Ehm-ehm.
Dunque, non
so tanto bene da dove sia venuta questa fanfiction.
Probabilmente
è tutta colpa delle fanart che mi mettono in testa idee
malsane, ma io non
riesco a smettere di guardarle, e questi sono i risultati.
Come da
avvertimento, questa è una what if,
quindi è chiaro che io non ho assolutamente la pretesa di
dire che le cose sono andate
così, ma voglio
semplicemente riproporre una diversa
versione dei fatti narrati da Kishi.
Sì, lo so
che sapete cos’è una what
if, ma è
sempre meglio specificare. XD
Prima di cominciare, un grazie grande ad Emmevi che
si è rotta le pal impegnata a
darmi un parere su questa cosa e
praticamente l’ha anche betata. Thanks. ♥
Ed
ora… Buona lettura! ^^
Questione
di ruoli
Mentre
aiuta
la sua maestra nella consultazione dell’enciclopedia medica
per la lettura di
un referto, Sakura sente su di sé lo sguardo inquisitorio di
Tsunade.
Nervosa, si
mordicchia il labbro inferiore fingendo concentrazione, e cercando di
ignorare
quegli occhi castani che sembrano poter trapassare la sua pelle per
arrivare
dritti alla sua coscienza.
“Sakura, va
tutto bene?”
Quasi
sussulta quando il Quinto Hokage le parla, ciononostante continua ad
ostentare
una tranquillità che non prova e alza il viso dal pesante
volume, stirando le
labbra per espellere un sorriso tanto stentato
quanto, palesemente, falso.
“Certo,
maestra. Sono solo un po’ stanca, ultimamente non dormo
molto.”
Gli occhi di
Tsunade si assottigliano, sospettosi, e Sakura non spera nemmeno per un
momento
che lei le creda sul serio. Si limita ad augurarsi che decida
di crederle.
“Ma sei
pallida, hai le occhiaie e stamattina, quando abbiamo fatto colazione,
hai
mangiato poco. Nell’ultima settimana hai avuto meno
resistenza negli
allenamenti e ti sei fermata più spesso a riposare. Non sono
sintomi
riconducibili al semplice non aver dormito la notte.”
Il peso che
si trova da qualche parte nel petto di Sakura preme di più
sul diaframma,
mentre il suo cuore accelera i battiti.
Chi vuole
prendere in giro?
Tenta di non
darsi per vinta. Può ancora cercare di fingere
normalità.
“Credo sia
semplicemente quell’influenza virale che gira da qualche
tempo e che devo
essermi presa in forma lieve, maestra. Ho visitato parecchi bambini che
l’avevano contratta, e quindi…”
Che scusa
penosa.
Lascia cadere
la frase, sperando nel buonumore di Tsunade.
“Mh,
effettivamente può essere.”
Sakura
trattiene un sospiro di sollievo. La maestra ha scelto
di fidarsi.
La notte estiva di Konoha è calda, ma
Sakura
avverte un lieve brivido lungo la schiena a causa del venticello
leggero ma
fresco che quel giorno si è alzato a partire dal pomeriggio.
Nonostante siano quasi le tre del mattino
non ha sonno, ed essendo incapace di trattenersi ancora a letto ha
deciso di
uscire a fare quattro passi.
Le case e le strade a malapena illuminate da
qualche lampione non la impressionano e il silenzio non la opprime;
quella sera
ha semplicemente la piacevole sensazione di potersene stare in pace.
Incurante di essersi allontanata da casa
continua a camminare, percorrendo quasi in automatico una strada che
conosce
bene.
A quell’ora è quasi deserta, ma lei non si
fa intimidire e va avanti, finché non incontra una grande
arcata di legno,
sormontata da un pannello dipinto.
Lo stemma che troneggia alto sul pannello,
visibile nonostante la pittura scrostata, raffigura un ventaglio rosso
e
bianco.
Una
volta che
hanno terminato il loro lavoro, Sakura saluta la maestra ed esce dal
suo ufficio,
sentendo, appena varca la porta, il cuore farsi leggero – ma
non più di tanto.
