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Autore: PattyOnTheRollercoaster    22/01/2012    1 recensioni
Tess alzò lo sguardo e deglutì, mordicchiandosi un labbro, le mani giunte in grembo. «Devo dirti una cosa.»
«Sei sposata.»
«No.»
«Sei malata.»
«No.»
«Sei un uomo!»
«No!»
[...]Tess abbassò la voce e sussurrò: «Ho una figlia».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo III
A cuore aperto





   “Alle 10 al war pigs sabato prossimo.”
   Sono al War Pigs, sono le dieci, è Sabato, e sono davvero prossimo ad entrare e vedere che succede perché sto aspettando da venti minuti, pensai.
   Quasi alle tre del mattino di settimana scorsa Melany aveva avuto la bella idea di mandarmi un messaggio. Voleva vedermi. Mi chiesi se per caso se la fosse presa per quella mini discussione che avevamo avuto. Be’… a conoscerla quel poco che la conoscevo io probabilmente sì, se l’era presa parecchio. Mi stupiva lo stesso però il fatto che volesse incontrarmi. Anche se capivo perché aveva deciso di farlo in un luogo lontano da casa sua e soprattutto da Tess. Quando c’era lei quasi non parlava, non aveva nemmeno il coraggio di guardarmi negli occhi; invece se lei non c’era le battutine sarcastiche le defluivano fuori dalla bocca come un fiume in piena. Aveva solo quattordici anni ma era cazzuta in maniera insopportabile, avrei preferito quasi che fosse una fan scatenata. Immaginavo che da grande sarebbe diventata il capo di molte persone, e tutti avrebbero avuto paura di lei.
  Stavo seduto sul marciapiede di fronte al War Pigs e bevevo birra. Era la seconda da quando ero arrivato. Non sapevo se essere nervoso o preoccupato, ma la verità era che mi sentivo solo curioso e leggermente irritato. Sembrava di giocare ad uno stupido gioco per ragazzini, una sorte di caccia al tesoro. L’unico motivo per cui non ero completamente a terra era che, almeno, nel locale c’era una cover band degli Stones.
  C’era un po’ di gente fuori dal locale e proprio di fronte a me stava un ragazzino che parlottava con un tipo con la barba e gli occhiali. Questo gli passò qualcosa e lui gli diede un paio di banconote. Il tizio si volse verso di me e tolse gli occhiali da sole. Se mi ero chiesto di sfuggita come mai li portasse anche di notte fu tutto chiaro quando incrociai i suoi occhi: rossi di vene e irritati come se avesse pianto tutto il giorno. Feci un sorso più profondo degli altri e gettai l’ennesima occhiata alla strada. Fu in quel momento che vidi arrivare Melany da lontano, vestita con più cura del solito.
   Il ragazzino di fronte a me che aveva comprato… qualsiasi cosa avesse comprato, alzò lo sguardo e si avvicinò verso di lei a grandi passi. Fu come se un campanello d’allarme avesse iniziato a suonare forte nella mia testa. Per un secondo pensai che volesse farle qualcosa e mi alzai di scatto dal marciapiede, poi invece vidi che si salutavano e che il ragazzo le metteva un braccio attorno alla spalla. Rimasi confuso di fronte al locale e rilessi il messaggio che mi aveva mandato Mel, girandomi di scatto verso la parete e incurvando le spalle, in un tentavo di farmi più piccolo. Non potevo sbagliare, era quello il luogo e il giorno. Ma non credevo che Mel mi avesse invitato ad una festicciola con gli amici. Nel frattempo i due si erano infilati dentro il locale e io mi affrettai a corrergli dietro. Li individuai nella massa di gente e stavo avanzando a spintoni fra un folla di persone ammucchiate quando all’improvviso mi fermai. Mi venne in mente che forse io non sarei dovuto essere lì, che forse era tutto uno sbaglio. Che senso aveva che Melany mi domandasse di uscire con lei? Mi odiava! Forse aveva solo sbagliato a pigiare i tasti del telefono.
