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Autore: Panda_chan    22/01/2012    4 recensioni
Ad un’osservazione più attenta si accorge però che sul tavolo, a faccia in giù, c’è un portafoto di legno.
Si avvicina e lo scuote dalla polvere, poi lo orienta contro un fascio di luce che entra dalla finestra e con un tuffo al cuore osserva se stessa, Naruto, Sasuke e il maestro Kakashi qualche anno prima, il giorno della nascita del Team Seven.
Improvvisamente ha la sensazione che una bolla di malinconia le si allarghi appena sotto lo sterno, lenta ma inarrestabile.
“Nessuno ti ha mai detto che non si entra nelle case degli altri e non si toccano le loro cose?”
Il portafoto cade a terra di schianto, e nella collisione con il pavimento di legno il vetro si frantuma con un rumore secco.
E Sakura sgrana gli occhi.
Non può essere.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tsunade | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Ehm-ehm.
Dunque, non so tanto bene da dove sia venuta questa fanfiction.
Probabilmente è tutta colpa delle fanart che mi mettono in testa idee malsane, ma io non riesco a smettere di guardarle, e questi sono i risultati.
Come da avvertimento, questa è una what if, quindi è chiaro che io non ho assolutamente la pretesa di dire che le cose sono andate così, ma voglio semplicemente riproporre una diversa versione dei fatti narrati da Kishi.
Sì, lo so che sapete cos’è una what if, ma è sempre meglio specificare. XD
Prima di cominciare, un grazie grande ad Emmevi che si è rotta le pal impegnata a darmi un parere su questa cosa e praticamente l’ha anche betata. Thanks.
Ed ora… Buona lettura! ^^

 

Questione di ruoli

 

 

Mentre aiuta la sua maestra nella consultazione dell’enciclopedia medica per la lettura di un referto, Sakura sente su di sé lo sguardo inquisitorio di Tsunade.
Nervosa, si mordicchia il labbro inferiore fingendo concentrazione, e cercando di ignorare quegli occhi castani che sembrano poter trapassare la sua pelle per arrivare dritti alla sua coscienza.
“Sakura, va tutto bene?”
Quasi sussulta quando il Quinto Hokage le parla, ciononostante continua ad ostentare una tranquillità che non prova e alza il viso dal pesante volume, stirando le labbra per espellere un sorriso tanto stentato  quanto, palesemente, falso.
“Certo, maestra. Sono solo un po’ stanca, ultimamente non dormo molto.”
Gli occhi di Tsunade si assottigliano, sospettosi, e Sakura non spera nemmeno per un momento che lei le creda sul serio. Si limita ad augurarsi che decida di crederle.
“Ma sei pallida, hai le occhiaie e stamattina, quando abbiamo fatto colazione, hai mangiato poco. Nell’ultima settimana hai avuto meno resistenza negli allenamenti e ti sei fermata più spesso a riposare. Non sono sintomi riconducibili al semplice non aver dormito la notte.”
Il peso che si trova da qualche parte nel petto di Sakura preme di più sul diaframma, mentre il suo cuore accelera i battiti.
Chi vuole prendere in giro?
Tenta di non darsi per vinta. Può ancora cercare di fingere normalità.
“Credo sia semplicemente quell’influenza virale che gira da qualche tempo e che devo essermi presa in forma lieve, maestra. Ho visitato parecchi bambini che l’avevano contratta, e quindi…”
Che scusa penosa.
Lascia cadere la frase, sperando nel buonumore di Tsunade.
“Mh, effettivamente può essere.”
Sakura trattiene un sospiro di sollievo. La maestra ha scelto di fidarsi.

