlare con Sir Andrew che si era offerto come mio confidente o con Aliena che mi avrebbe potuto dare una mano ma alla fine non erano comunque come mio fratello. Mangiai poco e sperai di non aver offeso una corpulenta cuoca che continuava a incitarmi ad assaggiare questa o quella prelibatezza fino a quando Sir Richard non le fece molto sgarbatamente notare che con buona probabilità il fatto che non avessi ancora toccato cibo significava che non lo avrei fatto per tutto il pranzo. In realtà stavo morendo di fame ma quelle rivelazioni mi avevano chiuso lo stomaco e così non riuscii a ingerire niente che non fosse acqua di fonte. Dopo aver mangiato Sir Richard convocò me e i miei cavalieri nella sala principale per discutere di alcune faccende tra cui quale sarebbe stato l’aiuto che Shiring poteva offrire a Oxford. L’idea di dire i miei cavalieri mi piaceva: mi faceva sentire come Cleopatra che donna e da sola aveva comandato su un vasto regno fino a quando non era diventata schiava dell’amore. Eravamo ancora persi nella discussione quando un messo entrò in tutta fretta. «Una lettera da Westminster» disse tutto trafelato e Sir Richard fece per prenderla quando il messo si diresse a me e mi porse il foglio. Era chiuso con il sigillo di Oxford, un sigillo che ero fin troppo abituata a riconoscere; lo ruppi e riconobbi la scrittura leggermente troppo calcata di mio fratello Thomas. Erano solo tre parole: un titolo, un nome e una contea ma sapevo di cosa si trattasse o almeno ne avevo un presentimento. Rimasi a fissare quasi a bocca aperta quelle tre parole scritte dall’inchiostro sulla pergamena: Sir Jack di Cambridge. Lo conoscevo e anche mio fratello Thomas lo conosceva: era uno di quegli uomini che erano passati dalla parte del papa appena saputo quello che era accaduto ai nostri genitori dopo aver giurato obbedienza eterna all’imperatore e ora aveva condotto una rivolata del popolo contro me e Matthew o forse quel nome non c’entrava esattamente nulla con quello che era successo?! Forse avevo chiesto a Thomas di investigare su qualcuno giacché lui aveva libero accesso alle biblioteche del tribunale e ora aveva trovato una risposta ma non mi sembrava quindi quello poteva significare solo che Matthew gli aveva chiesto di mandare a me quello che avrebbe scoperto e che Thomas riteneva che neppure scrivere tramite lettera potesse essere sicuro se no, ne ero certa, si sarebbe maggiormente dilungato su anche aspetti della sua vita. L’ultima sua lettera era stata molto più lunga e denunciava che la gente nobile fosse più corrotta della Chiesa e che prendesse troppo sottogamba gli ordini come quelli di cui lui stesso faceva parte. Non che m’interessasse sul serio però almeno mi tranquillizzava sulla sua salute e sul fatto che ricordasse ancora di avere una sorella e una famiglia invece quella lettera, quelle tre parole vorticavano nella mia testa senza fare altro che sbattere ripetutamente facendo un’eco assordante. Per un attimo provai a dirmi che non si trattava del responsabile del tradimento della nostra corte cercando di ricordarmi in che occasione avrei potuto chiedere a mio fratello di cercare una persona ma non ne trovai. «Tutto a posto Lady Anthea?» mi chiese Sir Richard fissandomi, forse si era accorto che ero rimasta troppo stupita di fronte a quella lettera… «Potremmo conversare più tardi di quello che ci affligge… Dovrei rispondere a una lettera.» chiesi. Il conte annuì e mi raggiunse a metà della strada verso la mia stanza.
«Potrei scambiare un paio di parole con Voi, Lady Anthea?» chiese mentre mi sbrigavo a nascondere sotto la veste la lettera più che altro perché la considerava una corrispondenza privata piuttosto che un vero segreto da mantenere.
«Ditemi pure, Sir Richard.»
«Vi ho vista particolarmente scossa dalla lettera che Avete ricevuto…»
«Era di mio fratello» spiegai come se quello bastasse a giustificare la mia reazione.
«Altri problemi a corte?»
«No; in realtà proveniva da mio fratello Thomas. Il conte di Oxford deve avergli chiesto di investigare e ora ho ottenuto una risposta.»
«Riguardo a cosa, se mi posso permettere?» ritrovai la mia lettera e gliela allungai in modo che potesse vedere ciò che era stato scritto. «Credo che sia il responsabile del tradimento presso la contea di Oxford e anche degli omicidi che si stanno svolgendo nella vostra contea.». Sir Richard lesse il nome e rimase di stucco quasi com’ero apparsa io ai miei stessi occhi. «Sir Jack di Cambridge?!» chiese lui; «Siete sicura?»