  Mi ritrassi e andai al bancone. Ordinai la mia terza birra e rimasi a guardare Mel con quel ragazzo. Più volte fui tentato di andarmene, perché non era giusto stare lì a guardare e poi se non fossi stato lì avrei avuto altre mille cose interessanti da fare! …più o meno.
   Passò quasi un’ora; mi ero già scordato di Melany e ascoltavo la musica assordante che non era niente male. Mi riscossi quando vidi il ragazzino di prima ordinare al mio fianco due birre, pagare, e tornarsene da Mel. Immagino che fossero quelle analcoliche, oppure quelle a basso contenuto di alcol. I due risero un po’ ad un tavolo, con lei girata che mi dava le spalle, poi il ragazzo tirò fuori dalla tasca una fiaschetta e ne versò qualche goccia nei bicchieri di entrambi. Rimasi a guardare come instupidito, senza sapere bene cosa pensare.
   Il ragazzo si chinò su di lei e la baciò. Distolsi lo sguardo. Quando li osservai di nuovo erano già accanto alla porta del locale e si tenevano per mano. Non ero completamente lucido e conscio di quel che stavo facendo, non a causa della birra più che altro a causa di un blocco psicologico. Mi alzai e li seguii, senza nemmeno darmi la pena di nascondermi o qualcosa di simile, come se fossi stato James Bond. Quando fui fuori dal locale mi guardai un po’ attorno e li scorsi in un angolo, semi nascosti e pigiati addosso ad un portone. Si fecero scivolare a terra, seduti, la schiena contro il legno e in mano quella che poteva benissimo essere una canna.
   Li osservai per qualche secondo e poi mi girai dalla parte opposta e cominciai a camminare, pensando al giro lungo che avrei dovuto fare per arrivare alla macchina per non passare loro di fronte.

   Il cellulare squillò e io alzai gli occhi dalla mia colazione e risposi. «Ben sono io.» Allyson Foster, la mia agente.
   «Ciao Ally, novità?»
   «Ascolta, sei interessato ad un colloquio per una particina piccola piccola?»
   «Dipende da cosa si tratta», dissi io allontanando il pane tostato e concentrandomi sul caffè.
   «Un cosa da un paio di settimane. Per un film sulla malavita di New York, ma dai toni drammatici più che thriller. Tu sei il figlio di una specie di superstar mafiosa. Da quel che ho capito muori alla prima scena, fai un paio di apparizioni in flashback e tutto s’intreccia sulla trama. Taxi!»
   Scostai l’orecchio perché Ally non mi massacrasse un timpano. «Dove sei?»
   «Vicino a Regent’s Park, sono appena stata dal produttore. Ti porto il fascicolo con tutte le cose appena posso.»
   «Anche ora se vuoi», dissi.
  «Ora no non posso Ben mi spiace, devo andare a prendere Jamye a scuola, si è sentito male e le insegnanti hanno chiamato in ufficio. Fammi un favore, facciamo per pranzo okay?»
   «Come vuoi, offro io. Ti va se ci troviamo al JK?»
   «Perfetto, all’una.»
   «D’accordo. A dopo Ally.» Riattaccai.
   Una nuova parte non sarebbe stata niente male. Era da mesi che ero fermo. Da un lato questo non mi dispiaceva perché dopo un film rilassarmi e fare una pausa andava bene. All’inizio di questa carriera che non sapevo se sarebbe continuata mi piaceva l’idea di avere tante produzioni che riempissero il calendario di tutto l’anno, ma dopo qualche anno passato proprio in quel modo scoprii che faceva bene avere una pausa ogni tanto.
   All’ora di pranzo ero già dentro al ristorante e aspettavo Allyson. Quando arrivò ordinai un’acqua grande per entrambi e solo un primo. «Allora, di che si tratta?», domandai abbozzando un sorriso.
   «Questa è la cartella con tutte le cose che devi sapere, il copione ancora non ce l’ho ma… cosa ne pensi? Da quel che ti ho detto.»
   «Da quel che mi hai detto credo che vada tutto bene, sì mi piace. Però prima lo leggo e poi ti so dire okay?», dissi mettendo via la cartellina. «Come si chiama?»
   «Beyond Marshall
   «Di grande effetto.»