 

La notte estiva di Konoha è calda, ma Sakura avverte un lieve brivido lungo la schiena a causa del venticello leggero ma fresco che quel giorno si è alzato a partire dal pomeriggio.
Nonostante siano quasi le tre del mattino non ha sonno, ed essendo incapace di trattenersi ancora a letto ha deciso di uscire a fare quattro passi.
Le case e le strade a malapena illuminate da qualche lampione non la impressionano e il silenzio non la opprime; quella sera ha semplicemente la piacevole sensazione di potersene stare in pace.
Incurante di essersi allontanata da casa continua a camminare, percorrendo quasi in automatico una strada che conosce bene.
A quell’ora è quasi deserta, ma lei non si fa intimidire e va avanti, finché non incontra una grande arcata di legno, sormontata da un pannello dipinto.
Lo stemma che troneggia alto sul pannello, visibile nonostante la pittura scrostata, raffigura un ventaglio rosso e bianco.

 

Una volta che hanno terminato il loro lavoro, Sakura saluta la maestra ed esce dal suo ufficio, sentendo, appena varca la porta, il cuore farsi leggero – ma non più di tanto.
Si affretta ad uscire dall’edificio, e dato che ha qualche ora libera prima di iniziare il suo turno di tirocinio all’ospedale si dirige verso casa a riposare.
Fortunatamente non abita lontano di lì, così in meno di cinque minuti è arrivata, e appena entra si leva i sandali e senza nemmeno sfilarsi il giubbetto che indossa si butta sul divano con un gran sospiro e chiude gli occhi.
In quel piccolo momento morto, quasi una tregua, cerca di mettere ordine nei propri pensieri.
Si rende conto che, nonostante il senso di colpa che le attanaglia la gola fino a farle presentire, in certi momenti, il soffocamento, non riesce ad eliminare una minima punta di orgoglio e di esaltazione.
Rimanendo con gli occhi serrati, lascia la mente libera di spaziare.

 

La vernice scrostata, le case abbandonate, i porticati impolverati, le luci parzialmente fulminate, tutto lì urla ‘questo è un quartiere fantasma’.
Dal giorno della partenza di Sasuke la zona è completamente disabitata, e se già quando lui c’era ancora l’atmosfera non era delle più accoglienti, adesso si potrebbe anche dire che l’ostilità è palpabile.
Sakura però non l’avverte, perché ora non ha più Sasuke e quello è uno dei luoghi in cui lei lo può ritrovare.
Ci passa spesso, di giorno, anche a costo di allungare la strada verso la sua meta, perché non resiste alla tentazione di vedere il luogo dove da piccola sognava di abitare insieme a quello che era ancora il suo principe azzurro.
Di notte non ci era mai venuta, realizza, ma non le cambia niente, anzi forse con il buio le pare ancora più percepibile la presenza di Sasuke, sempre chiuso, malinconico e ringhioso. Anche se lui non c’è più.
Varca il confine invisibile che separa il quartiere degli Uchiha dal suo mondo reale, quasi sentendosi chiusa in una bolla a parte, e prosegue finché non si imbatte nella casa vuota che fu di Fugaku e Mikoto Uchiha; i segni dell’abbandono di quell’abitazione sono evidentemente più recenti rispetto al totale degrado delle altre, ma cominciano in ogni caso a farsi ben visibili, anche nel buio della notte.
A Sakura la sola idea mette tristezza perché ogni prova del passaggio di Sasuke a Konoha sembra far di tutto per dissolversi nel tempo.
Pare quasi che l’obiettivo finale sia quello di arrivare a dimostrare che lui è esistito solo nella sua testa, in quella di Naruto e in quella di Kakashi sensei.

 

Quando riapre gli occhi, si accorge che deve essersi assopita, perché invece dei cinque minuti previsti è passata un’ora e mezza.
Svogliatamente si stiracchia sbadigliando, per nulla vogliosa di andare in ospedale, ma d’altronde, dato che ha deciso di vivere da sola, i pochi soldi che guadagna con il tirocinio – in attesa di divenire un medico vero e proprio – le servono tutti.
Rimanere a casa quindi è fuori discussione, anche se adesso che ci fa caso alla generica stanchezza si è aggiunto un malessere diffuso e un più focalizzato dolore sotto l’ombelico.
Stabilisce che appena terminato il turno si fionderà a casa, prenderà un antidolorifico e dormirà per almeno dodici ore, ed esce nuovamente di casa cercando di soffocare il fastidioso grillo parlante che le urla nell’orecchio che forse, in quel momento, un dolore alla pancia non è qualcosa che si possa liquidare come una sciocchezza da sedare con un analgesico.
Accelerando il passo arriva in ospedale appena in tempo per non essere in ritardo, e nonostante continui a non sentirsi bene infila il suo camice e si fionda in corsia, cercando di ignorare lo sguardo severo della caposala su di lei.
D’altronde Tsunade glielo ha sempre ripetuto: nessun trattamento di favore, nemmeno per l’allieva dell’Hokage.
Imponendosi di rimanere impassibile Sakura entra nella stanza del primo paziente che deve controllare.

