Capitolo
19
Sarebbero
andati l’indomani.
Ghish
sospirò rigirandosi, la ferita che era ancora in via di guarigione gli strappò
una leggera smorfia di dolore mentre si muoveva, e si sdraiava sulla schiena,
una mano sotto la testa, l’altra che giocava distrattamente con un bottone della
maglia del pigiama. Mentre fissava il soffitto, non poté fare a meno di
soffermarsi su quel pensiero.
I
genitori di Strawberry sarebbero tornati la notte seguente. Questo voleva dire
che sarebbero dovuti andare al Caffè Mew Mew a qualche ora della mattinata, o
nel pomeriggio.
Da
parte sua, il ragazzo avrebbe preferito andarci il più tardi possibile nel
pomeriggio.
O,
meglio, non andare affatto. Sì, sembrava una cosa davvero perfetta in quel
momento.
Onestamente,
anche se detestava ammetterlo, Ghish era nervosa per
l’indomani.
Certo,
chi poteva biasimarlo?
D’accordo,
negli ultimo giorni aveva ottenuto una profonda relazione che non si sarebbe mai
sognato di ottenere con Strawberry.
D’accordo,
aveva ricevuto una gentile accoglienza da parte di Lory.
Quei
due fatti non avevano fatto niente per diminuire la durezza con cui sapeva Ryan Shirogane si sarebbe rivolto
alla situazione.
Il
ragazzo sapeva che ci sarebbero state imprecazioni, urla, grida, minacce ed
angoscia da entrambe le parti, e di
certo non era ansioso di arrivare a quel momento.
Diavolo
no.
Ed
anche se avessero superato quell’ostacolo minaccioso, ci sarebbe stato ancora
tanto da risolvere dopo, così tanto che semplicemente non voleva pensarci in
quel momento…
Ma
doveva farlo. Doveva ricordarsi della sua famiglia, dei suoi amici, della
ragione per cui si trovava lì. Tutto
quello non sarebbe scomparso solo perché lui desiderava potersi concentrare
sulla felicità che aveva provato stando con Strawberry piuttosto che occuparsi
dei suoi obblighi.
Eppure,
desiderava che ciò potesse accadere. Desiderava poter vivere per sempre nel
mondo in cui si era trovato negli ultimi due giorni.
A
ripensarci, gli scappò un sorrisetto nonostante la
preoccupazione.
Erano
stati due giorni meravigliosi.
Mentre
passavano, l’alieno e la ragazza si erano soltanto avvicinati e la parte più
divertente, eppure più significativa di tutto ciò era che nessuno dei due aveva
fatto molto per cambiare il proprio comportamento abituale. Ghish lanciava
ancora i suoi sfrontati sorrisetti compiaciuti e proponeva gioiosamente alla
ragazza di stringersi a lui mentre guardavano un film qualsiasi o di dargli un
bacio di ringraziamento per aver lavato i piatti, e Strawberry rispondeva ancora
con un colpo alla testa ben mirato o una forte, energica
minaccia.
L’unica
differenza era che adesso lo faceva con uno sprazzo di divertimento negli occhi,
un tacito riscontro privato dell’affetto mostratole dal
ragazzo.
E
poi, aveva dato la sua risposta alle proposte maligne di
lui.
Mentre
guardavano il film, si era (e Ghish sapeva che questo non era stato solo un
miraggio, perché aveva visto Lory nascondere un sorrisetto dietro la mano)
avvicinata e gli si era seduta più vicina nel buio.
Mentre
lavava i piatti e le tazze, aveva visto Strawberry cercare invano di nascondere
un sorriso prima di ricordargli di ammucchiare i piatti con
cautela.
Quei
ricordi e diversi altri servirono in quel momento a far allargare il sorriso di
Ghish, mentre questi si rilassava sul cuscino della stanza degli
ospiti.
Ah,
sì. Anche il ricordo di quella
piccolo discussione lo fece sorridere.
La
ragazza gatto aveva insistito con veemenza (e questo era avvenuto proprio dopo
che lei aveva provato a dormire nel suo sacco a pelo invece che, come lui aveva
innocentemente suggerito, stare teneramente e
felicemente abbracciata a lui nel suo letto) che, dal momento che si era
ripreso, era ora che si spostasse nella sua propria stanza. Dopo che la risposta
di lui (un lievemente lamentoso ‘ma stavamo così bene insieme’, accompagnato dai classici
occhioni da cucciolotto) gli aveva fatto ricevere una rapida cuscinata, era
stato deciso che Lory avrebbe dormito in camera di Strawberry su un materassino
ad aria, Strawberry sarebbe tornata nel suo letto, e Ghish avrebbe preso la
camera degli ospiti.
E,
ovviamente, quelle erano state le disposizioni per dormire utilizzate nelle
ultime due notti, eppure, anche
questo aveva il suo metaforico lato positivo, il suo indizio che provava la
differenza delle circostanze contemporanee.
Primo,
c’era il fatto che le guance di Strawberry erano rimaste rosse per tutta quella
dura prova.
Secondo,
entrava sempre prima che lui spegnesse la luce. Ora, la ragazza si assicurava,
senza fallo, di fare qualcosa mentre si trovava nella sua stanza, qualcosa di
futile, come recuperare un gingillo dal cassettone, o giocherellare con le
tende, borbottando qualcosa riguardo assicurarsi che i vicini non pensassero che
la famiglia Momomiya aveva improvvisamente deciso di dare rifugio a strani tizi
con le orecchie a punta dopo aver guardato fuori dalla finestra in un momento
inopportuno. In ogni caso, usciva sempre con le solite parole, pronunciate con
la stessa dolcezza, in un tono che lo faceva sorridere nell’oscurità dopo che
lei se n’era andata:
“Buonanotte
Ghish.”
Il
ragazzo chiuse gli occhi mentre i ricordi si ripetevano ancora e
ancora.
Dannazione,
ma
non se ne voleva andare…
Con
una breve risata derisoria, aprì nuovamente gli occhi.
Non
c’era scelta e basta.
Questo
deve finire…
Nessuna
scelta, ma almeno adesso aveva—
“Ehi,
Ghish!”
Heh.
Strawberry.
L’alieno
si sedette, la malinconia fuggì dalla sua espressione quando la vide, ed un
sorriso ne prese il posto.
“R—“
Stava
per fare un commento sulla sua puntualità (forse sarebbe arrossita di nuovo e
gli avrebbe dato un’altra ragione per ridacchiare), ma lei lo interruppe
rapidamente.
“Hai
lasciato questi in bagno.”
Gli
mostrò i suoi nastri per capelli che, ovviamente, erano convenientemente serviti
come ragione di quella sera per entrare. Il ragazzo sbatté le palpebre, poi
incline la testa di lato e le rispose con una punta di perplessità nella voce al
posto della solita nota canzonatoria. Si accorse che c’era qualcosa leggermente
fuori posto…
“Oh…
sì, grazie. Ma sai, dormo senza quelli, gattina.” Si spostò alcuni capelli
sciolti dietro un orecchio, accentuando inconsciamente quell’affermazione,
sempre guardando con attenzione la ragazza.
Strawberry
sembrò ignorare il fatto che stesse andando verso il comodino e che ci poggiasse
i nastri sulla sua superficie color crema.
Immediatamente,
il ragazzo si accorse che quel giorno lei non era entrata solo per la consueta
buonanotte data con finta nonchalance. C’era un disagio nei suoi occhi che lo
colpì con particolare durezza.
Probabilmente
perché si trattava della stessa sensazione con cui aveva appena
combattuto.
Difatti,
invece di gettarsi in gesti a caso ed in una conversazione di simile stampo, la
ragazza si sedette sul bordo del letto, con le mani abbandonate in grembo, gli
occhi concentrati tenacemente su di esse mentre la forzata nonchalance spariva
dalla sua espressione.
Non
era mai stata molto portata nel nascondere le emozioni, e quando Ghish si
avvicinò a lei, avvolgendo un braccio intorno alle sue proprie ginocchia, le
scrutò il volto.
“Strawberry?
Cosa…?”
Con
sua sorpresa, lei non perse assolutamente tempo nell’arrivare al dunque. Non ci
furono sorrisi, né tentativi di sviare il discorso da quell’argomento, né sforzi
per mascherare il tremolio della sua voce. Ciò gli disse una cosa: la ragazza
aveva paura e per
davvero.
“Stavo
pensando a domani.”
Ah.
Stava cominciando piano, sempre fissando le sue mani, con la voce bassa e
piccola. Lui sapeva che la ragazza doveva arrivarci, sapeva che il cosiddetto
‘effetto palla di neve’ avrebbe fatto presto breccia, perciò attese in silenzio,
un cortese silenzio di supporto che gli sembrava necessario per rimediare alla
sua angoscia.
“Ghish,
volevo solo… voglio dirti che non importa cosa accadrà, io… io volevo dire ciò
che ho detto, prima…” Ora, finalmente, alzò gli occhi.
“Non
importa cosa dirà Ryan…” ecco, solo a dire il nome del ragazzo, sembrò in
qualche modo immaginare, scorgere, le terribili possibilità del giorno seguente,
e le sue labbra cominciarono a tremare.
“E
so cosa dirà... non sarà... l-lui…”
Ghish
sapeva di essere stato preoccupato negli ultimo due giorni, sotto la sua
apparenza allegra e sapeva che anche Strawberry doveva essere stata preoccupata.
Quello che non sapeva era che lei era riuscita a farsi venire quella sorta di
delirio nervoso.
Beh,
c’era solo una cosa da fare al riguardo, ed era qualcosa che lui sarebbe stato
piuttosto felice di eseguire.
Avvicinandosi
ed inginocchiandosi accanto a lei, la abbracciò. La abbracciò come aveva fatto
l’ultima volta in cui si era persa d’animo, con la stessa rassicurazione, la
stessa accettazione, e la stessa stretta affettuosa che era riuscita a calmarla
prima.
Era
lo stesso gesto che aveva calmato lui quando era stato sofferente durante tutte
le notti passate.
“Pensavo
che fossimo d’accordo di preoccuparcene solo quando ci fossimo
arrivati.”