«Non ho la sicurezza di nulla; per questo Vi ho chiesto di poter rispondere.»
«è stato fatto il nome di un duca molto importante; accusarlo in questo modo soprattutto con l’appoggio del Papa sarebbe come aizzarlo contro tutti noi. Dobbiamo muoverci nel silenzio.» annuii alle parole del conte. Il suo ragionamento non faceva una grinza e in linea di massima era lo stesso che volevo seguire anch’io: non ero una sprovveduta e sapevo che quello era l’unico modo per non essere uccisi o peggio essere catturati dal Papa. Avevamo ancora una certa reputazione e il fatto che fosse messo in giro che avevamo accusato di tradimento e omicidio Sir Jack ci avrebbe portati a essere considerati eretici e neppure il nostro titolo ci avrebbe salvati. «Trovatemi un messo di fiducia; Vi darò la lettera da recapitare appena sarà possibile.» dissi al conte salendo nelle mie stanze. Lui annuì e mi disse che lo avrebbe mandato appena ne avessi fatto richiesta.
 
Aliena mi attendeva nelle mie stanze. Avevamo entrambe raccolto i capelli e tenevamo i mantelli in modo che coprissero le vesti pregiate; lo scopo era quello di sembrare due donne del popolo, anche se il risultato era completamente diverso: apparivamo solo due ricche donne camuffate in modo che pochi e solo da vicino ci potessero riconoscere come tali. Il messo con la mia lettera per Westmister era partito quella mattina sull’albeggiare e qualche ora dopo era giunta la notizia che c’era stato un altro omicidio a Shiring; questa volta si trattava del medico di corte. Il corpo era stato ritrovato da una serva che era andata a portargli la colazione e visto che l’assistente del medico era fuori città per svolgere alcune commissioni per conto del medico stesso nessuno poteva spiegare come fosse morto. In realtà qualcuno che era abbastanza istruito c’era anzi erano ben tre le persone che erano in grado di stabilire come fosse morto ma nessuno avrebbe permesso a me, al conte e a Lady Aliena di scendere in paese dopo l’ennesimo omicidio o per lo meno era stato lo stesso Richard a vietarlo. Sir Andrew e Sir Henry tuttavia erano stati facilmente convinti da me a aiutarci in quell’impresa ovviamente tutto all’insaputa di Sir William il quale si era subito schierato favorevole alla politica di Sir Richard dicendomi che, finchè non fosse tornato mio fratello, lui sarebbe stato strettamente responsabile della mia sicurezza. Ma sfortunatamente nel piatto di Sir William erano cadute alcune gocce di sonnifero la sera precedente per cui quella mattina poteva davvero ben poco per fermarci visto he dormiva ancora quando io e Aliena uscimmo nella nebbia raggiungendo il chiostro dove ci attendevano i due cavalieri. «Lady Anthea, Lady Aliena» ci salutarono chinandosi eccessivamente. «Alzatevi!» ordinai loro. «Siamo due donne del popolo ora o lo avete dimenticato?!» e loro si affrettarono velocemente a ubbidire. Ci incamminammo velocemente verso il paese passando in parte inosservati tra la folla che si affettava a raggiungere il mercato cittadino; di colpo mi resi conto di come le nostre mantelle apparissero troppo lussuose per la città o di come le nostre vesti ci ricadevano troppo perfettamente lungo i corpi, mettendo in mostra ogni minima curva: la nostra mascherata non sarebbe durata a lungo. «Dove si trova la casa del medico?» chiese Sir Henry il quale si era a sua volta accorto di come i suoi abiti da nobile e il mantello che portava erano l’opposto dei vestiti di scadente fattura che indossavano tutti gli altri contadini del popolo. «Di qua» rispose Aliena conducendoci verso un sentiero sterrato come gran parte di quelli di Shiring esclusa la via principale che era stata costruita su una vecchia strada romana. La casa del medico di corte era in realtà una vecchia catapecchia di legno e paglia come quelle che si trovavano ovunque in città e mi trovai costretta al paragone tra la contea in cui mi trovavo e Oxford. Nella contea dove ero cresciuta infatti la dimora del medico si trovava all’interno della corte ed era uno degli edifici in pietra che si svettavano al fianco del castello; nonostante la povertà dilagasse nel popolo le strade erano comunque in condizioni migliori, anche se l’odore di urina era moltiplicato da quello di sterco dei cavalli poiché le stalle si trovavano maggiormente vicino al centro; nel caso di Shiring invece erano praticamente poste nell’interno del bosco