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Autore: England    22/01/2012    3 recensioni
Itachi non c’era, lo realizzai solo in quel momento.
Non sarebbe tornato, né per me, né per lui.
La sua vita era stata spazzata via, come sabbia, come cenere, come fumo.
Poi lui si fece avanti, mi prese il viso fra le mani e mi guardò.
< Ci sono solo io, qui. >
Ripeté, e mi baciò di nuovo. Niente dolcezza, niente passione. Nessun sentimento.
Solo una vana richiesta d’aiuto esaudita.
Sentii il cuore lacerarsi.
Mi aggrappai alla sua maglia e poi, scoppiai a piangere.
[ E' una storia particolare, c'è una sorta di Ita/Naru/Sasu, ma non è proprio così, miscuglio di amore, amicizia e morte. Vorrei dire che l'OOC riguarda specialmente Naruto, perchè se fosse stato IC questa one-shot non sarebbe stata quello che è. Mi sta abbastanza a cuore questa Fiction, non so perché, ma vorrei che qualcun'altro la sentisse come la sento io, un po' speciale. A chi vorrà... buona lettura
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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La morte nel cuore

T’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, entro l’ombra e l’anima.


 


Dopo la morte dei miei genitori, non rinunciai mai ad andare al cimitero, davanti a ciò che di loro rimaneva.
Marmo bianco, dei fiori, ed una foto che li ritraeva insieme. Erano belli, loro due.
Erano vivi, nonostante i loro corpi morti.
Non saltai un giorno, nemmeno quando avevo avuto la varicella, o quando mi ero rotto una gamba inciampando sulle scale del condominio.
Non avrei mai smesso di andare a pregare per loro, me l’ero promesso.
I morti non vanno dimenticati.
Jiraiya, buon compagno di famiglia e collega di lavoro di mio padre, si era subito fatto avanti quando, al tribunale minorile, dovettero scegliere la mia nuova casa e soprattutto, il mio affidamento.
Il piccolo Naruto Uzumaki.

Dieci anni dopo, nel giorno del mio compleanno, me ne stavo seduto sul bordo mattonato che recintava il piccolo spazio riservato alle sepolture in terra.
Proprio dove erano stati seppelliti i miei genitori.
Toglievo con cura le foglie di troppo sul gambo di un crisantemo rosa, canticchiavo a bassa voce un motivetto che nella mia memoria risvegliava ricordi sereni riguardanti i miei genitori.
Una volta unito il crisantemo al mazzo di fiori composto accuratamente poco prima, li presi tutti in mano e li sistemai nel vaso che avevo sciacquato in uno degli appositi lavandini.
Ogni tre giorni cambiavo mazzo di fiori e i suoi colori; non che avessi  lo spiccato senso dell’accostamento dei colori, ma andava bene così, perché ai miei genitori sarebbero piaciuti lo stesso.
Mi pulii le mani lasciandole sfregare ripetutamente sui jeans chiari; mi sporcai, ma non ci feci caso e sorrisi soddisfatto, prima di inginocchiarmi e unire le mani avanti al viso, in preghiera.
Quel giorno al cimitero ancora non avevo visto cortei o carri funebri:  cosa che capitava quasi tutti i giorni, ma non  feci in tempo nemmeno a farne una considerazione, che da lontano il pianto di una donna attirò la mia attenzione.
Voltai gli occhi a seguire il suono e mi ritrovai a fissare quella donna, con un velo scuro calato sul viso ed un uomo che la teneva per le spalle, mentre camminavano dietro ad un auto che trasportava una bara.
Di rispetto, feci il segno della croce e, sorridendo un’ultima volta verso i miei genitori, rimisi la borsa che avevo lasciata a terra in spalla, e mi incamminai verso l’uscita.
Quando passai affianco al corteo osservai, senza presunzione, le persone che lente e straziate camminavano l’una dietro l’altra; in una marcia silenziosa e dolorosa.
Mi capitò di incrociare gli occhi di un ragazzo, più o meno della mia stessa età, e quello sguardo mi colpì forte ed inaspettato. Non perché in quegli occhi ci fosse troppo, ma proprio perché ciò che dominava quel volto era il vuoto
Nulla. Non esisteva.
Come una maschera indossata per l’evenienza.
Una mancanza di emozione che mi sembrò addirittura crudele, in un momento delicato come quello.
Di certo non potevo fermarmi a commentare, così mi voltai dall’altra parte, diretto a casa.

