Salve
a tutti!
Ora posso dire, grazie all'immensa misericordia di Ainsel, che questa fanfiction HA partecipato al contest "Purely Black", classificandosi seconda a pari merito con "La valigia" di Shark Attack. Che dire, grazie alla giudice e alle altre bravissime partecipanti. :)
Anche
se è una AU un po’ intorcolata, spero vi
piacerà lo stesso. :D
Buona lettura! ^^
Unexpected
Sara
svegliati
è primavera
Sara
sono le sette
e
tu devi andare a
scuola
oh
oh oh Sara
prendi
tutti i
libri
ed
accendi il
motorino
e
poi attenta
ricordati
che
aspetti un
bambino
Anche
se
ultimamente erano le fastidiose nausee che la coglievano
all’improvviso a
riportarla nel mondo reale, quella mattina Sakura Haruno si
svegliò al suono
basso della voce del suo ragazzo, che la chiamava con insistenza.
Anche se non
certo con delicatezza.
“Sakura, davvero, adesso
muoviti, o faremo tardi
tutti e due.”
La ragazza
aprì gli occhi, infastidita dalla luce che entrava a fiotti
luminosi dal
balcone appena spalancato, e sbadigliò sentitamente,
stiracchiandosi.
“Ma non è
possibile che sia così tardi, Sas’k-”
“Le otto meno cinque.
Sbaglio o la tua prima
ora è alle otto e trenta?”
Sakura saltò
su, velocemente quanto glielo consentiva la sua condizione,
e si fiondò in bagno, tirandosi dietro la porta e
ignorando il “Fai attenzione” seccato di Sasuke,
che malcelava una specie di
preoccupazione repressa.
“Come è successo
che non mi sono svegliata…?”
La voce di
lui giunse attutita, frenata dal legno spesso della porta.
“Non mi hai
sentito quando mi sono alzato, né quando è
suonata la sveglia la seconda volta.
Ti ho chiamato un paio di volte, ed ero convinto avesse funzionato, poi
sono
tornato di qua e mi sono accorto che eri ancora sotto le coperte. In
effetti è
strano, di solito cominci a scocciare molto prima perché hai
la nausea.”
Sakura
ignorò l’ultima frecciata, sbuffando, poi, mentre
si pettinava, gli diede biascicando
una risposta incomprensibile.
“Come?”
“Ho detto
che stanotte ho dormito poco. Lui…
continuava a scalciare, quindi ogni volta che stavo per assopirmi
finivo per
sobbalzare.”
Nessuna
risposta dall’altra parte della porta, e Sakura non si
sorprese.
Uscì in
fretta dal bagno e si fiondò davanti all’armadio,
estraendo vestiti quasi a
caso finché non le vennero per le mani un vecchio maglione
sformato e un paio
di jeans misericordiosamente elasticizzati.
Infilò il
tutto in fretta, cercando di non curarsi del fatto che il rigonfiamento all’altezza del
ventre, ormai, stava diventando
difficile da gestire senza dei vestiti prémaman da
indossare, poi calzò le
scarpe e filò nel piccolo studio che avevano ricavato
accanto alla camera da
letto, rovistando tra gli scaffali in disordine in cerca dei libri che
le
sarebbero serviti in mattinata.
Li ripose
infine tutti in una borsa, che portò in cucina, vicino alla
porta d’ingresso.
“Almeno sei
stata veloce a prepararti.”
“Ah, ma grazie. Dovresti
provare tu, qualche
volta, a-”
“Sì, certo.
Dai, tieni.”
Le allungò
un bicchiere di latte tiepido e tre brioche – incredibile
quanto avesse preso a
mangiare, da quando si trovava in quelle condizioni – che lei
prese con vaga
riconoscenza e fece sparire a tempo di record, mentre frugava tra i
cassetti
del piccolo comò accanto alla porta.
“Non riesco
a trovare le chiavi della Vespa” mugugnò
indispettita “eppure ero assolutamente
sicura di averle messe qua…”
“Le ho io,
le chiavi della Vespa” rispose lui “e da oggi ti
accompagno in macchina, se
devi andare da qualche parte, è meglio.”
Sapendo che
quando Sasuke adottava quel tono era impossibile ottenere qualcosa di
diverso
da quanto lui aveva stabilito, Sakura si limitò ad assumere
un lieve broncio e
a infilarsi il cappotto, non senza incontrare qualche
difficoltà nel chiuderlo.
Mentre lui spegneva le luci e chiudeva la porta, lei scese le scale,
diretta al
garage.
Sara se
avessi i soldi ti porterei ogni giorno al mare
Sara
se avessi
tempo ti
porterei ogni giorno a far l'amore
oh
oh ma Sara
mi
devo laureare
e
forse un giorno
ti
sposerò
magari
in chiesa
dove
tua madre
sta
aspettando
per
poter
piangere
un po'
I
sedili della macchina erano decisamente meno comodi del
materasso, realizzò Sakura mentre partivano a
velocità sostenuta verso il liceo
in cui lei frequentava l’ultimo anno.