che circondava uno dei lati della contea per cui non vi erano di quei problemi. Quando giungemmo alla casa del medico e vi guardammo dentro scoprimmo subito che qualcuno che non era la serva che aveva scoperto il corpo aveva messo a soqquadro l’intera piccola abitazione sbattendo ovunque libri e vari vasi pieni di erbe per le pozioni i quali si erano rotti spargendo il loro contenuto ovunque per la casa. Il corpo, dopo averlo cercato per un po’ risultò invece scomparso. «Dove diavolo è finito quel medico?!» chiese Sir Andrew chiudendo la porta in modo che nessuno potesse entrare. La casa era buia e puzzava di erbe marce; l’unica luce presente entrava da una finestra sull’alto di uno dei muri che circondavano la piccola casa di una sola stanza. «è stato portato via» sentenziò semplicemente Aliena guardandosi introno e notando una lunga scia di terra che dall’interno della casa conduceva fuori ma spariva poco dopo. «Da qualcuno che cercava qualcosa» conclusi io prendendo una delle torce che riempivano un tavolo sovraffollato, accendendola e iniziando a illuminare il pavimento. Ma in fondo cosa potevano cercare nella casa di un medico? Mi avvicinai nuovamente al tavolo per scoprire diversi libri di anatomia. «Ma cosa?» volle sapere Sir Henry avvicinandosi a me. I libri erano scritti tutti in latino come gran parte dei testi di medicina ma erano davvero pochi quelli che li sapevano leggere e il fatto che fossero lì significava che il medico era stato un uomo molto colto. Aliena e Sir Andrew nel frattempo stavano controllando i vari vasi ancora sulle mensole e il loro contenuto eppure sembrava che chiunque fosse entrato in quella casa si fosse limitato a buttare a terra quante più cose possibili e far sparire un cadavere. Non ci credevo, mi sembrava una coincidenza troppo scontata: era troppo strano che al nostro arrivo ci fosse un omicidio e che sparisse magicamente il cadavere mentre nella casa del cadavere c’era una grandissima confusione. Il nome di Sir Jack di Cambridge mi si ripresentò nuovamente nel cervello ma non avevo prove che il conte di Cambridge fosse responsabile di quello che era successo ultimamente. «Anthea» mi chiamò Aliena. Mi girai nella sua direzione. Stava frugando sul pavimento dove c’erano un gran parte dei fogli che erano stati sparsi ovunque. La torcia puntava su un segno che era stato lasciato su dei fogli. «Avvicinala alla carta ma stai attenta a non bruciarla.» dissi e lei ubbidì velocemente. Il simbolo sul foglio era inconfutabilmente quello della contea di Cambridge. «Sir Jack!» esclamò Sir Henry guardando il foglio e prendendolo tra le sue mani. «Ma cosa stava cercando?! La domanda rimane comunque» chiese Sir Andrew. E effettivamente era quella la chiave di tutto. «Non sono mai stata qui… Quando avevo bisogno del medico veniva a corte. Non saprei dire cosa o se hanno preso qualcosa» si scusò Aliena. Stavo per dirle di non preoccuparsi quando la campana della città iniziò a suonare l’allarme. Ci fiondammo tutti e quattro fuori dalla casa del medico spegnendo giusto le torce in modo che l’intera abitazione non prendesse fuoco e cercammo di capire perché ci fosse stato quell’allarme. Mentre un gruppo di popolani tornava dal mercato Aliena abbassò il cappuccio della mantella e disse a uno di questi: «Cosa sta succedendo? Ti ordino di dirmelo.»
«Un altro omicidio.» rispose questo facendo poi un rapido inchino. «E questa volta nella corte.». Ci guardammo tutti con la paura che si dipingeva sui nostri volti. «Chi?» chiese Aliena. «Sir Jack di Cambridge che era venuto a portare i suoi omaggi per il Natale a Vostro fratello..» E allora com’era possibile? Infondo se fosse stato lo stesso Sir Jack a far uccidere il medico di corte allora perché era stato a sua volta ucciso? C’era qualcosa che non quadrava in quella faccenda. «Quando sarebbe arrivato a corte Sir Jack?» chiesi un po’ scettica.
«Poco prima dell’alba, Vi hanno mandato a cercare ma non eravate nelle Vostre stanze.».
«Non abbiamo tempo da perdere… Dobbiamo andare a corte e capire cosa è successo!» intimò Sir Andrew e ci dirigemmo a passo spedito verso il cortile della corte. Sir Richard era lì con l’armatura tirata a lucido e il mantello messo a lutto, l’elmo tenuto sotto braccio. Il corpo senza vita di Sir Jack di Cambridge giaceva senza vita accasciato sul suo cavallo così come si doveva a un cavaliere e a un conte.
