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Autore: Panda_chan    22/01/2012    15 recensioni
"Non ho ancora capito che problema abbia, tuo padre."
"Beh, il tuo ti ha gonfiato la faccia di schiaffi, mi pare. Anche se non mi ricordo se è stato dopo che gli hai detto che eri incinta, dopo che gli hai detto che il padre ero io o dopo che gli hai detto che avevi già fatto le valigie per venire a vivere con me. Una delle tre sicuramente, comunque."
"Sì, beh, la sua motivazione per prendermi a sberle era anche comprensibile. 'Troppo giovani, troppo inesperti, incoscienti', eccetera. E alla fine ha accettato e s'è pure quasi commosso. Fugaku invece ha detto qualcosa di-"
"Mi ricordo cos'ha detto, e preferirei dimenticare. E poi siamo arrivati, scendi."

[SasuSaku]
[Seconda classificata, a parimerito, al contest "Purely Black" indetto da Ainsel]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Salve a tutti!
Ora posso dire, grazie all'immensa misericordia di Ainsel, che questa fanfiction HA partecipato al contest "Purely Black", classificandosi seconda a pari merito con "La valigia" di Shark Attack. Che dire, grazie alla giudice e alle altre bravissime partecipanti. :)
Anche se è una AU un po’ intorcolata, spero vi piacerà lo stesso. :D
Buona lettura!  ^^

 

Unexpected

Sara svegliati è primavera
Sara sono le sette e tu devi andare a scuola
oh oh oh Sara prendi tutti i libri
ed accendi il motorino e poi attenta
ricordati che aspetti un bambino

Anche se ultimamente erano le fastidiose nausee che la coglievano all’improvviso a riportarla nel mondo reale, quella mattina Sakura Haruno si svegliò al suono basso della voce del suo ragazzo, che la chiamava con insistenza.
Anche se non certo con delicatezza.
“Sakura, davvero, adesso muoviti, o faremo tardi tutti e due.”
La ragazza aprì gli occhi, infastidita dalla luce che entrava a fiotti luminosi dal balcone appena spalancato, e sbadigliò sentitamente, stiracchiandosi.
“Ma non è possibile che sia così tardi, Sas’k-”
“Le otto meno cinque. Sbaglio o la tua prima ora è alle otto e trenta?”
Sakura saltò su, velocemente quanto glielo consentiva la sua condizione, e si fiondò in bagno, tirandosi dietro la porta e ignorando il “Fai attenzione” seccato di Sasuke, che malcelava una specie di preoccupazione repressa.
“Come è successo che non mi sono svegliata…?”
La voce di lui giunse attutita, frenata dal legno spesso della porta.
“Non mi hai sentito quando mi sono alzato, né quando è suonata la sveglia la seconda volta. Ti ho chiamato un paio di volte, ed ero convinto avesse funzionato, poi sono tornato di qua e mi sono accorto che eri ancora sotto le coperte. In effetti è strano, di solito cominci a scocciare molto prima perché hai la nausea.”
Sakura ignorò l’ultima frecciata, sbuffando, poi, mentre si pettinava, gli diede biascicando una risposta incomprensibile.
“Come?”
“Ho detto che stanotte ho dormito poco. Lui… continuava a scalciare, quindi ogni volta che stavo per assopirmi finivo per sobbalzare.”
Nessuna risposta dall’altra parte della porta, e Sakura non si sorprese.
Uscì in fretta dal bagno e si fiondò davanti all’armadio, estraendo vestiti quasi a caso finché non le vennero per le mani un vecchio maglione sformato e un paio di jeans misericordiosamente elasticizzati.
Infilò il tutto in fretta, cercando di non curarsi del fatto che il rigonfiamento all’altezza del ventre, ormai, stava diventando difficile da gestire senza dei vestiti prémaman da indossare, poi calzò le scarpe e filò nel piccolo studio che avevano ricavato accanto alla camera da letto, rovistando tra gli scaffali in disordine in cerca dei libri che le sarebbero serviti in mattinata.
Li ripose infine tutti in una borsa, che portò in cucina, vicino alla porta d’ingresso.
“Almeno sei stata veloce a prepararti.”
“Ah, ma grazie. Dovresti provare tu, qualche volta, a-”
“Sì, certo. Dai, tieni.”
Le allungò un bicchiere di latte tiepido e tre brioche – incredibile quanto avesse preso a mangiare, da quando si trovava in quelle condizioni – che lei prese con vaga riconoscenza e fece sparire a tempo di record, mentre frugava tra i cassetti del piccolo comò accanto alla porta.
“Non riesco a trovare le chiavi della Vespa” mugugnò indispettita “eppure ero assolutamente sicura di averle messe qua…”
“Le ho io, le chiavi della Vespa” rispose lui “e da oggi ti accompagno in macchina, se devi andare da qualche parte, è meglio.”
Sapendo che quando Sasuke adottava quel tono era impossibile ottenere qualcosa di diverso da quanto lui aveva stabilito, Sakura si limitò ad assumere un lieve broncio e a infilarsi il cappotto, non senza incontrare qualche difficoltà nel chiuderlo.
Mentre lui spegneva le luci e chiudeva la porta, lei scese le scale, diretta al garage.

