Per scrivere questa ho battuto il mio record di
velocità, credo, ma non dovrebbero esserci errori né eccessive
ripetizioni, ho controllato e ricontrollato.
E’ un po’ sciocca, ma credo si tratti
più che altro di una preparazione per qualcosa di più
approfondito.
Sembrerà strano, ma la dedico a mio fratello.
Che non centra nulla, poveretto. ^__^
Commenti, pliiiiisssss…
suni
(Approfitto di questa sede per ringraziare i
recensori di “Because”:
-
ivy_ per la lunga ed entusiastica recensione. Non ho
idea di quale sia l’altra fic di cui parli né
mi viene in mente nessuna storia che potrei aver usato come ispirazione, anche perché
oggettivamente l’ho scritta troppo di getto per ispirarmi a qualcosa, ma
sarei curiosa di saperlo… Per quanto riguarda il sequel,
non è assolutamente previsto e non saprei cosa scriverci. Grazie di
tutto
-
Sibil, mia cara, mi dispiace che la fic
non ti sia piaciuta, posso dire che lo comprendo perché è uno
scritto molto poco sensato e molto “di pancia” e probabilmente
più “mio” di altri e quindi meno interessante per il
prossimo. L’unica cosa che posso dire è che non mi sembra di
descrivere qualcuno di “perfetto”, ecco. E la parte del monologo di
Remus è effettivamente troppo lunga. In sintesi, hai ragione su quasi
tutta la linea. Bye! ^__^
-
Sarabi… Beh, basta che quelli che tu chiami spunti non assumano poi il significato
reale di plagio, per il resto, lieta
di averti ispirata! E’ vero, quel Remus è un po’ me. Si
capisce così tanto?... Comunque, grazie per l’apprezzamento
-
Francesca
Akira89 … Grazie mille!
-
Civetta_curiosa: A-hem…
grazie per aver citato i miei due slash_tesori –soprattutto
Crazy Days perché sono
sentimentalmente avvinta a quella fic- e grazie per i
sentiti complimenti. Sono ovviamente fiera di riuscire a commuovere ogni tanto
e di non aver addormentato tutti i lettori con quel monologo. Quanto alla
scrittura, mai pensato a un beta-reader per superare
il tuo blocco?)
HYMN TO FRIENDSHIP
Nella piazza deserta il rumore del baule lanciato a
terra rimbombò seccamente fino a somigliare, alle orecchie del nervoso
ragazzo, ad un suono molto più violento di quanto in realtà non
fosse.
Si morse un’unghia con ferocia, voltandosi
indietro per scrutare le profondità buie del corridoio, verificando che
nessuno l’avesse sentito. Il silenzio gli sembrò tutto ad un
tratto minaccioso, pregno di movimenti inattesi. Tendendo l’orecchio
percepiva con facilità suoni che normalmente non avrebbe neanche
considerato, né percepito; ed ognuno di essi poteva essere lei.
Se l’avesse visto scappare lo avrebbe ucciso,
lo sapeva.
Sarebbe morto se lo scoprivano, letteralmente; un
simile affronto non sarebbe stato tollerato.
Si portò istintivamente la mano al viso,
carezzando senza badarvi il taglio che gli correva lungo la guancia e sulla
tempia. Se fosse caduto con il collo appena un po’ girato quel piede di
tavolo lavorato non gli avrebbe graffiato la faccia ma cavato un occhio.
Dopo una ragionevole attesa, sentì i polmoni
decomprimersi: la vecchia non l’aveva sentito, poteva andare, il piano
procedeva.
Non che avesse un vero e proprio piano, Sirius
Black, quella notte. Non aveva programmato la fuga –anche se mille volte
l’aveva sognata- ma l’anatema di quel pomeriggio gli faceva ancora
male alle ossa. La sua mente gli ribadì per l’ennesima volta non ne posso più, basta, non ne posso
più, e per l’ennesima volta i suoi occhi si riempirono
automaticamente di lacrime. E’ una
persecuzione, basta, io non ce la faccio. Vi odio tutti, io non vi ho fatto
niente.
Era tutta la sera che si ripeteva mentalmente la
cantilena, con l’ingiustizia e l’impotenza che gli martellavano in
petto dolorosamente. E ad ogni nuova frase pensata le lacrime si facevano
più copiose, con una sorta di truce soddisfazione.