Si affretta
ad uscire dall’edificio, e dato che ha qualche ora libera
prima di iniziare il
suo turno di tirocinio all’ospedale si dirige verso casa a
riposare.
Fortunatamente
non abita lontano di lì, così in meno di cinque
minuti è arrivata, e appena
entra si leva i sandali e senza nemmeno sfilarsi il giubbetto che
indossa si
butta sul divano con un gran sospiro e chiude gli occhi.
In quel
piccolo momento morto, quasi una tregua, cerca di mettere ordine nei
propri
pensieri.
Si rende
conto che, nonostante il senso di colpa che le attanaglia la gola fino
a farle
presentire, in certi momenti, il soffocamento, non riesce ad eliminare
una
minima punta di orgoglio e di esaltazione.
Rimanendo con
gli occhi serrati, lascia la mente libera di spaziare.
La vernice scrostata, le case abbandonate, i
porticati impolverati, le luci parzialmente fulminate, tutto
lì urla ‘questo è
un quartiere fantasma’.
Dal giorno della partenza di Sasuke la zona
è completamente disabitata, e se già quando lui
c’era ancora l’atmosfera non
era delle più accoglienti, adesso si potrebbe anche dire che
l’ostilità è
palpabile.
Sakura però non l’avverte, perché ora
non ha
più Sasuke e quello è uno dei luoghi in cui lei
lo può ritrovare.
Ci passa spesso, di giorno, anche a costo di
allungare la strada verso la sua meta, perché non resiste
alla tentazione di
vedere il luogo dove da piccola sognava di abitare insieme a quello che
era
ancora il suo principe azzurro.
Di notte non ci era mai venuta, realizza, ma
non le cambia niente, anzi forse con il buio le pare ancora
più percepibile la
presenza di Sasuke, sempre chiuso, malinconico e ringhioso. Anche se
lui non
c’è più.
Varca il confine invisibile che separa il
quartiere degli Uchiha dal suo mondo reale, quasi sentendosi chiusa in
una
bolla a parte, e prosegue finché non si imbatte nella casa
vuota che fu di
Fugaku e Mikoto Uchiha; i segni dell’abbandono di
quell’abitazione sono
evidentemente più recenti rispetto al totale degrado delle
altre, ma cominciano
in ogni caso a farsi ben visibili, anche nel buio della notte.
A Sakura la sola idea mette tristezza perché
ogni prova del passaggio di Sasuke a Konoha sembra far di tutto per
dissolversi
nel tempo.
Pare quasi che l’obiettivo finale sia quello
di arrivare a dimostrare che lui è esistito solo nella sua
testa, in quella di
Naruto e in quella di Kakashi sensei.
Quando
riapre
gli occhi, si accorge che deve essersi assopita, perché
invece dei cinque
minuti previsti è passata un’ora e mezza.
Svogliatamente
si stiracchia sbadigliando, per nulla vogliosa di andare in ospedale,
ma
d’altronde, dato che ha deciso di vivere da sola, i pochi
soldi che guadagna
con il tirocinio – in attesa di divenire un medico vero e
proprio – le servono
tutti.
Rimanere a
casa quindi è fuori discussione, anche se adesso che ci fa
caso alla generica
stanchezza si è aggiunto un malessere diffuso e un
più focalizzato dolore sotto
l’ombelico.
Stabilisce
che appena terminato il turno si fionderà a casa,
prenderà un antidolorifico e
dormirà per almeno dodici ore, ed esce nuovamente di casa
cercando di soffocare
il fastidioso grillo parlante che le urla nell’orecchio che
forse, in quel momento, un dolore
alla pancia
non è qualcosa che si possa liquidare come una sciocchezza
da sedare con un
analgesico.
Accelerando
il passo arriva in ospedale appena in tempo per non essere in ritardo,
e
nonostante continui a non sentirsi bene infila il suo camice e si
fionda in
corsia, cercando di ignorare lo sguardo severo della caposala su di lei.
D’altronde
Tsunade glielo ha sempre ripetuto: nessun trattamento di favore,
nemmeno per
l’allieva dell’Hokage.
Imponendosi
di rimanere impassibile Sakura entra nella stanza del primo paziente
che deve
controllare.