 

Sara se avessi i soldi ti porterei ogni giorno al mare
Sara se avessi tempo ti porterei ogni giorno a far l'amore
oh oh ma Sara mi devo laureare
e forse un giorno ti sposerò
magari in chiesa
dove tua madre sta aspettando per poter piangere un po'

 

I sedili della macchina erano decisamente meno comodi del materasso, realizzò Sakura mentre partivano a velocità sostenuta verso il liceo in cui lei frequentava l’ultimo anno.
“Mettiti la cintura, Sakura.”
“Vabbè, dai, son dieci minuti…”
“E quindi? La probabilità di fare incidenti non è mica direttamente proporzionale al tempo che passi in macchina. Mettila lo stesso.”
“Sas’ke, per favore, adesso comincia a darmi fastidio quando la metto.”
Con un sonoro e scocciato sbuffo Sasuke non insistette, limitandosi a rimanere in silenzio e a cambiare la marcia.
“Non ho nessuna voglia di andare a scuola, mi toccherà sorbirmi le oche delle mie compagne e quei rompicoglioni dei prof. Che palle…”
“Invece ci devi andare. Fregatene delle oche e per quanto riguarda i prof, sei la prima della classe, che problemi dovresti avere?”
“Bof, nessuno. Ma mi guardano sempre con quel misto di rimprovero e compatimento…  Preferirei vivere in un altro modo, per adesso.”
“Grazie tante, io pure. Invece devo andare ogni giorno all’università per prendere quella cazzo di laurea in una facoltà che non ho scelto io e trovarmi uno straccio di lavoro all’esterno dell’azienda di famiglia. E ringraziare che quando mio padre ha saputo si è limitato a sbattermi fuori di casa senza tagliarmi i fondi, così adesso possiamo convivere e studiare senza che nessuno dei due debba lavorare seriamente.”
Sakura tacque, consapevole che lui aveva pienamente ragione.
Fugaku Uchiha si era parecchio arrabbiato, quando aveva saputo della gravidanza di Sakura; aveva iniziato ad urlare contro il figlio, e probabilmente lo avrebbe anche riempito di botte senza il tempestivo intervento del suo figlio maggiore, Itachi.
Alla fine il severo capofamiglia aveva accettato la situazione, visto che Sakura aveva rifiutato con decisione di interrompere la gravidanza e Sasuke l’aveva appoggiata, ma non aveva più voluto nemmeno averli sotto gli occhi; aveva trovato un appartamento al figlio, gli aveva infilato in mano un bancomat e tanti saluti – sotto lo sguardo, andava detto, di profonda disapprovazione di sua moglie Mikoto.
“Non ho ancora capito che problema abbia, tuo padre.”
“Beh, il tuo ti ha gonfiato la faccia di schiaffi, mi pare. Anche se non mi ricordo se è stato dopo che gli hai detto che eri incinta, dopo che gli hai detto che il padre ero io o dopo che gli hai detto che avevi già fatto le valigie per venire a vivere con me. Una delle tre sicuramente, comunque.”
“Sì, beh, la sua motivazione per prendermi a sberle era anche comprensibile. ‘Troppo giovani, troppo inesperti, incoscienti’, eccetera. E alla fine ha accettato e s’è pure quasi commosso. Fugaku invece ha detto qualcosa di-”
“Mi ricordo cos’ha detto, e preferirei dimenticare. E poi siamo arrivati, scendi.”

 

Sara tu vai dritta non ti devi vergognare
le tue amiche dai retta a me lasciale tutte parlare
oh oh oh Sara è stato solo amore
se nel banco non c'entri più
tu sei bella anche se i vestiti non ti stanno più

 