 

Nel momento in cui spinge la porta per entrare, Sakura sa perfettamente che quella sarebbe, teoricamente, violazione di domicilio.
In effetti, prima di quella sera, si è sempre limitata a passare davanti al quartiere, senza entrarvi né tantomeno arrivare davanti a casa di Sasuke.
Ma lì dentro c’è sicuramente il suo odore.
Lì dentro lui è cresciuto.
Dev’esserci rimasto qualcosa, di quel ragazzo, e lei ne ha decisamente bisogno. Subito. Per quello non si fa scrupolo ad introdursi in un’abitazione che non è la sua.
Ed effettivamente entrando lo sente, l’odore che Sasuke ha sempre avuto sui vestiti, e lei cerca, nell’oscurità quasi totale squarciata solo da qualche lama di luce dei lampioni esterni, il corridoio che porti alla sua stanza.
Ha bisogno di arrivare alla sua stanza.
Ha bisogno di rivedere almeno alcuni degli oggetti che gli sono appartenuti.
Sakura nel tempo è diventata brava quasi quanto lui a nascondere il proprio dolore, anzi, forse l’ha addirittura superato, visto che riesce perfino a sorridere, mentre Sasuke non lo faceva praticamente mai.
Ma questo non significa che lei non senta più la necessità di averlo vicino, né tantomeno toglie che lei abbia l’impressione perenne che le manchi qualcosa.
Per questo è lì.
Ha ancora
bisogno di lui.

 

Quando la ragazza che sta medicando soffoca un gemito di dolore, Sakura ripiomba improvvisamente dai suoi pensieri al mondo reale, rendendosi conto che ha completamente mancato la vena con l’ago della flebo.
“Scusami tanto, rimedio subito” mormora alla paziente, che annuisce poco convinta.
Al secondo tentativo la banale operazione le riesce, ma si rende conto che per ultimarla le è servito uno sforzo di concentrazione molto superiore al solito.
Il mondo ruota di pari passo con il suo capogiro, e riesce appena in tempo ad appoggiarsi al mobiletto accanto al letto della malata, che paradossalmente, vedendola barcollare, le chiede se lei si senta bene.
“Sì, tutto a posto, non ho mangiato molto stamattina. Per quello sono un po’ debole, ma è solo un calo di zuccheri.” le risponde sorridendo.
Termina di controllare la cartella clinica della paziente, poi esce immediatamente dalla stanza e si appoggia al muro del corridoio, respirando profondamente e cercando di scacciare i conati.
Il dolore al ventre si è fatto più consistente e si sente febbricitante.
Ci pensa un po’ su, infine decide che può permettersi di chiedere un paio di giorni di malattia.
Dopotutto le ultime missioni le ha svolte alla perfezione e anche le sue ore in ospedale sono state soddisfacenti.
Dato che ormai si sente prossima allo svenimento si discosta dal muro e si dirige camminando lentamente verso l’ufficio della caposala, con l’intenzione di chiederle di poter andare a casa.