«Dove eravate?» chiese.
«In paese» rispose vaga Aliena alzando il suo cappuccio e assumendo un’aria molto triste anche se era solo un’espressione di circostanza piuttosto che di vero sentimento. Una missiva inviata dall’arcivescovo di Canterbury diceva chiaramente che non avrebbe raggiunto Shiring prima di tre giorni e che quindi fino a quel momento Richard avrebbe dovuto trovare una sistemazione adatta al celebre conte morto vino all’avvento dell’arcivescovo cosa che mi fece ulteriormente dubitare del vero affidamento che le persone avrebbero dovuto avere nei confronti della Chiesa. Alla fine trovò una stanza degli ospiti abbastanza elegante per quello che una volta era stato il conte di una delle contee più famose di tutta Inghilterra dopo di chè convocò un’altra riunione nella sala principale conclusa la quale il conte di Shiring venne a parlarmi con le stesse modalità con cui era avvenuta la nostra conversazione precedente. «Mi sembra logico ormai che mio fratello abbia preso un granchio.» commentai. Mi ero già preparata il discorso da fargli. «Avete scoperto qualcosa al paese?» mi chiese lui. Annuii. «Un simbolo della contea di Cambridge su un foglio di quelli che erano stati sparsi ovunque sul pavimento della casa del medico.»
«Evidentemente quel messaggio significava qualcos’altro…»
«O significava quello a cui stavo pensando io ma ha sbagliato persona.» mi strinsi tra le spalle.
«I monaci raramente sbagliano, soprattutto quando hanno accesso alle biblioteche dei tribunali dell’Inquisizione.»
«Cosa intendete dire, Richard?»
«Che deve esserci qualcosa… Qualcosa che ci è sfuggito… Voi eravate troppo convinta che si trattasse dell’omicida, e se Vostro fratello volesse metteVi in guardia su quale sarebbe stata la prossima vittima?»
«Avrebbe scritto il nome del medico di corte. È morto prima lui di Sir Jack.»
«Ma un abate, per quanto potente, non può conoscere il nome di un medico di corte…» ci pensai. Il ragionamento di Sir Richard non era poi così completamente sbagliato. «Cosa posso fare?»
«Provate a mandare un’altra lettera a Westmister.» Annuii. «Vogliate scusarmi.», chinai leggermente la testa e mi diressi verso le mie stanza. La lettera che mandai a mio fratello chiedeva spiegazioni dicendo che Sir Jack era morto anch’esso probabilmente vittima dello stesso uomo che andava in giro a uccidere cortigiani e far rivoltare dei popoli interi. Dopo aver scritto la lettera per Thomas ne mandai un’altra a Matthew anche se non sapevo dove il messo avrebbe potuto inviarla. Probabilmente Matthew sapeva che i monaci benedettini dell’abbazia di Thomas erano stati ospitati presso Westmister ma non credevo che lui si fosse recato lì perché se no avrebbe firmato anche lui la lettera che mi era arrivata.
 
Passò circa una settimana e gli omicidi sembravano essersi per lo meno rallentati anche se ne avvenne comunque uno la vigilia di Natale. Era da poco passata la mezza notte quando i due messi che avevo inviato con le mie lettere e l’ordine di non tornare a Shiring che non senza una risposta da entrambe i destinatari chiesero di vedermi. Le guardie opposero un po’ di resistenza con la scusa che sicuramente a quell’ora dormivo ma tutto il frastuono del corridoio mi aveva svegliata quindi riuscii ad uscire e a ordinare che non venisse più bloccato nessuno che mi voleva parlare. Presi le missive e mi ritirai nelle mie stanze. Per prima decisi di aprire la busta proveniente da Thomas sperando che oltre agli auguri per il Natale, cosa che ero sicura avrebbe mandato, vi fosse anche qualcosa su cui indagare o qualche nome che si potesse rivelare una pista migliore rispetto a quella che mi aveva fornito in precedenza. Aprii la busta e questa volta notai che la lettera era di tre fogli scritti fronte e retro nella sua grafia calcata; i primi due fogli però non contenevano nulla di interessante perciò li bruciai sopra alla fiamma di una candela e iniziai a leggere il terzo.