  «Se lo dici tu.» Allyson si servì da bere e gettò un’occhiata ad una cameriera. Ally aveva trentatré anni, un marito, un figlio, un cane grosso come un criceto ciccione e un deficiente come me per cliente. Non avrei mai potuto fare a meno di lei, era la mia salvezza. «Hm…», posò il bicchiere e mi informò, «devi andare a New York, immagino che tu lo sappia già.»
   «Sì, sì… quando?»
   «Iniziano a girare a Luglio ma…»
   «No, no, dico… il provino», precisai.
   «Non c’è un provino. Ti stanno offrendo la parte.»
   Rimasi un secondo zitto e poi mi appoggiai allo schienale della sedia. «Ah.»
   Ally sorrise. «Se dici di sì sappi che inizi a metà Luglio circa, forse prima, a New York ci rimani due o tre settimane al massimo. Già che ci siamo pensavo di approfittare del viaggio per fare un'altra cosa.» Annuii per dirle di continuare. «Ti va di fare un’intervista per Radio Live Explosive?»
   «Ma sì, perché no?», dissi scrollando le spalle. «A New York, va benissimo.»
  Continuammo a parlare del film per tutto il pranzo, già che c’ero lessi l’intero fascicolo e accettai non ufficialmente la parte. Si sarebbe occupata di tutto Allyson, come al solito. Non dovevo muovere un dito, solo abbandonare il mio accento incredibilmente inglese.
   Quando tornai a casa la sera un messaggio sulla segreteria del telefono mi attendeva lampeggiando sotto forma di numero rosso. Pigiai un pulsante e ascoltai Tess che mi chiedeva del nostro prossimo appuntamento e mi informava che Venerdì andava a casa di un’amica, invece il week end era libera come l’aria.
   Presi la cornetta del telefono e la chiamai. Segreteria telefonica. «Ciao Tess sono Ben.» Dovevo dire per caso: ‘sono io’? Quand’è che si può iniziare a dire ‘sono io’? Come fai a sapere che l’altra persona sa che sei tu? «Passo da te Sabato dopo cena okay? Noleggio un film, ti va? Mandami un messaggio così mi dici se ti va bene. Ciao.» Non sono mai stato troppo sdolcinato, e ringrazio il cielo che nemmeno Tess lo fosse. Magari se lo fosse stata non saremmo mai finiti assieme.
  Passai una giornata intera su internet a cercare un film da vedere ma mi venivano in mente solo film troppo idioti o troppo impegnativi. Quando alla fine ne scelsi uno scoprii che il videonoleggio vicino a casa era chiuso così lo scaricai – cosa che non faccio spesso perché soffro di deficienza informatica – e lo misi su un cd.
  Sabato prima di uscire feci la doccia, infilai tutte le mie cose nei jeans, diedi un’occhiata veloce alla posta e poi la gettai in un angolo. Mi infilai in auto e mi diressi a casa di Tess. Come se fosse una persecuzione, a pochi isolati di distanza da casa sua vidi due figure che camminavano vicine. In una di loro scorsi Melany, e con lei c’era il ragazzo dell’altra sera. Mi accostai a loro con l’auto e loro si volsero verso di me.
   «Ciao Mel», salutai con una mano.
   Il ragazzo mi osservò sospettoso come se fossi un maniaco e per un istante mi venne in mente di ricordargli che non ero io quello che comprava fumo per sé e la sua fidanzata.
  «Ben.» Melany si chinò su di me e strinse gli occhi. Inspiegabilmente cominciò a ridere. «Vai a casa mia Ben?», domandò come se la cosa fosse esilarante. «Allora non ci torno. Almeno per le prossime quattro ore.»
  Notai in quel momento che aveva in mano una bomboletta spray. La indicai con un gesto e domandai: «Mi ci vuoi rovinare la macchina con quella?».
   Mel la osservò confusa. «No. Certo che hai davvero poca immaginazione, tu.» La mise in borsa e vidi il suo amico fissare gli occhi addosso alla macchina come incantato.
   Allungai una mano fuori dal finestrino e la tesi al ragazzo. «Piacere, Benjamin.»