< Sono tornato! > Esclamai, chiudendo la porta alle miei spalle, poggiando la borsa su una sedia all’entrata, mentre un profumino proveniente dalla cucina mi fece brontolare lo stomaco.
Quando mi affacciai, vidi Jiraiya armeggiare con i fornelli. Sorrise.
< Oh, Naruto sei tornato! Non ti avevo sentito, com’è andata? > Chiese, mentre faceva i piatti.
< Tutto bene, oggi ho cambiato i fiori. >
Sorrise ed io di rimando. Riusciva sempre a mettermi di buon umore.
< Mh…  Zio… posso farti una domanda? >
Lui annuì, mentre con la forchetta sospesa in aria tra il piatto e la bocca mi guardava in attesa,
< Ho pianto molto quando i miei genitori sono morti? > rimasi tranquillo e pacato, lo sguardo basso, mentre già portavo alle labbra il primo boccone di carne.
Mi guardò e sospirò con noncuranza.
< Eri piccolo, non hai pianto moltissimo in realtà. > Ammise.
< Capito… >
< Come mai? >
Ci pensai qualche istante, poi mi strinsi nelle spalle.
< Volevo solo sapere se avevo pianto. Credo che il pianto sia rispettoso, verso chi non c’è più. >
Jiraiya rimase in silenzio a guardarmi, perplesso.
< Oggi al cimitero ho visto un ragazzo… sembrava che non gli importasse niente…  > lo informai,  e lui sorrise ancora, questa volta in modo bonario. Allungò una mano e sentii  il suo palmo pesarmi sul capo, in una carezza un po’ goffa, come era suo solito.
< Naruto, non tutti reagiscono allo stesso modo davanti alla morte, sai? C’è chi piange, chi soffre in silenzio e chi, addirittura, viene scioccato talmente tanto, da non ritenerla neppure vera. La morte è strana, tanto quanto la mente umana, non dovresti stupirti.  >
< Ci sono persone che non credono nella morte di qualcuno? Nel senso… cioè… pensano che sia vivo?  > Annuì un paio di volte, ma il discorso cadde lì, per suo volere.
< Più o meno. Adesso mangia o si raffredda. >

Ho sempre accettato la mancanza dei miei genitori. Non ricordo esattamente il momento in cui mi dissero che erano morti, non so se avevo pianto, o quanto. Mi fidai fin dall’inizio di ciò che mi raccontò Jiraiya.
Non avevo mai fatto domande riguardanti queste cose perché non ne sentivo il bisogno; i miei genitori erano vivi, anche se morti. Lo erano dentro di me e tanto mi bastava.

Quella notte sognai mia madre. La cosa non mi turbò perché capitava spesso.
I sogni mi aiutavano a superare la loro assenza, perché erano così veri da sembrare reali.

Quando la mattina successiva andai a scuola mi capitò una cosa strana: durante la pausa, mentre aspettavo Sakura uscire dai bagni delle ragazze ( dove non potevo  entrare per ovvi motivi ) mi sentii osservato. Un bruciore alla schiena, due occhi fissi e invadenti.  
Ruotai il capo a destra e a sinistra, ma non mi sembrò esserci qualcosa di strano. Nessuno sguardo di troppo, nessun fastidio.
Fu una sensazione sgradevole.
Persino più tardi, mentre camminavo lungo il corridoio mi sentii seguito.
Allora mi voltai velocemente e con la coda dell’occhio la vidi. Vidi la sagoma di qualcuno che velocemente svoltava alle scale. Una sagoma che quando sparì dalla mia vista in quello scatto fece alleviare stranamente quel senso di oppressione.
< Aspettami fuori, arrivo subito. > Dissi a Sakura, prendendo già a camminare verso la rampa di scale che si era riempita pian piano dei ragazzi che stavano uscendo in giardino.
Un ragazzo, tra di loro, si guardò alle spalle quasi allarmato ed incrociai i suoi occhi. I suoi occhi nei miei; durò un istante, poi sparì tra gli altri, al piano di sopra.
< Aspetta! > Urlai, ma nessuno sembrò sentirmi, perché nessuno mi diede importanza.
Cercai di farmi strada, salire qualche scalino in più, ma quando ormai arrivai al piano di sopra lui non c’era.
Era sparito, come se non fosse mai esistito. Come se fosse stato uno dei miei sogni.
Sospirai e perplesso mi grattai il capo.
< Cavolo… > Sospirai e girai i tacchi, per tornare da Sakura.
In compenso, la sensazione sgradevole era sparita.

Mentre camminavo  in direzione di casa, come ogni giorno, mi ritrovai a passare avanti al cimitero. Solitamente non entravo durante il rientro da scuola, perché sapevo che sarei tornato la sera, ma quel giorno feci una piccola deviazione.