Nobile sorella, scusatemi il ritardo con cui Vi fornisco una risposta alla lettera che Voi mi avete inviato ma sono solo di recente ritornato da Westminster dove ho appreso che nella posta non c’è la stessa sicurezza che ci può essere inviando una missiva da Oxford piuttosto che da Shiring dove ho avuto piacere di scoprire Vi trovate in questo momento. So che la mia prima lettera può averVi scosso ma mi rendo anche conto che i metodi in cui Vi ho informata di quella che era solo la mia supposizione su quella che sarebbe stata la prossima vittima di questo misterioso uomo che ha portato alla rivolta gli abitanti della Vostra contea e che continua a cercare di eliminare i sudditi dei Vostri alleati Vi ha potuta portare fuori strada. Sono nonostante tutto dispiaciuto nell’informarVi che purtroppo non sono a conoscenza di chi possa essere quest’uomo misterioso ma che per Voi il luogo più sicuro rimane ancora il palazzo di Sir Richard. Svolgerò delle ricerche approfondite nella biblioteca della mia stessa abbazia appena mi sarà dato il tempo. Il nostro comune fratello mi ha inoltre comunicato che sarà presente per investigare con me e che successivamente Vi raggiungerà. Spero di potermi unire a lui in quanto conosco quello che è il Vostro parere nei confronti della Chiesa e come uomo di Chiesa nonostante non lo appoggi devo prenderne atto ma privarmi delle visite di una bella e dolce fanciulla quale siete è per me come una penitenza corporale. Se mi permettere inoltre vi chiederei di prestare attenzione agli amici perché presto si riveleranno i peggiori nemici. Detto questo non voglio insinuare che qualcuno di Shiring abbia remato contro la nostra contea più che altro credo che dietro a questa storia sarà possibile trovare gente del calibro di Sir Jack di Cambridge sia per la sua dubbia fede nell’Imperatore sia per l’importanza del suo titolo. Sarete inoltre felice nell’apprendere che lo stesso imperatore si recherà a Shiring per aiutarVi nell’arduo compito di scoprire il colpevole di questi omicidi.
Con affetto, sempre Vostro
Thomas da Oxford
Rilessi un’altra volta la lettera prendendo atto delle parole che erano state scritte poi bruciai anche quel foglio. Bisognava prestare attenzione e far vedere certe corrispondenze private nelle mie stanze non sarebbe stato un passo molto saggio. Dopo aver finito di bruciare le mie carte e aver nascosto le ceneri sul pavimento di legno scuro aprii l’altra busta che proveniva da mio fratello Matthew. La missiva non diceva niente che non avesse già affermato Thomas se non che anche un altro piccolo ducato non lontano dal Galles aveva subito la nostra stessa triste sorte. Per precauzione decisi di dare fuoco anche a questa lettera e non risposi a nessuna delle due. Il giorno dopo, mentre mi recavo nelle stanze di Aliena per discutere con lei delle informazioni ricevute dai miei fratelli dal nord dell’Inghilterra non potei fare a meno di sentire una discussione tra un ospite di Shiring, tale Sir Bryan di Stanford, e l’arcivescovo di Canterbury che si era intrattenuto dopo i funerali di Sir Jack.
«Lady Anthea e Lady Aliena potrebbero presto rivalersi un problema.» stava dicendo Sir Bryan; mi immobilizzai, nascosta dietro a una colonna del porticato che collegava tra loro le due ale del castello di Shiring.
«Cosa intendete Sir Bryan? Temete Voi forse di non riuscire a resistere alla bellezza di tali donne?»
«Vanno in giro, fanno domande, inviano lettere a ogni parte dell’Inghilterra. Non sono solo belle, sono scaltre e intelligenti.»
«La curiosità è il peggiore dei peccati.» sentenziò l’arcivescovo come se quella fosse una predica e non un complotto.
«Anche l’omicidio lo è.» commentò Sir Bryan e dal suo tono potei immaginare che stesse sorridendo.
«Tutto dipende dal fine per cui è stato commesso.»
«Il fine giustifica i mezzi?»
«Più o meno. Diamo un senso a questa conversazione.»
«Cosa intendete dire?»
«Vi assolvo dai Vostri peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.»
«Amen»
«Tenete d’occhio Lady Anthea, a Lady Aliena ci penso io.» concluse il religioso. Sentii dei passi lungo il corridoio verso la parte opposta rispetto al porticato e ne approfittai per scivolare fuori dalla colonna dietro alla quale ero nascosta. Non potevo andare da Aliena, qualcosa mi diceva che quello era esattamente il luogo in cui si stava dirigendo l’arcivescovo ma dovevo parlare a qualcuno delle scoperte che avevo fatto, soprattutto della conversazione che avevo udito anche se non sapevo quanto ci avrebbe messo Sir Bryan a venirmi a tenere d’occhio. Facendo finta di niente mi recai alla sala dei banchetti e mi sedetti tra Sir William e Sir Henry. «Vi devo parlare.» sussurrai a mezza voce mentre anche gli altri ospiti prendevano posto. I due mi risposero con un rapido cenno del capo.