   Lui si riscosse e la strinse. «Malachi.»
  Lo guardai negli occhi e vidi la parte bianca attorno all’iride colorata di un leggero rosso. Il mio sguardo corse allarmato verso Melany ma vidi con sollievo che i suoi, di occhi, non avevano nulla che non andava. Sentii distintamente il fiato alcolico però quando mi parlò vicino al finestrino. Non capii che cosa diceva. «Cosa?», domandai.
   «Ho detto ci vediamo Ben. Ciao.» I due si volsero e se ne andarono senza aspettare il mio saluto.
   «Ciao», mormorai guardandoli camminare sullo specchietto retrovisore. Ingranai la marcia e ripartii.
   Per tutta la serata fui una specie di morto vivente e ringraziai il cielo che dovessimo vedere un film. Per ben due ore di pellicola fui combattuto se raccontare tutto a Tess o lasciare che se la sbrigassero da sole. In fondo io non c’entravo ancora quasi niente con quella famiglia, mi dissi. Ero completamente estraneo ad ogni loro meccanismo di convivenza e a dirla tutta non volevo nemmeno tirarmi addosso le ire di Melany. Già mi odiava così, e non vedevo perché farmi odiare ancora più profondamente.
   Tuttavia alla fine del film il mio cervello fu scosso da altro. Tess si alzò e andò a lavare il vassoio con le patatine che avevamo fatto fuori, e io andai a lavarmi le mani. Ci incontrammo mentre mi asciugavo e mentre lei si lavava mi chiesi ancora se dovessi dirglielo. Le cinsi la vita dietro e poggiai la guancia sulla sua testa, voltandomi in modo che non mi vedesse bene allo specchio. «Tess…»
   In un secondo si voltò nel mio abbraccio e mi baciò, posandomi le mani fradice sulla maglietta. Mi abbandonai completamente a lei e chiusi chi occhi. Fu come se esistesse solo il suo corpo sotto le mie dita e tutto il resto fosse come sparito. In fondo a chi importava il resto? Quando ci separammo sorrisi e lei iniziò a trascinarmi fuori dal bagno fino in camera sua.
   A questo punto vorrei precisare una cosa. Fra me e Tess non c’erano stati altro che baci e carezze e stop. Stavamo assieme da più di un mese e da vero gentleman quale sono volevo che avere un rapporto più intimo fosse una decisione di entrambi. In quel periodo cercavo una relazione duratura, e dalle mie precedenti esperienze iniziarla con il sesso incasinava sempre le cose. Il sesso incasina sempre le cose; se si fa, come si fa, se non si fa… in ogni caso. Ho sempre pensato che fosse la donna, in una relazione, ad avere più diritto di scelta. Non è vero che le ragazze hanno meno voglia di fare sesso dei ragazzi, però credo che la persona che richiede più rispetto sia la donna, forse perché fisicamente parlando sono loro ad essere più... ma che ne so! E’ solo un’idea che mi frulla in testa. E forse c’entra anche il fatto che difficilmente l’uomo dice di no. Io non avrei detto di no. E infatti non lo feci:
  Arrotolati nel letto, mezzi svestiti, solo dopo una buona ventina di minuti mi venne in mente una cosa. «E Mel?», domandai mentre Tess mi passava una mano sulla schiena e mi baciava una spalla.
   «Tranquillo tornerà solo fra un paio d’ore. Come minimo.»
   «Magari quattro», mormorai già sulle sue labbra.

   Quando mi svegliai il sole filtrava dalle tapparelle non del tutto chiuse e nella stanza c’era un tepore sovrannaturale. Mi girai e vidi Tess alla mia sinistra sonnecchiare ancora a pancia in giù. La sua schiena nuda era qualcosa di terribilmente sensuale. Mi venne voglia di accarezzarla ma poi non la volli svegliare. Mi alzai con cautela e guardai l’orologio. Erano quasi le nove del mattino. Indossai i boxer e pregai che a Melany piacesse dormire molto. Mi ficcai in bagno e feci un doccia. Non avevo chiesto il permesso e non ero a casa mia, me ne rendevo conto, ma quella pareva essere una giornata speciale in cui erano permesse molte cose che normalmente non lo erano. Misi due asciugamani puliti accanto alla doccia e mi chiusi nel cubicolo. L’acqua che iniziò a scorrere fu rilassante e mi sentii felice. Da solo, lì sotto il getto tiepido, non poteri fare a meno di sorridere.