“Mettiti la cintura, Sakura.”
“Vabbè, dai, son dieci
minuti…”
“E quindi? La probabilità di fare incidenti non
è mica
direttamente proporzionale al tempo che passi in macchina. Mettila lo
stesso.”
“Sas’ke, per favore, adesso comincia a darmi fastidio quando la metto.”
Con un sonoro e scocciato sbuffo Sasuke non insistette,
limitandosi a rimanere in silenzio e a cambiare la marcia.
“Non ho nessuna voglia di andare a scuola, mi
toccherà sorbirmi
le oche delle mie compagne e quei rompicoglioni dei prof. Che
palle…”
“Invece ci devi andare. Fregatene delle oche e per quanto
riguarda i prof, sei la prima della classe, che problemi dovresti
avere?”
“Bof, nessuno. Ma mi guardano sempre con quel misto di
rimprovero e compatimento…
Preferirei
vivere in un altro modo, per adesso.”
“Grazie tante, io pure. Invece devo andare ogni giorno
all’università per prendere quella cazzo di laurea
in una facoltà che non ho
scelto io e trovarmi uno straccio di lavoro all’esterno
dell’azienda di famiglia. E ringraziare che quando mio padre
ha saputo si è limitato
a sbattermi fuori
di casa senza tagliarmi i fondi, così adesso possiamo
convivere e studiare
senza che nessuno dei due debba lavorare seriamente.”
Sakura tacque, consapevole che lui aveva pienamente ragione.
Fugaku Uchiha si era parecchio arrabbiato, quando aveva
saputo della gravidanza di Sakura; aveva iniziato ad urlare contro il
figlio, e
probabilmente lo avrebbe anche riempito di botte senza il tempestivo
intervento
del suo figlio maggiore, Itachi.
Alla fine il severo capofamiglia aveva accettato la situazione,
visto che Sakura aveva rifiutato con decisione di interrompere la
gravidanza e
Sasuke l’aveva appoggiata, ma non aveva più voluto
nemmeno averli sotto gli
occhi; aveva trovato un appartamento al figlio, gli aveva infilato in
mano un
bancomat e tanti saluti – sotto lo sguardo, andava detto, di
profonda disapprovazione
di sua moglie Mikoto.
“Non ho ancora capito che problema abbia, tuo
padre.”
“Beh, il tuo ti ha gonfiato la faccia di schiaffi, mi pare.
Anche se non mi ricordo se è stato dopo che gli hai detto
che eri incinta, dopo
che gli hai detto che il padre ero io o dopo che gli hai detto che
avevi già
fatto le valigie per venire a vivere con me. Una delle tre sicuramente,
comunque.”
“Sì, beh, la sua motivazione per prendermi a
sberle era anche
comprensibile. ‘Troppo giovani, troppo inesperti,
incoscienti’, eccetera. E
alla fine ha accettato e s’è pure quasi commosso.
Fugaku invece ha detto
qualcosa di-”
“Mi ricordo cos’ha detto, e preferirei dimenticare.
E poi
siamo arrivati, scendi.”
Sara
tu vai dritta non
ti devi vergognare
le
tue amiche dai
retta a me lasciale
tutte parlare
oh
oh oh Sara è
stato solo amore
se
nel banco
non
c'entri più
tu
sei bella
anche
se i vestiti
non
ti stanno più
La
reticenza
di Sakura ad avviarsi in classe, in realtà, era piuttosto
evidente.
Rimaneva
saldamente ancorata al sedile, mordicchiandosi il labbro con aria
nervosa, e
non dava minimamente segno di voler afferrare la cartella e scendere.
“Sakura,
siamo arrivati. Vorresti, per
cortesia…?” riprese Sasuke, senza nemmeno
nascondere l’irritazione.
Che si
tramutò istantaneamente in un fastidiosissimo senso di
colpa, quando si accorse
che lei aveva gli occhi lucidi.
Che non le
andasse a genio, vista la situazione, dover terminare
l’ultimo anno e prendere
il diploma di maturità non gliel’aveva mai
nascosto, ma tutto sommato aveva
sempre amato molto studiare e non si era mai lasciata andare a reazioni
emotive
così evidenti. Fino a quel momento.
Cosa che lo
metteva assolutamente in crisi, perché davvero lui non aveva
la più pallida
idea di come si consolasse una persona, e generalmente finiva col
piazzare una
delle sue solite frasi taglienti che decisamente non aiutavano.
Risposte da
sociopatico, diceva Naruto, il suo migliore amico.
“Co… Ma…
Sakura, che diavolo c’è,
ora?!”
Appunto.
Non si
sorprese di essersi guadagnato un’occhiataccia rabbiosa e
ferita, e sentendosi
vagamente incapace e colpevole, prese un bel respiro e decise di
riprovarci,
magari con qualcosa di semplice semplice.
