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Autore: baby80    21/01/2012    17 recensioni
"Sotto la neve c'è il pane, così era solita dire mia nonna..."
ed è proprio sotto la neve o il ghiaccio che si può nascondere l'inaspettato, bisogna soltanto avere pazienza ed attendere la primavera, o forse, qualche volta, è bene forzare la natura...
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sotto la neve c'è il pane. Così era solita dire mia nonna alludendo al beneficio che la neve portava alle coltivazioni, conservando il terreno umido e tenendo al caldo le semenze, a differenza della pioggia che, se battente e continuativa, può impregnare la terra fino ad allagare le coltivazioni e farle marcire.
Ora più che mai questo vecchio detto popolare mi torna alla mente, forse perché a differenza di quello precedente, mite e sereno, questo mese di gennaio è cominciato con un prepotente gelo, così come in realtà dovrebbe essere l'inverno, ed ha continuato fino a oggi, promettendo quella neve che ormai da giorni mi par di sentire nell'aria.
Sto cavalcando con Oscar come ogni giorno in direzione di Versailles, ma stamane il viaggio ci sta mettendo a dura prova, il gelo è scivolato su ogni cosa, posando uno strato di galaverna anche sui più minuscoli dettagli del paesaggio che ci è dinnanzi; gli alberi spogli, le baracche dei contadini, i fili d'erba ingialliti e perfino sulle ragnatele tra una staccionata e l'altra, che formano degli affascinanti ricami di ghiaccio, che tanto mi ricordano i preziosi pizzi di Madame Jarjayes.
Il freddo è così intenso che nonostante il vestiario pesante, e la mantella, mi pare d'essere nudo, come se mi fosse penetrato nella carne e fin dentro le ossa, e forse è così, perché l'aria che mi colpisce il volto sembra fatta di minuscoli aghi.
Sono costretto a socchiudere gli occhi per evitare che comincino a lacrimare, e tento con ogni sforzo di respirare il meno possibile, poiché anche solo un alito di fiato mi procura un dolore lanciante ai polmoni.
Stringo le redini tra le mani, ma già da qualche istante la stretta è allentata, le dita sono rigide come pezzi di legno, così come il resto del mio corpo, ma non vi bado e mi volto per guardarti, quest'oggi viaggi al mio fianco, e ti vedo, con le spalle ricurve, quasi ti volessi proteggere dentro quella posizione inconsueta per te, solitamente altera anche nel portamento.
Il freddo sta portando via i pensieri anche a te Oscar?
Vorrei domandartelo ma non posso proferir verbo, sento le parole furbamente nascoste all'interno della bocca, cullate dal calore della lingua, avremo tempo di parlare, avremo un'interminabile giornata per dirci tutto quello che vorremo, anche se credo non vi sarà molta conversazione tra di noi, ultimamente sei così silenziosa, più del solito perlomeno.
Sono accadute molte cose negli ultimi tempi, come la tua improvvisa decisione di indossare abiti femminili e presenziare ad un ballo per sfidare te stessa e forse per attirare l'attenzione del bel conte Svedese, il conseguente dolore che questo ti ha causato e l'ultima visita di Fersen a palazzo Jarjayes,  che immagino ti abbia dato il colpo di grazia, spezzandoti il cuore, ed infine la vicenda del cavaliere nero e il mio ferimento.
Ti ho vista cambiare radicalmente, passando dalla fragilità che ha seguito la mia ferita alla freddezza, che ha raggiunto la noncuranza, di questi ultimi tempi, eppure ho creduto che la mia guarigione, e quindi lo scampato pericolo di perdere la vista da un occhio, ti avrebbe rallegrato, invece mi par quasi che se fosse stato il contrario, se fossi divenuto cieco, non avrebbe fatto differenza per te.
Il nitrito dei nostri cavalli mi saccheggia i pensieri e mi rendo conto d'essere giunti a destinazione, e ancora più chiaramente di desiderare d'essere ovunque, all'infuori di questo maestoso palazzo.
Trascorro l'intera giornata a seguire Oscar in ogni suo passo, così come è sempre stato, ma l'insofferenza di quest'oggi raramente mi è capitato di provarla, vorrei soltanto tornare a casa e dimenticarmi di ogni cosa, ma il fato mi è nemico; nel pomeriggio il Re è stato costretto a lasciare urgentemente la Reggia per sbrigare un affare di vitale importanza e per questo motivo è richiesta la presenza del Capitano De Jarjayes a Palazzo, come capo delle Guardie Reali dovrà vegliare sulla Regina Maria Antonietta, visti i recenti disordini a carico del Cavaliere Nero.
E comunque, ci informa un valletto Reale, non sarebbe stato possibile lasciare Versailles a causa della forte nebbia che renderebbe impossibile un viaggio sicuro e che quasi certamente inquieterebbe i cavalli.
Oscar non manifesta segni di insofferenza, ed io tento con ogni mezzo di mascherare il mio disappunto comportandomi da perfetto attendente mentre la seguo ai nostri alloggi, che si trovano in quella parte della Reggia riservata ai cortigiani e ai personaggi più vicini, se non addirittura intimi, alla famiglia Reale, e più precisamente alla Regina Maria Antonietta.
Fin dall'istante in cui mettiamo piede nell'immenso salone, i cui lati, da ambe le parti, sono costeggiati di porte rigorosamente bianche, mi è facile udire il rumore della spensieratezza, che si manifesta nemmeno troppo velatamente sotto forma di risate frivole, o col tintinnio di bicchieri di cristallo poggiati uno contro l'altro, e la musica, così sfacciatamente allegra.