   Stavo per chiudere tutto e uscire quando la porta si aprì e io rimasi immobile. «Ciao Tess.» Oh cazzo. I divisori della doccia erano opachi ma dubito che Melany avrebbe scambiato me per il metro e settanta scarso e decisamente più femminile di sua madre. E infatti vidi la sua forma vaga che si bloccava accanto al lavandino e si avvicinava lentamente alla cabina doccia. Probabilmente pensava fossi un ladro, un maniaco o qualcosa del genere, e rimasi paralizzato. Appena prima che facesse scorrere il divisorio chiusi l’acqua ed esordii con un veloce: «Mel sono io».
  La sua figura s’irrigidì per qualche secondo, poi si volse e uscì dal bagno senza più dire una parola. Chiusi gli occhi in un’imprecazione silenziosa, poi uscii e iniziai ad asciugarmi velocemente. Indossai i miei vestiti e andai a vedere Tess, che ancora dormiva profondamente. Mi avviai alla camera di Melany e bussai. «Mel?» Nessuna risposta. «Mel per favore fammi entrare.» Non rispose ancora nessuno e stavo valutando se non fosse stato meglio andarmene e lasciarla sola con la sua adolescenziale rabbia.
    La voce soffocata di Melany mi raggiunse. «Sei nudo, brutto maniaco?!»
   «No!» La porta si aprì di un filo e solo una piccola parte del viso di Mel mi osservava con sguardo decisamente incazzato. «Posso entrare?»
   Lei esitò un secondo, poi annuì e si girò dirigendosi al letto, lasciando la porta aperta. Entrai con cautela, non del tutto certo che una trappola per topi stacca-palle non fosse lì per me. Mi guardai attorno un poco e poi sedetti sulla sedia girevole della scrivania. Rimasi un attimo in silenzio e quasi pensavo di cominciare a parlare quando Melany mi precedette: «Io non ce l’ho con te Ben. È che… mamma è stata con diversi uomini da quando sono piccola, ma nessuno era come te.»
   Aggrottai le sopracciglia. «Con quanti? Che significa ‘come me’?»
   Lei scrollò le spalle e ignorò la seconda domanda. «Tre.»
   «Per quanti anni?»
   «Quello che è durato di più è durato due anni. Ma non è questo il punto, ora mi sembra che la cosa sia diversa e non so perché. Cioè…» Melany sospirò, era come se non trovasse le parole, cosa più unica che rara per lei. «L’altro giorno ho parlato con Nandy, lei è brava a intuire cose di me che nemmeno io riesco a capire. Dovrebbe fare la psicologa.» Sorrise tiepidamente.
   «E quindi?»
  «E quindi sono d’accordo con lei e ho capito delle cose, di mamma e di me...», si interruppe. Rimase un attimo pensosa e poi ricominciò: «Tess… lei non è mai rimasta tantissimo tempo con un ragazzo, ma si vedeva che non era proprio convinta di starci. Invece adesso – sarai contento immagino – è completamente fuori di testa, stravede per te. A me piacerebbe che mamma stesse con qualcuno che le vuole bene ma non l’ho mai vista così e… sembra che se dovesse succedere qualcosa ci resterebbe malissimo.
   «Io non ti conosco Benjamin e non so che persona sei, però mi fido di te proprio per questo motivo, insomma se ancora non ti conosco non posso mica giudicarti. E poi che c’entro io, scusa? E’ Tess che deve decidere. Comunque… non so», si strinse nelle spalle e lasciò la frase in sospeso.
   «Senti Mel», cominciai, «non dico di essere innamorato di tua madre, perché per innamorarmi ci metto tanto. Cioè credo che sia normale, per innamorarti davvero di una persona devi conoscerla bene altrimenti sei innamorato solo di un’idea che ti sei fatto che forse non è la realtà. Ma mi piace da morire te lo giuro. Mi piace tanto, è bello stare con lei.»