Lei
tirò su con il naso, ma si rilassò al suono della voce di lui. La sua dunque,
fuoriuscì un po’ più sicura.
“Ma
ci siamo quasi...” con sorpresa dell’alieno, lei ridacchiò, un po’, se fosse per
il sollievo o per una leggera isteria, lui non riusciva ad immaginarlo. Poi,
sospirò con malinconia. “Come puoi essere così calmo in questa
situazione?”
Questa
volta, fu il suo turno di ridacchiare mentre si avvicinava per passare le dita
tra i capelli di lei, accarezzandola piano prima di posare la fronte sopra la
sua testa, godendo dentro di sé per la liscia morbidezza dei suoi capelli. Un
attimo dopo, rispose.
“Se
ti può far stare meglio, nemmeno io sono particolarmente eccitato per questo.”
Le sue parole non rivelavano molto, ma lui si assicurò che il suo tono spiegasse
ciò che voleva dire: i suoi sentimenti facevano eco a quelli di
lei.
Questa
volta, la ragazza rise più forte.
“Sai
cosa? Funziona.”
Com’era
meravigliosamente ironico. Gli strappò un sorriso.
Stupida
piccola gattina…
“Beh,
sono contento che il mio disagio ti renda felice,
gattina.”
Questo,
accompagnato dal suo sorrisetto, sortì l’effetto
desiderato.
Strawberry
iniziò a ridere forte, mettendosi una mano sulla bocca nello sforzo di porsi un
freno mentre Ghish la lasciava andare, guardandola con un bagliore umoristico
negli occhi. Dopo alcuni secondi, si fermò, fissando il vuoto per un paio di
battiti di cuore, prima di voltarsi improvvisamente verso di lui, gli occhi che
brillavano di una nuova gioiosità. Si avvicinò e gli dette un rapido bacetto
sulla guancia.
L’azione
colse l’alieno piuttosto di sorpresa (il suo primo pensiero, infatti, fu proprio
ma questo non è il mio lavoro?), ma
questo fece solo allargare il sorrisetto di Strawberry.
La
sua motivazione era tremendamente semplice: era entrata in quella stanza
sentendosi scossa e spaventata, e quel ragazzo l’aveva fatta ridere senza
sforzo, alla faccia di tutto. Aveva preso quel terrore e l’aveva sconvolto così
rapidamente, così dolcemente da sorprenderla, solo un’altra sorpresa da
aggiungersi a tutti quei piacevoli shock che aveva avuto negli ultimo due
giorni, shock riguardanti quanto dolce e meraviglioso quell’alieno potesse
essere.
Era
solo un’altra sorpresa, ma era così rincuorante, che lei sentì la necessità di
dargli un altro bacetto.
E
le piacque particolarmente il modo in cui lui sbatté le palpebre confuse al suo
indirizzo, quando lei si alzò ed andò alla porta.
“Buonanotte,
Ghish.”
Un
secondo più tardi, se n’era andata e Ghish rimase a fissare la porta a bocca
aperta. I silenzio regnò per alcuni secondi prima che il ragazzo riuscisse ad
infrangere l’incantesimo accigliandosi e sospirando
debolmente.
“Huh,”
mormorò, guardando in basso verso il letto, con gli occhi che si posavano sul
posto accanto a lui, il punto dove poteva stare un altro
corpo.
“Avrei
dovuto chiederle di restare.”
Una
volta terminata la frase, stava ghignando, e scoppiò a ridere un momento più
tardi mentre si sdraiava. La risata era calata in un risolino leggero al momento
in cui spense la luce, e si placò quando si voltò su un fianco per
dormire.
Gli
rimase solo un pensiero mentre si assopiva:
Dannazione,
la amo.
Si
svegliò nell’oscurità.
Questo
gli disse che non era stata la sveglia ad interrompere il suo sonno: se l’avesse
fatto sarebbe stato giorno.
Il
colpevole fu scoperto piuttosto rapidamente.
Mentre
giaceva chiedendosi cosa fosse accaduto, sentì un leggero picchiettio sulla sua
spalla. Stringendosi lentamente nelle spalle, cercò di ignorarlo, solo per
sentirlo di nuovo, solo un po’ più forte questa volta.
Ancora,
si sforzò di tornare a dormire.
Allora,
il picchiettio si posò sul suo fianco, dove lui soffriva particolarmente il
solletico, strappandogli un rapido sobbalzo, insieme ad un leggero
‘nyugh’.
“Ghish?”
Quella
voce…
Prima
che ci potesse essere un altro picchiettio, si voltò, solo per
vedere—
“Gah!”
Si rotolò indietro più rapidamente che poté, e fu solo perché si ingarbugliò tra
le lenzuola e si immobilizzò che non rotolò abbastanza da cadere giù dal
letto.
Normalmente,
avrebbe provato a reagire con più grazia, ma trovarsi letteralmente faccia
faccia con un Tart dagli occhi sbarrati mentre era solo parzialmente sveglio era
chiedere un po’ troppo persino a Ghish. Dovette fissare l’alieno più giovane per
alcuni secondi prima di calmarsi abbastanza da accorgersi chi lo stava fissando
di rimando.
“Tart!”
Liberandosi rapidamente, si sedette, sbattendo le palpebre all’indirizzo del suo
compagno. “Che stai—”
In
quel preciso momento, Ghish comprese con quanta rapidità e con quanta forza Tart
fosse in grado di attaccarsi ad un’altra persona e di stritolarla. Il ragazzo
più grande si trovò improvvisamente incapace di respirare.
Il
suo primo pensiero cosciente che questo era estremamente strano. Dopo tutto,
Tart normalmente si mostrava riluttante di fronte ad ogni contatto che magari
suggeriva affetto o che accennasse al fatto che lui era ancora un ragazzino. Dio
non volesse che Ghish provasse a scompigliargli i capelli o a ridacchiare al suo
indirizzo mentre si comportava da immaturo e da
marmocchio.
Gli
abbracci ricadevano un po’ in quella categoria.
Quello
che non si era ritrovato a pensare era che l’alieno più giovane non lo vedeva da
diversi giorni, e l’ultima volta che aveva avuto a che fare con l’alieno dai
capelli verdi, questi si trovava nelle condizioni peggiori della sua
vita.
Quell’abbraccio
era l’unico modo di esprimete silenziosamente il suo incredibile sollievo. Il
suo amico era vivo. L’ultima volta
che l’aveva visto, era stato coperto di sangue, respirava a malapena, era
semi-lucido, tremava, delirava, incespicava e boccheggiava, ed ora era vivo, e sembrava in perfetta
salute.
Tutta
quella preoccupazione, quella paura che erano rimaste anche dopo che Pai aveva
insistito che Ghish stava bene, tutto quel nauseante terrore si era dissolto
quando il giovane alieno si era teletrasportato nella stanza ed aveva visto il
suo compagno tranquillamente addormentato.
Il
sollievo era travolgente.
Sfortunatamente,
Ghish non la pensava davvero allo stesso modo.
Tutto
quello che riusciva a pensare era che la spalla di Tart stava premendo proprio sulla sua ferita, che, anche se
abbastanza guarita, riusciva ancora a fargli abbastanza male se gli veniva
applicata della pressione.
E
Tart ci stava applicando un sacco di maledetta pressione.
“Ahio…
nanetto… levati!”
Fortunatamente,
questo sembrò far tornare Tart in sé.
Sempre
fortunatamente, quel finto insulto portò via ogni pensiero inquieto riguardo
quel gesto troppo affettuoso, ed ogni imbarazzo che sarebbe potuto risultare fu
rapidamente distrutto da Tart che mise il broncio nei confronti del suo
amico.
“Non sono un
nanetto!”
“Sì,
ok…” brontolò Ghish, massaggiandosi la spalla con cautela mentre lanciava uno
sguardo torvo a Tart. Presto, comunque, quello sguardo si addolcì quando il
ragazzo di accorse di essere effettivamente piuttosto contento di vedere il più
giovane.
“Allora,
cosa ci fai qui?”
Stranamente,
la domanda sembrò cogliere Tart di sorpresa, ma il ragazzo si riprese in fretta,
lanciando a Ghish un sorrisetto.
“Sono
venuto a vedere se la vecchiaccia ti stava trattando
bene!”
Questo
provocò un sbuffo da parte di Ghish, che non riuscì a non sentire un colpo di
divertimento anche se si accigliò al commento.
“Beh,
ovviamente Strawberry mi sta trattando bene, tu
pic—”
“Ehi,
voi due avete davvero dormito insieme? Perché non siete insieme
ora?”
Ovvio
che il piccolo marmocchio avesse “innocentemente” toccato l’argomento che
normalmente avrebbe reso Ghish piuttosto fiero ma, il fatto che l’avesse detto
in quel tono incredulo ed infinitamente curioso che solo un bambino sa tirare
fuori, in quel momento lo fece farfugliare.
Stupido
piccolo… e a giudicare dal suo sorrisino, probabilmente era da un po’ che
aspettava di stuzzicarlo su quell’argomento, e Ghish non sapeva nemmeno come il più piccolo fosse
riuscito ad avere quell’informazione.
Si
trattenne appena dal colpire il ragazzino sulla testa nel tentativo di
riprendere un contegno. Tart ridacchiò prima di accorgersi che doveva davvero
portare Avanti la conversazione. Questo portò inevitabilmente ad un tono più
leggero della voce dato che la sua attenzione si mosse su un argomento più
serio.
“Allora…uh…stai
bene veramente?”
L’irritazione
di Ghish scomparve immediatamente, e lui si concesse un piccolo sorriso
nell’oscurità.
“Sì”
Eh.
E’ solo per questo che è venuto, per vedere se stavo bene? Stupido
piccolo…
In
realtà però, era contento, persino toccato in qualche modo, se avesse potuto
ammetterlo, dal fatto che Tart fosse in effetti venuto per una visita. Non aveva
davvero pensato al piccolo alieno durante il tempo passato in casa di
Strawberry, ma ora che il ragazzo gli stava davanti, si accorse che gli era
mancato (anche se sembrava un infantile, piagnucoloso figlio del diavolo certe volte… specialmente quando
si trattava di stuzzicare Ghish riguardo la sua infatuazione per
l’umana).