Nel momento in cui spinge la porta per
entrare, Sakura sa perfettamente che quella sarebbe, teoricamente,
violazione
di domicilio.
In effetti, prima di quella sera, si è
sempre limitata a passare davanti al quartiere, senza entrarvi
né tantomeno
arrivare davanti a casa di Sasuke.
Ma lì dentro c’è sicuramente il suo
odore.
Lì dentro lui è cresciuto.
Dev’esserci rimasto qualcosa, di quel
ragazzo, e lei ne ha decisamente bisogno. Subito. Per quello non si fa
scrupolo
ad introdursi in un’abitazione che non è la sua.
Ed effettivamente entrando lo sente, l’odore
che Sasuke ha sempre avuto sui vestiti, e lei cerca,
nell’oscurità quasi totale
squarciata solo da qualche lama di luce dei lampioni esterni, il
corridoio che
porti alla sua stanza.
Ha bisogno di arrivare alla sua stanza.
Ha bisogno di rivedere almeno alcuni degli
oggetti che gli sono appartenuti.
Sakura nel tempo è diventata brava quasi
quanto lui a nascondere il proprio dolore, anzi, forse l’ha
addirittura
superato, visto che riesce perfino a sorridere, mentre Sasuke non lo
faceva
praticamente mai.
Ma questo non significa che lei non senta
più la necessità di averlo vicino, né
tantomeno toglie che lei abbia
l’impressione perenne che le manchi qualcosa.
Per questo è lì.
Ha ancora bisogno di lui.
Quando
la ragazza
che sta medicando soffoca un gemito di dolore, Sakura ripiomba
improvvisamente
dai suoi pensieri al mondo reale, rendendosi conto che ha completamente
mancato
la vena con l’ago della flebo.
“Scusami
tanto, rimedio subito” mormora alla paziente, che annuisce
poco convinta.
Al secondo
tentativo la banale operazione le riesce, ma si rende conto che per
ultimarla
le è servito uno sforzo di concentrazione molto superiore al
solito.
Il mondo
ruota di pari passo con il suo capogiro, e riesce appena in tempo ad
appoggiarsi al mobiletto accanto al letto della malata, che
paradossalmente,
vedendola barcollare, le chiede se lei si
senta bene.
“Sì, tutto a
posto, non ho mangiato molto stamattina. Per quello sono un
po’ debole, ma è
solo un calo di zuccheri.” le risponde sorridendo.
Termina di
controllare la cartella clinica della paziente, poi esce immediatamente
dalla
stanza e si appoggia al muro del corridoio, respirando profondamente e
cercando
di scacciare i conati.
Il dolore al
ventre si è fatto più consistente e si sente
febbricitante.
Ci pensa un
po’ su, infine decide che può permettersi di
chiedere un paio di giorni di
malattia.
Dopotutto le
ultime missioni le ha svolte alla perfezione e anche le sue ore in
ospedale
sono state soddisfacenti.
Dato che
ormai si sente prossima allo svenimento si discosta dal muro e si
dirige
camminando lentamente verso l’ufficio della caposala, con
l’intenzione di
chiederle di poter andare a casa.
A tentoni nell’oscurità,
raggiunge la stanza
di Sasuke – ricorda qual è, un paio di volte lei e
Naruto sono andati a
prenderlo prima di un appuntamento con il sensei e lui li ha fatti
entrare – e
scosta anche quella porta socchiusa.
Lì dentro la luce è un po’
più intensa,
perché i balconi sono aperti e attraverso i vetri, oltre
alla luce artificiale
dei lampioni, passa anche quella pallida del quarto di luna che quella
notte
splende alto nel cielo.
La stanza di Sasuke è abbastanza scarna:
c’è
un letto spazioso, un armadio, una libreria e una scrivania.
Ogni superficie è spoglia, senza effetti
personali; Sakura immagina che siano stati in parte riposti, e in parte
abbiano
seguito il loro padrone nel suo viaggio.
Ad un’osservazione più attenta si accorge
però che sul tavolo, a faccia in giù,
c’è un portafoto di legno.