 

A tentoni nell’oscurità, raggiunge la stanza di Sasuke – ricorda qual è, un paio di volte lei e Naruto sono andati a prenderlo prima di un appuntamento con il sensei e lui li ha fatti entrare – e scosta anche quella porta socchiusa.
Lì dentro la luce è un po’ più intensa, perché i balconi sono aperti e attraverso i vetri, oltre alla luce artificiale dei lampioni, passa anche quella pallida del quarto di luna che quella notte splende alto nel cielo.
La stanza di Sasuke è abbastanza scarna: c’è un letto spazioso, un armadio, una libreria e una scrivania.
Ogni superficie è spoglia, senza effetti personali; Sakura immagina che siano stati in parte riposti, e in parte abbiano seguito il loro padrone nel suo viaggio.
Ad un’osservazione più attenta si accorge però che sul tavolo, a faccia in giù, c’è un portafoto di legno.
Si avvicina e lo scuote dalla polvere, poi lo orienta contro un fascio di luce che entra dalla finestra e con un tuffo al cuore osserva se stessa, Naruto, Sasuke e il maestro Kakashi qualche anno prima, il giorno della nascita del Team Seven.
Improvvisamente ha la sensazione che una bolla di malinconia le si allarghi appena sotto lo sterno, lenta ma inarrestabile.
“Nessuno ti ha mai detto che non si entra nelle case degli altri e non si toccano le loro cose?”
Il portafoto cade a terra di schianto, e nella collisione con il pavimento di legno il vetro si frantuma con un rumore secco.
E Sakura sgrana gli occhi.
Non può essere.

 

La caposala la guarda ma stavolta sembra comprensiva, ed effettivamente Sakura immagina di essere pallida come una morta e di non avere una bella cera, visto come si sente.
“Tranquilla, si vede che stai male. Vai pure a casa e riposati, per il recupero del turno ne riparleremo.”
Sakura annuisce e si sforza di fare almeno un sorriso, sinceramente grata, poi passa in corridoio, lascia il camice in spogliatoio e si siede un momento sulla panca della stanza.
La nausea è decisamente aumentata, e le pare di avvertire qualche fitta più incisiva ogni tanto.
Spera di riuscire ad arrivare a casa senza  vomitare, ma non ne è tanto sicura.
D’altronde non può certo rimanere seduta su una panca a oltranza, quindi con calma si rimette in piedi.
Respirando profondamente si incammina, e se non altro le pare che i capogiri se ne siano andati.
Cerca di rimanere impassibile davanti allo sguardo di qualche collega a cui il suo malessere pare di certo evidente, e con calma si avvia di nuovo verso casa.
Ma almeno la prospettiva di riposo e calore la rinfrancano un po’.

 

“Che cosa ci fai qui?!”
Il ragazzo che le sta davanti è senz’ombra di dubbio Sasuke e la guarda con gelido scherno.
“Casomai cosa ci fai
tu qui, io sono a casa mia, nel caso non lo notassi.”
Sakura si irrigidisce, e dalla sorpresa passa direttamente alla rabbia sorda.
“Non osare prendermi in giro, Sasuke! Hai capito perfettamente il senso della domanda. Te ne sei andato, ci hai piantati qui per Orochimaru senza voltarti indietro. Perché sei tornato?”
Lui continua a squadrarla, in apparenza distante.
“Non sono affari tuoi. E non montarti la testa, è stato un caso che ci incontrassimo.”
Gli occhi verdi di Sakura scintillano alla debole luce notturna.
“Un  caso, certo. Tre anni e mezzo dopo la tua partenza io non riesco a dormire, vengo fino al tuo quartiere, mi spingo fin dentro a casa tua per la prima volta da quando te ne sei andato e
per caso ci incontriamo qui.”
“Esatto.”
Il tono di lui non ha nulla di derisorio o ironico, ma al contrario suona definitivo.
A quanto pare Sasuke si aspetta davvero che lei creda alla casualità dell’evento, e se è così Sakura capisce immediatamente che continuare la discussione non ha senso.
Se è convinto, lei potrebbe mettergli davanti agli occhi mille prove che dimostrino che lui ha un motivo per trovarsi proprio lì proprio in quel momento, ma Sasuke continuerebbe senza battere ciglio a sostenere l’assoluta fatalità dell’episodio.
Senza aggiungere altro, allora, Sakura inizia a raccogliere i cocci del vetro della cornice, voltandogli le spalle in un gesto definitivo che le costa tutta la sua forza di volontà.
Perché non è facile voltargli le spalle quando vorrebbe solo lanciarglisi addosso e pregarlo di restare.