“Perché
piangi?”
Già meglio.
Lo sforzo di
Sakura per mantenere ferma la voce mentre gli rispondeva fu immane, ma
venne
premiato.
“Non ho
voglia di andare.”
“Avevo
intuito. Immagino che la tua situazione sia difficile da sostenere, ma
non mi
era parsa così intollerabile, fino ad ora.”
Sakura prese
un nel respiro, e ponderò attentamente la risposta prima di
aprire bocca.
“In effetti
fino ad ora non era così improponibile, come
quotidianità. Forse perché non…
Non si vedeva tanto, e quindi non
era
difficile comportarsi come sempre.
Ma adesso
sta diventando diverso, mi stanco di più, faccio
più fatica a rimanere in piedi
quando mi interrogano perché dopo un po’ mi viene
il mal di schiena, ma se
chiedo di sedermi le deficienti delle mie compagne si metteranno ad
urlare al
favoritismo. E poi non voglio che i professori mi compatiscano. Faccio
più
fatica a concentrarmi nello studio, perché dopo poco mi
sento già esausta.
La lezione
di educazione fisica com’è naturale la salto, ma
mentre aspetto seduta è tutto
un susseguirsi di sguardi a mio indirizzo. Le mie amiche non hanno
cambiato
atteggiamento nei miei confronti, ma le altre ragazze tendono a
guardarmi come…
Beh, più o meno come una puttana, direi, e bisbigliano.
Tentano di non farsi
vedere e sentire ma non sono stupida. Per di più, i vestiti
cominciano
necessariamente ad andarmi stretti e rendono la cosa
molto più evidente, il che, è ovvio,
non aiuta.”
Sasuke
rimase in silenzio per qualche minuto – tanto, ormai, il
ritardo di entrambi
era irrimediabile –, vagamente frastornato da quella marea di
pensieri che gli
era appena piombata addosso.
Anche lui si
era ritrovato davanti a delle difficoltà che gli erano parse
insormontabili:
aveva dovuto prendere atto della situazione, informare i propri
genitori, pensare
a come affrontare l’intera faccenda, andarsene di casa,
imparare da un giorno
all’altro ad essere completamente autosufficiente e a vivere
insieme a lei, lui
che aveva sempre avuto un carattere così taciturno,
solitario, schivo.
Era
cresciuto in una famiglia altolocata e facoltosa, ed essendo il piccolo
di casa
era stato seguito in ogni cosa – Itachi preferiva dire, un
po’ scherzando un
po’ seriamente, ‘schifosamente viziato’
-, quindi non era mai stato granché
abituato a fare caso ai problemi degli altri.
Infatti, pur
comprendendo che la situazione di Sakura fosse critica quanto la sua,
non aveva
mai messo realmente in conto che le difficoltà che avrebbe
incontrato lei
sarebbero state oggettivamente peggiori.
Tanto per
dirne una, nessuno che non lo conoscesse avrebbe potuto giudicarlo,
come invece
accadeva a lei ogni volta che le presentavano una persona nuova, dato
che gli
sguardi incuriositi, ultimamente, andavano inevitabilmente a
soffermarsi sulla
sua pancia tonda.
“Sas’ke…?”
La voce di
Sakura lo riportò al presente, bruscamente.
“Dimmi.”
“N-no,
niente. È che è tardissimo, quindi è
meglio se mi do una calmata e vado.”
“Ferma,
tanto vale che ormai tu entri alla seconda ora e io vada alla lezione
dopo. La
giustificazione puoi firmartela tu, quindi non ci sono
problemi.”
“Eh… Ok.
Cosa… facciamo?”
“Parliamo,
direi.”
“Ah.”
Sakura non
fu in grado di andare oltre quella monosillabica replica, sorpresa
com’era
dalla proposta; sentire che Sasuke era propenso ad una chiacchierata
era un po’
come trovarsi davanti ad un vegetariano che proponeva una scorpacciata
da
McDonald’s.
“Sinceramente,
non mi ero reso conto che i problemi fossero questi”
esordì lui. “Ero convinto
che il peggio sarebbe passato una volta che avessimo deciso cosa fare
del
bambino, se tenerlo o… Hai capito.”
Sakura
annuì, compresa, cercando di non perdersi; i suoi discorsi
potevano essere
contorti, a volte, e non era certo il momento di chiedergli di ripetere.
“Poi certo,
avevo messo in conto il fatto che avremmo dovuto parlare con i nostri
genitori,
e tutto sommato avevo anche previsto abbastanza bene le loro reazioni.
Ecco,
non mi aspettavo che al di là dell’incazzatura mio
padre avrebbe praticamente
smesso di considerarmi, ma è andata così.
Adesso però
mi sto rendendo conto che non avevo afferrato che il problema maggiore
sarebbe
stato la quotidianità del dopo.”
Sakura
abbassò il capo, in un assenso silenzioso. Poi si
sentì in obbligo di parlare.