Per
quanto potesse essere fastidioso, Tart era un buon compagno quando
voleva.
Come
adesso,
presuppose Ghish, sopprimendo una breve risata al pensiero. Poi, cercando di
interrompere in qualche modo lo strano silenzio imbarazzante che si stava
posando tra di loro, ed uno sguardo un po’ a disagio stava prendendo possesso
del piccolo volto di Tart (forse si sentiva un po’ nervoso per il fatto di
trovarsi nella casa della ragazza-gatto?), aprì la bocca per
proseguire.
Tart,
comunque, lo batté sul tempo, e ciò che uscì dalla sua bocca fece gelare
totalmente il sangue nelle vene di Ghish per un momento.
“Quando
torni a casa?”
Ok.
Quindi forse il ragazzo più giovane non era esattamente preoccupato per il fatto
di trovarsi nella casa della Mew Mew. Forse era più preoccupato riguardo a cosa
sarebbe accaduto quando avrebbe posto quella domanda.
E giustamente.
Ghish
si irrigidì, gli occhi che si stringevano inconsciamente mentre le parole gli
morivano in gola.
Era
strano, in effetti, il sentimento che stava sperimentando in quel momento. Si
era aspettato un po’ di rabbia verso il ragazzo per avergli chiesto quello,
forse un po’ di rabbia per Pai, che non era nemmeno lì, ma che poteva essere da
incolpare in qualche modo per buona parte di quella dura
prova.
Di
sicuro furia al pensiero di tornare
dove si trovava Profondo Blu, quella creatura che l’aveva condannato a morte, a
lasciare le uniche due persone che si sarebbero prese cura di lui e a vagare per
le strade fino a quando la morte non avesse deciso di
rivendicarlo.
Eppure...
tutto quello che si trovava a provare era un’eco della nauseante paura con cui
lui e Strawberry si erano trovati a fare i conti.
Borbottò
piano, e Tart attese, diventando teso, una qualche sorta di risposta
comprensibile.
Dopo
alcuni istanti, Ghish sospirò.
“Io—”
Sorprendentemente,
dovette sforzarsi solo fino a lì. Tart era un ragazzino sveglio. La sua reazione fu istantanea.
“Ma devi tornare! Pai—”
All’udire
quel nome, Ghish si rabbuiò, anche se solo un po’, ed il cambiamento improvviso
sottrasse la voce a Tart che si interruppe a quella vista.
“Pai cosa?”
Per
alcuni secondi, Tart tenne la bocca fermamente serrata, una paura improvvisa
alla reazione di Ghish, anche se era in qualche modo da aspettarsi, gli inondò
la mente. Mentre l’altro ragazzo manteneva il suo sguardo torvo, le difese
dell’alieno più giovane cominciarono ad infrangersi, e lui improvvisamente si
lasciò sfuggire tutto quello che l’aveva preoccupato negli ultimi due
giorni.
“Ha
detto… ha detto che puoi tornare! Ha detto che Profondo Blu te lo lascerà fare,
e che tutto andrà bene, che che ci perdonerà, e—,” prese un respire tremante,
“—e che noi possiamo tornare a vivere come prima! Non è
grandioso?”
In
qualche modo, riuscì a sorridere all’indirizzo di Ghish che continuava a
guardarlo torvo. Con tutta quella disperazione, quella nausea che torci –
stomaco che gli scorreva nel corpo mentre si preparava a pregare un bel po’
l’altro ragazzo per riportare la vita alla normalità, riusciva ancora a
sorridere.
“Andiamo…
possiamo andare adesso! Posso aiutarti a teletrasportarti, se non ce la
fai-”
In
quel momento Ghish fece qualcosa che fece irrigidire Tart per lo shock
totale.
Non
gridò. Non lo colpì. Non ringhiò nemmeno.
Mise
semplicemente una mano sulla testa di Tart per fermarlo e si chinò per guardare
il ragazzo più giovane dritto negli occhi. Tart si azzittì
istantaneamente.
“Tart.
Non me ne vado.”
A
quelle parole, qualcosa nell’alieno più giovane sembrò scattare, e lui si liberò
con uno strattone dalla mano di Ghish.
“Allora
è così? Semplicemente ci abbandonerai e starai con quella vecchiaccia?
Tu—”
“Vuoi dire come Profondo Blu ha abbandonato me?” Non
voleva dirlo, per niente, ora che vedeva lo sguardo ferito attraversare in un
lampo il volto di Tart: gli era solo sfuggito, smorzato e semplicemente senza
pretese, la prima cosa che la sua mente aveva fatto apparire in risposta a
quelle parole particolari. Sentì una punta di vero rimorso quando il commento
fece sì che la voce di Tart tremasse ancora un pochino.
“Ma
sai che noi non l’abbiamo fatto… ed ora va bene! Se tornerai, andrà tutto…”
Non
era davvero da Tart perdere la calma così rapidamente, e mentre Ghish guardava
il ragazzino perdersi nel suo discorso, gli occhi luccicanti per quelle che,
Ghish si accorse, con un leggero shock, erano lacrime disperate
nell’oscurità.
Era
spaventato, Ghish pensò dentro di sé,
spaventato in un modo che Ghish non riteneva possibile.
Allora
Profondo Blu sapeva di come aveva vissuto, di come Strawberry si era presa cura
di lui.
Cosa
sarebbe successo, ora che sapeva quelle cose? Cosa diavolo aveva detto a Pai, e
cosa aveva detto Pai a Tart? Cosa potevano star pianificando l’alieno più
vecchio e quella creatura?
L’unica
cosa che Ghish poteva immaginare era che Profondo Blu aveva deciso che tutto
sarebbe stato dimenticato se lui fosse tornato, ma se non l’avesse
fatto…
Un’occhiata
a Tart lo confermò. In qualche modo, senza nemmeno una parola, senza una vera
risposta, Ghish seppe che Profondo Blu aveva insinuato che la missione, e la
probabilità di successo, la sopravvivenza
della loro gente, sarebbero crollate se lui non fosse
ritornato.
Questo,
certamente, spiegava la totale disperazione di Tart.
In
circostanze normali, forse persino se i due si fossero incontrati da qualche
parte fuori, l’angoscia di Tart avrebbe potuto spingere Ghish a tornare. Avrebbe
potuto.
Lì,
comunque, nella camera degli ospiti, Ghish poteva sentire il materasso soffice
sotto di lui, le lenzuola fresche contro la sua pelle, la federa che gli
sfiorava la mano, tutte sensazioni che gli riportarono i ricordi delle sue notti
lì, notti passate nella malattia,
ma notti passate in vera sicurezza che lui non avrebbe mai dimenticato.
Con
la coda dell’occhio, poteva vedere il suo proprio riflesso nello specchio, e
questo gli ricordò di quando aveva barato a quel gioco di società, dei molti
piccoli esempi di stupidi divertimenti che erano avvenuti in quella
casa.
Ed
accanto a lui, posate tranquillamente sul comodino, poteva vedere i suoi nastri
per capelli, e sapeva che poche ore prima, erano state tra le mani di
Strawberry, avevano sentito il tocco di Strawberry, proprio come lui l’aveva
sentito così tante volte, così tante tenere, eccitanti, fantastiche
volte…
Quell’ultimo
pensiero fissò la sua determinazione, davvero la rese definitiva, e lui interruppe il
silenzio con una voce leggera, ma decisa, una voce che risuonava di una calma
gentilezza che Tart non aveva mai visto prima in lui.
“Andremo
al caffè dpmani, per vedere quel tipo, Ryan.” Tart alzò lo sguardo su di lui,
con una sorpresa imperturbata. “E’ già stato deciso.”
“Ma…”
Tart sussurrò, trovando finalmente la sua voce, “…ma non puoi. Profondo Blu ha
detto…”
Questa
volta, Ghish non perse il controllo, né esitò. Se niente c’era, la sua voce
aveva il tono più calmo che Tart avesse mai udito.
“Dimentica
cosa ha detto. Tart, siamo arrivati da
qualche parte, davvero da qalche parte, ascoltandolo?
Abbiamo—”
“E’
solo perché—!”
Ghish
dovette ricatturare lo sguardo dell’altro ragazzo per zittirlo prima di
continuare. Mentre lo faceva, Tart si strozzò leggermente sulle sue parole,
accorgendosi all’improvviso di essere nel torto, che c’era qualcosa di sbagliato
in quello che stava dicendo…
“Non
possiamo continuare a fare questo, Tart.” La determinazione cominciò ad
insinuarsi nella sua voce, e Tart cominciò a sentire l’inflessione appassionata
del tono per il quale Ghish era così conosciuto. “E nemmeno per il fatto che non
sta funzionando, ma perché…”
All’improvviso sorrise.
Il
ricordo di Tart e Mew Paddy, che si rotolavano su un tetto, lottando l’uno
contro l’altro per una gemma senza valore, entrambi ringhiando e spingendo e
strattonando, ma nessuno dei due faceva molto per fare davvero del male
all’altro, nessuno dei due ingaggiava una vera lotta, si era bruscamente, per
nessuna vera ragione percepibile, balenò nella sua mente.
Ed
improvvisamente, Tart sembrò vedere la stessa immagine perché, non visto da
Ghish nel buio, arrossì leggermente, con lo sguardo che crollava a terra. Fu a
questo punto che Ghish si accorse di non doversi sforzare molto per convincerlo
subito.
Continuò.
“Strawberry
e Lory, quella ragazza pesce, parleranno con quel tipo domani, ed io andrò con
loro. Noi…” si fermò, prendendo un altro respiro, come se raccogliesse la forza
per dire infine le parole che riassumevano tutto, “noi pensiamo che ci debba
essere un modo migliore.”
Dopo quella frase, nessuno dei due ragazzi disse niente per
quello che parve un tempo lunghissimo, eppure, mentre il silenzio passava
lentamente, mentre Tart cominciava a pensare davvero a cosa Ghish gli aveva
appena detto…
Fu il primo a parlare.