 
Mi incontrai con i tre cavalieri nelle stalle perché per accedervi vi era un lungo camminamento e perché da lì era possibile vedere se qualcuno si avvicinava. Non avevo idea di come Sir Bryan avrebbe potuto tenermi d’occhio ma volevo varare ogni possibilità quindi andare lì era la cosa migliore. «Vi preoccupa qualcosa, Lady Anthea?» mi interrogò Sir William vedendo come ero inquieta mentre camminavo avanti e indietro per le scuderie. «Lo sareste anche Voi se avreste scoperto quello che ho sentito io questa mattina.» risposi.
«Qualcosa sugli omicidi?» intervenne Sir Henry riponendo per un attimo la spada con cui si stava esercitando contro un manichino usato dai giovani cavalieri per prepararsi prima delle giostre.
«Delle voci che spero non siano vere.»
«E cosa direbbero o insinuerebbero queste voci?» volle sapere Sir Andrew.
«Ho udito la conversazione di Sir Bryan con l’arcivescovo.» ammisi. «Sembrerebbe che siano in combutta.»
«Avrei preferito che l’omicida agisse per conto di Sir Jack a questo punto.» fece ironia Sir Henry riprendendo il suo esercizio. «Sir Bryan è il nipote dell’arcivescovo.»
«E Voi siete il nipote di Re Stefano.» dissi.
«Lady Anthea, siete una donna di infinito acume, sapete quanto può essere pericolosa un’accusa del genere, senza contare che avete origliato una conversazione.» commentò egli. «Purtroppo mio zio non potrebbe comunque venire in nostro soccorso se si sapesse che se sono state messe da Voi in giro tanto malfamati parole.». Annuii: Henry aveva ragione. Il mio vantaggio nell’avere il nipote del re dalla mia parte era stato velocemente eliminato dal nipote dell’arcivescovo.
«Voi siete cavalieri della migliore stregua, cosa fareste in questi casi?» chiesi, guardandoli.
«Avete detto che l’arcivescovo ha dato l’ordine a Sir Bryan di tenerVi d’occhio, giusto?» domandò Sir William mentre un sorriso scaltro gli si dipingeva sul volto, annuii. «Allora fateVi tenere d’occhio.» continuò e il suo sorriso non si spense affatto. «Siate la migliore amante che un uomo possa desiderare, sappiamo che potete farlo.». Sorrisi anche io a quella che sembrava la migliore strategia. Sul selciato si sentirono dei passi e i tre cavalieri, presi i loro cavalli, uscirono al trotto nel bosco lasciandomi sola, come avevamo deciso in precedenza avremmo dovuto fare nel caso in cui fosse arrivato qualcuno. Il nuovo arrivato era appunto il conte di Stanford che indossava gli abiti da caccia. «Lady Anthea.» mi salutò baciandomi la mano, accennai un inchino. «Sir Bryan» dissi in un sorriso.
«Cosa Vi porta in questo umile luogo?»
«Non trovo nulla di umile in fieri purosangue.» commentai carezzando il mio cavallo. «Ne negli uomini che li cavalcano» mossi qualche passo verso di lui sorridendo e facendo scivolare giù dalla mia complicata pettinatura qualche riccio chiaro.
«Non sbagliate, come al solito» sorrise scrutando la mia veste da caccia: una leggera veste bianca non troppo lunga, perfetta per cavalcare. «Eravate sola?»
«Si. Cercavo i miei cavalieri e mi sono trattenuta. Cosa porta invece Voi qui?»
«Cercavate i Vostri cavalieri con la veste da caccia?» chiese, scettico. «Comunque sto andando a caccia.»
«Avevo pianificato con loro una battuta di caccia.» mi difesi. «Spero non Vi dispiaccia se mi unisco a Voi.» gli chiesi sellando il mio cavallo -una cosa che avevo imparato a fare da sola piuttosto che far fare agli scudieri- e prendendo uno degli archi che si trovavano su una rastrelliera sul fondo delle stalle.
«Non mi dispiace affatto. È sempre un piacere cavalcare con una bella donna come Voi.». Salimmo entrambi sulle cavalcature e ci addentrammo nel fitto del bosco.