 

Con un sospiro di sollievo, Sakura entra nuovamente a casa, e come ha fatto un paio d’ore prima si leva solo i sandali per poi stendersi di nuovo.
Decide di provare ad evitare i farmaci e a vedere se per caso il dolore passa da sé.
Non le sono mai piaciute troppo le medicine.
Si tira addosso la coperta e si gira su un fianco chiudendosi su se stessa come un riccio e le pare che quella posizione allevi un po’ le fitte al ventre.
Per la febbre può solo aspettare, scartata l’opzione dell’antipiretico.
Chiude ancora gli occhi, riprende a respirare profondamente, e capisce che è una buona tattica quando si accorge che la morsa al ventre si allenta e le fitte si fanno meno pressanti; non può però mantenere un moto di insofferenza quando sente il campanello suonare.
Pensa che quasi quasi potrebbe anche lasciare che suonino e fingere di non essere in casa, ma capisce che non lo può fare quando sente la voce di Tsunade dietro la porta: “Sakura, apri, sono io.”
No, merda.
Adesso deve aprire per forza, anche perché la maestra potrebbe tranquillamente buttare giù il muro con un pugno per entrare.
Quando si leva seduta sente il suo corpo protestare in mille modi, ma cerca di ignorarlo per arrivare almeno all’uscio.
Fortunatamente ci riesce, e non appena ha girato la chiave si tira indietro e si ributta sul divano accanto alla porta, mentre Tsunade entra e richiude.
Poi si volta e la guarda, e Sakura rimane inchiodata.
Vede una maestra intransigente, vede una madre preoccupata, vede un medico che ha già capito.
E da un po’.
“Ho deciso di fare finta di niente per un po’, Sakura, sperando che tu avessi un minimo di controllo della situazione. Ma dopo che mi ha chiamato la caposala nel pomeriggio riferendomi che stavi praticamente per svenire, non ho più potuto ignorare la faccenda. Da quanto tempo hai capito di essere incinta?”
E Sakura non ci prova neanche, a negare.
“Circa un mese.”

 

Adesso Sakura ha finito di raccogliere i cocci e non ha più ragione per rimanere accovacciata a terra dandogli le spalle.
Si rialza, appoggia i frammenti di vetro sul tavolo e ritorna a guardarlo.
Anche al chiaro di luna, quando non può distinguere bene i suoi lineamenti, lo trova bellissimo, ma si sforza di scacciare questi pensieri inopportuni perché lui ora è un traditore.
Non ha idea del come si sia intrufolato lì, ma in ogni caso deve dare l’allarme.
“Non avviserai gli ANBU.”
Come sempre sembra che legga nel pensiero.
“Farò quello che è giusto.”
Sasuke la guarda, beffardo e sì, anche crudele.
“Quanta acredine da una che aveva dichiarato di amarmi.”
Ma lei adesso ha una dignità.
“Quanta incoerenza da uno che aveva giurato che non avrebbe più perso tempo con noi della Foglia.”
“Non sto affatto perdendo tempo.”
“E allora cosa vuoi?”
“Io sto per partire alla ricerca di Itachi, per compiere la mia vendetta.”
“Davvero vuoi vendicarti di Itachi? Non l’avrei mai detto.”
Sasuke la fulmina.
“Itachi non è un nemico semplice da mettere in difficoltà. Dopo anni di allenamento intensivo non sono ancora sicuro di vincere.”
Per la prima volta Sakura vacilla.
“Sas'ke, è rischioso.”
“Lo so. È parecchio probabile che io muoia nell’intento. Magari lo trascinerò con me, ma senz’altro le possibilità di uscirne vivo sono realisticamente poche.”
“Non capisco ancora perché tu mi stia dicendo tutto questo.”
Sasuke la guarda a lungo, criticamente, come se fosse indeciso su una scelta da compiere.
“Perché io vado a morire, Sakura, e forse anche Itachi.”
Lei comincia a subodorare quale sia il finale del discorso.
“E…?”
“E non importa se sopravvivrò io, se sopravvivrà Itachi o se moriremo tutti e due. Perché tu metterai al mondo il mio erede.”