Si avvicina e lo scuote dalla polvere, poi
lo orienta contro un fascio di luce che entra dalla finestra e con un
tuffo al
cuore osserva se stessa, Naruto, Sasuke e il maestro Kakashi qualche
anno
prima, il giorno della nascita del Team Seven.
Improvvisamente ha la sensazione che una
bolla di malinconia le si allarghi appena sotto lo sterno, lenta ma
inarrestabile.
“Nessuno ti ha mai detto che non si entra
nelle case degli altri e non si toccano le loro cose?”
Il portafoto cade a terra di schianto, e
nella collisione con il pavimento di legno il vetro si frantuma con un
rumore
secco.
E Sakura sgrana gli occhi.
Non può essere.
La
caposala la guarda ma stavolta sembra comprensiva, ed
effettivamente Sakura immagina di essere pallida come una morta e di
non avere
una bella cera, visto come si sente.
“Tranquilla,
si vede che stai male. Vai pure a casa e riposati, per il recupero del
turno ne
riparleremo.”
Sakura
annuisce e si sforza di fare almeno un sorriso, sinceramente grata, poi
passa
in corridoio, lascia il camice in spogliatoio e si siede un momento
sulla panca
della stanza.
La nausea è
decisamente aumentata, e le pare di avvertire qualche fitta
più incisiva ogni
tanto.
Spera di
riuscire ad arrivare a casa senza
vomitare, ma non ne è tanto sicura.
D’altronde
non può certo rimanere seduta su una panca a oltranza,
quindi con calma si
rimette in piedi.
Respirando
profondamente si incammina, e se non altro le pare che i capogiri se ne
siano
andati.
Cerca di
rimanere impassibile davanti allo sguardo di qualche collega a cui il
suo
malessere pare di certo evidente, e con calma si avvia di
nuovo verso casa.
Ma almeno la
prospettiva di riposo e calore la rinfrancano un po’.
“Che cosa ci fai qui?!”
Il ragazzo che le sta davanti è senz’ombra
di dubbio Sasuke e la guarda con gelido scherno.
“Casomai cosa ci fai tu
qui, io sono a casa mia, nel caso
non lo notassi.”
Sakura si irrigidisce, e dalla sorpresa
passa direttamente alla rabbia sorda.
“Non osare prendermi in giro, Sasuke! Hai
capito perfettamente il senso della domanda. Te ne sei andato, ci hai
piantati
qui per Orochimaru senza voltarti indietro. Perché sei
tornato?”
Lui continua a squadrarla, in apparenza
distante.
“Non sono affari tuoi. E non montarti la
testa, è stato un caso che ci incontrassimo.”
Gli occhi verdi di Sakura scintillano alla
debole luce notturna.
“Un
caso, certo. Tre anni e mezzo dopo la tua partenza io non
riesco a
dormire, vengo fino al tuo quartiere, mi spingo fin dentro a casa tua
per la
prima volta da quando te ne sei andato e per caso ci incontriamo qui.”
“Esatto.”
Il tono di lui non ha nulla di derisorio o
ironico, ma al contrario suona definitivo.
A quanto pare Sasuke si aspetta davvero che
lei creda alla casualità dell’evento, e se
è così Sakura capisce immediatamente
che continuare la discussione non ha senso.
Se è convinto, lei potrebbe mettergli
davanti agli occhi mille prove che dimostrino che lui ha un motivo per
trovarsi
proprio lì proprio in quel momento, ma Sasuke continuerebbe
senza battere
ciglio a sostenere l’assoluta fatalità
dell’episodio.
Senza aggiungere altro, allora, Sakura
inizia a raccogliere i cocci del vetro della cornice, voltandogli le
spalle in
un gesto definitivo che le costa tutta la sua forza di
volontà.
Perché non è facile voltargli le spalle
quando vorrebbe solo lanciarglisi addosso e pregarlo di restare.
Con
un
sospiro di sollievo, Sakura entra nuovamente a casa, e come ha fatto un
paio
d’ore prima si leva solo i sandali per poi stendersi di nuovo.
Decide di
provare ad evitare i farmaci e a vedere se per caso il dolore passa da
sé.