“Non
intendevo lamentarmi, non… Io mi rendo conto che dovrei solo
essere grata per
tutto, visto e considerato che non devo muovere un dito e risolviamo
tutto con
i soldi di tuo padre, ma-”
“Io invece
preferirei dover lavorare piuttosto che avere un padre che considera
esaurito
il suo dovere con una carta di credito, ma non ha importanza, non
è qui che
volevo arrivare.”
“Ah…”
“Sakura, tu
sei felice così?”
La domanda
ebbe l’immediato esito di spiazzare la ragazza,
perché Sasuke non amava
manifestare i sentimenti e generalmente disapprovava anche le persone
che
sbandieravano i propri, quindi sentirsi chiedere tanto direttamente una
cosa
del genere...
Gli occhi
scuri di lui, dietro un’impazienza irritata simulata alla
perfezione, parevano
nascondere un’ansia indicibile.
E dietro
l’ovvio parlavano d’altro, e dicevano
sarò padre ma non sono pronto, la mia
vita è vincolata ma non so se volevo questo, avrò
un bambino tra le mani e non so
nemmeno da dove cominciare, devo
vivere come un adulto ma sono un ragazzo e ho ancora voglia di
divertirmi e
fare cazzate insieme ai miei amici, devo tornare
dall’università e mettermi a
riempire lavatrici mentre prima grazie a mia madre a stento sapevo cosa
fossero.
“Sakura, per
favore, rispondi.”
“Non mi stai
facendo una domanda leggera, e voglio rispondere con
cognizione.”
E quando lo
guardò anche gli occhi di Sakura parlarono, e dal fondo del
loro verde dicevano
ho una paura tremenda, porto dentro di me una vita ogni minuto e il
senso di
responsabilità mi schiaccia anche quando accelero un
po’ di più con il
motorino, vorrei potermi bere un drink con Ino ma non posso
più bere alcol,
vorrei portare ancora una minigonna che prima mi stava tanto bene ma
adesso non
ci entro nemmeno più, e devo vedere di continuo tutine,
scarpette, sonaglini,
bavaglie, culle per pensare al dopo
quando ancora adesso mi rimetterei io, a giocare con le bambole.
“Ti mentirei
se dicessi che tutto questo non mi pesa.”
L’ansia di
Sasuke si dilatò un poco nel sentire quell’incipit
che non prometteva un
seguito per nulla felice, ma si costrinse ad ascoltarla
finché non avesse
finito.
“Ti
mentirei, ma è anche vero che io e te ci amiamo, e il
bambino è nato da quel
sentimento, per questo ho deciso di tenerlo, con il tuo appoggio. Credo
che il
senso d’inadeguatezza finirà per schiacciarmi
prima o poi, ma ho la possibilità
di mettere al mondo mio figlio e vivere con suo padre. Sì,
direi che sono
felice.”
Sasuke emise
un lungo sospiro e riuscì a stento a mascherare il sollievo
mentre tentava di
comportarsi come se avesse sempre confidato in una risposta del genere;
senza
guardarla parve annuire tra sé, compreso.
“Sei felice.
E allora fregatene di chi ti rende la vita impossibile, tra quelle
quattro
mura. Pensa al tuo diploma, pensa ai tuoi voti, e il resto chiudilo
fuori. È
come hai detto tu, è stato amore. Quindi lascia che parlino
pure senza nemmeno
capire cosa stiamo vivendo. Anzi, alla prima occasione, ridi loro in
faccia.”
Sakura lo
guardò con tenerezza mentre arrossiva per essersi esposto in
quel modo, gli
stampò un bacio sulla guancia e, facendosi coraggio,
uscì dalla macchina, senza
aggiungere altro.
Per
la
verità, Sakura non si sentiva ancora sicura come aveva
voluto mostrare a
Sasuke, ma cercò comunque di ignorare i soliti sguardi
quando entrò nella
grande hall della scuola.
Non era
semplice.
Ogni
occhiata era un giudizio, e praticamente ogni sguardo rispecchiava la
disapprovazione di chi lo lanciava verso di lei, ragazza irresponsabile
e
scostumata che si era cacciata in quella situazione spinosa e aveva
scelto di
rimanerci.
Nonostante i
buoni propositi e le parole di Sasuke, ogni metro era un peso e lei
gradualmente abbassava lo sguardo, poi la testa, poi incassava le
spalle.
Finché, a
metà del lungo corridoio, sentì un colpetto
all’altezza dell’ombelico, leggero,
minuscolo, dato da un pugnetto o da un piedino, chissà.
Veniva da
dentro di lei, e aveva il potere di arrivare là dove nemmeno
Sasuke aveva
potuto.
Siamo in due, bimbo. Possiamo vincere contro
tutti.
Con passo
ridivenuto quasi marziale, giunse alla porta chiusa della sua classe e
con
decisione bussò.