 

“Sei in condizioni pietose. Fatti vedere.”
Tsunade la fa mettere distesa sul divano e comincia a visitarla.
Non ha gli strumenti, ma non è il genere di medico che necessita dello stetoscopio per avvertire l’andamento del cuore del paziente.
Con delicatezza passa le mani sul ventre ancora piatto di Sakura, e la sua espressione si rabbuia un po’.
“Non mi pareva di aver avvertito movimenti o dolori anormali, maestra. Oggi non sono stata bene, ma ero convinta che fosse solo una nausea particolarmente violenta.”
Tsunade assente.
“Lo è. Ciononostante l’utero è contratto e la placenta potrebbe avere un distacco. Di sicuro non sei nelle condizioni ottimali in cui dovrebbe trovarsi una gestante.”
“Lo immaginavo.”
L’Hokage guarda la sua allieva, poi sospira.
Non le chiede da dove arrivi il bambino, perché sa che c’è un solo individuo al mondo da cui Sakura possa essersi fatta toccare volontariamente.
E sa anche che è inutile chiederle perché non l’ha denunciato, quando ha rimesso piede a Konoha.
“Sei già sicura di tenerlo, suppongo.”
L’assenso di Sakura è secco.

 

“Sei completamente fuori di testa?! Non ti sei fatto vedere per anni, non hai voluto seguirci quando ti abbiamo trovato, ci hai trattati come vermi e adesso vieni qui per… Per ingravidarmi?!”
Sasuke la guarda, per nulla impressionato.
“Esattamente.”
La cosa che sconvolge Sakura è che lui non sembra minimamente coinvolto dalla faccenda.
Non pare aver scelto lei per un’effettiva propensione amorosa, ma solo per una pura e semplice questione pratica.
“Sono… Sono la più
comoda, non è vero?”
Lui non batte ciglio.
“Sì.”
“E p-perché… Perché non l’hai chiesto a Karin, allora? Lei sarebbe stata ancora più comoda, no? Ti saresti anche risparmiato il viaggio.”
“Karin è ricercata tanto quanto me. E in ogni caso, non è originaria del Villaggio della Foglia. Mio figlio crescerà a Konoha.” le spiega con il tono di chi mostra l’ovvio ad un idiota.
“Non è per nulla certo che, anche ammesso che io ti permetta di toccarmi, la gravidanza arrivi al primo colpo.”
E Dio solo sa quanto le costino quelle parole, perché lui si comporta come una bestia e non è quel Sasuke che lei ha amato tanto, ma sente che potrebbe uccidere per avere le sue mani su di lei.
“Vale la pena tentare.”
Un ultimo sprazzo di orgoglio si fa strada in Sakura, e lei alza lo sguardo, fiera.
“No.”
Non lo vede nemmeno muoversi, ma il secondo dopo è davanti a lei, con la bocca ad un soffio dalle sue labbra.
“Davvero?”
Sta cercando di sedurla, di irretirla, di intrappolarla nonostante non provi assolutamente nulla per lei.
Sakura se ne rende conto, e quel che è peggio è che, quando sente il suo sussurro contro la propria pelle, realizza senza margine di errore che sì, lei cederà.

 

“Renditi conto, Sakura, non è una situazione facile. Questo potrebbe renderti una traditrice come lui, perché una ninja che permette ad un traditore di fare di lei la madre del suo erede è di conseguenza nientemeno che una complice.”
Sakura china il capo, già perfettamente conscia della gravità della situazione.
“Lo so, maestra.”
“Lui non ti ha costretto, non è vero?”
La giovane alza lo sguardo.
Tsunade nei suoi occhi legge il senso di colpa.
“No.”