  «Sì, sì», fece Mel annuendo senza guardarmi. Cominciò a rosicchiarsi un’unghia. «No, io… ci credo che le vuoi bene, e se funzionerà bene, se non funziona amen.»
   Sorrisi e le diedi una leggera pacca sulla spalla. Sentirmi dire che ero odioso solo perché piacevo un mondo a Tess era qualcosa di surreale. «Non preoccuparti, adoro stare con tua madre.»
  Melany scattò sui miei occhi, sembrava allarmata ma cominciò precipitosamente un: «E stare…?». Si bloccò e richiuse la bocca senza più guardarmi.
   «Cosa?»
   «Niente.»
   Fu come se si fosse rinchiusa in una corazza. Non mi guardava più, non parlava più. E in quel momento abbandonai la visione che avevo di lei di ragazzina spavalda e dura come la roccia. Quello era solo ciò che voleva sembrare.
   «Mel ti piacciono i pan cake?», domandai.
   Melany alzò lo sguardo. «Sì.»
   «E a tua madre piacciono?»
   «Hm, sì ma solo se hanno sopra lo sciroppo di frutta.»
   «Ti va di aiutarmi a farli? Non conosco la tua cucina.»
   Melany rispose di sì, ma non perse quel cipiglio austero che la caratterizzava quando stava con me.

   Io e Tess continuavamo a vederci sempre più spesso e sentivo di volerle sempre più bene. Ne iniziavo a conoscere tutti i pregi e tutti i difetti e stava accadendo una cosa terrificante e bellissima: li adoravo entrambi. Melany era sempre più spesso a casa perché doveva studiare perché non voleva nessun corso estivo (e un po’ perché la sua amica Nandika e Tess la obbligavano), quindi la vedevo molto di frequente a casa con la testa china sui libri, un po’ addormentata. I nostri rapporti non si erano in nessun modo intensificati o erano diventati migliori, si era solo placata la nostra vena sarcastica l’uno nei confronti dell’altro. Avevo accettato ufficialmente il lavoro a New York e mi stavo organizzando per andarci. Una sera dopo aver fatto un giro in città con degli amici di Tess glielo dissi.
   «Ho accettato un lavoro a New York.»
   «Davvero? E cosa fai?»
  «Ah, delle riprese per un film d’azione ma si tratta solo di poche settimane, tre al massimo se tutto va a rilento. E poi un programma alla radio.»
   Tess sedette assieme a me al tavolo e domandò: «Quando?».
  «A Luglio.» A quel punto diedi voce ad uno dei pensieri che mi aveva fulminato qualche giorno prima e che una parte di me considerava un’idea geniale, mentre l’altra metà la considerava un suicidio. «Se tu sei d’accordo… se vuoi… pensavo che potevate venire anche tu e Mel.»
  Tess sorrise e disse: «Mi spiace ma io non posso assolutamente. Lo studio dentistico non chiude mai, i due dottori si danno il cambio. Ma la segretaria rimane sempre una e prende le ferie solo a fine Agosto», aggiunse ridendo.
   La parte da suicidio: «Allora… allora solo Melany».
   «Qualcuno ha detto il mio nome? Se parlavate male di me potevate dirlo, mica mi offendo.» Melany scelse proprio quell’istante per comparire in cucina e rimanere in piedi accanto alla porta.
   «Ovviamente», cominciò Tess. «Ma non dovevi studiare tu?»
   «Non ci capisco niente di quelle cose, me le dimentico non appena le leggo.»
   «Che stai studiando?»
  «Lettere. La prof mi ha detto di fare una ricerca su qualcuno degli argomenti che abbiamo fatto. Ha detto che devo trovare qualcosa di interessante e poi esporlo in classe.»
   Sorrisi e domandai: «E su cosa la fai?».
   «Shakespere.» Melany fece una smorfia e precisò: «Veramente non è che mi piaccia particolarmente, è solo che siccome è famoso pensavo che avrei trovato un sacco di cose interessanti su di lui. Ovviamente sbagliavo: era l’uomo più noioso che sia mai esistito.»