Inizialmente passai davanti la tomba dei miei genitori; li salutai in fretta e proseguii dritto.
 Il vialetto era vuoto e mentre camminavo passavo in rassegna tutti i nomi  incisi sui marmi a muro che dietro, nascosti, nascondevano i corpi dei defunti.
Non ci fu un vero motivo che mi spinse a farlo, eppure ero lì, e quando mi ritrovai davanti a diverse corone di fiori, ceri accesi, e un marmo ancora non sistemato, andai istintivamente a leggere il nome di un certo “Itachi Uchiha”, mentre la foto spiccava sul manifesto ancora cartaceo, che era stato affisso sul piccolo muretto di cemento fatto  in attesa della preparazione del marmo.
Itachi Uchiha era morto a soli ventidue anni.
Nella foto, con un sorriso pacato, mi guardava e d’un tratto mi ricordai del ragazzo che, privo d’espressione, camminava dietro alla donna dal velo nero.
Mi ritrovai a fare strani collegamenti che mi portarono alla conclusione che questo Itachi Uchiha, doveva essere una parente piuttosto stretto del ragazzo. Forse un fratello; sicuramente, qualcuno di caro.
Eppure, non piangeva.
Abbassai  il capo, a terra le corone di fiori avevano un’aria cupa e triste, dai colori quasi spenti e morti come colui a cui erano stati donati.
Alcuni crisantemi erano addirittura neri.
Inarcai le sopracciglia e scossi il capo.
Di certo io non avevo gusto nell’accostare i colori, ma certa gente ha persino troppo gusto nel scegliere fiori per dei morti.
In un angolo, dietro una delle corone, se ne stava una lettera ancora sigillata.
Non l’avrei aperta, nonostante la curiosità che mi divorava. Mi morsi le dita qualche istante, per fermarmi, e poi sorrisi.
Più tardi avrei portato dei fiori più belli, ad Itachi Uchiha.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;


Alla fine, tra la vasta gamma di crisantemi avevo scelto quelli azzurri.
L’azzurro era un bel colore. Ne troppo vivace, ne troppo cupo.
Ricordava il paradiso, ricordava il divino, e soprattutto, l’azzurro si addiceva molto bene ad Itachi Uchiha. Il ragazzo del manifesto.
Inoltre, al carretto dei fiori, decisi di comprare anche delle rose rosse da unirci insieme.
La ragazza mi disse  che il rosso sarebbe andato bene, unito a quella tonalità di azzurro, e siccome gli altri fiori non erano abbastanza belli, per qualche soldo in più, optai per le rose.
Soddisfatto e sorridente, con il mazzo di fiori in mano  mi diressi verso la tomba del ragazzo.
Quando mi ritrovai lì davanti mi sentii un po’ in imbarazzo, ma poi parlai.
< Buon pomeriggio Itachi. Come va? Non so qual è il tuo colore preferito, ma credo che l’azzurro possa andare bene. > Dissi, mentre poggiavo il mazzo a terra, vicino le altre corone.
< Le rose me le hanno consigliate. Spero che ti piacciano. >
Aggiunsi, e mi tirai su, sfregando le mani e unendole dietro la schiena.
< Adesso vado, i miei genitori mi aspettano. Torno domani, promesso. >
E lo feci davvero, tornai il giorno dopo, e quello dopo ancora.
Ogni tre giorni, avevo preso l’abitudine di cambiare fiori anche ad Itachi.
Dieci giorni dopo, quando con un nuovo mazzo tornai dall’Uchiha, notai come, finalmente, il marmo era stato incastrato lì, sul muro, e la sua foto spiccava e brillava mentre il nome inciso in caratteri dorati gli dava la giusta importanza.
Nonostante però la freschezza del marmo, quando abbassai gli occhi vidi quelle corone ancora lì, ormai vecchie.
Posai i fiori e pregai in silenzio, prima di unire le mani dietro la schiena e dondolarmi un po’ facendo punta-tallone.
< Non ti viene a trovare nessuno, Itachi? > Chiesi a bassa voce.
< Va bene così, ci penso io… > Mi piegai, prendendo una ad una le corone secche e ormai morte e le gettai via, in uno dei bidoni vicini.
A terra trovai di nuovo la lettera sigillata che, con cura, incastrai dietro al poggia candela incastonato sul marmo.
< Così va meglio, non trovi? Non ti meriti dei fiori morti. > E sorrisi.
Il colore dei fiori che portavo ad Itachi, di volta in volta cambiava, ma nonostante l’accostamento di colore a volte imbarazzante, non rinunciavo mai ad unire nel mazzo una rosa rossa che ormai era quasi diventato un simbolo.
Era sua, di Itachi.

A scuola non avevo più sentito quello sguardo addosso, e a dirla tutta, non me n’ero nemmeno più preoccupato.
Avevo rimosso ogni cosa del ragazzo senza espressione, eppure, uno dei pomeriggi successivi, davanti la tomba di Itachi sentii di nuovo quella presenza.
Stavo ripulendo con un fazzoletto la foto di Itachi, quando una voce dalla mia destra attirò la mia attenzione.
Una mano mi prese il polso e lo scostò.
< Che diavolo stai facendo? > Lo guardai, quegli occhi scuri e invadenti.
Deglutii e non seppi  che dire, mentre il volto del moro, che l’ultima volta non aveva emozione, in quel momento, sembrava irato.
M’accigliai contrariato e mi ricordai quasi subito quegli occhi e quello sguardo.
Mi liberai della sua presa e mi strinsi nelle spalle.
< Faccio quello che tu e la tua famiglia non fate. > Dissi, dandogli le spalle e raccogliendo la borsa da terra.
Lui affrettò il passo e mi affiancò. Vidi con la coda dell’occhio che mi stava superando e poi ,la sua mano si posò sul mio petto, a bloccarmi.
< Non voglio vederti davanti la sua tomba nemmeno per sbaglio. > Mormorò, cattivo.
Scostai la sua mano dal petto e mi avvicinai a lui di un passo.
< Non prendo ordini da te. > E proseguii dritto, verso l’uscita.
Non avrei abbandonato Itachi per quel paio di occhi arrabbiati che tanto somigliavano ai suoi.