Non le sono
mai piaciute troppo le medicine.
Si tira
addosso la coperta e si gira su un fianco chiudendosi su se stessa come
un
riccio e le pare che quella posizione allevi un po’ le fitte
al ventre.
Per la febbre
può solo aspettare, scartata l’opzione
dell’antipiretico.
Chiude ancora
gli occhi, riprende a respirare profondamente, e capisce che
è una buona
tattica quando si accorge che la morsa al ventre si allenta e le fitte
si fanno
meno pressanti; non può però mantenere un moto di
insofferenza quando sente il
campanello suonare.
Pensa che
quasi quasi potrebbe anche lasciare che suonino e fingere di non essere
in
casa, ma capisce che non lo può fare quando sente la voce di
Tsunade dietro la
porta: “Sakura, apri, sono io.”
No, merda.
Adesso deve
aprire per forza, anche perché la maestra potrebbe
tranquillamente buttare giù
il muro con un pugno per entrare.
Quando si
leva seduta sente il suo corpo protestare in mille modi, ma cerca di
ignorarlo
per arrivare almeno all’uscio.
Fortunatamente
ci riesce, e non appena ha girato la chiave si tira indietro e si
ributta sul
divano accanto alla porta, mentre Tsunade entra e richiude.
Poi si volta
e la guarda, e Sakura rimane inchiodata.
Vede una
maestra intransigente, vede una madre preoccupata, vede un medico che
ha già
capito.
E da un po’.
“Ho deciso di
fare finta di niente per un po’, Sakura, sperando che tu
avessi un minimo di
controllo della situazione. Ma dopo che mi ha chiamato la caposala nel
pomeriggio riferendomi che stavi praticamente per svenire, non ho
più potuto
ignorare la faccenda. Da quanto tempo hai capito di essere
incinta?”
E Sakura non
ci prova neanche, a negare.
“Circa un
mese.”
Adesso Sakura ha finito di raccogliere i
cocci e non ha più ragione per rimanere accovacciata a terra
dandogli le
spalle.
Si rialza, appoggia i frammenti di vetro sul
tavolo e ritorna a guardarlo.
Anche al chiaro di luna, quando non può
distinguere bene i suoi lineamenti, lo trova bellissimo, ma si sforza
di
scacciare questi pensieri inopportuni perché lui ora
è un traditore.
Non ha idea del come si sia intrufolato lì,
ma in ogni caso deve dare l’allarme.
“Non avviserai gli ANBU.”
Come sempre sembra che legga nel pensiero.
“Farò quello che è giusto.”
Sasuke la guarda, beffardo e sì, anche
crudele.
“Quanta acredine da una che aveva dichiarato
di amarmi.”
Ma lei adesso ha una dignità.
“Quanta incoerenza da uno che aveva giurato
che non avrebbe più perso tempo con noi della
Foglia.”
“Non sto affatto perdendo tempo.”
“E allora cosa vuoi?”
“Io sto per partire alla ricerca di Itachi,
per compiere la mia vendetta.”
“Davvero vuoi vendicarti di Itachi? Non
l’avrei mai detto.”
Sasuke la fulmina.
“Itachi non è un nemico semplice da mettere
in difficoltà. Dopo anni di allenamento intensivo non sono
ancora sicuro di
vincere.”
Per la prima volta Sakura vacilla.
“Sas'ke, è rischioso.”
“Lo so. È parecchio probabile che io muoia
nell’intento. Magari lo trascinerò con me, ma
senz’altro le possibilità di
uscirne vivo sono realisticamente poche.”
“Non capisco ancora perché tu mi stia dicendo
tutto questo.”
Sasuke la guarda a lungo, criticamente, come
se fosse indeciso su una scelta da compiere.
“Perché io vado a morire, Sakura, e forse
anche Itachi.”
Lei comincia a subodorare quale sia il finale
del discorso.
“E…?”
“E non importa se sopravvivrò io, se
sopravvivrà Itachi o se moriremo tutti e due.
Perché tu metterai al mondo il
mio erede.”
“Sei
in
condizioni pietose. Fatti vedere.”