La reticenza di Sakura ad avviarsi in classe, in realtà, era piuttosto evidente.
Rimaneva saldamente ancorata al sedile, mordicchiandosi il labbro con aria nervosa, e non dava minimamente segno di voler afferrare la cartella e scendere.
“Sakura, siamo arrivati. Vorresti, per cortesia…?” riprese Sasuke, senza nemmeno nascondere l’irritazione.
Che si tramutò istantaneamente in un fastidiosissimo senso di colpa, quando si accorse che lei aveva gli occhi lucidi.
Che non le andasse a genio, vista la situazione, dover terminare l’ultimo anno e prendere il diploma di maturità non gliel’aveva mai nascosto, ma tutto sommato aveva sempre amato molto studiare e non si era mai lasciata andare a reazioni emotive così evidenti. Fino a quel momento.
Cosa che lo metteva assolutamente in crisi, perché davvero lui non aveva la più pallida idea di come si consolasse una persona, e generalmente finiva col piazzare una delle sue solite frasi taglienti che decisamente non aiutavano.
Risposte da sociopatico, diceva Naruto, il suo migliore amico.
“Co… Ma… Sakura, che diavolo c’è, ora?!”
Appunto.
Non si sorprese di essersi guadagnato un’occhiataccia rabbiosa e ferita, e sentendosi vagamente incapace e colpevole, prese un bel respiro e decise di riprovarci, magari con qualcosa di semplice semplice.
“Perché piangi?”
Già meglio.
Lo sforzo di Sakura per mantenere ferma la voce mentre gli rispondeva fu immane, ma venne premiato.
“Non ho voglia di andare.”
“Avevo intuito. Immagino che la tua situazione sia difficile da sostenere, ma non mi era parsa così intollerabile, fino ad ora.”
Sakura prese un nel respiro, e ponderò attentamente la risposta prima di aprire bocca.
“In effetti fino ad ora non era così improponibile, come quotidianità. Forse perché non… Non si vedeva tanto, e quindi non era difficile comportarsi come sempre.
Ma adesso sta diventando diverso, mi stanco di più, faccio più fatica a rimanere in piedi quando mi interrogano perché dopo un po’ mi viene il mal di schiena, ma se chiedo di sedermi le deficienti delle mie compagne si metteranno ad urlare al favoritismo. E poi non voglio che i professori mi compatiscano. Faccio più fatica a concentrarmi nello studio, perché dopo poco mi sento già esausta.
La lezione di educazione fisica com’è naturale la salto, ma mentre aspetto seduta è tutto un susseguirsi di sguardi a mio indirizzo. Le mie amiche non hanno cambiato atteggiamento nei miei confronti, ma le altre ragazze tendono a guardarmi come… Beh, più o meno come una puttana, direi, e bisbigliano. Tentano di non farsi vedere e sentire ma non sono stupida. Per di più, i vestiti cominciano necessariamente ad andarmi stretti e rendono la cosa molto più evidente, il che, è ovvio, non aiuta.”
Sasuke rimase in silenzio per qualche minuto – tanto, ormai, il ritardo di entrambi era irrimediabile –, vagamente frastornato da quella marea di pensieri che gli era appena piombata addosso.
Anche lui si era ritrovato davanti a delle difficoltà che gli erano parse insormontabili: aveva dovuto prendere atto della situazione, informare i propri genitori, pensare a come affrontare l’intera faccenda, andarsene di casa, imparare da un giorno all’altro ad essere completamente autosufficiente e a vivere insieme a lei, lui che aveva sempre avuto un carattere così taciturno, solitario, schivo.
Era cresciuto in una famiglia altolocata e facoltosa, ed essendo il piccolo di casa era stato seguito in ogni cosa – Itachi preferiva dire, un po’ scherzando un po’ seriamente, ‘schifosamente viziato’ -, quindi non era mai stato granché abituato a fare caso ai problemi degli altri.
Infatti, pur comprendendo che la situazione di Sakura fosse critica quanto la sua, non aveva mai messo realmente in conto che le difficoltà che avrebbe incontrato lei sarebbero state oggettivamente peggiori.
Tanto per dirne una, nessuno che non lo conoscesse avrebbe potuto giudicarlo, come invece accadeva a lei ogni volta che le presentavano una persona nuova, dato che gli sguardi incuriositi, ultimamente, andavano inevitabilmente a soffermarsi sulla sua pancia tonda.
“Sas’ke…?”
La voce di Sakura lo riportò al presente, bruscamente.
“Dimmi.”
“N-no, niente. È che è tardissimo, quindi è meglio se mi do una calmata e vado.”
“Ferma, tanto vale che ormai tu entri alla seconda ora e io vada alla lezione dopo. La giustificazione puoi firmartela tu, quindi non ci sono problemi.”