Comunque, la decisione di fuggire era stata
improvvisa.
L’aveva sentita dire che prima di andare a
letto dovevano ancora parlare con “il degenerato”, e suo padre
aveva risposto che sapeva come parlargli, lui.
Non poteva più sopportare tutto quel dolore.
Non voleva più trattenere le urla.
Non ce la
faccio più, basta, basta. Si ripetè di nuovo
con un muto singhiozzo.
Tirando su silenziosamente con naso, scavalcò
il davanzale della finestra e vi rimase appoggiato per qualche istante, i piedi
ancorati al cornicione.
Se la sua scopa non fosse stata “al sicuro” –come aveva minacciosamente affermato
suo padre- nella cantina, Sirius Black si sarebbe trovato in una situazione
molto meno complessa.
Il salto era di circa tre metri, una considerevole
altezza, e il tonfo certo sarebbe giunto alle loro orecchie. Con il baule era
andata bene, appallottolato com’era nei tessuti raccolti in tutta la
camera e nel salotto non aveva prodotto un rumore troppo forte.
Poteva farsi male cadendo da lassù.
Ma doveva fare presto. Erano ancora in sala, ma
presto sarebbero saliti in camera e lui non doveva più essere lì.
Forse Felpato se la sarebbe cavata meglio, sarebbe
rotolato in terra senza preoccupazioni. E Felpato era sicuramente più
robusto e resistente di Sirius. Ebbe un moto d’invidia per La McGranitt: potersi trasformare in gatto in quel momento gli
sarebbe stato straordinariamente utile.
Se qualcuno lo vedeva tramutarsi era la fine. Ma
comunque, farsi trovare lì in piedi sul cornicione l’avrebbe portato
ad una fine anche peggiore. Con una scrollata di testa, prese fiato e
gettò un ultimo sguardo intorno; un istante dopo, un grosso cane nero
guardava l’asfalto della piazza con grandi occhi perplessi.
“JIMMYYY!!!” lo chiamò la voce
esasperata di sua madre, dal piano inferiore.
James sospirò rumorosamente, limitandosi ad
alzare il volume della musica assordante nel nuovo Diffusonoro
di suo padre.
Sapeva che qualunque cosa la madre volesse dirgli,
doveva avere a che fare con la mole spropositata di compiti che doveva ancora
iniziare e che avrebbe fatto bene a eseguire scrupolosamente in vista dei MAGO
dell’anno seguente.
Certe volte, sua madre sembrava dimenticare che non
era più al secondo anno.
Da cui, l’innalzamento del volume della
canzone.
Distrattamente, afferrò sul comodino un
quadernetto sdrucito e consunto, chiazzato in più punti dalle più
disparate sostanze –ben visibile era, sul retro, una grossa sgocciolata
di salsa di pomodoro.
Il Quaderno Segreto dei Marauders.
Al momento era stato affidato a lui, perché:
Remus avrebbe avuto in casa un’invasione di cuginetti
sciamanti capaci di arrivare ovunque e distruggere qualunque cosa come
agguerrite locuste; Sirius, beh, lui non poteva certo tenere a Grimmauld Place qualcosa di
così compromettente, ne andava della sua pelle; e Peter, insomma lui lo
avrebbe sicuramente perso o qualcosa del genere.
Non che Peter fosse un idiota, ecco. Era in gamba, a
modo suo. Solo, ogni tanto perdeva un po’ di colpi, tutto lì.
Mentalmente esclamò la rituale formula dei suddetti
Marauders –che era stata riutilizzata anche
più recentemente per la creazione della strepitosa Mappa di Hogwarts da
loro disegnata. Immediatamente, l’incantesimo che bloccava il quaderno
scattò e lui potè tranquillamente
aprirlo, mentre una cascata di fogli volanti, fotografie e bigliettini gli
precipitava in grembo e le quasi mille pagine di quaderno si rivelavano nel
loro autentico spessore. Saltò velocemente alle ultime facciate scritte
e s’immerse nella lettura.
La pagina su cui posò gli occhi era stilata
nella grafia ordinata di Remus e riferiva in proposito della Festa di fine anno
di Casa, da loro organizzata in gran segreto nella Sala Comune di Grifondoro e
considerata un autentico, spassoso trionfo a detta di tutti, Silente compreso.