Tsunade la fa
mettere distesa sul divano e comincia a visitarla.
Non ha gli
strumenti, ma non è il genere di medico che necessita dello
stetoscopio per
avvertire l’andamento del cuore del paziente.
Con
delicatezza passa le mani sul ventre ancora piatto di Sakura, e la sua
espressione si rabbuia un po’.
“Non mi
pareva di aver avvertito movimenti o dolori anormali, maestra. Oggi non
sono
stata bene, ma ero convinta che fosse solo una nausea particolarmente
violenta.”
Tsunade
assente.
“Lo è. Ciononostante l’utero è contratto e la placenta
potrebbe avere un distacco. Di
sicuro non sei nelle condizioni ottimali in cui dovrebbe trovarsi una
gestante.”
“Lo
immaginavo.”
L’Hokage
guarda la sua allieva, poi sospira.
Non le chiede
da dove arrivi il bambino, perché sa che
c’è un solo individuo al mondo da cui
Sakura possa essersi fatta toccare volontariamente.
E sa anche
che è inutile chiederle perché non l’ha
denunciato, quando ha rimesso piede a
Konoha.
“Sei già
sicura di tenerlo, suppongo.”
L’assenso di
Sakura è secco.
“Sei completamente fuori di testa?! Non
ti
sei fatto vedere per anni, non hai voluto seguirci quando ti abbiamo
trovato,
ci hai trattati come vermi e adesso
vieni qui per… Per ingravidarmi?!”
Sasuke la guarda, per nulla impressionato.
“Esattamente.”
La cosa che sconvolge Sakura è che lui non
sembra minimamente coinvolto dalla faccenda.
Non pare aver scelto lei per un’effettiva
propensione amorosa, ma solo per una pura e semplice questione pratica.
“Sono… Sono la più comoda, non è vero?”
Lui non batte ciglio.
“Sì.”
“E p-perché… Perché non
l’hai chiesto a
Karin, allora? Lei sarebbe stata ancora più comoda, no? Ti
saresti anche
risparmiato il viaggio.”
“Karin è ricercata tanto quanto me. E in
ogni caso, non è originaria del Villaggio della Foglia. Mio
figlio crescerà a
Konoha.” le spiega con il tono di chi mostra
l’ovvio ad un idiota.
“Non è per nulla certo che, anche ammesso
che io ti permetta di toccarmi, la gravidanza arrivi al primo
colpo.”
E Dio solo sa quanto le costino quelle
parole, perché lui si comporta come una bestia e non
è quel Sasuke che lei ha
amato tanto, ma sente che potrebbe uccidere per avere le sue mani su di
lei.
“Vale la pena tentare.”
Un ultimo sprazzo di orgoglio si fa strada
in Sakura, e lei alza lo sguardo, fiera.
“No.”
Non lo vede nemmeno muoversi, ma il
secondo dopo è davanti a lei, con la bocca ad un soffio
dalle sue labbra.
“Davvero?”
Sta cercando di sedurla, di irretirla, di
intrappolarla nonostante non provi assolutamente nulla per lei.
Sakura se ne rende conto, e quel che è
peggio è che, quando sente il suo sussurro contro la propria
pelle, realizza
senza margine di errore che sì, lei cederà.
“Renditi
conto, Sakura, non è una situazione facile. Questo potrebbe
renderti una
traditrice come lui, perché una ninja che permette ad un
traditore di fare di
lei la madre del suo erede è di conseguenza nientemeno che
una complice.”
Sakura china
il capo, già perfettamente conscia della gravità
della situazione.
“Lo so,
maestra.”
“Lui non ti
ha costretto, non è vero?”
La giovane
alza lo sguardo.
Tsunade nei
suoi occhi legge il senso di colpa.
“No.”
Quando sente il suo bacio, senza la minima
coerenza, vi si abbandona con un trasporto che a stento credeva
possibile: al
minimo contatto delle labbra le sue braccia scattano sulle spalle di
lui, e si
abbarbicano dietro il suo collo; le dita di una mano affondano nei
capelli neri
e lunghi della nuca.