Circa
due
secondi dopo aver visto Sakura entrare nel portone della scuola, Sasuke
decise
che le lezioni di quel giorno non erano poi così
fondamentali, quindi optò per
una giornata di attività utili
alternative.
Invece di
continuare verso l’università svoltò
per una via laterale, e seguendo un
percorso noto giunse ad una zona signorile e si arrestò
davanti ad un
grattacielo moderno e rampante.
Entratovi,
prese il primo ascensore disponibile e una volta giunto al piano
desiderato
imboccò un corridoio e si diresse verso una porta lucida e
scura.
Ignorando le
proteste vagamente starnazzanti della segretaria (“Un
momento, prego, il
dottore è estremamente impegnato, ora, e proprio non
può ricevere…”) bussò, e
senza attendere risposta aprì, entrò e richiuse
l’uscio alle sue spalle.
Dalla
scrivania un uomo alzò il viso per guardarlo, indurendo la
propria espressione
non appena lo riconobbe.
Sasuke
sostenne il suo sguardo, deciso.
“Buongiorno,
papà.”
TOC TOC!
“Sì, avan-
ah, buongiorno, Haruno. Entri alla seconda ora, giusto?”
“Sì, professor
Hatake, mi scuso per aver interrotto la lezione.”
“Non fa
nulla. Accomodati.”
Come di
consueto prese posto tra Ino ed Hinata, che la salutarono
amichevolmente con un
sorriso informandosi premurosamente su come stesse.
Sakura
rispose e salutò silenziosamente le altre sue amiche
– Tenten, Temari, Matsuri
– sparse per i banchi della classe.
Estrasse
dalla borsa libro e quaderno per la lezione e si mise attenta,
ignorando le
occhiate di scherno che venivano da Karin, Kin e le altre, forte del
suo coraggio
ritrovato.
“Scusa,
Haruno, la tua giustificazione per il ritardo
è…?” chiese il professore,
intento alla compilazione del registro.
Anzi, alla prima occasione, ridi loro in
faccia.
“Il mio
bambino continuava a scalciare e non sono riuscita a dormire bene,
professore,
per questo ho pensato di riposarmi un’ora in più
ed entrare dopo” rispose
semplicemente Sakura, con un sorriso sicuro.
“Molto…
Bene. Ricordati di firmare qui, prima di uscire.”
“Certo,
grazie.”
Trionfante,
Sakura guardò Karin negli occhi; disorientata,
l’insopportabile compagna non la
scherniva più.
“Mi
pareva
di essere stato chiaro, Sasuke. Non è di mio gradimento
incontrarti ancora qui
o a casa.”
“In quella
casa sono nato e ci vivono ancora mia madre e mio fratello, che a
quanto so
sopportano ancora la mia vista.”
“Cosa
sopportino loro non ha
importanza.”
Fugaku
Uchiha posò la costosa penna d’oro sul tavolo
laccato, decidendosi ad
abbandonare il lavoro per un attimo.
“Perché sei
qui?”
Sasuke
deglutì nervosamente, costringendo se stesso a non
retrocedere, prendere la
porta e dileguarsi.
Aveva sempre
avvertito con enorme soggezione la figura paterna, e la perenne
sensazione di
inadeguatezza che la vicinanza del padre gli provocava era sempre stata
per lui
un incredibile freno.
Ma la
consapevolezza che, di lì a poco, sarebbe stato un padre anche lui gli diede la forza per
discutere guardandolo negli occhi.
“Volevo
parlarti. Mi rendo conto di essermi comportato con leggerezza e
superficialità,
coinvolgendo con il mio comportamento irresponsabile la mia ragazza e
un
bambino che è al centro di una polemica infinita ancora
prima di nascere. Ma
non credo di essermi meritato per questo l’appellativo di
‘inutile figlio
rovinaimprese’.”
Fugaku lo
squadrò.
“Avresti
potuto diventare un grande amministratore per quest’azienda,
insieme a tuo
fratello. Avresti potuto arrivare molto in alto, sposare una ragazza di
una
famiglia facoltosa e crearti una posizione inattaccabile
nell’olimpo degli
imprenditori. Ti sei precluso tutto questo per la sciocchezza di una
notte e
hai preferito perseverare nel tuo errore piuttosto che… rimuovere il problema e proseguire per la
tua strada.”
“Riconosco
che sia stato un imprevisto, ma non è la sciocchezza di una
notte. E poi a
volte le cose non vanno come vorremmo, ma questo non significa che
percorriamo
la strada sbagliata.”
“Dunque non
hai cambiato idea.”
“No, il
bambino nascerà e sarà per te un nipote, che ti
piaccia oppure no. Anche se
sarà a tua discrezione decidere se essere qualcuno o no per
lui.”
“Non hai la
minima idea di cosa voglia dire essere padre.”
“Direi
proprio di no. E tu non mi stai aiutando.”
Fugaku a
quel punto sospirò pesantemente, passandosi una mano sugli
occhi con aria
stanca.