“Questi sono i nostri alloggi.”
mi dici senza curarti di ciò che ti sta attorno, come se quel che ho udito tu non lo senta affatto, ed io non posso far altro che sorriderti e concederti il passo davanti a me.
Entriamo nella stanza, studiatamente divisa in tre parti: il salottino comune, la stanza da letto per il nobile e quella più modesta per l'attendente, ed è il salottino che ti vedo raggiungere con decisione, alla ricerca di qualcosa da bere.
Ti versi del vino rosso senza nemmeno aspettare che lo faccia io e con la stessa rapidità svuoti il calice, e solo quando mi muovo verso di te sembri ricordarti della mia presenza.

“Ne vuoi anche tu? Serviti pure André.”
mi domandi senza neppure guardarmi in volto, versandoti dell'altro liquido nel bicchiere e sedendoti pesantemente sulla poltroncina di pregiatissimo broccato.

“Trovo che la nebbia sia estremamente affascinante, eppure al tempo stesso mi provoca una sensazione di smarrimento, come se oltre quella coltre potesse esservi il nulla.”
mormoro sorseggiando il vino.

“Non è la nebbia che bisogna temere André, ma il ghiaccio, quello si che può essere pericoloso, sopratutto per i cavalli. Ho visto più di un animale spezzarsi una zampa cavalcando con un tempo del genere.”
la tua voce è atona, senza colore, mi ricorda quasi quella di tuo padre.
Poi d'improvviso il lamento di una donna spezza il silenzio, e prima di renderci conto di quello che è successo, o trovare una spiegazione logica, dalla stanza accanto alla nostra ne giunge un altro, più  forte e chiaro del precedente, scacciando qualsiasi dubbio dalla mia mente, quel che inizialmente sembrava un lamento altro non è che un gemito.
Un lungo gemito di piacere che colpisce la mia mente, tanto che l'istinto mi porta a sollevare lo sguardo e posarlo su Oscar, ma ciò che vedo mi lascia stranito, non vi è espressione sul suo volto, sembra quasi che sia divenuta sorda questa sera, eppure eccolo nuovamente, l'ennesimo gemito, e un altro e un altro ancora.
E a me par di vedere i lombi contratti di un uomo spingersi tra le cosce di una donna senza volto, e più questi si fanno profondi più i sussulti divengono violenti, sono immagini che mi compaiono dinnanzi agli occhi senza che io possa impedirlo, e il sangue comincia a scaldarmi la carne, non so se a causa del vino che sto bevendo senza freni o, quasi certamente, per quello che nostro malgrado siamo costretti ad udire.
E ancora cerco il suo volto, quasi sperando di vedervi anche il più lieve segno di turbamento, che però non trovo.
Possibile che perfino in una situazione tale la sua corazza da soldato non riesca ad essere scalfita? Dio Oscar, esiste un po' di calore sotto tutto quel ghiaccio che sembra avvolgerti?

“Qualcuno pare divertirsi.”
affermo con un velo di ilarità nella voce, mentre mi avvicino alla vetrata che si affaccia sui giardini della Reggia, nel tentativo di celare la reazione che ciò che sto sentendo sta avendo sul mio corpo, ed ho giusto il tempo di vederti annuire, senza staccare gli occhi dal liquido scuro che riempie per metà il tuo bicchiere, prima di percepire altri suoni.
Ai sussurri della donna si aggiungono quelli del gentiluomo in sua compagnia, seguiti dal tipico rumore del legno sbattuto contro qualcosa, e quel qualcosa è la parete che divide i nostri alloggi dai loro.
Dopo questa ennesima provocazione cerco di portare in me il disinteresse seguitando a guardare il nulla avvolto dalla nebbia al di la del vetro, ma i due amanti non sembrano intenzionati a darmi pace, aumentando il ritmo del loro amplesso.
Chiudo gli occhi e bevo dell'altro vino, sorso dopo sorso, sperando che questo mi conduca ad uno stato di stordimento tale da non essere più in grado di percepire alcunché.