“Eh… Ok. Cosa… facciamo?”
“Parliamo, direi.”
“Ah.”
Sakura non fu in grado di andare oltre quella monosillabica replica, sorpresa com’era dalla proposta; sentire che Sasuke era propenso ad una chiacchierata era un po’ come trovarsi davanti ad un vegetariano che proponeva una scorpacciata da McDonald’s.
“Sinceramente, non mi ero reso conto che i problemi fossero questi” esordì lui. “Ero convinto che il peggio sarebbe passato una volta che avessimo deciso cosa fare del bambino, se tenerlo o… Hai capito.”
Sakura annuì, compresa, cercando di non perdersi; i suoi discorsi potevano essere contorti, a volte, e non era certo il momento di chiedergli di ripetere.
“Poi certo, avevo messo in conto il fatto che avremmo dovuto parlare con i nostri genitori, e tutto sommato avevo anche previsto abbastanza bene le loro reazioni. Ecco, non mi aspettavo che al di là dell’incazzatura mio padre avrebbe praticamente smesso di considerarmi, ma è andata così.
Adesso però mi sto rendendo conto che non avevo afferrato che il problema maggiore sarebbe stato la quotidianità del dopo.”
Sakura abbassò il capo, in un assenso silenzioso. Poi si sentì in obbligo di parlare.
“Non intendevo lamentarmi, non… Io mi rendo conto che dovrei solo essere grata per tutto, visto e considerato che non devo muovere un dito e risolviamo tutto con i soldi di tuo padre, ma-”
“Io invece preferirei dover lavorare piuttosto che avere un padre che considera esaurito il suo dovere con una carta di credito, ma non ha importanza, non è qui che volevo arrivare.”
“Ah…”
“Sakura, tu sei felice così?”
La domanda ebbe l’immediato esito di spiazzare la ragazza, perché Sasuke non amava manifestare i sentimenti e generalmente disapprovava anche le persone che sbandieravano i propri, quindi sentirsi chiedere tanto direttamente una cosa del genere...
Gli occhi scuri di lui, dietro un’impazienza irritata simulata alla perfezione, parevano nascondere un’ansia indicibile.
E dietro l’ovvio parlavano d’altro, e dicevano sarò padre ma non sono pronto, la mia vita è vincolata ma non so se volevo questo, avrò un bambino tra le mani e non so nemmeno da dove cominciare, devo vivere come un adulto ma sono un ragazzo e ho ancora voglia di divertirmi e fare cazzate insieme ai miei amici, devo tornare dall’università e mettermi a riempire lavatrici mentre prima grazie a mia madre a stento sapevo cosa fossero.
“Sakura, per favore, rispondi.”
“Non mi stai facendo una domanda leggera, e voglio rispondere con cognizione.”
E quando lo guardò anche gli occhi di Sakura parlarono, e dal fondo del loro verde dicevano ho una paura tremenda, porto dentro di me una vita ogni minuto e il senso di responsabilità mi schiaccia anche quando accelero un po’ di più con il motorino, vorrei potermi bere un drink con Ino ma non posso più bere alcol, vorrei portare ancora una minigonna che prima mi stava tanto bene ma adesso non ci entro nemmeno più, e devo vedere di continuo tutine, scarpette, sonaglini, bavaglie, culle per pensare al dopo quando ancora adesso mi rimetterei io, a giocare con le bambole.
“Ti mentirei se dicessi che tutto questo non mi pesa.”
L’ansia di Sasuke si dilatò un poco nel sentire quell’incipit che non prometteva un seguito per nulla felice, ma si costrinse ad ascoltarla finché non avesse finito.
“Ti mentirei, ma è anche vero che io e te ci amiamo, e il bambino è nato da quel sentimento, per questo ho deciso di tenerlo, con il tuo appoggio. Credo che il senso d’inadeguatezza finirà per schiacciarmi prima o poi, ma ho la possibilità di mettere al mondo mio figlio e vivere con suo padre. Sì, direi che sono felice.”
Sasuke emise un lungo sospiro e riuscì a stento a mascherare il sollievo mentre tentava di comportarsi come se avesse sempre confidato in una risposta del genere; senza guardarla parve annuire tra sé, compreso.
“Sei felice. E allora fregatene di chi ti rende la vita impossibile, tra quelle quattro mura. Pensa al tuo diploma, pensa ai tuoi voti, e il resto chiudilo fuori. È come hai detto tu, è stato amore. Quindi lascia che parlino pure senza nemmeno capire cosa stiamo vivendo. Anzi, alla prima occasione, ridi loro in faccia.”
Sakura lo guardò con tenerezza mentre arrossiva per essersi esposto in quel modo, gli stampò un bacio sulla guancia e, facendosi coraggio, uscì dalla macchina, senza aggiungere altro.