“Non è una
cosa che si insegna. Si acquisisce quando è il momento
giusto.”
“Vorrà dire
allora che mi ingegnerò per acquisirla presto.”
A quel punto
il giovane voltò le spalle al padre e posò la
mano sulla maniglia, facendo per
aprire la porta.
“Te ne vai?”
“Per ora non
credo abbiamo altro da dirci, papà.”
Lo scatto
secco della porta che si chiuse ebbe per entrambi il suono definitivo
della
pallottola che scatta dalla pistola.
Le
luci del
locale erano colorate e calde, anche se l’atmosfera risultava
vagamente
soffocante – o almeno, Sakura aveva questa impressione.
Una volta
terminata la sua giornata a scuola Sasuke era passato a prenderla e
visto che
nessuno dei due aveva voglia di tornare a casa avevano deciso di cenare
fuori
con qualcosa di leggero.
“E allora
dopo che ho risposto così quelle quattro idiote hanno smesso
di ridacchiare
come ritardate.”
Sakura aveva
appena raccontato, allegra, il nuovo e positivo sviluppo della sua
giornata,
mentre Sasuke ascoltava, vagamente compiaciuto – anche se mai
l’avrebbe
ammesso, di essere orgoglioso di lei.
“E tu,
invece? Mi sembri piuttosto giù, stasera. Per caso ti
è successo qualcosa
all’università?”
Sulle prime
lui rimase in silenzio, non del tutto sicuro di volerle raccontare la sua giornata, ma infine cedette e
abbassando lo sguardo iniziò a parlare, tamburellando
nervosamente sul tavolo.
“Non ci sono
neanche andato, oggi, sono passato in ufficio da mio padre.”
Sakura
spalancò gli occhi, sorpresa.
“Oh! E com’è
andata?”
“Non ha
cambiato idea, come me del resto, quindi non si è risolto
niente.”
“Mi
dispiace.”
“A me no”
ribatté Sasuke, vagamente assorto. Poi la guardò.
“L’incontro
di oggi mi è servito a capire che non ho bisogno della sua
approvazione per
costruire una famiglia mia. Mi sono reso conto che anche io sono
contento
così.”
Aveva
concluso la frase con un tono di voce così basso che Sakura
non era neanche
certa di aver sentito bene quello che aveva detto, ma il solo dubbio le
aveva
donato una serenità tanto profonda che non volle verificare
l’esattezza della
sua supposizione.
Gli prese la
mano con vaga circospezione, e si sorprese di sentirlo ricambiare la
stretta
con inaspettato vigore.
“Camicia
da
notte, bagnoschiuma, detergenti vari, creme, completino per il
bimbo…”
“Sakura, sto
cercando di studiare. Puoi mica
fare
quella borsa in silenzio?”
“Ma come fai
a non essere agitato? Insomma, è la borsa
per quando…!”
“Ma dai.”
“Non essere
scorbutico. Sto preparando tutto per quando nascerà, e
voglio che sia perfetto
e che non ci manchi niente durante il periodo di osservazione dopo il
parto.”
Rassegnato,
Sasuke chiuse il libro su cui era chino e la guardò.
In quei
mesi, invece di sciuparsi, Sakura era fiorita: aveva terminato la
scuola
superiore e ottenuto la maturità con ottimi voti, non doveva
più affaticarsi
sui libri o rodersi per qualche commento di troppo e poteva riposare
quanto le
aggradava.
La sua
silhouette era inevitabilmente parecchio arrotondata, considerato che
era
all’ottavo mese, ma il suo umore era ottimo e ultimamente
tendeva ad aggirarsi
per casa con un andamento incredibilmente saltellante un po’
inusuale per una
ragazza in attesa.
Sasuke non
era tipo da fare commenti, ma non poteva che compiacersi della
serenità di lei,
tanto più che tutto quel buonumore contribuiva a rendere
vagamente meno orso
anche lui.
“Ah, già, la
mamma mi ha detto di non dimenticarmi le pantofole…
Sas’ke, ti viene in mente
qualcosa?”
Sasuke si
limitò ad alzarsi dal tavolo per dirigersi verso la
stanzetta che avevano
allestito per il bimbo, e ne uscì poco dopo con entrambe le
mani occupate.
“Ah, giusto,
non avevo preso le scarpine per lui, grazie. Sono quelle che ci ha
regalato
Itachi, vero?”
Sasuke
annuì, e attese che lei le avesse accuratamente riposte le
passò l’oggetto che
teneva nell’altra mano, irriconoscibile, visto che era
accuratamente
impacchettato in carta dai colori vivaci.
“Oh, e questo?
Per me?” fece Sakura raggiante. Pareva lei, la bambina,
pensò Sasuke con vaga
condiscendenza.
“Non
proprio, a dire il vero. Ma puoi scartarlo tu lo stesso.”