James scoppiò a ridere a più riprese, nonostante non fosse certo
alla prima lettura, ad ogni frase di Remus, con quel suo umorismo nascosto e
raffinato. Gli sembrava di sentire leggere l’amico stesso ad alta voce,
con la sua cadenza tranquilla e l’ironia arguta ed invisibile che sapeva
dare ad ogni parola.
Questa era una delle cose belle di conoscersi tanto
bene.
Sirius
è stato tremendamente imbarazzante. Era così ubriaco che sul
più bello, vale a dire quando la gente normale cominciava ad essere un
po’ intontita e tranquilla, ha pensato bene di precipitarsi in centro
Sala in mutande con addosso il reggiseno sottratto alla sua ultima fiamma.
Dopodichè, nel caso non fosse ancora riuscito a sembrare
incommensurabilmente idiota, ha cominciato a berciare: “Non sarei magnifico
persino come donna?”.
Mi
vergognavo tanto che ho pensato di andare a chiudermi per sempre nella
Stamberga. Poi ho visto la faccia marmorea di Peter e ho pensato che in fondo
potevamo sostenerci a vicenda.
Ho
cambiato idea quando, tre minuti dopo, Peter si è messo a ballare il
flamenco sulla poltrona sbattendo dei rompighiaccio come nacchere.
Terribile.
James, riletto il passo, scoppiò a ridere a
crepapelle nel ricordare la gustosa e demenziale scenetta di cui Felpato li
aveva omaggiati, e l’aggraziato balletto di Codaliscia.
“JIIIIIIMMM!!” chiamò ancora sua
madre con la medesima intonazione.
Le
pagine seguenti, naturalmente, riportavano le tre altre versioni della festa
dei Marauders restanti.
Quella di Sirius –un’interminabile,
illeggibile scarabocchio pomposo- iniziava:
Nessuno capisce nulla
qui. Io sono divertentissimo e Remus non riesce a rilassarsi nemmeno quando
è ubriaco.
James mi ha vomitato
sui pantaloni nuovi.
Non è che mi
dispiaccia tanto per i pantaloni, ma è una questione di principio: non
si vomita addosso ad un amico.
Scoppiò a ridere un’altra volta. In
effetti, aveva bevuto decisamente troppo quella sera.
Naturalmente la cosa non aveva fatto che attirargli
i disgustati commenti di Lily Evans, la quale
però non aveva potuto fare a meno di commentare con entusiasmo le
magnifiche decorazioni da lui approntate.
Era solo questione di tempo, la fanciulla stava per
cedere. Con quest’ottimistico pensiero,
saltò alla parte seguente.
Credo di aver
usato dei rompighiaccio come nacchere.
E di aver ballato il flamenco. Non oso pensare a quali danni
psichici può aver provocato questo nei miei impreparati spettatori.
Sirius è riuscito ad appartarsi con quattro ragazze
diverse.
James si è preso una bicchierata dalla Evans.
Beh, forse questo particolare non era così spassoso.
“JAMES!” –la voce di sua madre non
era solo alta più di prima, ma si stava anche pericolosamente
avvicinando, e poté sentire i suoi passi per le scale- JAMES ALLEN
POTTER!! E’ IMPORTANTE!!”
Con un sospiro, leggermente sorpreso
dall’allarme che gli era sembrato di percepire nel richiamo, James si
catapultò giù dal letto, e infilò i piedi nelle ciabatte
prima di andare alla porta.
“Che c’è, ma’?”
domandò cercando di mostrarsi gentile e paziente come ogni buon figlio.
Sua madre lo guardava con affettuosa solerzia e una
certa angoscia.
“Hai una visita, Jimmy”
lo informò lei con un’occhiata eloquente e un cenno verso il
basso, intimandogli di sbrigarsi.
James lanciò uno sguardo stupefatto
all’orologio da polso, domandandosi con sorpresa chi potesse andarlo a
trovare alle undici e quaranta di sera.
“Ma chi è?” borbottò
seguendola al piano di sotto.
“Credo il tuo amico Sirius, se non
sbaglio” mormorò lei incerta.
James lanciò alla sua nuca un’occhiata
di profondo compatimento: Sirius non si sarebbe potuto muovere da Grimmauld Place fino a settembre,
e di certo non da solo né in piena notte.
Nell’androne non c’era nessuno, ma la
porta di casa era socchiusa.
“Perché non l’hai fatto
entrare?” sibilò il ragazzo contrariato.
Sua madre fece spallucce.