Quando quella sera tornai a casa, Jiraiya si accorse subito del mio momentaneo turbamento, perché senza nemmeno salutarlo mi chiusi in camera, gettando la borsa sulla scrivania.
Bussò alla porta.
< Naruto? > Non risposi, mi misi seduto sul letto.
Lui aprì la porta e si affacciò, guardandomi.
< Va tutto bene? >
Ed io scossi il capo. No, che non andava bene.
< Cos’è successo? >
Mi strinsi nelle spalle. < Niente, odio le persone sfacciate. >
Lui s’acciglio ed entrò in camera, rimanendo però sulla soglia.
< mh? >
< Ti ho raccontato di Itachi, vero? >
L’avevo fatto qualche giorno prima. Jiraiya si chiedeva come mai per i fiori spendevo il doppio, così gli dissi di Itachi.
Lui annuì.
< E ti ricordi il ragazzo di cui ti parlai un paio di settimane fa? Quello che non piangeva? Ecco… credo sia il fratello di Itachi. Non l’ho mai visto al cimitero, eppure oggi era lì e con la sua faccia da schiaffi ha avuto la presunzione di cacciarmi e… > Digrignai i denti, stringendo i pugni così forte da infilzarmi le unghie nel palmo della mano.
< Naruto… ma quando mai ti è importato di ciò che ti dicono gli altri? > Chiese, un po’ scherzoso, trattenendo una risata, mentre dandomi le spalle già faceva per uscire dalla mia stanza.
Sapevo perfettamente che non potevo dargli torto, quindi sospirai, mi passai una mano sul volto.
Il giorno dopo sarei tornato da Itachi, infondo, le possibilità di incontrare –il tipo sfacciato- erano davvero poche, se non inesistenti.

Purtroppo però, nessun pensiero fu più errato di quello. In realtà, nella mia vita, difficilmente mi sono ritrovato ad avere ragione, ed anche quella volta non mi smentii.
Tenevo l’ennesimo mazzo di fiori in mano, erano gialli, con una rosa rossa in mezzo e camminavo tranquillo affondando la suola delle scarpe nei sassolini del viale. Quel rumore, unito al silenzio del luogo, era quasi di conforto.
Voltai l’angolo e mi bloccai; quasi mi caddero i fiori dalle mani.
Quel ragazzo, il maleducato, era lì.
Era lì, sistemava i fiori sulla tomba, dei fiori nuovi, al posto di quelli che io stesso avevo accuratamente sistemato.
Cercai di non farmi prendere dalla rabbia, e presi a camminare verso il ragazzo che, sentendo i miei passi si voltò di scatto, a guardarmi.
< Che diavolo ci fai qui? Ti ho d- >
< Eddai, smettila, non sei gentile. > Lo ammonii.
< Ma che diavolo vuoi? > Chiese, guardandomi
< Portare dei fiori ad Itachi. >
< Ha già dei fiori, non vedi? > E mi indicò il vaso.
Mi strinsi nelle spalle. < Sì, lo so, ma c’è spazio anche per questi, anche qui a terra. > E mi piegai, poggiandoli tra di noi, a terra,  contro i mattoncini del muro.
Mi guardò perplesso. < Eri un suo amico? Non ti ho mai visto. >
Scossi il capo velocemente, ridacchiando. < No… no.. in realtà i miei genitori sono sepolti laggiù. > E mi voltai, indicando un punto poco preciso.
< Vi ho visto, te e la tua famiglia, il giorno del funerale. Quando sono passato davanti la tomba di Itachi però, i fiori erano tutti appassiti, e mi sembrava poco carino che fosse tutto così abbandonato. Nessuno merita di essere dimenticato, non credi? >
Mi guardò, un po’ perplesso, forse sul punto di insultarmi, ma si limitò ad una stretta di spalle ed uno sbuffo.
< Comunque sono Naruto Uzumaki. > Allargai un sorriso, inclinando il viso da una parte.
< Sasuke. >
Rispose, senza guardarmi.
< Sasuke… > Lo chiamai a bassa voce, mordendomi le labbra.
Mi guardò, in attesa.
< Ti va… di parlarmi di itachi? Mi.. piacerebbe sapere qualcosa di lui. >
< E cosa ti importa? > Ancora, maleducato.
< Mi importa, perché…  avrei voluto conoscerlo prima. >
Lui sbuffò. < Ci vediamo domani. Ora devo andare. >
Sorrisi leggermente, mentre mi superava con quel suo fare spavaldo.
Guardai la foto di Itachi, sembrava felice più degli altri giorni.
< Ciao… > Mormorai, e posai l’indice ed il medio della mancina sulle labbra, portando poi le stesse dita sul vetro freddo che copriva la foto.
Quel giorno, non andai a trovare i miei genitori.
Lo passai lì, seduto sul muretto avanti alla tomba di ‘Tachi.
Guardavo la sua foto, gli sorridevo, gli parlavo.
Gli raccontavo tutto ciò che avrei dovuto dire non a lui, ma a loro.
< Lo sai quando ci siamo conosciuti io e te, Itachi? >
Non rispose.
< Beh era il mio diciassettesimo compleanno. Sei stato davvero un bel regalo. Non ti ho visto subito, però alla fine ti ho trovato. >
Ridacchiai, abbassando il viso.
< Credo che tuo fratello non sia così male, domani mi parlerà di te. Credo…  Sasuke ed Itachi… Uchiha… suona benissimo. >
Il cellulare in tasca vibrò, e tirandolo fuori mi accorsi della batteria scarica e, ahimè, dell’ora.
< Cavolo, devo scappare. A domani ‘Tachi. >