 
Cacciammo per un bel po’ e persi la cognizione del tempo. Sir Bryan non sembrava il tipo di uomo che cospirerebbe contro una contea e che ordirebbe una serie di omicidi; probabilmente, anzi quasi sicuramente, lui non era che i braccio. Stavamo tornando a Shiring con diverse prede che avremmo dato alle cucine quando, persa nei miei pensieri venni risvegliata dalla voce di Sir Bryan: «Lady Anthea, state giù!» urlò. Ubbidii subito: scivolai giù dal cavallo e mi sdraiai per terra; stavo per chiedere spiegazioni quando sentii il sibilo di una freccia e poi il rumore del legno che, scagliato a una grande velocità, trapassa la carne; il corpo di Sir Bryan cadde sul sottobosco e il suo cavallo scappò. Stando bassa raggiunsi il cavaliere; il colpo non era perfetto: di cinque buoni centimetri sotto al cuore e capii che non era stato un errore dell’arciere perché la freccia era indirizzata al mio di cuore e se lui non mi avesse detto di abbassarmi il colpo sarebbe stato impeccabile. «Sir Bryan» dissi scuotendolo. Non era un colpo fatale, se ci fosse stato un medico nelle vicinanze. Esaminai la ferita e notai che cercare di rimuovere la freccia avrebbe peggiorato le sue condizioni. «State tranquillo. Vi porto a corte e Vi guariranno.» non ne ero sicura ma se si continuava a muovere di sicuro la situazione si sarebbe aggravata. «La freccia è avvelenata.» disse lui con un filo di voce. «Non preoccupateVi per me: sono già morto e non bisogna preoccuparsi per i morti» sentenziò. C’era poco temo; non valeva più la pena fare finta di non conoscere in che cosa fosse coinvolto. «Chi comanda tutto?» chiesi, cercando di tenere sotto controllo il panico. Dov’erano finiti i miei cavalieri? Certo, con buone probabilità erano a Shiring. «Il conte Edward di Essex…» ero sicura che la frase non terminasse lì ma fu con quelle parole che Sir Bryan di Stanford si spense. Gli chiusi gli occhi, feci il segno della croce e, preso per le briglie il mio cavallo e messo a tracolla l’arco, mi affrettai verso la contea presso cui eravamo ospiti.
Entrai in città a l trotto; la mia veste da caccia era macchiata di terra e del sangue di Sir Bryan e parevo un demone uscito dall’inferno eppure nessuno mi fermò, forse perché ero pallida e probabilmente sull’orlo di una crisi isterica. Scesi da cavallo appena arrivata nel cortile e corsi all’interno del castello urlando che c’era stato un altro omicidio nel bosco. Sir Richard mi raggiunse a metà del corridoio che dall’ingresso portava alle scale che conducevano alle mie stanze. «Lady Anthea, i Vostri cavalieri mi hanno informato di ciò che avete udito questa mattina.»
«Un altro errore: Sir Bryan è morto davanti ai miei occhi.» non accennai a un ennesimo sospetto: i primi due erano stati solo una perdita di tempo, il terzo non speravo fosse diverso.
«Mi spiace. Avete altre idee?»
«Vogliate scusarmi, ho appena assistito a un omicidio, gradirei andare nelle mie stanze. Ne potremmo parlare più tardi?»
«Come preferite.». Accennai un inchino e mi congedai da lui. Non andai da Aliena perché qualcosa mi diceva che, se avessi investigato su questo Sir Edward la verità sarebbe stata una sola: tutti avevano dei sospetti su chi fosse il colpevole ma la figura era talmente inviolabile che nessuno avrebbe mai osato fare il suo nome.
 
Ed eccomi. Cinque anni dopo i fatti che ho scritto qui sopra; condannata dall’Inquisizione per eresia. Si, sono stata colei che ha avuto il coraggio di fare quel nome. Di pronunciare quelle parole e non solo: le ho scritte quelle parole, parole talmente dure che sono sicura, farebbero tremare ancora coloro che cercano di proteggere l’unica cosa che non permette a nessuno di avere un futuro migliore rispetto alla vita che conducono adesso. Farebbero tremare ancora coloro che credono che non ci sia del buono nel progresso nonostante, dicono così, un uomo abbia scoperto che non è la terra a essere al centro del Cielo. Mi hanno chiesto di ritrattare e la vita mi piace talmente tanto che lo farò, questa mattina, ma voglio che rimanga qualcosa a mostrare la verità.
 
Dichiaro l’arcivescovo di Canterbury colpevole di aver condotto una rivolta nei confronti dei conti di Oxford. Egli avrebbe infatti offerto denaro ai contadini perché uccidessero Sir Matthew. Egli è inoltre responsabile dell’omicidio di dieci persone avvenuti nei confini della contea di Shiring. Tra essi annoveriamo quello del medico di corte, di Sir Jack di Cambridge, di Sir Bryan di Stanford e di Sir Edward di Essex. Il movente sarebbe stato quello di spingere la popolazione a credere che coloro i quali si fossero schierati dalla parte dell’Imperatore e di Re Stefano si divertivano alle spese del popolo e che non accettavano di avere rivali i quali venivano uccisi. L’arcivescovo contava inoltre sulla paura che il suo nome scaturiva per spingere i nobili a appoggiare i suoi piani.