   «Shakespeare?», domandai stupefatto. «Noioso? Ma stai scherzando spero!»
   «Hai mai letto una biografia su di lui?»
   «A centinaia», replicai soddisfatto.
  «Oh scusa, dimenticavo che tu sei l’uomo acculturato.» Melany alzò gli occhi e poi si sciolse letteralmente addosso al tavolo. «Allora che mi dici?»
   «Be’ vediamo se mi ricordo…», ci pensai un po’ su e Tess mi mise davanti un caffè caldo, «Ah grazie.»
   «Prego.» Sorrise di quel sorriso tanto bello.
   «Allora, alcuni credono che in realtà sia italiano, è morto lo stesso giorno di Cervantes, tutti i suoi ritratti sono stati fatti dopo che è morto, il quartiere dove abitava…»
   «Ma questi sarebbero fatti interessanti?», interruppe Melany. «Spremiti un po’ di più.»
   Sollevai un sopracciglio. Ragionai qualche secondo poi le chiesi: «E se portassi Blake? Secondo me ti piacerebbe».
   «Chi?»
   «William Blake.»
   «William Blake? Perché? E poi, sempre di William si tratta.»
   «L’avete fatto?»
   «No, non credo. Di che anni è?»
   A volte mi stupisco di me stesso per le cose che ricordo. «Settecento se non sbaglio.»
   «Troppo in là. Sono solo in prima, per chi mi hai preso?»
   «Allora scegli un’opera», tentai con l’ultima cosa che mi venisse in mente.
   «Allora abbiamo fatto Romeo e Giulietta ma, sinceramente, sono pessimi, pessimi.» Melany alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
   «Perché?», domandò Tess, «Non sono molto romantici? Vuoi del tè tesoro?»
   «Hanno un po’ rotto», disse Mel con eloquenza. «E… sì grazie.»
   Intervenni: «Hanno fatto parecchi film su Romeo e Giulietta. Perché non parli del libro, dei film e trai delle conclusioni?» Avevo colto nel segno. «Che ne dici di Romeo + Giulietta? C’è Leonardo Di Caprio. Oppure West Side Story
   «Teatro?»
   «È una rivisitazione di Romeo e Giulietta in chiave moderna, è un musical.»
   «Hm… sì, posso vedere il film.»
   «Ho un’idea fantastica!», esordì Tess sorridendo.
   «Mi spaventi», disse Melany in tono piatto.
   La madre la osservò indispettita ma poi proseguì senza badarle: «Ben sa tutto su Romeo e Giulietta, no?».
   Esitai. «Sì?»
   «Sei laureato o no?», mi rimbeccò Melany.
  Stavo per risponderle come un bambino di cinque anni ma Tess proseguì la sua proposta: «Potresti darle una mano a fare il compito, no?».
   Ma anche no… «Mi sembra un’idea fantastica.»
   Come si faceva a dirle di no? Maledetta!




















Capitolo lungo, lo so. E' venuto così...
Comunque volevo dire che ho alzato il rating ad arancione perché c'è questo piccolo excursus sulle canne e altro, non solo qui ma anche più avanti ci sarà. Ora, non so voi che ne pensate, ma nel caso qualcuno fosse disgustato dalla faccenda, io metto il rating giallo giusto per avvisare (mi sembra corretto).
Poi, chi dire? Mi piace questo Ben che prova affetto paterno, lo trovo così tenero! ^^
A parte questo non è che ho molto altro da dire, tranne che spero che il capitolo vi sia piaciuto. Capisco che questa sezione sia stata un po' abbandonata negli ultimi mesi, ma io ci provo lo stesso, e anche se le letture e le recensioni non sono a centinaia continuerò a postare, quindi i lettori silenziosi non devono temere (seh, come no, la verità è che la gente spera che cancelli la storia xD). Ringrazio comunque chi legge e soprattutto chi scrive una recensione, anche piccola piccola. Yeah u_u
Bene, dopo questo vi saluto, buondì!
Patrizia
   
 
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