Quando tornai a casa la cerna era già in tavola e Jiraiya mangiava guardando la tv.
< Ah, sei tornato, stavo per darti per disperso. > Disse, poco presente visto l’interesse verso la soap-opera che a quell’ora guardava sempre.
Sorrisi. < Scusa, mi ero fermato a parlare. >
< I tuoi? >
Lo guardai perplesso, scossi il capo leggermente e realizzai in quel momento che i miei non l’avevo neppure visti, quel giorno.
< No… con Itachi. > Sussurrai.
Non parlai più per tutta la cena.
Mentalmente non feci altro che chiedere loro scusa. Avevo promesso che non li avrei mai dimenticati, eppure quel giorno era successo.

Il dì successivo arrivai tardi a scuola; cosa non così strana in effetti e quando entrai in classe, sotto le risatine dei compagni e la momentanea sfuriata del professore, guardai Sakura che mi sventolava di nascosto una busta.
< Cos’è? > Sussurrai, mettendomi seduto vicino a lei.
< Me l’ha data Sasuke Uchiha, per te. >
M’accigliai. < Lo conosci? >
Lei si strinse nelle spalle, sorridendo. < Più o meno. >
Non che mi piacesse l’idea, ma andava bene.
Girai la busta tra le mani, in basso a destra c’era  scritto “per Naruto”. Tanta gentilezza non me l’aspettavo.
La aprii e notai che conteneva delle foto.
Le tirai fiori e mi venne quasi da piangere.
Una fitta al cuore mi fece stringere con una mano la maglia all’altezza del petto.
< Chi è ? > Chiese, guardando le foto.
< Itachi… > Mormorai, sorridendo leggero.
Riusciva ad essere bello in ogni foto.
I suoi capelli, la sua pelle, la linea della mascella e la curva delle labbra.
I suoi sorrisi mai troppo volgari e nemmeno spenti. Sorrideva e basta e questo gli riusciva benissimo.
Movenze tranquille, anima pacata. Si vedeva ogni cosa di lui in quelle foto. E fui grato a Sasuke per avermene reso partecipe.
Non feci altro che guardarlo ed ammirarlo in quelle foto per tutta la mattina. In alcune c’era anche Sasuke, si somigliavano molto, anche se Sasuke aveva sempre l’espressione più arcigna.
Sorridevo sempre divertito a quel pensiero.

Quello stesso pomeriggio, dopo aver comprato un mazzo di fiori doppio, mi diressi prima dai miei genitori.
Poggiai il mazzo vicino alla loro tomba, e gettai via il vecchio.
Mi misi in ginocchio e unii le mani avanti al viso.
< Mi dispiace. > Sussurrai, e poi pregai.
Qualche istante dopo, quando uno spostamento d’aria attirò la mia attenzione, mi voltai e vidi Sasuke, in ginocchio vicino a me, che pregava.
< Sasuke… che stai facendo? > Chiesi, perplesso.
< Quello che tu fai con mio fratello. Problemi? > Sorrisi e scossi il capo.
Con gli occhi chiusi mi sentivo felice, allora parlai.
< Grazie per le foto. >
< Mh… >
< Vi somigliate, sai? >
< Non è vero. > Tagliò corto.
< Sì invece, ma tu sembri più maleducato. >
< Pft… >
< Lui era maleducato? >
< Naruto la smetti? > Sbuffò, ed aprii gli occhi istintivamente, voltandomi per guardarlo. < Che c’è? >
< Non mi lasci nemmeno pregare in pace per i tuoi genitori. >
< A loro va bene così, gli basta il pensiero. > E sorrisi, mentre lui sembrò rassegnarsi.
Si alzò in piedi e prese a camminare.
Mi alzai in fretta anche io e presi a camminare al suo fianco.
Entrambi in silenzio.