“Ho tentato ma non voleva…”
mormorò mentre lui, con passo deciso, andava a spalancare la porta.
Livido sulla fronte e guancia sfregiata a parte,
quello era effettivamente il suo migliore amico Sirius Black, tale e quale a
quando si erano salutati quasi tre settimane prima.
Lo guardò perplesso, restando immobile.
Sirius gli restituì altrettanta
immobilità e uno sguardo colpevole e disperato, tormentandosi
nervosamente le mani e storcendo le dita.
“C-ciao”
mugugnò infine guardandosi le scarpe.
James, riprendendosi parzialmente dallo stato di
trance, si fece da parte, in un muto invito ad entrare.
Sirius avanzò di un paio di passi, ma poi si
fermò.
“Non voglio disturbare” disse deciso
scuotendo la testa.
Ma James non lo stava ascoltando: con la luce che lo
illuminava meglio, aveva immediatamente realizzato che quello che ornava il
viso dell’amico non era un graffio, ma un taglio decisamente profondo e
ancora fresco.
“Sono stati loro?” domandò
duramente, aggrottando la fronte.
Sirius riportò lo sguardo a terra e
scrollò il capo mestamente.
“Sono caduto” mormorò fermo.
James sollevò un sopracciglio, scettico: ogni
anno, a settembre, Sirius si presentava ad Hogwarts con l’aria di aver
passato l’intera estate a “cadere” misteriosamente, tanto che
tra i suoi tre amici erano nate, nei momenti di pena, ogni sorta di leggende
sui terribili percorsi ad ostacoli di cui doveva essere cosparsa casa Black.
“Capito. –rispose dando alla sua voce la
giusta inflessione perché l’altro capisse che ovviamente non gli
credeva, ma faceva lo stesso- Posso sapere cosa ci fai qui?”
domandò quindi, calmo.
Sirius, dopo una nuova esitazione, fece un cenno del
capo alle proprie spalle: James, alzandosi sulle punte, vide un grosso baule
sul vialetto d’accesso di casa sua.
Realizzò immediatamente il puntò,
sgranò gli occhi e lasciò che la mandibola gli precipitasse verso
terra, nell’incredulità.
“SEI SCAPPATO DI CASA?” strillò
tra l’orripilato e l’ammirato, indeciso
se domandarsi cosa ne sarebbe stato a quel punto della sopravvivenza del povero
Sirius o se congratularsi per l’ennesimo e riuscito colpo di testa
dell’amico.
“No. Me ne sono andato di casa. Sono maggiorenne” rispose lui in un patetico
risultato di sembrare tranquillo e padrone di sé, quando invece aveva
decisamente l’aspetto di un orfanello abbandonato e anche piuttosto
malconcio.
A James non sfuggì il tremito che
l’amico aveva disperatamente tentato di celare nella propria voce,
né la velocità con cui voltò la testa per non mostrargli,
suppose, le smorfie nel trattenere le lacrime.
“Ho capito” commentò serafico, e
quando Sirius si voltò di nuovo, per il rumore, né l’amico
né il baule erano più dove li aveva lasciati, ma James stava
trascinando le sue cose verso casa.
“A-aspetta, che
cosa…?” iniziò scattando in avanti per trattenerlo.
“Ragazzi! –cinguettò la signora
Potter comparendo dalla porta; gettò un’occhiata incuriosita al
tanto decantato amico di suo figlio e quindi sorrise genericamente- Vi preparo
un bel the?”
Sirius stava già scuotendo le mani e la
testa, ma James colse la palla al balzo e si raddrizzò ricambiando il
sorriso, con un’espressione immediatamente accattivante e responsabile
–quel che ci voleva in quel momento.
“Mamma, ti ricordi di Sirius, non è
vero? –domandò, lasciandole appena il tempo di annuire e
all’amico di sorriderle aprendo la bocca- Sirius e n’è
andato di casa proprio stasera, mamma. Starà da noi per un
po’” annunciò tranquillamente.
Tranne nei rarissimi giorni, come quello, in cui lei
lo seguiva in tutta casa rintronandolo di ramanzine per qualunque cosa, James Potter
poteva vantare un ottimo rapporto con sua madre –e naturalmente anche con
papà- e le raccontava tendenzialmente tutto, o almeno tutto quello che
non fosse illegale.