“Certi individui non hanno alcun ritegno!”
sento la voce imperiosa di Oscar sovrastare qualsiasi suono era riuscito a penetrare nella stanza e un istante dopo il ticchettio dei suoi stivali sul pavimento.
Dischiudo gli occhi e la guardo camminare decisa verso la parete che confina con l'alloggio chiassoso e li, nello spazio tra il camino e un pregiato quadro, punta la mano, sollevandola in un pugno chiuso, che stupendo me per primo riesco ad intercettare fermandole il polso, stretto tra le mie dita.

“Cosa vuoi fare?”
le domando guardandola negli occhi.

“Voglio fermare questa indecenza.”
mi risponde affinando lo sguardo, quasi fosse una sfida. Ed io, nonostante ci provi con ogni fibra di me stesso, non posso impedire alle risa di varcarmi le labbra.
Rido di una donna intelligente, forte e colta, che è capace di mutare in un essere piccolo ed ottuso quando qualcosa di cui ha piena conoscenza, in teoria, le si presenta davanti in tutta la sua realtà.

“Ti stai prendendo gioco di me?”
mi chiedi più rabbiosa che mai, posso sentirlo dai muscoli del tuo polso, che si tendono sotto la morsa della mia mano.

“Non ti sembra di esagerare? In fondo sono solo due persone che stanno facendo...”
avrei voluto concludere la frase ma la tua irruenza, e perché no, il tuo imbarazzo forse, mi portano via le parole.

“Non m'importa cosa stanno facendo, questo genere di comportamento non è rispettoso per...”
e questa volta sono io ad interrompere te, facendoti innervosire maggiormente.

“Per chi? Per la famiglia Reale? Andiamo Oscar, sei praticamente cresciuta tra queste mura, sai esattamente cosa accade dietro le pregiatissime porte di Versailles, e perfino dietro quella della Regina...”
ribatto sicuro di me stesso, alludendo alla vita dissoluta che nella maggior parte dei casi si vive qui alla Reggia di Versailles e in particolar modo alla relazione tra il Conte di Fersen e la Regina.
Avrei potuto evitarlo, ne sono consapevole, ma sono così stanco di assecondarti e proteggerti dalla vita reale.
Non so per quale motivo, ma questa sera provo un piacere insolito nel provocarti, sarà per il freddo che rende tutti un po' folli o per gli anni che abbiamo trascorso insieme, che mai come oggi mi paiono lunghi e fasulli.
Per qualche istante mi perdo ad osservare il tuo volto adirato, ma al tempo stesso freddo, come se fossi capace di provare la rabbia più feroce ma non i sentimenti comuni a tutti gli altri individui, e mi accorgo che i tuoi occhi sono quelli di un tempo ma anche loro, come il resto di te, sono come velati da uno strato di ghiaccio, seppur ancora sottile.
Ti guardo e un pensiero inopportuno mi passa nella mente, sollecitato dai gemiti che ancora echeggiano nella stanza, immaginandoti in egual situazione, con le guance arrossate e le labbra umide, smarrita in un mondo sconosciuto, dove il controllo è la prima cosa che viene meno.
Si, mi sorprendo ad immaginarti così, stupendamente perduta nella delizia, e mi domando come sarebbe il tuo viso se sulla tua bocca vi scivolasse il piacere.
Non ho idea di quanto tempo sia trascorso tra le mie ultime parole e questi miei pensieri, so soltanto che lei non ha proferito parola, il che è alquanto strano, ma le sue rimostranze si palesano ugualmente quando strattona il suo braccio lontano dalla mia mano, che ancora le incatenava il polso.
Rimango con la mano a mezz'aria mentre ti guardo avvicinarti al tavolo e versarti del vino nel bicchiere, berne il contenuto tutto d'un fiato e poggiarlo poi con un gran tonfo sul legno intarsiato, e poi, senza fiatare, raggiungere la porta ed uscire, richiudendotela alle spalle con un colpo secco.
Abbasso il braccio e sospiro stancamente davanti alla parete delle scandalo, in perpetua compagnia del diletto dei due amanti.

“Sarà una lunga notte.”
è tutto ciò che riesco a dire, e pensare, mentre lascio gli alloggi e mi inoltro lungo il freddo e buio corridoio.
  
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