 

 

 

Per la verità, Sakura non si sentiva ancora sicura come aveva voluto mostrare a Sasuke, ma cercò comunque di ignorare i soliti sguardi quando entrò nella grande hall della scuola.
Non era semplice.
Ogni occhiata era un giudizio, e praticamente ogni sguardo rispecchiava la disapprovazione di chi lo lanciava verso di lei, ragazza irresponsabile e scostumata che si era cacciata in quella situazione spinosa e aveva scelto di rimanerci.
Nonostante i buoni propositi e le parole di Sasuke, ogni metro era un peso e lei gradualmente abbassava lo sguardo, poi la testa, poi incassava le spalle.
Finché, a metà del lungo corridoio, sentì un colpetto all’altezza dell’ombelico, leggero, minuscolo, dato da un pugnetto o da un piedino, chissà.
Veniva da dentro di lei, e aveva il potere di arrivare là dove nemmeno Sasuke aveva potuto.
Siamo in due, bimbo. Possiamo vincere contro tutti.
Con passo ridivenuto quasi marziale, giunse alla porta chiusa della sua classe e con decisione bussò.

 

 

 

Circa due secondi dopo aver visto Sakura entrare nel portone della scuola, Sasuke decise che le lezioni di quel giorno non erano poi così fondamentali, quindi optò per una giornata di attività utili alternative.
Invece di continuare verso l’università svoltò per una via laterale, e seguendo un percorso noto giunse ad una zona signorile e si arrestò davanti ad un grattacielo moderno e rampante.
Entratovi, prese il primo ascensore disponibile e una volta giunto al piano desiderato imboccò un corridoio e si diresse verso una porta lucida e scura.
Ignorando le proteste vagamente starnazzanti della segretaria (“Un momento, prego, il dottore è estremamente impegnato, ora, e proprio non può ricevere…”) bussò, e senza attendere risposta aprì, entrò e richiuse l’uscio alle sue spalle.
Dalla scrivania un uomo alzò il viso per guardarlo, indurendo la propria espressione non appena lo riconobbe.
Sasuke sostenne il suo sguardo, deciso.
“Buongiorno, papà.”

 

 

 

TOC TOC!
“Sì, avan- ah, buongiorno, Haruno. Entri alla seconda ora, giusto?”
“Sì, professor Hatake, mi scuso per aver interrotto la lezione.”
“Non fa nulla. Accomodati.”
Come di consueto prese posto tra Ino ed Hinata, che la salutarono amichevolmente con un sorriso informandosi premurosamente su come stesse.
Sakura rispose e salutò silenziosamente le altre sue amiche – Tenten, Temari, Matsuri – sparse per i banchi della classe.
Estrasse dalla borsa libro e quaderno per la lezione e si mise attenta, ignorando le occhiate di scherno che venivano da Karin, Kin e le altre, forte del suo coraggio ritrovato.
“Scusa, Haruno, la tua giustificazione per il ritardo è…?” chiese il professore, intento alla compilazione del registro.
Anzi, alla prima occasione, ridi loro in faccia.
“Il mio bambino continuava a scalciare e non sono riuscita a dormire bene, professore, per questo ho pensato di riposarmi un’ora in più ed entrare dopo” rispose semplicemente Sakura, con un sorriso sicuro.
“Molto… Bene. Ricordati di firmare qui, prima di uscire.”
“Certo, grazie.”
Trionfante, Sakura guardò Karin negli occhi; disorientata, l’insopportabile compagna non la scherniva più.

 

 

 

“Mi pareva di essere stato chiaro, Sasuke. Non è di mio gradimento incontrarti ancora qui o a casa.”
“In quella casa sono nato e ci vivono ancora mia madre e mio fratello, che a quanto so sopportano ancora la mia vista.”
“Cosa sopportino loro non ha importanza.”
Fugaku Uchiha posò la costosa penna d’oro sul tavolo laccato, decidendosi ad abbandonare il lavoro per un attimo.
“Perché sei qui?”
Sasuke deglutì nervosamente, costringendo se stesso a non retrocedere, prendere la porta e dileguarsi.
Aveva sempre avvertito con enorme soggezione la figura paterna, e la perenne sensazione di inadeguatezza che la vicinanza del padre gli provocava era sempre stata per lui un incredibile freno.
Ma la consapevolezza che, di lì a poco, sarebbe stato un padre anche lui gli diede la forza per discutere guardandolo negli occhi.
“Volevo parlarti. Mi rendo conto di essermi comportato con leggerezza e superficialità, coinvolgendo con il mio comportamento irresponsabile la mia ragazza e un bambino che è al centro di una polemica infinita ancora prima di nascere. Ma non credo di essermi meritato per questo l’appellativo di ‘inutile figlio rovinaimprese’.”
Fugaku lo squadrò.
“Avresti potuto diventare un grande amministratore per quest’azienda, insieme a tuo fratello. Avresti potuto arrivare molto in alto, sposare una ragazza di una famiglia facoltosa e crearti una posizione inattaccabile nell’olimpo degli imprenditori. Ti sei precluso tutto questo per la sciocchezza di una notte e hai preferito perseverare nel tuo errore piuttosto che… rimuovere il problema e proseguire per la tua strada.”
“Riconosco che sia stato un imprevisto, ma non è la sciocchezza di una notte. E poi a volte le cose non vanno come vorremmo, ma questo non significa che percorriamo la strada sbagliata.”
“Dunque non hai cambiato idea.”
“No, il bambino nascerà e sarà per te un nipote, che ti piaccia oppure no. Anche se sarà a tua discrezione decidere se essere qualcuno o no per lui.”
“Non hai la minima idea di cosa voglia dire essere padre.”
“Direi proprio di no. E tu non mi stai aiutando.”
Fugaku a quel punto sospirò pesantemente, passandosi una mano sugli occhi con aria stanca.
“Non è una cosa che si insegna. Si acquisisce quando è il momento giusto.”
“Vorrà dire allora che mi ingegnerò per acquisirla presto.”
A quel punto il giovane voltò le spalle al padre e posò la mano sulla maniglia, facendo per aprire la porta.
“Te ne vai?”
“Per ora non credo abbiamo altro da dirci, papà.”
Lo scatto secco della porta che si chiuse ebbe per entrambi il suono definitivo della pallottola che scatta dalla pistola.