Ci ritrovammo lì, davanti la sua tomba.
< E’ sempre stato meglio di me… > Iniziò, il tono basso, una nota di malinconia mentre ricordava i suoi tempi passati con il fratello. Triste e assente.
< Itachi era bravo in tutto, ma non si vantava mai… i miei genitori lo adoravano. Mi ha sempre difeso, aveva occhi solo per me e mi viziava… > Si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, amareggiato.
< Tutte le volte che volevo giocare lui rinunciava a ciò che stava facendo, per stare con me. E’ stato sempre… un ottimo fratello…  anche troppo… >
Rimasi in silenzio a guardarlo, mentre lui si voltava e mi dava la visuale completa del suo viso. Eravamo l’uno davanti all’altro. Gli sorrisi leggero, volevo fargli sapere che ero lì, e che lo ascoltavo, anche se quelle parole potevano fargli male.
< “Tachi… questa sera ho una gara, vieni a vedermi?” > Imitò la sua stessa voce e alzò una mano, la avvicinò sul mio viso, toccò la mia fronte con la punta dell’indice e del medio. Una piccola pressione che mi fece battere le palpebre per la sorpresa.
< “Devo lavorare Sasuke, mi dispiace.” >
Allora le vidi, quelle lacrime. Allungai una mano a prendere la sua, me lo tirai contro e lo abbracciai.
< Va tutto bene. > Mormorai.
< Aveva smesso di lavorare prima… per venire a vedere quella stupida gara… > Lo disse tra i singhiozzi e socchiusi gli occhi, carezzandogli i capelli.
Pensai che era adorabile, Itachi.
Pensai ancora una volta che mi sarebbe piaciuto conoscerlo prima.
Gli avrei detto quanto mi piaceva.

Ad un certo punto Sasuke fece pressione sul mio petto, si scostò, asciugandosi le lacrime.
Imprecò.
< Lo odio. Non sarebbe dovuta andare così.  > Il tono leggermente più adirato.
< Non doveva essere tanto perfetto. > Continuò.
< Non è colpa di nessuno, Sasuke, sarebbe successo, in qualsiasi caso. > Mi guardò, si morse le labbra e poi mi superò, dandomi una spallata.
Non provai nemmeno a fermarlo, sapevo che non mi avrebbe dato ascolto, così lo lasciai andare.
Sospirando spostai gli occhi sulla foto di Itachi.
< Dio, come t’avrei amato, ‘Tachi. > E mi voltai, prendendo a camminare verso l’uscita.

Alle volte, come già mi disse Jiraiya, lo shock per la perdita di una persona cara è talmente forte da eliminare l’idea della morte stessa.
Quella notte, Itachi era lì.
Seduto sul mio letto, mi guardava, sorrideva, proprio come in una di quelle foto.
< Ciao… >
Mormorai, ma lui non rispose. Si allungò verso di me, mi carezzò il viso.
< Vorrei sentire la tua voce, sai? > Dissi, e lui si strinse nelle spalle.
Non avevo idea di come fosse la sua voce.
< Perché sei qui? >
Pensavo che non mi avrebbe risposto, invece lo fece.
< Mi piace guardarti, mentre dormi. >
Eppure la voce non era la sua, non poteva essere la sua, perché non gli apparteneva.
< Vattene. > Sussurrai, e mi voltai dall’altra parte.
< Non voglio ascoltarti. >
Chiusi gli occhi, quella voce nelle orecchie, una voce che conoscevo, ma che non poteva essere di Itachi e tantomeno reale.
Itachi era morto, e quella voce, era di Sasuke.

T’amo senza sapere come, né da quando né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.