Il primo omicidio è stato compiuto all’interno della contea di Shiring per opera del medico di corte; nella sua casa sono infatti stati trovati dei testi latini di anatomia ma vi era anche una Bibbia con il simbolo di Lambhert Place, residenza estiva dell’arcivescovo, e ciò era sufficiente a dimostrare che il medico avesse contatti con l’arcivescovo abbastanza frequentemente. Con quegli omicidi iniziali infatti l’uomo di Chiesa voleva fare in modo che l’attenzione del conte di Shiring e di Lady Aliena ricadesse sugli avvenimenti della loro contea e che non venisse prestato soccorso a Oxford dopo la rivolta. Successivamente, eccortasi che, nonostante l’operato del medico di corte, i regnanti di Shiring offrirono comunque la loro protezione a me e ai miei cavalieri decise che il medico avrebbe potuto rivelare il piano perciò assoldò Sir Jack perché uccidesse una possibile minaccia. Compiuto il delitto Sir Jack di Cambridge però iniziò a essere afflitto dai sensi di colpa e, tornato in città, stava per rivelare a Sir Richard quello che aveva compiuto. A quel punto arrivò una missiva da Canterbury nella quale l’arcivescovo delegava suo nipote, Sir Bryan di Stanford, di uccidere Sir Jack e un paio di ore dopo dalla morte del medico, Sir Bryan somministrò del veleno a Sir Jack dopo aver occultato il cadavere del medico di corte. Il piano dell’arcivescovo sembrava essere perfetto fino a quando Sir Bryan non iniziò ad avere sospetti sull’operato di investigazione mio e di Lady Aliena così che egli ordinò al nipote di “tenermi d’occhio” mentre lui avrebbe controllato Lady Aliena.
Il caso sembrava essersi risolto avendo trovato i due colpevoli quando, durante una battuta di caccia, mi trovai vittima di un’imboscata tesa a me. In quel caso Sir Bryan mi salvò la vita rimanendo lui stesso vittima della suddetta freccia. Registro che le ultime parole pronunciate da Sir Bryan furono «Sir Edward di Essex» ma come era già accaduto con i precedenti sospetti egli morì ancora prima che potesse essere formulata un’accusa. Fu però nelle stanze di Sir Edward dove trovai la chiave per risolvere questo mistero: un arco con le insegne di Canterbury incise nel legno e diverse frecce dalla punta avvelenata del tipo di quelle che avevano ucciso Sir Bryan. Ormai il coinvolgimento della Chiesa e soprattutto di Canterbury mi sembrava talmente chiaro che sia a me che a Lady Aliena balenò l’idea di muovere un’accusa nei confronti dell’arcivescovo, cosa che avremmo compiuto se egli non avesse lasciato Shiring il giorno stesso la morte del conte di Essex ordinando che venisse proibito l’accesso alle stanza del defunto conte.
Trovando alquanto strano il fatto corruppi la guardia affinché mi permettesse di accedere alle suddette stanze e, una volta entrata, trovai alcuni documenti in cui il conte di Essex denunciava apertamente l’arcivescovo di voler neutralizzare tutte le contee che avessero dato il loro appoggio a Re Stefano e all’Imperatore e di essere lo stesso arcivescovo strettamente responsabile degli omicidi che da diverse settimane colpivano la contea di Shiring. Non trovai tutta via quale avrebbe potuto essere l’arma con cui era stato eliminato un personaggio tanto sconveniente anche se sono propensa a credere che si trattasse di un’erba prelevata dalla casa del medico di corte in grado di paralizzare lentamente tutti i muscoli fino a fermare il cuore. Dalle carte del conte di Essex riporto delle parole che sembrano essere state incise nella pergamena mentre la paralisi stava per impossessarsi delle sue mani: “L’arcivescovo di Canterbury è strettamente responsabile degli omicidi commessi ultimamente: egli infatti sa di poter contare sull’appoggio di conti e duca con la minaccia di scomunicarli e di impossessarsi dei loro territori. Anche io sono caduto in quest’errore e mentre mi recavo a chiedere perdono a Sir Richard e confessare lui la verità sono stato colpito da un malore…” le certe risultano tutta via incomplete in quando, secondo la mia teoria, egli a quel punto sarebbe stato incapace di proseguire a scrivere.
Sperando di aver fatto luce su questo fitto mistero
In fede, Lady Anthea di Oxford.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: ReeDiscordiaJ