 

 

 

Le luci del locale erano colorate e calde, anche se l’atmosfera risultava vagamente soffocante – o almeno, Sakura aveva questa impressione.
Una volta terminata la sua giornata a scuola Sasuke era passato a prenderla e visto che nessuno dei due aveva voglia di tornare a casa avevano deciso di cenare fuori con qualcosa di leggero.
“E allora dopo che ho risposto così quelle quattro idiote hanno smesso di ridacchiare come ritardate.”
Sakura aveva appena raccontato, allegra, il nuovo e positivo sviluppo della sua giornata, mentre Sasuke ascoltava, vagamente compiaciuto – anche se mai l’avrebbe ammesso, di essere orgoglioso di lei.
“E tu, invece? Mi sembri piuttosto giù, stasera. Per caso ti è successo qualcosa all’università?”
Sulle prime lui rimase in silenzio, non del tutto sicuro di volerle raccontare la sua giornata, ma infine cedette e abbassando lo sguardo iniziò a parlare, tamburellando nervosamente sul tavolo.
“Non ci sono neanche andato, oggi, sono passato in ufficio da mio padre.”
Sakura spalancò gli occhi, sorpresa.
“Oh! E com’è andata?”
“Non ha cambiato idea, come me del resto, quindi non si è risolto niente.”
“Mi dispiace.”
“A me no” ribatté Sasuke, vagamente assorto. Poi la guardò.
“L’incontro di oggi mi è servito a capire che non ho bisogno della sua approvazione per costruire una famiglia mia. Mi sono reso conto che anche io sono contento così.”
Aveva concluso la frase con un tono di voce così basso che Sakura non era neanche certa di aver sentito bene quello che aveva detto, ma il solo dubbio le aveva donato una serenità tanto profonda che non volle verificare l’esattezza della sua supposizione.
Gli prese la mano con vaga circospezione, e si sorprese di sentirlo ricambiare la stretta con inaspettato vigore.

 

 

 

“Camicia da notte, bagnoschiuma, detergenti vari, creme, completino per il bimbo…”
“Sakura, sto cercando di studiare. Puoi mica fare quella borsa in silenzio?”
“Ma come fai a non essere agitato? Insomma, è la borsa per quando…!
“Ma dai.”
“Non essere scorbutico. Sto preparando tutto per quando nascerà, e voglio che sia perfetto e che non ci manchi niente durante il periodo di osservazione dopo il parto.”
Rassegnato, Sasuke chiuse il libro su cui era chino e la guardò.
In quei mesi, invece di sciuparsi, Sakura era fiorita: aveva terminato la scuola superiore e ottenuto la maturità con ottimi voti, non doveva più affaticarsi sui libri o rodersi per qualche commento di troppo e poteva riposare quanto le aggradava.
La sua silhouette era inevitabilmente parecchio arrotondata, considerato che era all’ottavo mese, ma il suo umore era ottimo e ultimamente tendeva ad aggirarsi per casa con un andamento incredibilmente saltellante un po’ inusuale per una ragazza in attesa.
Sasuke non era tipo da fare commenti, ma non poteva che compiacersi della serenità di lei, tanto più che tutto quel buonumore contribuiva a rendere vagamente meno orso anche lui.
“Ah, già, la mamma mi ha detto di non dimenticarmi le pantofole… Sas’ke, ti viene in mente qualcosa?”
Sasuke si limitò ad alzarsi dal tavolo per dirigersi verso la stanzetta che avevano allestito per il bimbo, e ne uscì poco dopo con entrambe le mani occupate.
“Ah, giusto, non avevo preso le scarpine per lui, grazie. Sono quelle che ci ha regalato Itachi, vero?”
Sasuke annuì, e attese che lei le avesse accuratamente riposte le passò l’oggetto che teneva nell’altra mano, irriconoscibile, visto che era accuratamente impacchettato in carta dai colori vivaci.
“Oh, e questo? Per me?” fece Sakura raggiante. Pareva lei, la bambina, pensò Sasuke con vaga condiscendenza.
“Non proprio, a dire il vero. Ma puoi scartarlo tu lo stesso.”
Senza aggiungere altro Sakura glielo tolse dalle mani iniziando subito a rimuovere lo scotch che fermava gli angoli della carta piegata, e qualche secondo dopo sorrise intenerita alla vista di un piccolo peluche di quelli che, tirando una cordicella, diffondevano una melodia come di carillon.
“L’hai preso tu?”
“Sì. Mi sono ricordato che ne avevo uno simile da piccolo, e mi piaceva ascoltare la musica. Volevo portartelo una volta che fosse già nato, ma ti ho visto fare la borsa adesso, e quindi…”
L’imbarazzo mortale che sentiva lo stava destabilizzando, quindi decise di tacere.
“È davvero perfetto, Sas’ke. Lo adorerà.” Commentò Sakura, abbracciandolo – non senza difficoltà, dato l’ingombro.
Ancora rigido per la vergogna Sasuke le cinse le spalle a sua volta.
Aveva ragione Fugaku, concluse. Si acquisisce.