 

Quando sente il suo bacio, senza la minima coerenza, vi si abbandona con un trasporto che a stento credeva possibile: al minimo contatto delle labbra le sue braccia scattano sulle spalle di lui, e si abbarbicano dietro il suo collo; le dita di una mano affondano nei capelli neri e lunghi della nuca.
È estasiata dalle braccia di Sasuke che l’avvicinano a lui, e proprio mentre sta dandosi della stupida e ripetendosi che saranno guai molto grossi accoglie la sua lingua nella propria bocca.
Senza nemmeno rendersene conto fa scorrere una mano sotto l’ampia scollatura del suo kimono bianco, sul suo petto, mentre sente un braccio possente – da quando lui è così muscoloso? – passarle dietro la schiena.
Sakura non può fare a meno di notare che i movimenti di Sasuke sono estremamente meccanici, senza effettiva bramosia, senza una vera passione, e questo, unito ad uno sprazzo di senso di responsabilità più forte, la spinge a separarsi da lui per un momento.
Lui la prende per una buona occasione per disfarsi della spada e dell’equipaggiamento che ancora ha addosso, così la lascia per un attimo e se li sfila.
Mentre lo guarda lei decide che è il momento perfetto per allontanarsi da quella situazione assurda e dare l’allarme, ma non ha fatto i conti con la disparità che c’è tra loro: non ha nemmeno fatto in tempo a lanciarsi verso la porta che lui l’ha già riafferrata e trascinata contro di sé.
“Ormai hai preso la tua decisione, noiosa Haruno.”

 

L’Hokage capisce che rimproverarla ora non ha molto senso, anche perché, per essere sincera, non riesce nemmeno a condannare quel suo atto: illegale, certo, dal punto di vista della legge del Villaggio, ma forse anche legittimo, sotto un altro punto di vista.
Quanto ha sofferto Sakura per Sasuke?
Chi potrebbe pretendere che lei, che non è riuscita a fargli del male nemmeno dopo che lui ha tentato di ucciderla, gli rifiuti quel contatto prima che lui reciti il suo ultimo atto?
Le sovviene solo un altro problema.
“Con Naruto come farai?”
Per la prima volta a Sakura sfugge un singhiozzo.
“Naruto già lo sa.”
La lacrima le scivola inesorabilmente lungo la guancia.
“Non ne è stato felice, perché tutto è accaduto di nascosto e lui avrebbe voluto poter vedere Sas’ke un’ultima volta come ho potuto io. Lo posso comprendere. Ma ha detto che mi capisce, che capisce le ragioni di Sas’ke, che capisce la situazione e mi sosterrà, e che il bambino per lui sarà come un nipote.”
Tsunade la guarda.
“Sai che in ogni caso sarà applicato un provvedimento disciplinare nei tuoi confronti. Il tuo atto non può restare impunito perché è omertà bella e buona, e io non posso permettermi di passarci sopra. Sasuke Uchiha è un traditore pericoloso, e il fatto che tu abbia avuto dei contatti con lui senza denunciarlo ti rende responsabile della mancata cattura.”
Sakura china il capo in segno di tacito assenso, sapendo che l’Hokage non può e non vorrebbe agire altrimenti.
“Domani mattina verrai nel mio ufficio insieme a Naruto. Saranno presenti i consiglieri e dovremo parlarne. Aspettati una punizione severa, Sakura.”
“Sì, maestra.”
“Sai che non ho alternative.”
“Lo so.”
Maestra e allieva si scambiano uno sguardo carico di significato.
E la giovane per la prima volta esce da quel bozzolo di quieta rassegnazione in cui si era rinchiusa.
Le lacrime scendono più copiose, ora.
“N-non ho potuto… Maestra… Appena m-mi ha toccata n-non sono riuscita ad allontanarmi da lui. E p-poi…”
Tsunade fa uno sbuffo, come a dire che l’errore ormai è fatto e che non ha senso piangere ma si può solo risolverne le conseguenze.
Eppure è ancora comprensiva.
“Avanti, Sakura. Hai commesso una grande sciocchezza e non lo negherò. Ma in ogni caso, se è quello che vuoi, facciamo nascere questo piccolo Uchiha.”