“Bene. Fai… fai quello che vuoi.” La sua voce era così
bassa, che era quasi impossibile da udire. Le sue parole fecero esitare Ghish
leggermente, lo fece quasi alzare di nuovo la voce, cercando di giustificare di
più quanto aveva detto, ma Tart proseguì.
“Solo… Io non posso… Io... Pai…”
Dannato Pai, Ghish ringhiò
mentalmente, anche mentre lanciava a Tart quello che, sperava, fosse uno sguardo
comprensivo.
“Ascolta,” cominciò, allungandosi e toccando Tart sulla
spalla per catturare la sua attenzione, “non importa. Solo, non dire a Pai dove
andremo domain, e tieniti fuori da questo. Tienitene semplicemente fuori e starai
bene.”
A giudicare dallo sguardo afflitto negli occhi di Tart, non
era molto d’accordo.
“Ghish… penso… penso che potrebbero già saperlo. Penso che
Pai lo sappia…”
Bene, la prima parte della richiesta era stata scoperta,
allora. Ghish si accigliò alla possibilità, ma la accettò altrettanto
rapidamente. Niente poteva essere fatto al riguardo. Avrebbe dovuto ricordare
alle ragazze di stare ancora più attente il giorno dopo.
“Allora stanne semplicemente fuori. Capito? Fino
a quando sarà sicuro. Allora...”
Allora, avrebbero pensato a cosa fare.
Dopo che il disastro imminente del giorno dopo fosse stato
affrontato, avrebbero deciso cosa fare con Tart.
E Pai.
Pai…
Per il momento, Ghish poté solo dare una piccolo scossa a
Tart per far sì che alzasse lo sguardo su di lui.
“Capisci?”
Finalmente, un lento, silenzioso cenno d’assenso con il
capo: l’accenno di urgenza nella voce di Ghish sembrava aver fatto breccia nel
suo compagno.
Ghish rilasciò un respiro e si appoggiò indietro,
rilassandosi.
“Bene.”
Tart, anche se rimase in silenzio per alcuni
secondi, non aveva per niente finite. Anche se il suo tono era basso, le sue parole contenevano
una gravità pesante che lo fece ascoltare da Ghish, sul serio.
“B-beh, Ghish… solo… promettimi che starai bene. Tu… tu e Pai. V-va
bene?”
Il ragazzo dai capelli verdi sbatté le palpebre.
Davvero lui… eh. Stupido ragazzino.
Ma sorrise e si avvicinò per scompigliare i capelli di
Tart.
“Sì. Certo, nanetto.”
Eppure…Pai…
Poi, così com’era venuta, la tensione sparì. Con un rapido
scatto, Tart si allontanò dalla mano tesa di Ghish, guardandolo torvo.
Guardandolo torvo, ma con un’espressione addolcita,
rilassata.
C’era una luce più felice nei suoi occhi marroni.
“Ti ho detto di smettere di chiamarmi così!”
Ghish fece un sorrisetto.
“Ma “piccoletto” va bene, vero?”
Persino Tart si era permesso un lieve sorriso alla
sfrontatezza del suo amico. Dopotutto, gli era mancata, gli erano mancate le sue
canzonature, ogni fastidioso pezzettino. Peccato che se ne dovesse andare così
presto…
Ma ora che ci pensava un po’ di più, sarebbero stati
entrambi più al sicuro se lui se ne fosse andato. Non c’era bisogno di far
sapere a Pai che si trovava lì.
Il più grande aveva già messo abbastanza in chiaro che se ne
sarebbe occupato lui di far tornare Ghish. Eppure, Tart aveva sperato che la sua
visita avrebbe raggiunto il suo amico più rapidamente di ogni futuro tentativo
di Pai.
Strano, come si sentisse felice che non l’avesse fatto.
Nonostante il pericolo che, sapeva, sarebbe sorto presto,
quel pericolo che si stava silenziosamente preparando, sentiva che era
bizzarramente giusto,
lasciare Ghish con quelle Mew Mew, lasciarlo e confidare nel fatto che
facessero ciò che era necessario.
Sentiva che era giusto, perché Tart sapeva che Ghish aveva
ragione quando diceva che non stava funzionando.
Quello che avevano fatto fino a quel momento era sbagliato.
Se quelle ragazze si erano prese cura dell’alieno per quasi una settimana ormai,
lo avevano salvato quando i suoi stessi amici erano impotenti, allora doveva essere
sbagliato.
“Allora, il piccoletto ha intenzione di lasciarmi dormire un
po’?”
Tart abbandonò i suoi pensieri per riportare lo sguardo su
Ghish, che lo stava osservando con un mezzo sorriso furbetto, in attesa,
ovviamente, di una reazione.
Ma non solo di quella. Tart vide rapidamente che era serio
nonostante quella battuta, e questo era perfettamente logico. Prima il più
piccolo se ne andava meglio era.
“Ha! Come se volessi stare in casa della vecchiaccia!”
Prima che Ghish potesse ribattere (probabilmente con qualche
secca replica in difesa di Strawberry), Tart era sparito.
Il ragazzo sbuffò e si giro dall’altra parte, spegnendo
nuovamente le luci e tirando su le coperte.
Un sorriso, piccolo, leggermente incerto, eppure presente, giocava
sulle sua labbra quando lui si addormentò.
La mattina successiva, Strawberry e Lory lasciarono che
Ghish dormisse di più mentre facevano colazione in cucina.
Naturalmente, Lory aveva dovuto convincere gentilmente
l’altra ragazza a farlo: Strawberry non poteva capire perché quel pigro di un
alieno non potesse trascinarsi fuori dal letto ed avere la decenza di unirsi a
loro per colazione.
In effetti, nemmeno Lory lo sapeva davvero. Aveva solo una
sensazione: si ricordava di essersi svegliata ad un certo punto della notte e di
aver pensato di udire delle voci provenire dall’altra stanza.
Beh, poteva essersi trattato della sua immaginazione.
Probabilmente era così.
Ma sentiva ancora che Ghish poteva dormire un pochino di
più. Solo per questo.
Perciò, trattenne Strawberry dal salire le scale fino alle
11:30. Dopo quell’ora, la ragazza gatto non poté più essere trattenuta e quasi
saltò per le scale, brontolando qualcosa riguardo quanto quel pigro di Ghish
sarebbe andato d’accordo con quel meravigliosamente pigro di Ryan: entrambi le avrebbero
fatto pulire il caffè da sola.
Lory la guardò tornare di sopra con un sorriso
inevitabile.
Buffo, come considerasse quelle lagnanze un pensare in modo
effettivamente costruttivo.
Al piano di sopra, Strawberry bussò piano alla porta di
Ghish, aspettò un secondo scarso, poi batté piuttosto forte.
“Oi! Sei già sveglio?”
Beh, se non lo era prima, di certo doveva esserlo in quel momento.
Allora perché non otteneva risposta?
Borbottando, Strawberry decise che era il momento di fare
un’entrata coraggiosa senza invito nella stanza: non era che avessero del tempo
da perdere, comunque.
Prendendo un respiro per calmarsi, giro la maniglia ed aprì
la porta, pronta a dare un’altra bella sgridata all’alieno…
…solo per trovare il letto vuoto.
Vuoto e, in effetti, anche rifatto in modo preciso.
“Cosa?” mormorò, camminando lentamente nella stanza e
guardandosi intorno a bocca aperta.
Ovvia domanda: dove, oh dove si era cacciato il piccolo
alieno?
La sua confusione divenne presto irritazione, dal momento
che Ghish rimaneva nascosto.
“Mah…” brontolò, mentre le sue mani si stringevano
rapidamente in pugni “Se sei già in piedi, allora vieni fuori e scendi per
colazione! Non abbiamo tempo per i tuoi stupidi piccoli—”
Invece di terminare con la parola “giochetti”, la sua frase
fu interrotta da un forte, assordante strillo.
Mentre stava parlando, aveva sentito all’improvviso un
leggero, dolce respiro contro il suo collo. Quello era tollerabile di per sé, ma
l’intenzionalmente alto “ giorno, micetta!” accompagnato da un colpetto nel
fianco proprio
dove soffriva di più il solletico decisamente non lo era.
Ruotando, arrossendo furiosamente, si ritrovò faccia a
faccia con un Ghish ghignante.
“Tu… cosa… come hai...”
Sembrava incapace di comporre una frase per intero, e allora
Ghish lo fece per lei.
“Stavo solo facendo pratica con il teletrasporto,
Strawberry.” Il suo tono innocente non fece niente per alleviare l’irritazione
della ragazza. In effetti, non stava mentendo. Negli ultimo giorni, era stato ancora troppo debole per
teletrasportarsi: anche il solo levitare per un esteso lasso di tempo lo aveva
lasciato sfinito in modo inquietante.
“Voglio dire, non ne sono stato in grado per un po’,
quindi—” cercò di continuare, solo per essere interrotto dalla ragazza che
sbuffò.
“Idiota. Potrai fare pratica più tardi, quando non dovremo andare da
qualche parte.”
Un istante più tardi, uscirono dalla stanza, con Ghish che
seguiva una Strawberry ancora imbronciata.
Beh, dal di fuori, era imbronciata. Internamente, stava
disperatamente tentando di impedire a quel broncio di trasformarsi in una
risatina ed in un rapido colpetto di vendetta (aveva imparato, ad un certo punto
durante gli ultimo giorni, che lui aveva quasi i suoi stessi punti sensibili, e
lei era diventata piuttosto brava nel colpirli quando ne aveva bisogno, o
persino quando voleva). Il ricordo del rapido bacetto della notte precedente era
di scarso aiuto, anche se lei era piuttosto sollevata dal fatto che lui si fosse
apparentemente dimenticato di farne menzione.
Fu un bene che riuscissero a raggiungere velocemente la
cucina.
Strawberry non sapeva per quanto sarebbe riuscita a
resistere a tali impulsi.
Non appena lui si fu seduto per mangiare, lei riuscì a
riprendere il contegno, ormai rassegnata ad informarlo sul piano di quel
giorno.
Questo riuscì a farla calmare molto rapidamente.
Nell’arco di pochi minuti, gli disse che Lory sarebbe andata
per prima, agendo come una sorta di calmiere verso lo spesso-esplosivo biondo,
portandolo in una delle stanze sul retro, facendolo sedere e raccontandogli la
storia lei stessa.