 

 

 

Era giusto l’orario di visita, e il corridoio del reparto maternità della prestigiosa clinica privata pareva ingombro di mille persone, tanti erano i parenti e amici che si aggiravano per le stanze carichi di fiori per le puerpere e pacchettini per i neonati.
La folla maggiore, comunque, si concentrava davanti ad una parete di vetro che separava il corridoio dalla nursery del reparto: decine di nasi quasi addossati alla superficie trasparente osservavano febbrilmente i visini dei bambini nelle culle, riconoscendovi – o volendo riconoscervi – tratti conosciuti.
Fortunatamente essere il figlio di Fugaku Uchiha, per quanto i rapporti tra loro si fossero mantenuti distanti, aveva consentito a Sasuke di ottenere una stanza lontano dal marasma di voci, passi e calore, in cui Sakura sarebbe rimasta con il piccolo finché non l’avessero dimessa.
In quel momento si trovavano giusto lì, con la porta chiusa a tenere fuori il baccano, Sakura sul letto, ancora in fase di recupero dopo il parto, Sasuke in piedi appoggiato al tavolo lì accanto e Itachi seduto sulla poltroncina della stanza, con il nipotino neonato in braccio.
“Siete giovani, ma avete fatto un ottimo lavoro, mi pare” scherzò il maggiore dei fratelli, osservando con attenzione i tratti delicati del bambino. “Ti somiglia parecchio, otouto” concluse poi, placido.
Sasuke serrò la mascella e con un secco cenno del capo guardò in un’altra direzione, completamente preda della tempesta di emozioni che lo stavano assalendo.
In quel momento, in particolare, non sarebbe stato in grado di dire se si sentiva più imbarazzato o orgoglioso, e naturalmente c’era anche da aggiungere una buona dose di rimbambimento da mancanza di sonno, dato che il pargolo aveva scelto l’interessante orario delle due di notte per venire al mondo.
“Sono contenta che tu sia venuto, Itachi.” disse Sakura con sincerità, sorridendo all’indirizzo del fratello di Sasuke.
“Non potevo perdermi l’arrivo del nipote.” le rispose con un occhiolino. “Anche se forse devo darmi una mossa e sistemarmi anche io, non vorrei mai che il mio adorato fratellino mi passasse davanti.” fece poi lanciando un’occhiata scherzosa a Sasuke, che ricambiò con una fulminata da manuale.
“I tuoi genitori sono già passati stamattina?”
“Sì, sono passati, poi sia io che Sas’ke volevamo riposare un po’ e quindi se ne sono andati. Torneranno stasera.”
“Immagino siano stati felici” commentò Itachi educatamente.
“Oh, sì, lo erano, a scapito di tutto. Mia madre l’ha anche preso in braccio e non lo mollava più.”
A quel punto cadde un silenzio imbarazzato, dal momento che tutti e tre stavano pensando la stessa cosa senza avere il coraggio di esprimersi in merito.
Infine fu Sasuke, ostentando massima indifferenza, a rompere il ghiaccio.
“Itachi, ho mandato un messaggio a papà, stamattina, giusto per avvertire. Per caso…?”
“Sicuramente l’ha letto, visto che mi ha chiesto se stessi venendo qui, quando mi ha visto uscire di casa. Non so poi cosa pensi di fare.  La mamma verrà sicuramente, comunque. Non vedeva l’ora, ma stamattina aveva un impegno. Può anche darsi che arrivi tra poco.”
Sasuke annuì, compreso, senza aggiungere altro.
“Non preoccuparti, Sas’ke, sai com’è papà.”
Itachi lanciò al fratello minore uno sguardo significativo, che fu ricambiato in un contatto visivo fraterno particolarmente intenso che fece sentire Sakura un po’ esclusa.
Poi il bimbo lanciò un vagito dalle braccia di Itachi, distraendoli, e il discorso cadde.
Nessuno parlò per un po’, ma poco dopo sentirono un cadenzato rumore di tacchi dal corridoio, finché qualcuno bussò sommessamente alla porta.
Sakura, allegra, disse “Avanti” e l’uscio si schiuse, rivelando il viso impaziente e sorridente di Mikoto Uchiha.
Sasuke aveva fatto per andare incontro alla madre, ma la porta a quel punto si aprì del tutto rivelando, di fianco a lei, la figura solida e alta di Fugaku.
Mentre Mikoto lo salutava con un bacio frettoloso sulla guancia e si precipitava da Itachi facendosi consegnare il pargolo, estasiata, Sasuke rimase immobile davanti al padre, teso, salutandolo infine con un semplice “Ciao.”
“Ciao, Sasuke.”
Fugaku entrò, con l’andamento di chi cammina in equilibrio su uova fresche, oltrepassò il figlio e raggiunse la moglie, osservando assorto il nipote.
Rimasero un quarto d’ora circa, poi Itachi e Fugaku riuscirono, con un’azione combinata, ad indurre Mikoto a lasciare il bimbo in braccio a Sasuke; poi, dopo aver salutato lui e Sakura, se ne andarono, non senza che Fugaku, prima di andarsene, lanciasse un’occhiata impenetrabile al figlio che ancora reggeva il bimbo.