Senza
aggiungere altro Sakura glielo tolse dalle mani iniziando subito a
rimuovere lo
scotch che fermava gli angoli della carta piegata, e qualche secondo
dopo
sorrise intenerita alla vista di un piccolo peluche di quelli che,
tirando una
cordicella, diffondevano una melodia come di carillon.
“L’hai preso
tu?”
“Sì. Mi sono
ricordato che ne avevo uno simile da piccolo, e mi piaceva ascoltare la
musica.
Volevo portartelo una volta che fosse già nato, ma ti ho
visto fare la borsa
adesso, e quindi…”
L’imbarazzo
mortale che sentiva lo stava destabilizzando, quindi decise di tacere.
“È davvero
perfetto, Sas’ke. Lo adorerà.”
Commentò Sakura, abbracciandolo – non senza
difficoltà, dato l’ingombro.
Ancora
rigido per la vergogna Sasuke le cinse le spalle a sua volta.
Aveva
ragione Fugaku, concluse. Si acquisisce.
Era
giusto
l’orario di visita, e il corridoio del reparto
maternità della prestigiosa
clinica privata pareva ingombro di mille persone, tanti erano i parenti
e amici
che si aggiravano per le stanze carichi di fiori per le puerpere e
pacchettini
per i neonati.
La folla
maggiore, comunque, si concentrava davanti ad una parete di vetro che
separava
il corridoio dalla nursery del reparto: decine di nasi quasi addossati
alla
superficie trasparente osservavano febbrilmente i visini dei bambini
nelle
culle, riconoscendovi – o volendo riconoscervi –
tratti conosciuti.
Fortunatamente
essere il figlio di Fugaku Uchiha, per quanto i rapporti tra loro si
fossero
mantenuti distanti, aveva consentito a Sasuke di ottenere una stanza
lontano
dal marasma di voci, passi e calore, in cui Sakura sarebbe rimasta con
il piccolo
finché non l’avessero dimessa.
In quel
momento si trovavano giusto lì, con la porta chiusa a tenere
fuori il baccano,
Sakura sul letto, ancora in fase di recupero dopo il parto, Sasuke in
piedi
appoggiato al tavolo lì accanto e Itachi seduto sulla
poltroncina della stanza,
con il nipotino neonato in braccio.
“Siete
giovani, ma avete fatto un ottimo lavoro, mi pare”
scherzò il maggiore dei
fratelli, osservando con attenzione i tratti delicati del bambino.
“Ti somiglia
parecchio, otouto” concluse poi, placido.
Sasuke serrò
la mascella e con un secco cenno del capo guardò in
un’altra direzione,
completamente preda della tempesta di emozioni che lo stavano assalendo.
In quel
momento, in particolare, non sarebbe stato in grado di dire se si
sentiva più
imbarazzato o orgoglioso, e naturalmente c’era anche da
aggiungere una buona
dose di rimbambimento da mancanza di sonno, dato che il pargolo aveva
scelto
l’interessante orario delle due di notte per venire al mondo.
“Sono
contenta che tu sia venuto, Itachi.” disse Sakura con
sincerità, sorridendo
all’indirizzo del fratello di Sasuke.
“Non potevo
perdermi l’arrivo del nipote.” le rispose con un
occhiolino. “Anche se forse
devo darmi una mossa e sistemarmi anche io, non vorrei mai che il mio
adorato fratellino mi passasse
davanti.” fece
poi lanciando un’occhiata scherzosa a Sasuke, che
ricambiò con una fulminata da
manuale.
“I tuoi
genitori sono già passati stamattina?”
“Sì, sono
passati, poi sia io che Sas’ke volevamo riposare un
po’ e quindi se ne sono
andati. Torneranno stasera.”
“Immagino
siano stati felici” commentò Itachi educatamente.
“Oh, sì, lo
erano, a scapito di tutto. Mia madre l’ha anche preso in
braccio e non lo
mollava più.”
A quel punto
cadde un silenzio imbarazzato, dal momento che tutti e tre stavano
pensando la
stessa cosa senza avere il coraggio di esprimersi in merito.
Infine fu
Sasuke, ostentando massima indifferenza, a rompere il ghiaccio.
“Itachi, ho
mandato un messaggio a papà, stamattina, giusto per
avvertire. Per caso…?”
“Sicuramente
l’ha letto, visto che mi ha chiesto se stessi venendo qui,
quando mi ha visto
uscire di casa. Non so poi cosa pensi di fare. La
mamma verrà sicuramente, comunque. Non
vedeva l’ora, ma stamattina aveva un impegno. Può
anche darsi che arrivi tra
poco.”
Sasuke annuì,
compreso, senza aggiungere altro.
“Non
preoccuparti, Sas’ke, sai com’è
papà.”
Itachi
lanciò al fratello minore uno sguardo significativo, che fu
ricambiato in un
contatto visivo fraterno particolarmente intenso che fece sentire
Sakura un po’
esclusa.
Poi il bimbo
lanciò un vagito dalle braccia di Itachi, distraendoli, e il
discorso cadde.