Lory si era offerta volontaria, sebbene con un certo
nervosismo, per farlo. La sua logica era semplice: tra loro tre, sembrava essere
la più obiettiva e distante dalla situazione (se la dolce ragazza poteva davvero
mai apparire così), e probabilmente sarebbe stata la cosa migliore se gli avesse
comunicato la notizia nel modo più gentile possibile prima che lui si trovasse
l’evidenza davanti agli occhi.
Poi si sarebbero confrontati con lui, e poi... beh, solo il
destino aveva il resto del piano sotto controllo.
Dopo di quello, avrebbero fatto i conti con ciò che sarebbe
venuto.
La ragazza gli suggerì scherzosamente di comprarsi dei tappi
per le orecchie giganti. Lui arricciò il naso in finto sdegno.
Mentre portava la sua ciotola al lavandino, l’alieno infine
parlò.
“Quando ce ne andiamo esattamente?”
“Eh… in un’ora. Lory se n’è già andata per passare dai suoi genitori prima
di andare al caffè.”
Queste parole furono seguite da alcuni momenti di silenzio,
poi:
“Allora, cosa vuoi fare?”
Strawberry sbatté le palpebre, improvvisamente conscia del
fatto di essere da sola con l’alieno in casa sua, mentre lui stava bene, per la
prima volta.
Per un attimo, si sentì sobbalzare per il caldo imbarazzo,
un calore rivelatore balenò sulle sue guance quando lei si accorse rapidamente
di cosa questo significava.
Poi, così com’era arrivato, venne meno, lasciando solo un
rosa delicate a dipingere i suoi zigomi, mentre un senso di qualcosa di simile
al sollievo la avvolgeva.
Non le importava, davvero.
No, era piuttosto felice del fatto che, prima che accadesse
una qualsiasi catastrofe, avrebbe potuto passare un po’ di tempo da sola con il
ragazzo.
E lui, nonostante i suoi commentini maligni, anche quello di
solo pochi minuti prima, aveva la stessa calma nel suo sguardo.
“Voglio,” lei cominciò, con la vergogna che cominciava a
crescere in lei “andare a sedermi?”
“Per un’ora?”
Lei sentì il suo rossore farsi più forte, ma non vi
badò.
Ecco: gli ultimi momenti in quel mondo spensierato, con quel
ragazzo strano, eppure perfettamente normale.
Quelli erano gli ultimi momenti prima che lei affrontasse le
divisioni che le poneva davanti la vita, prima che lei dovesse affrontasse la
battaglia che incombeva su di loro.
Erano gli ultimi momenti che aveva prima di andare nel mondo
esterno dove, da qualche parte, Mark la aspettava, dove quella dura prova
aspettava pazientemente il suo turno.
E mentre ricambiava lo sguardo di Ghish, seppe che lui stava
pensando la stessa cosa. Lui vedeva quella semplice breve ora nel suo stesso
modo, con quella stessa preziosità, con quella stessa irrevocabilità. Quella
concezione, posseduta sia dalla ragazza che dal ragazzo, invitava una specie di
nostalgico affetto a cadere su di loro mentre si fissavano, entrambi con la
voglia di sorridere e di piangere e, semplicemente di tornare
indietro.
Tutto quello a cui Strawberry riusciva a pensare,
improvvisamente erano quelle tre semplici parole che le sembrava fossero state
pronunciate così tanto tempo fa in quel tenero tono mellifluo: “Io ti amo.”
Tutto quello a cui Ghish riusciva a pensare era che quella
era l’ultima ora in cui quelle parole potevano governare incontrastate.
Ed entrambi stavano pensando ciò a cui l’altro stave
pensando, ed entrambi sapevano la risposta che Strawberry stava per dare mentre
due dolci, tristi sorrisi si insinuavano sui loro volti:
“Già. Un’ora.”
Alcuni istanti dopo, avevano preso posto sul divano del
salotto e Ghish aveva avvolto mollemente con le braccia la ragazza che, con
esitazione, e poi completamente, si era rilassata contro la sua spalla
buona.
Non ci furono battute questa volta, per nulla.
Ghish non suggerì nemmeno che lei si posizionasse sul suo
grembo in modo che le sue labbra avessero un miglior accesso al suo collo.
Per Strawberry, quell’ora fu l’ultima per permettere ai
capelli di Ghish di solleticarle la fronte, l’ultima per appoggiarsi a lui ed
ascoltarlo respirare a tempo con lei, per guardarlo negli occhi e vedere che in
essi c’era il suo amore per lei, l’amore che aveva causato un così grande
cambiamento…
Per lei, fu l’ultima ora prima di doversi sorbire
l’inevitabile sfuriata di Ryan, di affrontare la fredda realtà di cosa doveva
essere fatto sia per la razza umana che per quella aliena.
Fu l’ultima ora prima di dover uscire in quel mondo… quel
mondo dove…
Era difficile credere che dopo tutto questo… non avesse
ancora deciso riguardo a Mark.
Anche se pochi minuti prima, Ghish era stato impertinente e
giocoso, Strawberry esasperata ed imbronciata, entrambi abbracciarono quel
silenzioso affetto senza esitazioni.
Non volevano che qualcosa ne andasse sprecato.
Perciò Strawberry lasciò che l’imminente confronto
scivolasse via dolcemente dai suoi pensieri, confronto che fu rapidamente
seguito da quelli che rimanevano riguardo a Mark.
Rapidamente.
Se non fosse stata fermamente concentrata sul braccio di
Ghish che l’aveva stretta n pochino di più, sarebbe stata intrigata da quanto
rapidamente aveva messo da parte quei pensieri sul suo ex- ragazzo dei sogni.
E questo cosa voleva dire? Cosa voleva dire che l’idea di
godersi quel tempo con l’alieno trionfava così facilmente sulla sua
preoccupazione riguardo la scelta?
Sembrava totalmente ridicolo, che Mark potesse essere dimenticato con così
tanta facilità in quel momento, con così tanta sicurezza….
Eppure sarebbe sembrato altrettanto ridicolo se, dopo tutto
quello che era accaduto, dopo tutti i cambiamenti che aveva provato, dopo tutto
quello che aveva imparato, avesse passato quell’ultima ora preziosa da un’altra
parte invece che nell’abbraccio sicuro di Ghish.
Ma se entrambe le opzioni sembravano possibili, se entrambi
sembravano vere, allora quale…?
Non lo sapeva. Non lo sapeva e non ci stava nemmeno pensando, perché era
troppo occupata a seguire il dito magro di Ghish mentre tracciava una delicate
traiettoria lungo il suo braccio.
All’improvviso, mentre osservava quel gesto, ebbe quella che
le parve la più grande epifania di tutta la sua vita.
Non se lo sarebbe mai dimenticata.
Sembrava strano, perché l’aveva già detto a Ghish e a se
stessa. Aveva già insistito sul fatto che non se ne sarebbe mai dimenticata, ed
era sincera, e questo era stato una grande cosa per entrambi.
Eppure, quel pensiero la colpì così forte che, per un
attimo, si trovò a trattenere il respiro.
Da quella notte in cui si era trovata costretta ad aiutarlo,
fino a tutto quel tempo passato a confortarlo, dolcemente, teneramente, con amore, fino a
quei momenti di sorprendente realizzazione, di bruciante umiliazione, di
bellissima scoperta, e di paralizzante tristezza che avevano portato alla
confessione che, lei sapeva, sarebbe dovuta arrivare molto prima, Strawberry
sapeva che niente sarebbe stato dimenticato.
Non da lei, o da Ghish, o persino da Lory.
E… ed il suo amore, un amore la cui esistenza non poteva più
mettere in dubbio, perché lo sentiva così completamente in quel momento, non
avrebbe potuto essere dimenticato, o ignorato, o sepolto.
Era fatta.
Fatta, fatta, fatta, non sarebbe mai stata distrutta,
non importava quello che sarebbe accaduto.
“Ghish.”
Si spostò, sollevò la testa dalla spalla del ragazzo per
guardarlo, un improvviso bisogno di condividere quanto aveva capito, solo per
vederlo donarle uno dei suoi rari dolci sorrisi, uno totalmente privo di accenni
a canzonature o alla sua usuale stravaganza.
“Nemmeno io,” mormorò lui, perché sapeva cosa aveva
pensato lei, e tutti quei sentimenti che erano infuriati nella ragazza, avevano
colpito anche lui.
Ed ora Strawberry si sentiva come la notte precedente, prima
di dargli quel bacio leggero: completamente grata, senza nemmeno pensare ad
esitare, che quelle orbite dorate che la guardavano con una luce così diversa
dal suo solito sguardo malizioso, le facessero sapere che lui era più che
sincero, più che certo di quanto le voleva bene.
Lei sapeva che nemmeno lui avrebbe mai dimenticato, e questo
rese la consapevolezza che avevano circa cinque minuti per prepararsi molto più
facile da accettare.
“E’ ora di andare,” azzardò piano, sedendosi.
Quel sorriso si trasformò in uno di quelli ampi del ragazzo,
che rise appena, chinandosi in Avanti e dandole un bacetto sulle labbra,
ricambiando il favore della notte precedente, nella sua versione di una
spontanea manifestazione di gratitudine.
La ragazza arrossì profondamente, accorgendosi, dopo aver
colto la dolcezza che brillava nella giocosità dei suoi occhi, che quello voleva
dire che lei aveva appena fatto ciò che lui aveva fatto per lei la notte
prima.
“Fai strada,” le rispose il ragazzo, e lei lo fece.
Sempre leggermente rosa alla vista del sorriso del ragazzo,
che si stava inesorabilmente trasformando in un sorrisetto compiaciuto mentre
lasciavano (almeno per il momento) quella tenera atmosfera alle loro spalle,
Strawberry cominciò a raccogliere rapidamente i vari oggetti di cui avrebbero
avuto bisogno per la loro impresa fuori di casa: giacche, guanti, e scarpe e
simili e, nel giro di pochi minuti, si trovò impegnata a dare a Ghish la sua
prima lezione sull’abbigliamento adatto per l’inverno.