 

 

 

Più tardi, quando anche Sasuke fu a casa per una dormita come si deve dopo la giornata decisamente lunga, vide il display del suo cellulare accendersi, recando l’avviso nuovo messaggio da: Papà.
Febbrilmente aprì l’sms, e un dilagante sollievo lo invase, contro ogni controllo, quando ne lesse il testo.
Vedo che hai appreso in fretta, Sasuke. Vi aspettiamo a pranzo mercoledì, o tua madre mi renderà la vita impossibile.
La risposta di Sasuke fu telegrafica e diretta come sempre, ma entrambi ne compresero il significato recondito.
Ci saremo. Grazie.

 

 

 

La vita con un bambino piccolo non era facile per due ragazzi che fino a pochi mesi prima conducevano una normale vita da diciotto-ventenni, studio, pizze con gli amici, discoteche, libertà.
Nonostante il consistente aiuto che le due agguerrite nonne davano, accudendolo quando Sakura e Sasuke dovevano seguire le lezioni universitarie, il bimbo imponeva ai giovani genitori alzatacce, ore contate per i pasti, pannolini e anche qualche notte in bianco, come quella che avevano appena trascorso per una colica particolarmente persistente. Fortunatamente era domenica mattina.
“Domani lo portiamo da mia madre o dalla tua” borbottò Sasuke, sfinito, mentre posava con cautela nella culla il bimbo che era appena riuscito ad addormentare “E noi rimaniamo qua a dormire. Si fottano anche le lezioni.”
“Guarda che a Medicina la frequenza è obbligatoria” fece Sakura stanca, versandosi del caffè “Non posso mica stare a casa quando mi pare.”
“Per un giorno non morirà mica qualcuno.”
Sakura lo guardò dubbiosa, poi la mancanza di sonno ebbe la meglio.
“E va bene, portiamolo da qualche parte e dormiamo.” Osservò da lontano con tenerezza la culla dove giaceva addormentato suo figlio, assorta.
“Ci porterà al collasso” mormorò Sasuke contrariato.
“Ma finiscila. Io avevo detto di lasciarlo a piangere un po’ nella culla, che si sarebbe calmato lo stesso. Invece qualcuno ha insistito per cullarlo tutta la notte, avanti e indietro per il corridoio. Per forza sei stanco.”
“Sei una madre degenere.”
“Se un padre iperapprensivo.”
“Cazzate.”
Sakura lo guardò e non seppe trattenersi oltre, così scoppiò in una risata che cercò di soffocare in fretta per non svegliare il pargolo.
“Ma guardaci, sembriamo due relitti in pensione, seduti al tavolo con la tazza di caffè e le occhiaie fino ai piedi.”
Io non ho le occhiaie.”
“No, scusami, tu sei perfetto.”
Grazie.”
Calò il silenzio e si guardarono.
“Se è così adesso poi ci sarà da ridere.” commentò Sasuke sottovoce.
“E allora rideremo, che vuoi farci? Sorridi, Sasuke. Va bene così, siamo una famiglia. Funzioniamo.”
Lui la osservò, indeciso se dargliela vinta. Poi le sue labbra si incresparono impercettibilmente, in un mezzo sorriso assonnato.

 

**********

 

Grazie comunque, Ainsel, per essere stata comprensiva. ^^
E grazie a chi ha letto e vorrà recensire! :D
A presto!
Panda

  
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