È estasiata dalle braccia di Sasuke che
l’avvicinano a lui, e proprio mentre sta dandosi della
stupida e ripetendosi
che saranno guai molto grossi accoglie la sua lingua nella propria
bocca.
Senza nemmeno rendersene conto fa scorrere
una mano sotto l’ampia scollatura del suo kimono bianco, sul
suo petto, mentre
sente un braccio possente – da quando lui è
così muscoloso? – passarle dietro
la schiena.
Sakura non può fare a meno di notare che i
movimenti di Sasuke sono estremamente meccanici, senza effettiva
bramosia,
senza una vera passione, e questo, unito ad uno sprazzo di senso di
responsabilità più forte, la spinge a separarsi
da lui per un momento.
Lui la prende per una buona occasione per
disfarsi della spada e dell’equipaggiamento che ancora ha
addosso, così la
lascia per un attimo e se li sfila.
Mentre lo guarda lei decide che è il momento perfetto
per allontanarsi da
quella situazione assurda e dare l’allarme, ma non ha fatto i
conti con la
disparità che c’è tra loro: non ha
nemmeno fatto in tempo a lanciarsi verso la
porta che lui l’ha già riafferrata e trascinata
contro di sé.
“Ormai hai preso la tua decisione, noiosa
Haruno.”
L’Hokage
capisce che rimproverarla ora non ha molto senso, anche
perché, per essere
sincera, non riesce nemmeno a condannare quel suo atto: illegale,
certo, dal
punto di vista della legge del Villaggio, ma forse anche legittimo,
sotto un altro punto di vista.
Quanto ha
sofferto Sakura per Sasuke?
Chi potrebbe
pretendere che lei, che non è riuscita a fargli del male
nemmeno dopo che lui
ha tentato di ucciderla, gli rifiuti quel contatto prima che lui reciti
il suo
ultimo atto?
Le sovviene
solo un altro problema.
“Con Naruto
come farai?”
Per la prima
volta a Sakura sfugge un singhiozzo.
“Naruto già
lo sa.”
La lacrima le
scivola inesorabilmente lungo la guancia.
“Non ne è
stato felice, perché tutto è accaduto di nascosto
e lui avrebbe voluto poter
vedere Sas’ke un’ultima volta come ho potuto io. Lo
posso comprendere. Ma ha
detto che mi capisce, che capisce le ragioni di Sas’ke, che
capisce la
situazione e mi sosterrà, e che il bambino per lui
sarà come un nipote.”
Tsunade la
guarda.
“Sai che in
ogni caso sarà applicato un provvedimento disciplinare nei
tuoi confronti. Il
tuo atto non può restare impunito perché
è omertà bella e buona, e io non posso
permettermi di passarci sopra. Sasuke Uchiha è un traditore
pericoloso, e il
fatto che tu abbia avuto dei contatti con lui senza denunciarlo ti
rende
responsabile della mancata cattura.”
Sakura china
il capo in segno di tacito assenso, sapendo che l’Hokage non
può e non vorrebbe
agire altrimenti.
“Domani
mattina verrai nel mio ufficio insieme a Naruto. Saranno presenti i
consiglieri
e dovremo parlarne. Aspettati una punizione severa, Sakura.”
“Sì,
maestra.”
“Sai che non
ho alternative.”
“Lo so.”
Maestra e
allieva si scambiano uno sguardo carico di significato.
E la giovane
per la prima volta esce da quel bozzolo di quieta rassegnazione in cui
si era
rinchiusa.
Le lacrime
scendono più copiose, ora.
“N-non ho
potuto… Maestra… Appena m-mi ha toccata n-non
sono riuscita ad allontanarmi da
lui. E p-poi…”
Tsunade fa
uno sbuffo, come a dire che l’errore ormai è fatto
e che non ha senso piangere
ma si può solo risolverne le conseguenze.
Eppure è
ancora comprensiva.
“Avanti,
Sakura. Hai commesso una grande sciocchezza e non lo
negherò. Ma in ogni caso,
se è quello che vuoi, facciamo nascere questo piccolo
Uchiha.”
Il letto di Sasuke è completamente
sfatto e
i loro vestiti sono dappertutto.