Nell’arco di quegli stessi minuti, il suo sorrisetto si era
dissolto in una serie di nervosi “oi” e di insoliti balbettii mentre la ragazza,
improvvisamente presa in un momento do abituale, sciocco entusiasmo, avvolgeva
con impegno diverse sciarpe intorno al suo collo, infilava le sue lunghe
orecchie in vari cappelli, e lanciava ogni giacca su di lui almeno una, se non
due volte. Questo andò avanti per un po’ prima che l’alieno potesse riprendere
il controllo.
“Oi, Strawberry… Pensavo che la parte difficile dovesse
arrivare più tardi!” Il suo tono scherzoso la fece
accigliare.
“Se pensi che usciremo (la ragazza non vide che il suo
sorriso si era allargato di più a quelle parole) senza che tu
indossi—”
Lui ridacchiò. “Non pensi che prima dovrei mettermi i miei
soliti
vestiti?”
Ah… lei sbatté le palpebre, accorgendosi solo in quell
momento che lui era ancora in pigiama.
Il ragazzo levitò su per le scale ridacchiando, con una
seccata ragazza – gatto che lo fissava con aria irata.
E non così irata. Dopo tutto, stava facendo molto per allentare la tensione, e
lei se n’era effettivamente accorta.
La fece sorridere, anche mentre batteva il piede con
un’impazienza infantile.
Cinque minuti dopo, il ragazzo ritornò, vestito di un
semplice maglione nero a collo alto ed in un paio di jeans, provenienti
ovviamente dal guardaroba di suo padre. Più tardi avrebbe dovuto trovare una
spiegazione al riguardo, per quello e per la giacca ed i guanti che gli lanciò.
Anche quelli erano di suo padre.
Dopo un po’, Ghish smise finalmente di giocherellare con i
guanti, che lui riteneva un po’ fastidiosi, e rimase fermo davanti alla
ragazza, la giacca appena più grossa, le mani leggermente nascoste dalle maniche
troppo lunghe, ma che sembrava abbastanza a suo agio come ci si sarebbe potuti
aspettare da qualcuno abituato ad andare in giro con il punto vita scoperto.
“Penso che vada bene…” mormorò Strawberry, guardando
attentamente il ragazzo con un’aria esaminatrice che, stranamente, fece sentire
Ghish un po’ a disagio. Improvvisamente, lei sorrise, mettendo a posto
l’ultimo pezzettino del completo.
Con una risatina non soffocata, fece un passo indietro per
ammirare il suo operato.
Ghish la guardò torvo, con un broncio fermo al suo posto, da
sotto il cappuccio della giacca.
“Che c’è? Ti copre le orecchie!”
Ed era vero.
“Mi fa sembrare un idiota…”
Beh… anche quello era vero.
“Allora suppongo che tu invece voglia il cappello?”
Strawberry sorrise radiosa, Con uno sgargiante cappello rosso tra le mani,
complete di pom-pom, che… diciamo semplicemente che Ghish non voleva che la sua
testa rappresentasse il Natale in quel giorno particolare.
Si sarebbe tenuto il cappuccio.
“Mi devi un bacio per questo, lo sai, vero?”
“Ti piacerebbe.”
Si sarebbe teletrasportato dietro di lei, l’avrebbe
abbracciata, avrebbe raccolto la sua piccolo sfida, ma sapeva che avrebbe dovuto
aspettare.
Avevano appena avuto il loro dolce momento di tranquillità:
avrebbero dovuto faticare per il prossimo.
Il pensiero lo calmò abbastanza da obbligarlo a risponderle
con un semplice sorrisetto, e Strawberry se ne accorse immediatamente. Finì come
un silenzioso promemoria del fatto che dovevano andare, e lei fece proprio così
senza sprecare altro tempo, senza dare alla paura un’altra possibilità di fare
breccia in loro.
“Andiamo” disse, con più allegrezza di quanta sentisse
veramente, un sorriso troppo largo le illuminava il volto. Detto questo, andò
alla porta, seguita dal ragazzo, afferrando la maniglia con la mano destra che
tremava leggermente, e…
… sentì qualcosa stringerle dolcemente la mano
sinistra.
Si voltò per incontrare gli occhi Dorati di Ghish e, un
nanosecondo dopo, le sue labbra.
Si premettere sulle sue, calde, morbide, non troppo rudi e
aggressive come quando l’aveva baciata per la prima volta, il giorno in cui si
erano incontrati, o persino quando, negli ultimi giorni, gli era capitato di
rubarle un bacio giocoso.
Ora erano dolci e teneri come quando lui aveva…
E come quando lei aveva…
Alla fine lui si scostò, quella passione che lei era ormai
arrivata ad aspettarsi dall’alieno brillava nei suoi occhi, le sue labbra erano
incurvante in quel sorriso un po’ malizioso, un po’ malinconico.
Il ragazzo non disse niente, perché sapeva che lei lo aveva
perfettamente capito:
Solo un’ultima volta, no?
Neanche Strawberry parlò.
Tutto quello che fece fu permettere alle sue labbra di
copiare il suo sorriso prima di rispondere alla sua stretta.
L’ultima volta?
Forse… forse no.
Fu tutto ciò di cui ebbero bisogno per trovare la forza per
uscire di casa ed incamminarsi verso il Caffè Mew Mew.
Verso l’incertezza.
Se ne andarono con una muta convinzione nei loro passi.
Erano a metà strada, secondo l’incerta, nevrotica attenzione
di Strawberry per i segnali stradali.
Avevano camminato per il quarto d’ora previsto, in silenzio
per un po’, permettendo alla preoccupazione ed all’ansia di fare lentamente
breccia in loro, cosa che aveva solo portato a minuti di una conversazione
dapprima nervosa e poi progressivamente più facile, mentre si sforzavano di
calmarsi l’un l’altro. Aveva funzionato abbastanza bene, e, a quel punto, si
trovavano nella parte di conversazione dove Strawberry stava cercando di
decidere se essere esasperata dall’evidente ignoranza del ragazzo riguardo gli
ornamenti per giardino a forma di fenicottero, o divertita dai suoi tentativi di
alleggerire la tensione, quando le risatine morirono nella gola di Ghish, ed il
sorrisetto gli scivolò via dal volto.
L’effetto era molto simile a quello di un coniglio che ha
improvvisamente fiutato un predatore e, all’inizio, Strawberry ebbe la bizzarra
idea che o Ryan o, e questo pensiero l’avrebbe messa molto più a disagio se
avesse avuto il tempo di concentrarcisi, Mark fossero in agguato dietro un
albero o un cespuglio. Quell’impressione la lasciò presto quando la logica si
sforzò di far udire la sua voce, e lei si rivolse al ragazzo.
“Ghish? Cosa--?”
“Shh.”
Per tutto il tempo in cui l’aveva conosciuto, era
suonato così autoritario, così insistente una volta: quando l’aveva minacciata
di morte se non l’avesse scelto come amore della sua vita. Era stato giusto prima del suo collasso, il collasso che
aveva dato inizio a tutta quella storia.
Era stata l’unica volta in cui la rabbia e la disperazione
ed il terrore si erano combinati e l’avevano spaventata, sia di lui che… che per lui, si era
accorto dopo.
Ora, la tensione nell’aria era un’eco di quel
momento. La ragazza si zittì ubbidientemente, con gli occhi sbarrati
per lo strisciante terrore, mentre Ghish guardava bruscamente verso il cielo.
Anche i suoi occhi si sbarrarono ed il ragazzo digrignò i denti e strinse i
pugni.
Stava succedendo, così come Tart aveva suggerito.
Lui era lì.
Lì.
In quel momento.
Ghish provò tre cose in quel momento: rabbia, una fitta
acuta di dolore, ed una quasi disperata premura di portar via la ragazza da quel
posto.
Era troppo tardi per fare qualsiasi cosa riguardo la terza
opzione. Poteva già vedere le increspature
nell’aria…
Con il tempo rimasto, non poteva nemmeno spingere la ragazza
tra alcuni cespugli.
Perciò, Ghish fece l’unica cosa che poteva fare.
“Resta qui, non parlare e tienti pronta a combattere o a
scappare.”
Lei assunse un’espressione confuse, con tanto di occhi
sbarrati.
“Ma, Ghish—”
Troppo tardi. Stava già levitando rapidamente verso l’alto, così
rapidamente che lei non poteva nemmeno allungarsi per afferrargli una mano nel
tentativo di fermarlo. Verso l’alto volava, verso…
Finalmente, gli occhi umani di Strawberry videro quello che
i suoi da alieno avevano percepito alcuni preziosi secondi prima. La ragazza
boccheggiò.
Non stava più volando verso quella che sembrava aria
vuota.
Si stava muovendo per andare incontro a Pai
No…
L’alieno più grande galleggiava tranquillo (ingannevole, pensò
Strawberry) sopra di loro, con i suoi occhi violetti duri come l’acciaio che
seguivano il progredire del suo compagno e Ghish si fermò quando si trovò
proprio di fronte a lui.
Nessuno aveva un’espressione davvero identificabile, anche
se Ghish sembrava star cercando di lanciare a Pai il suo tipico sorrisetto. Se
voleva farlo per dare all’altro alieno una qualche idea di normalità, o solo per
infastidirlo, Strawberry non poteva dirlo. Qualunque fosse, anche sotto lo
sguardo paralizzante di Pai, il ragazzo ci riuscì. I suoi denti brillarono nella
poca luce smorta del sole che riusciva a passare attraverso il cielo coperto di
nuvole prima che lui pronunciasse un saluto che sembrava abbastanza normale:
“Ehi, Pai.”
Usò il suo solito tono gioviale, permise alla familiare
scintilla di giocosità divertita di brillare nell’oro profondo dei suoi occhi
mentre aspettava che l’alieno dai capelli viola gli desse una qualche sorta di
risposta.
Qualunque cosa facesse, però, comunque si comportasse, aveva
già anticipato la reazione dell’altro ragazzo. Ghish poteva sentire il pericolo. Aveva passato abbastanza tempo con Pai per sapere quando era
semplicemente il suo solito serio se stesso e quando il suo comportamento era
effettivamente minaccioso ed arrabbiato sotto la sua serietà.