Il giorno dopo, Sasuke era lì.
Mi avvicinai a lui in silenzio, lo affiancai.
Lui nemmeno si voltò per vedere chi era, lo sapeva benissimo.
Passammo qualche istante in silenzio, poi fu lui a romperlo.
< Dovresti smetterla, sai? >
Inizialmente non capii, così rimasi in silenzio, a guardarlo, aspettando di sentirlo continuare.
< Itachi non tornerà indietro. Né per te, né per me. Dovresti smetterla di inseguirlo. >
Le sue parole, tanto taglienti e ciniche mi fecero male.
Abbassai il viso.
< Ma lu- >
< Ci sono solo io qui Naruto. > Ed incrociai i suoi occhi, a quell’affermazione.
C’era solo lui, lì.
< Non va dimenticato. > Dissi.
Lui si strinse nelle spalle. < Non ho parlato di dimenticare, Naruto, ma di smettere di illudersi. >
Smettere di illudersi, in quel momento, sembrava la cosa più difficile del mondo.
Allungai una mano, incastrai le dita alle sue, lo tenni così, senza dire niente ancora per qualche istante.
< Parlami di lui, ancora una volta. >
E lui lo fece, senza ribellarsi, senza fermare me.
Seduti sul muretto di mattoncini, mi parlava di Itachi e delle sue abitudini.
Mi ritrovai a guardarlo, i suoi occhi e le sue labbra che si muovevano. La sua voce, ed il volto di Itachi.
Socchiusi gli occhi e la visione della notte scorsa mi tornò alla mente.
Che stupido, ero riuscito a far diventare Sasuke l’immagine di un Itachi che non c’è più.
Lui, a cui avevo accarezzato i capelli, mentre piangeva per il fratello morto.
Lui, che era riuscito a riempire quel vuoto che mi opprimeva ogni volta che guardavo quella foto.
Sarebbe stato crudele, approfittarne, non potevo.
Non riuscivo.
Eppure in un momento di pausa chiusi gli occhi e mi avvicinai, poggiando le labbra sulle sue.
Rimase impassibile, non si mosse e non lo feci nemmeno io, con quel calore sulla bocca.
Sarebbe stato così, baciare itachi? O era l’ennesima illusione in cui stavo cadendo?
Ero davvero così debole?
Quando mi staccai, realizzando, abbassai il viso di scatto, rosso di imbarazzo.
Sasuke non parlava, ma sentivo i suoi occhi scuri fissarmi.
< Io non sono lui, Naruto. >
Sentii gli occhi pizzicare, mi morsi la bocca. < Dannazione, lo so, lo so… l… > Mi coprii la bocca con il palmo della mancina. Ci avevo davvero creduto, come un ingenuo qualsiasi.

Sasuke non avrebbe mai potuto essere Itachi, non aveva i suoi occhi, la linea della sua mascella o la curva delle sue labbra.
Certo, la somiglianza era ovvia, più che evidente; erano fratelli, ma nemmeno con la voce di Sasuke potevano essere uguali.
Itachi non c’era, lo realizzai solo in quel momento.
Non sarebbe tornato, né per me, né per lui.
La sua vita era stata spazzata via, come sabbia, come cenere, come fumo.
Poi lui si fece avanti, mi prese il viso fra le mani e mi guardò.
< Ci sono solo io, qui. >
Ripeté, e mi baciò di nuovo. Niente dolcezza, niente passione. Nessun sentimento.
Solo una vana richiesta d’aiuto esaudita.
Sentii il cuore lacerarsi.
Mi aggrappai alla sua maglia e poi, scoppiai a piangere.

Ci tenemmo la mano, osservando la sua foto.
Ci saremmo sorretti a vicenda, quando avremmo sentito la sua mancanza.  
Lui aveva bisogno di protezione, io di una voce.
Lui aveva bisogno di un fratello, io di un amante.
Non c’era niente in noi che non andasse, eravamo solo deboli e soli; imparammo a camminare vicini, coperti dal silenzio della nostra mente.
Aspettammo giorno dopo giorno di morire, ognuno per il proprio scopo.
Molti potranno definirla ipocrisia, altri legame indissolubile.
Eppure lui era mia amico, aveva ciò che gli altri non avevano.
Era fondamentale come l’ossigeno e letale come veleno.
Bastava poco, e saremmo crollati entrambi.

Alla fine però, fu lui ad andarsene per primo.
Ci eravamo promessi che tutto sarebbe finito quando l’avremmo deciso noi, insieme.
Eppure non è stato così perché adesso sono rimasto solo io.
Seduto su un tavolo di un bar in un incrocio che non conosco.
Osservo la carta della sigaretta accesa poco prima contorcersi, morire nel fuoco e dissolversi nel fumo.
Una morte lenta, attesa, straziante.
Una morte che ci aveva tanto separato quanto uniti in pochi gesti.
Quella morte che adesso, porto nel cuore.


Fine~


 

Nota:  poesia di Neruda.

la voce dell'irrazionalità:
; per chi è arrivato a leggere fino a qui vorrei dire grazie. un grazie particolare perchè come già detto nell'introduzione, questa storia mi sta particolarmente a cuore. non ho idea del perchè io la senta così, però mi piace e vorrei che piacesse anche a voi. ha partecipato al contest di Alih nel forum, ma per mancanza di partecipanti non c'è stata classica, ma solo un giudizio finale per le uniche tre che avevano mandato la storia. Volevo ringraziare lei e tutti voi e bho. Niente di che, spero davvero che vi sia piaciuta.

Giudizio di Alih.