 

Il letto di Sasuke è completamente sfatto e i loro vestiti sono dappertutto.
Sono stesi, nudi, coperti a malapena dal lenzuolo, ma l’atmosfera non è quella romantica e dolce di una notte magica d’amore, bensì quella cruda e fredda dell’amplesso già finalizzato, senza nessun piacere in sé e per sé.
Sakura non ha desiderato altro che essergli vicina, per tutta la vita, eppure ora, dopo essersi lasciata spudoratamente sedurre da lui, non riesce in alcun modo ad essere minimamente felice.
Ha dato la sua verginità ad un giovane uomo che vede il lei solo un’incubatrice ambulante.
D’altronde lo sapeva, pensa. Lui non l’ha mai illusa.
Forse è per questo che lei non riesce a piangere.
Non sa se è davvero rimasta incinta e, in ogni caso, non saprebbe se tenere il bambino.
Nonostante sia ancora saldamente ancorata con il cuore a Sasuke, non può dire di essere certa di voler mettere al mondo un figlio concepito il quel modo.
Senza amore. Dopo un mero calcolo razionale, per pura utilità futura.
Non si scompone dalla sua posizione quando sente Sasuke alzarsi, non lo guarda rivestirsi.
Tiene gli occhi chiusi tutto il tempo, cercando di convincersi che non è successo niente.
Ad un certo punto non lo sente più, ed allora si arrischia ad aprire un occhio e poi l’altro, e lentamente a girarsi su di un fianco.
Trasale quando, voltandosi, lo vede ancora lì.
“Non devi andartene? Tra poco sorgerà il sole. Quello che volevi l’hai avuto, e senza dare niente in cambio.”
Sasuke si limita a guardarla, in silenzio, per  qualche minuto.
Continua a tacere quando la vede iniziare a singhiozzare, prendere a pugni i cuscini, ancora completamente svestita, scalciare via le coperte, urlargli insulti di ogni tipo.
Non si scompone, tanto in un quartiere deserto nessuno la può sentire, ed è comunque comprensibile la sua rabbia.
La lascia fare finché non si calma e smette di piangere, rigettandosi sul materasso.
“Sakura” dice poi, quando i suoi singhiozzi sono ormai terminati.
Prende il borbottio di lei come una risposta.
“Non ti ho dato niente in cambio semplicemente perché io non ho nulla da dare a nessuno.”
“Queste sono solo belle parole, Sasuke.”
“Il mio ruolo qui è già scritto.”
“Anche queste sono belle parole e basta.”
Silenzio.
“Non ho niente, Sakura. Ma se il mio ruolo fosse stato un altro quello che è appena successo tra me e te non sarebbe stata solo la soluzione ultima per salvare un clan in estinzione.”
Le ultime parole le ha dette talmente piano che Sakura vuole farsele ripetere.
Deve essere assolutamente certa di non essersele immaginate.
“Sas’ke…!”
Lui l’ha lasciata lì, da sola.
Anzi, li ha lasciati soli.

 
Tsunade se n’è andata, Naruto è passato a vedere come sta ma poco dopo gli ha detto che può cavarsela da sola.
Non è un aspirante medico per niente.
Non si sente granché meglio rispetto alla mattina, ma almeno ora può riposare ed è meglio anzi che dorma davvero, perché l’indomani dovrà rendere conto all’Hokage e ai consiglieri delle sue azioni.
E sa che nessuno sarà indulgente.
A volte si chiede ancora cosa l’abbia resa così sicura di tenere quel bambino concepito un po’ per caso un po’ per necessità, perché davvero parrebbe non avere un futuro, così sprovvisto d’amore come sembra essere.
Ma poi si risponde.
Sasuke è convinto di morire, ma non sa che non c’è niente di scritto e che lui potrebbe anche sopravvivere.
E se sopravvivrà, non le importa come, con l’aiuto di Naruto lo riporterà lì con loro.
E per il suo ruolo ci sarà un altro copione.

 

 

**********

 

 

Ringrazio chi ha letto e chi vorrà lasciare un parere.
Alla prossima! ^^
Panda

  
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