Questa volta includeva, purtroppo, la seconda opzione, e
mentre Ghish sosteneva lo sguardo dell’altro, un unico grande pensiero correva
nella sua mente.
L’alieno più grande stava per attaccare. Non sapeva come, in
qualche modo, avrebbe attaccato quel giorno. E Strawberry si trovava proprio lì,
proprio lì senza le altre Mew Mew a proteggerla…
A cose normali, sarebbe stato felicissimo di balzare in sua
difesa, ma a dire il vero, mentre guardava il ragazzo davanti a lui, si accorse
di un fatto assai importante, ovvero che Pai era al Massimo della sua condizione
fisica e sembrava davvero determinate a fare qualsiasi cosa avesse in mente.
Ora, Ghish aveva un ego di una certa dimensione,
ma non si sarebbe ingannato. Era stato molto malato ed anche se era generalmente sano e
certamente abbastanza in forma da potersene andare in giro, non era nelle
condizioni di intraprendere un’ardua battaglia con Pai.
Eppure… doveva proteggere la sua preziosa gattina, no?
Con quel pensiero che combatteva stoicamente contro la paura
istintiva, Ghish mantenne la sua posizione.
Allora, Pai fece qualcosa di piuttosto inaspettato.
Sorrise.
Non era un grande sorriso, e nemmeno uno particolarmente
caldo, ma spiazzò il ragazzo dai capelli color smeraldo, e la sua espressione
noncurante vacillò solo per un istante quando l’altro, sollevando leggermente il
mento e lanciando a Ghish una sorta di sguardo imperioso, rispose.
“Sembri migliorato.”
Trappola. Stava cercando di attirarlo in una trappola.
Doveva essere così, con quella scintilla indiscernibile nei suoi occhi, con
quello strano sorriso, quelle parole ingannevolmente tranquille. Ghish lo
sapeva.
Ma non mostrò di saperlo.
“Certo,” sorrise, “grazie alla mia gattina.”
Con la coda dell’occhio poté vedere Strawberry irrigidirsi
quando si sentì menzionata.
Davanti a lui, comunque, vide qualcosa che lo preoccupò di
più. Ovviamente, non appena aveva menzionato la ragazza gatto, i muscoli di Pai
si erano tesi. Una nuova espressione, una più crudele, si era insinuata nei suoi
occhi un po’ stretti mentre l’atmosfera cambiava improvvisamente in peggio.
Aspetta… aveva provato a fare qualcosa?
Ghish sbatté momentaneamente le palpebre, un po’ confuse.
Parlando normalmente, sorridendogli in quel modo strano, aveva cercato, forse,
di convincerlo pacificamente, aveva cercato di evitare quel confronto che il
ragazzo più giovane aveva atteso dall’attimo in cui aveva visto l’aria
incresparsi?
Forse…
Ma non importava. Anche se avesse voluto riprendere Ghish
pacificamente, il ragazzo non poteva, non sarebbe andato. La reazione di Pai alla parola
“gattina” gli disse rapidamente che i suoi sentimenti verso gli umani, anche
dopo ciò che Strawberry aveva fatto, ciò che Lory aveva fatto, anche proprio
davanti a lui, non erano cambiati.
Non importava quali fossero le intenzioni dell’alieno dai
capelli viola, Ghish sapeva di non poterle accettare.
Doveva restare con la sua Strawberry, non importava cosa
sarebbe accaduto tra loro più avanti. D’accordo, Ryan poteva imporre una qualche
catastrofe sopra di loro, oppure Mark… beh, non voleva nemmeno pensare a Mark,
ma se si fosse arreso in quel momento, se si fosse arreso la sera prima con
Tart, non ci sarebbe stato modo di vedere se il loro amore appena nato sarebbe
sopravvissuto ad una qualsiasi di quelle cose.
Era il momento di andare.
“Beh, se questo è tutto, allora penso che io e Strawberry
dovremmo andare. Mi dici sempre che la puntualità è importante…”
Ovviamente, non fu così fortunato.
Il ragazzo non provò nemmeno a voltarsi: sapeva che sarebbe
stato fermato.
“Togliti quelle cose ridicule di dosso e vieni con me”
Dannazione. Si era aspettato una cosa così brutale ed improvvisa,
comunque.
Un piano… aveva bisogno di un piano…
Perciò, si fermò.
“Oh… ma Pai, sono così caldi e—”
Dietro e sotto gli alieni, Strawberry stava cominciando a
tremare di paura.
E allora il tempo del ragazzo finì.
Pai tirò il primo pugno.
A dirla tutta, Ghish non se l’era aspettato, non così rapido
e violento, e l’unico motivo per cui riuscì a schivarlo fu perché Strawberry
gridò il suo nome non appena i suoi occhi individuarono la leggera contrazione
dei muscoli del braccio di Pai.
Hmph. Forse gli occhi umani non erano così inutile, dopo
tutto.
Dannazione…
Non aveva più tempo per pensare. Ghish assunse rapidamente
la sua posizione di battaglia, digrignando i denti quando si accorse che la
giacca stava ostacolando i suoi movimenti. Aveva bisogno di tutta la velocità
possibile. Mentre Pai si preparava per un altro pugno, Ghish armeggiò
freneticamente con la sua cerniera.
Di nuovo, Pai lo avrebbe colpito facilmente, se il più
grande non fosse stato distratto dal grido acuto “Mew Berry Metamorfosi!”
La breve mancanza di attenzione fu lunga abbastanza per
permettere a Ghish di scuotersi di dosso la giacca pesante, la quale ricadde a
terra con un colpo secco, a poca distanza dall’appena trasformata Mew Berry.
“Strawberry!” gridò Ghish, con gli occhi concentrati
esclusivamente su Pai, “Vattene da qui! Corri al caffè, e—“
“Cosa? E lasciarti? Vuoi che ti riprenda?”
“Non lo farà! Starò bene, lo giuro, solo—”
“Sono sorpreso che tu sia così stupido da
sottovalutarmi.”
E in quel momento, Ghish fu costretto a bloccare una raffica
di pugni forti e rapidi quando Pai volò contro di lui, rilasciando la sua
energia in una attacco che, quando fu evitato con successo dall’altro alieno, lo
lasciò ansimante.
Pai sorrise.
A cosa normali, Ghish non si stancava così facilmente. Ma
ora… sarebbe stato un gioco da bambini.
O lo sarebbe stato, se una certa ragazza con le orecchie da
gatto non
avesse deciso di rivolgere il suo attacco contro di lui.
“Fiocco di luce!”
Dovette scartare rapidamente di lato per evitare il raggio
di luce.
La distrazione dette anche modo a Ghish di riprendere fiato
e di evocare i suoi tridenti. Dopodiché si menò fendenti a Pai con le sue spade,
colpendo il più crudelmente possibile mentre Pai si scansava a destra e a
sinistra, fuori dalla loro portata, digrignando i denti infastidito, non perché
fosse difficile (i colpi e gli affondi di Ghish erano più lenti, più deboli del
solito), ma perché sapeva che la ragazza era appena balzata alle sue spalle.
Poteva sentire una leggera brezza sulla schiena mentre lei cercava di colpirlo
con la sua arma, tagliandolo leggermente prima che lui si teletrasportasse via
da dove si trovava in mezzo a loro.
Bruciò solo un po’, se ne rese conto quando riapparve alcuni
metri più lontano. Gli disse anche una cosa:
Doveva innanzitutto distruggere la ragazza.
Perciò, Strawberry non ebbe il tempo di chiedere a Ghish se
stesse bene, o se avesse un piano, o come avrebbero dovuto coordinare i loro
attacchi. Pai la raggiunse rapidamente mentre lei apriva la
bocca.
Ghish ebbe appena il tempo di gridare che Pai lo superò in
volo ed agitò il suo ventaglio, lanciando colpi e ventate taglienti alla ragazza
che boccheggiò, cercando disperatamente di evitarli.
Doveva stancarla. Se l’avesse stancata abbastanza, avrebbe
potuto lanciarle uno dei suoi attacchi più potenti ed ucciderla con un colpo
solo. Poi, avrebbe tramortito Ghish e…
E poi…
Pai mise da parte quei pensieri e dette una forte gomitata a
Ghish che si era avvicinato in fretta con un grido furioso per cercare di
aiutare Strawberry a lottare contro il suo vecchio compagno, poi tornò a
colpirla senza pietà con dei pugni mentre l’altro alieno era stato spinto
indietro.
E poi...
Sbatté il ventaglio contro il petto della ragazza, con
forza, lanciandola in aria con un moto a spirale, su, su, con lei appena
cosciente, poteva dirlo, a causa del colpo pesante.
Perfetto. L’aveva praticamente resa inoffensive, l’aveva
immobilizzata.
“Strawberry!”
Sì. A giudicare dal puro terrore nella voce di Ghish. Dal
modo in cui cercava disperatamente di ferire Pai con le sue spade, solo per
essere nuovamente respinto con i muscoli troppo deboli per tenere testa al più
grande, aveva la ragazza in pugno.
Pai prese la mira…
“Fuu Rai—”
…e si ritrovò con il ventaglio strappato via dalla sua
mano.
Fissò il salvatore, senza parlare.
Anche Ghish lo fissò con un’espressione ugualmente
stupita.
Il Cavaliere Blu strinse le palpebre e brandì
minacciosamente la sua spada, prima di sferrare un colpo possente, colpendo Pai
al fianco e mandando l’alieno ancora stupito a sbattere contro il tronco di un
albero.
Per alcuni istanti, nessuno si mosse. Pai si rimise
lentamente in piedi, ancora confuso, elaborando ciò che era appena accaduto.
Il Cavaliere Blu spostò lentamente lo sguardo su di lui, poi
su Ghish.... fissò soprattutto Ghish, i suoi occhi avevano una luce strana, la
sua espressione era imperscrutabile.
Kisshu lo fissò di rimando con la stessa confusione, lo
stesso stupore.
Eppure, fu lui a rompere per primo la paralisi.