Alla donna bastò perciò lanciare una
brevissima occhiata all’aspetto spaurito e afflitto del ragazzo Black e
alle condizioni in cui versava la sua faccia triste –la stessa faccia che
nelle miriadi di foto che suo figlio sparpagliava su ogni millimetro di parete
era perennemente illuminata da una scanzonata risata- per intuire almeno
parzialmente la situazione, essendo memore dei tremendi racconti del figlio
sulla famiglia del ragazzo –oltre a quel che si diceva in giro di loro.
Anticipando la protesta di Sirius, che potè solo mugugnare un paio di lettere, gli
elargì quindi un largo, affettuoso sorriso, spingendosi verso di lui,
gli strinse calorosamente la mano e, con tutta la tenerezza con cui compiva
quel gesto ad ogni settembre per salutare il figlio che non avrebbe rivisto per
nove mesi, gli scoccò un gran bacio sulla fronte.
James per poco non scoppiò amaramente a
ridere nel vedere la buffa ed attonita espressione di stupore ed incertezza con
cui il ragazzo, raggelato dall’incredulità, accoglieva quel
semplice gesto.
Doveva essere passato molto, moltissimo tempo da
quando qualcuno della sua famiglia aveva avuto un comportamento simile con lui,
ed improvvisamente James Potter desiderò con ogni forza che Sirius
accettasse di trattenersi per tutto il resto dell’estate, certo che i
suoi fantastici genitori, anche se per poche settimane, avrebbero potuto regalargli
quel calore domestico che da anni gli veniva negato.
Sua madre era già sparita oltre la porta.
“Ci ho ripensato, vi preparo la cioccolata
calda!”trillò dal corridoio.
La sentirono entrare in cucina e scambiare qualche
parola con suo marito, che doveva aver finito di leggere il giornale.
Sirius deglutì rumorosamente, riportando uno
sguardo spaesato su James, il quale si chinò di nuovo ad afferrare la
maniglia del baule per portarlo in casa.
“Jim, no. –lo apostrofò Sirius serio e controllato-
Non posso. Non è per questo che-..”
“Oh, lo so, lo so! –ribattè
James stizzito e canzonatorio- Sei venuto per chiedermi di indicarti qualche
capanno abbandonato o cose simili in cui passare al notte! Ma questa è
un’idiozia!” protestò.
Sirius corrugò la fronte.
“Beh, io non penso. E in ogni caso non ho
intenzione di pesare su-…” ribattè
compito.
“La parola peso
è l’ultima che potrei usare in riferimento a te –lo
interruppe James quasi offeso- La prima è IMBECILLE” scandì
con uno sguardo di sufficienza.
“E i tuoi?” sbottò Sirius
scrollando la testa.
“Per loro è ok.
Sirius, non tutti odiano e disprezzano il resto del mondo.” spiegò
cauto, con un mezzo sorriso.
L’altro ragazzo sembrò a quel punto
aver perso la facoltà di parola, e guardava in terra mordendosi
freneticamente le labbra e l’interno della guancia, lo sguardo fisso e
gli occhi via via più lucidi.
Senza aggiungere nulla, James potè
finalmente trainare oltre la porta il baule.
Sirius gli lanciò un’occhiata
vergognosa e imbarazzata, e James pensò a tutte le cose che avrebbe voluto
dirgli in quel momento.
Che lo adorava, era il suo migliore amico e che
questo significava nella buona e nella
cattiva sorte. Che per questa ragione non solo non gli pesava, ma anzi era
felice e orgoglioso di poterlo aiutare, come lo era di sapere che era stato la
prima persona a cui Sirius aveva pensato di rivolgersi, perché era enormemente
bello sapere di essere importante per lui.
Invece, con un vago groppo in gola, spalancò
le braccia, lì sulla porta, tendendole verso di lui.
“Benvenuto a casa, fratello mio”
mormorò radioso.
E sentendo gli occhi pizzicare pericolosamente,
Sirius trattenne rumorosamente un singhiozzo, e anche se avrebbe voluto
svelargli che era la persona più straordinaria che avesse mai
conosciuto, che sarebbe morto in qualsiasi momento per lui e che gli voleva bene
più anche che a se stesso, la commozione gli impedì di fare altro
che non fosse gettarsi verso quelle braccia tese e ricambiare l’abbraccio
partecipe e stretto di James.
Ma in fondo, forse, non c’era realmente
bisogno di parole.
END