Sono stesi, nudi, coperti a malapena dal
lenzuolo, ma l’atmosfera non è quella romantica e
dolce di una notte magica
d’amore, bensì quella cruda e fredda
dell’amplesso già finalizzato, senza
nessun piacere in sé e per sé.
Sakura non ha desiderato altro che essergli
vicina, per tutta la vita, eppure ora, dopo essersi lasciata
spudoratamente
sedurre da lui, non riesce in alcun modo ad essere minimamente felice.
Ha dato la sua verginità ad un giovane uomo
che vede il lei solo un’incubatrice ambulante.
D’altronde lo sapeva, pensa. Lui non l’ha
mai illusa.
Forse è per questo che lei non riesce a
piangere.
Non
sa se è davvero rimasta incinta e, in ogni caso, non
saprebbe se tenere il
bambino.
Nonostante sia ancora saldamente ancorata
con il cuore a Sasuke, non può dire di essere certa di voler
mettere al mondo
un figlio concepito il quel modo.
Senza amore. Dopo un mero calcolo razionale,
per pura utilità futura.
Non si scompone dalla sua posizione quando
sente Sasuke alzarsi, non lo guarda rivestirsi.
Tiene gli occhi chiusi tutto il tempo,
cercando di convincersi che non è successo niente.
Ad un certo punto non lo sente più, ed
allora si arrischia ad aprire un occhio e poi l’altro, e
lentamente a girarsi
su di un fianco.
Trasale quando, voltandosi, lo vede ancora
lì.
“Non devi andartene? Tra poco sorgerà il sole.
Quello che volevi l’hai avuto, e senza dare niente in
cambio.”
Sasuke si limita a guardarla, in silenzio,
per qualche minuto.
Continua a tacere quando la vede iniziare a
singhiozzare, prendere a pugni i cuscini, ancora completamente
svestita,
scalciare via le coperte, urlargli insulti di ogni tipo.
Non si scompone, tanto in un quartiere
deserto nessuno la può sentire, ed è comunque
comprensibile la sua rabbia.
La lascia fare finché non si calma e smette
di piangere, rigettandosi sul materasso.
“Sakura” dice poi, quando i suoi singhiozzi
sono ormai terminati.
Prende il borbottio di lei come una
risposta.
“Non ti ho dato niente in cambio
semplicemente perché io non ho nulla da dare a
nessuno.”
“Queste sono solo belle parole, Sasuke.”
“Il mio ruolo qui è già
scritto.”
“Anche queste sono belle parole e basta.”
Silenzio.
“Non ho niente, Sakura. Ma se il mio ruolo
fosse stato un altro quello che è appena successo tra me e
te non sarebbe stata
solo la soluzione ultima per salvare un clan in estinzione.”
Le ultime parole le ha dette talmente piano
che Sakura vuole farsele ripetere.
Deve essere assolutamente certa di non
essersele immaginate.
“Sas’ke…!”
Lui l’ha lasciata lì, da sola.
Anzi, li ha lasciati soli.
Tsunade se
n’è andata, Naruto è passato a vedere
come sta ma poco dopo gli ha detto che
può cavarsela da sola.
Non è un
aspirante medico per niente.
Non si sente
granché meglio rispetto alla mattina, ma almeno ora
può riposare ed è meglio
anzi che dorma davvero, perché l’indomani
dovrà rendere conto all’Hokage e ai
consiglieri delle sue azioni.
E sa che
nessuno sarà indulgente.
A volte si
chiede ancora cosa l’abbia resa così sicura di
tenere quel bambino concepito un
po’ per caso un po’ per necessità,
perché davvero parrebbe non avere un futuro,
così sprovvisto d’amore come sembra essere.
Ma poi si
risponde.
Sasuke è
convinto di morire, ma non sa che non c’è niente
di scritto e che lui potrebbe anche
sopravvivere.
E se
sopravvivrà, non le importa come, con l’aiuto di
Naruto lo riporterà lì con
loro.
E per il suo
ruolo ci sarà un altro copione.
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Ringrazio
chi ha letto e chi vorrà lasciare un parere.
Alla
prossima! ^^
Panda