Quando lui ed il Cavaliere Blu alzarono lo sguardo e si
accorsero che Strawberry, inerme e di certo quasi priva di conoscenza, aveva
cominciato la sua discesa verso il basso, fu proprio lui il primo a balzare in
avanti, gridando nuovamente con voce strozzata il nome della ragazza, solo per
essere seguito da vicino dal Cavaliere Blu, mentre cercava di volare da lei.
Così, Strawberry aprì gli occhi e vide, ad una strana
angolatura che dapprima la confuse, perché stava cadendo, due forme, una
vagamente nera, l’altra di un blu brillante e deciso, che venivano verso di
lei.
Nyugh… cosa… dove…
E improvvisamente, riconobbe la sfocata figura blu con lo
stesso stupor che avevano provato gli alieni.
Il cavaliere Blu!
Poi però, altrettanto improvvisamente, con un’incredibile
ferocia, un altro pensiero invase la sua mente, e ci rimase.
Ghish! Dove… dov’è lui?
Si augurò, senza nemmeno preoccuparsi del fatto che stava
cadendo, di poter vedere meglio, solo per trovarlo, solo per vedere dov’era…
Ma quelle due forme sfocate si stavano avvicinando sempre di
più.
E per un istante, si preparò ad atterrare tra le braccia del
Cavaliere Blu, si preparò a sentire le sue braccia forti e sicure avvolgersi
intorno a lei, che avrebbe afferrato il suo collo, e poi l’avrebbe portata in
salvo.
Atterrò tra un paio di braccia, questo era certo, ed
abbracciò un collo, e sentì una presa forte stringerla, ma…
Non era il Cavaliere Blu...
Poteva nuovamente vedere bene, ed il Cavaliere Blu stava
ricadendo, stava ricadendo al suolo, e stranamente… cosa? Stava vedendo bene?
Aveva un’espressione stranamente pacifica, serena, quasi soddisfatta sul suo
volto, e quando lei lo guardò, chiedendosi cosa ciò significasse, poté giurare
di averlo visto dire qualcosa…
E mentre pensava di aver visto le sue labbra muoversi, sentì
che chiunque la stava tenendo si era irrigidito, e solo allora si accorse che si
stava strofinando contro il tessuto della maglia a collo alto di suo padre.
“Ghish…” Il suo sussurro era ancora flebile, debole mentre
lei cercava di ritrovare la voce, ma lui lo udì comunque.
“Resisti Strawberry, ti ho presa…” Ed anche se la sua voce
era strana, solo un briciolo troppo bassa (perché si era irrigidito, proprio in
quel momento, quando aveva pensato…), la teneva stretta e con sicurezza.
Fu allora che si accorse di una cosa, mentre accettava
l’idea che lui l’aveva afferrata quando, per qualche motivo, il Cavaliere Blu
aveva fallito.
La sua presa era diversa da quella del Cavaliere Blu. Era
più rude, più stretta. In qualche modo le rendeva difficile respirare a dovere,
le faceva persino un po’ male, dato che le sue braccia la stringevano forte al
petto, più vicina a lui, il più vicina possibile…
Eppure sapeva, nel suo stato semi-cosciente, che lui la
stava tenendo così stretta perché era stato pietrificato dall’idea di perderla.
Sapeva che la sua presa cruenta simboleggiava semplicemente quanto
appassionatamente la amasse, quanto pazzamente terrificato fosse stato quando
l’aveva vista cadere nell’aria come un’inerme bambola di pezza, quanto
disperatamente l’avesse volute proteggere da quello. Poteva sentire ognuna delle
sue dieci dita premere individualmente nel suo braccio, nella sua spalla e nella
sua gamba, ognuna provocava una forte pressione, ognuna forse abbastanza forte
da lasciare un segno, un livido.
Strawberry si accorse improvvisamente, all’istante che, se
si fosse svegliata l’indomani, trovando lividi simili a decorarle le gambe, non
le sarebbe importato. Non le sarebbe importato perché sapeva da dove venivano,
perché erano lì.
Sapeva che erano stati generati dalla forza del suo amore,
del suo bisogno di tenerla al sicuro, e…
…Ichigo si sentiva al sicuro.
E perciò avvolse le sue braccia intorno al collo di Ghish
con la stessa fiducia, la stessa sincera gratitudine con cui si era sempre
attaccata al Cavaliere Blu.
Fu così che i due atterrarono con delicatezza.
Il ragazzo la mise giù con attenzione, e lei lo lasciò
andare. Per alcuni secondi, entrambi si guardarono intorno per un qualsiasi
segno di Pai o del Cavaliere Blu, ma tutti e due erano scomparsi dallo
spazio.
Dopo questo, Strawberry fu la prima a parlare.
“G-Ghish, io—”
“Stai bene?” la ragazza annuì subito, perché la voce con cui
lui parlò era così seria, che lei si rese conto che lui domandava immediatamente
una risposta.
Non appena gliela ebbe data, il ragazzo sembrò rilassarsi, i
muscoli tremanti si rilassarono e la bocca lasciò che un sorriso sollevato gli
incurvasse le labbra, gli occhi perdevano il loro essere sbarrati e ritrovando
il loro scintillio.
“Bene. Allora possiamo andare.”
“Andare? Sei pazzo? Hai appena…Pai ti ha quasi…” il suo
scoppio fu interrotto dalla dura occhiata di lui.
“Esattamente. Lui sa. Se Pai sa, allora Profondo Blu sa, e
questo vuol dire che non possiamo esitare di più, Strawberry! Dobbiamo andare adesso.”
“Ma… ma Ghish…” ancora una volta, i suoi occhi dorati la
zittirono.
Oh, ma quanto disperatamente lei avrebbe voluto fermarsi per
un secondo, solo per un momento, ed assimilare il fatto che Pai aveva appena
attaccato Ghish, e che il Cavaliere Blu era venuto e non aveva attaccato Ghish,
e poi… poi Ghish l’aveva presa…
Perché l’aveva presa lui e non il Cavaliere Blu? Cosa era
successo? E il Cavaliere Blu…?
“No. Andiamo, dobbiamo—” lui le aveva afferrato il braccio
ed aveva cominciato a spingerla in avanti, ma lei riuscì a divincolarsi, non
seppe se grazie alla forza della sua stessa volontà o perché la presa del
ragazzo era debole dopo la lotta. Tuttavia, lui la fissò shockato.
Nonostante il fatto che potesse vedere che lui voleva davvero
andare, probabilmente scosso dal confronto con Pai, probabilmente perché pensava
a cosa ciò voleva dire riguardo a Profondo Blu e simili, lei si fermò sui suoi
passi.
“Straw—”
“Ghish, perché mi hai presa?”
Lui sbatté le palpebre, in ovvio stupore.
“Strawberry… cosa vuol dire, perché?” Lui parlò lentamente,
suonando quasi ferito. “Pensavi… pensavi che ti avrei lasciato cadere? Hai…”
Povero ragazzo. Era così stressato, che le sue parole gli
stavano facendo pensare che la ragazza stesse in qualche modo dubitando
dell’amore che era cresciuto nel corso dell’ultima settimana.
Strawberry cominciò a scuotere la testa. “No, no, Ghish, non
è questo. Voglio dire, perché il Cavaliere Blu non…” si interruppe, aspettando
che lui si ricomponesse, aspettando una risposta.
Il Cavaliere Blu…
La mente di Ghish si svuotò per un istante, poi…
Poi il ragazzo sentì una punta di sollievo, i suoi pensieri
irrazionali sul fatto che lei dubitasse dei suoi sentimenti di dissiparono, e
poi…
Si accigliò leggermente, mentre la confusione lo riempiva
nuovamente, al ricordo del Cavaliere Blu…
…e di cosa aveva detto…
“Ghish, ha detto qualcosa? Qualsiasi cosa? Ti prego?” Poteva vedere il disagio che gli
stava causando, e anche se poteva sopportarlo poco, aveva bisogno di quella
risposta, ne aveva bisogno per ragioni che non riusciva ad immaginare.
“Prendila.”
Strawberry prese un respiro, poi si fermò, le parole le
vennero a mancare, e la confusione che provava anche Ghish la riempì.
“C-cosa?”
Il ragazzo fece una pausa, prendendosi alcuni secondi per
guardare i suoi occhi brillanti.
“Ha detto, ‘Prendila. Proteggila.’ E così ho fatto.”
Senza parole.
Silenzio.
Stupore.
La ragazza si accorse che questo voleva vagamente dire
qualcosa. Quello che il Cavaliere Blu aveva detto, significava più di quanto lei
potesse comprendere in quel momento… voleva dire qualcosa per il futuro…
E anche Ghish lo sapeva. Doveva, perché lo aveva fatto
irrigidire, lo aveva fatto congelare momentaneamente, mentre la teneva. Forse
per lui…
Forse sapeva anche qualcosa di più…
Ma quello sarebbe stato per dopo. Molto dopo. In quel momento, stava annegando nel ricordo di quanto al sicuro si era
sentita in quelle braccia…
Il silenzio fu rotto quando Strawberry inspirò bruscamente,
così bruscamente che le fece male al petto, e gettò le sue braccia al collo di
Ghish, affondando il volto nel suo petto.
In quel momento, tutto ciò che importava era respirare il
profumo di Ghish, il suo fantasticamente strano profumo alieno, mentre lui, con
esitazione, sorpreso dalla sua repentinità, ricambiò l’abbraccio.
“Arigatou,” sussurrò lei, e sentì Ghish ridere, una risata
più profonda e gutturale rispetto alle sue solite risatine. Poteva sentirlo nel
suo petto.
“Te l’ho giurato, no, Strawberry?” Lei adorò il modo in cui
il suo nome suonò in quel momento, detto nei toni della sua voce, reso più bello
dalla sincerità.
Dopo alcuni respiri in più, lo guardò con un sorriso
commosso.
“Sì.”
Recuperarono la giacca ed i guanti e ripresero la loro strada.
Note: a titolo informativo, anche se
ormai siamo al penultimo capitolo. Chi voglia contattare me, la traduttrice,
scriva all'account di Bebbe5. Avrete una risposta nel giro di un giorno. Spero
che il capitolo vi sia piaciuto.