England – La morte nel cuore

La poesia di Neruda non poteva essere più adatta a questo testo!
È la frase con cui decido di aprire il mio commento a questa storia perché, se la citassi anche io, molto probabilmente riassumerei il concetto che tu stessa hai espresso in circa dieci pagine di One-Shot, narrando qualcosa che tocca la morte nella sua interezza.
Hai scavato nella parola "morte" e hai trovato questo: un gioiello brillante da scrivere, mi è piaciuta molto nonostante non vi sia un lieto fine. È proprio l'amarezza che si percepisce in modo totalitario, e la profondità dei temi analizzati, che le concede un certo fascino, nonché l'umanità quasi commovente dei personaggi.
Una ItachixNaruto sicuramente molto diversa dal solito. In realtà a me sembra un triangolo amoroso ben reso – perfettamente reso nel suo dramma interiore, oserei aggiungere – più che una ItachixNaruto, e credo sia proprio questo il fascino della storia in sé. Oltre al triangolo amoroso ben riuscito vi è un'introspezione veramente approfondita che non ha eguali: i personaggi che vengono proposti sono umanizzati, e la suddetta umanità la dimostrano dall'inizio fino al termine del racconto.
I temi principali sono stati trattati approfonditamente e in maniera scrupolosa, senza lasciare vuoti o buchi incomprensibili all'interno della storia: il filo conduttore che colega le vite di questi tre personaggio è, dunque, quello della morte. Morte che sembra aleggiare nella fanfiction fin dalle prime righe; difatti leggere questa storia vuol dire, per l'appunto, immergersi in una storia che tratta la morte nel modo più realistico possibile: i cimiteri, le tombe e infine anche le lacrime.
Eppure, dietro questa reale maschera di umanità, vi è un problema di fondo: Naruto non è IC. Il suo essere così remissivo, così romanticamente malinconico e sottomesso al peso della morte non fa di lui il personaggio che è in verità. Non l'ho trovato completamente OOC, ma fondamentalmente lo è e non posso negarlo.
Penso che sia bello il fatto che abbia coinvolto così bene e così profondamente i vivi e i morti, come se facessero parte della stessa storia anche se, in realtà, sono per l'appunto morto. Itachi non è mai vissuto fisicamente nella fanfiction. Non ha mai parlato o fatto nulla perché qui ci viene presentato soltanto da morto, eppure percepiamo la sua presenza costante all'interno di questo triangolo amoroso. Perché Naruto ama Itachi, e lo cerca in Sasuke che a sua volta prova qualcosa per Naruto e sente la mancanza pressante di suo fratello.
Qualcuno potrebbe definire l'amore di Naruto per Itachi alquanto malsano e, forse, anche inquietante. Io credo che sia in qualche modo affascinante! Difatti mi ha affascinata il modo in cui Naruto giorno dopo giorno si innamora di Itachi, senza accorgersene. È bello anche il modo in cui hai utilizzato l'immagine, donandole comunque il significato che meritava e, sì, ho adorato il modo in cui hai saputo fondere amore, amicizia e morte, anche se più che amicizia tra Naruto e Sasuke sembra esserci dell'altro (e ciò mi riporta a riflettere sul "triangolo amoroso" di cui ti parlavo prima).
Mi piace il modo in cui hai impostato la trama e come si evolve. Non c'è fretta in ciò che descrivi, si tratta della scoperta del significato della morte, della vita e di nuovo della morte.
Stilisticamente mi piaci, anche se io modificherei i dialoghi e, se proprio vuoi utilizzare le virgolette basse, io userei queste "«»", anche perché queste "<>" spesso su efp danno dei problemi quando si posta ;).
Non ci sono errori gravi, più che altro si tratta di una questione di battitura. Ad esempio? Ti è capitato di scrivere Itachi senza la maiuscola, oppure di scrivere "nessuna fastidio". Ci sono però diversi spazi doppi all'interno del testo che, di solito, vengono conteggiati come errori in un contest. Ovviamente dato che non c'è punteggio non l'ho conteggiato, ma te lo faccio presente perché è importante che tu lo sappia: spesso, nei contest, è considerato errore e sarebbe davvero frustrante perdere per pochi punti ;).
Penso inoltre che tu abbia fatto bene a dividere il racconto in paragrafi: non so perché, ma credo che renda molto la divisione della storia in paragrafi, come se fossero i tasselli di uno stesso puzzle che poi, alla fine, si riuniscono. Se vogliamo trovare una pecca alla tua storia – se pecca vogliamo chiamarla, oltre al mancato IC di Naruto Uzumaki – è forse il fatto che chi non gradisce particolarmente i racconti introspettivi potrebbe trovarla noiosa con molta facilità, perché ti soffermi molto sui pensieri e sui sentimenti provati dai personaggi. Ma io adoro l'introspezione e questo storia, benché lunga, è scivolata celermente sotto i miei occhi: non ho avuto alcuna difficoltà mentre leggevo, era bella e mi emozionata; questo è quanto.
Sommariamente la cosa più bella di questa storia è il modo in cui hai mescolato tutto quanto, e lo hai fatto molto bene creando qualcosa di diverso: non la solita lemon priva di trama, no, qui la trama c'è ed è stabile. Non ci sono particolari colpi di scena, bensì moltissima introspezioni con cui entriamo all'interno del personaggio di Naruto e sentiamo tutto il suo dolore per la perdita dei genitori. E il suo amore impossibile per Itachi.
Le emozioni che io ho percepito sono tante, come quelle che attraversano il cuore del protagonista!
AliH.
  
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