Nessuno
parlò per un po’, ma poco dopo sentirono un
cadenzato rumore di tacchi dal
corridoio, finché qualcuno bussò sommessamente
alla porta.
Sakura,
allegra, disse “Avanti” e l’uscio si
schiuse, rivelando il viso impaziente e
sorridente di Mikoto Uchiha.
Sasuke aveva
fatto per andare incontro alla madre, ma la porta a quel punto si
aprì del
tutto rivelando, di fianco a lei, la figura solida e alta di Fugaku.
Mentre Mikoto
lo salutava con un bacio frettoloso sulla guancia e si precipitava da
Itachi
facendosi consegnare il pargolo, estasiata, Sasuke rimase immobile
davanti al
padre, teso, salutandolo infine con un semplice
“Ciao.”
“Ciao,
Sasuke.”
Fugaku
entrò, con l’andamento di chi cammina in
equilibrio su uova fresche, oltrepassò
il figlio e raggiunse la moglie, osservando assorto il nipote.
Rimasero un
quarto d’ora circa, poi Itachi e Fugaku riuscirono, con
un’azione combinata, ad
indurre Mikoto a lasciare il bimbo in braccio a Sasuke; poi, dopo aver
salutato
lui e Sakura, se ne andarono, non senza che Fugaku, prima di andarsene,
lanciasse un’occhiata impenetrabile al figlio che ancora
reggeva il bimbo.
Più
tardi,
quando anche Sasuke fu a casa per una dormita come si deve dopo la
giornata
decisamente lunga, vide il display del suo cellulare accendersi,
recando
l’avviso nuovo messaggio da:
Papà.
Febbrilmente
aprì l’sms, e un dilagante sollievo lo invase,
contro ogni controllo, quando ne
lesse il testo.
Vedo che hai appreso in fretta, Sasuke. Vi
aspettiamo a pranzo mercoledì, o tua madre mi
renderà la vita impossibile.
La risposta
di Sasuke fu telegrafica e diretta come sempre, ma entrambi ne
compresero il
significato recondito.
Ci saremo. Grazie.
La
vita con
un bambino piccolo non era facile per due ragazzi che fino a pochi mesi
prima
conducevano una normale vita da diciotto-ventenni, studio, pizze con
gli amici,
discoteche, libertà.
Nonostante
il consistente aiuto che le due agguerrite nonne davano, accudendolo
quando
Sakura e Sasuke dovevano seguire le lezioni universitarie, il bimbo
imponeva ai
giovani genitori alzatacce, ore contate per i pasti, pannolini e anche
qualche
notte in bianco, come quella che avevano appena trascorso per una
colica
particolarmente persistente. Fortunatamente era domenica mattina.
“Domani lo
portiamo da mia madre o dalla tua” borbottò
Sasuke, sfinito, mentre posava con
cautela nella culla il bimbo che era appena riuscito ad addormentare
“E noi
rimaniamo qua a dormire. Si fottano anche le lezioni.”
“Guarda che
a Medicina la frequenza è obbligatoria” fece
Sakura stanca, versandosi del
caffè “Non posso mica stare a casa quando mi
pare.”
“Per un
giorno non morirà mica qualcuno.”
Sakura lo
guardò dubbiosa, poi la mancanza di sonno ebbe la meglio.
“E va bene,
portiamolo da qualche parte e dormiamo.” Osservò
da lontano con tenerezza la
culla dove giaceva addormentato suo figlio,
assorta.
“Ci porterà
al collasso” mormorò Sasuke contrariato.
“Ma
finiscila. Io avevo detto di lasciarlo a piangere un po’
nella culla, che si
sarebbe calmato lo stesso. Invece qualcuno
ha insistito per cullarlo tutta la notte, avanti e indietro per il
corridoio.
Per forza sei stanco.”
“Sei una
madre degenere.”
“Se un padre
iperapprensivo.”
“Cazzate.”
Sakura lo
guardò e non seppe trattenersi oltre, così
scoppiò in una risata che cercò di
soffocare in fretta per non svegliare il pargolo.
“Ma
guardaci, sembriamo due relitti in pensione, seduti al tavolo con la
tazza di
caffè e le occhiaie fino ai piedi.”
“Io non ho le
occhiaie.”
“No,
scusami, tu sei perfetto.”
“Grazie.”
Calò il
silenzio e si guardarono.
“Se è così
adesso poi ci sarà da ridere.” commentò
Sasuke sottovoce.
“E allora
rideremo, che vuoi farci? Sorridi, Sasuke. Va bene così,
siamo una famiglia.
Funzioniamo.”
Lui la osservò,
indeciso se dargliela vinta. Poi le sue labbra si incresparono
impercettibilmente, in un mezzo sorriso assonnato.
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Grazie
comunque, Ainsel, per essere stata comprensiva. ^^
E grazie a chi ha letto e vorrà recensire! :D
A presto!
Panda