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Autore: suni    04/09/2006    12 recensioni
Amici. Nella buona E nella cattiva sorte. Anche quando sei un ragazzino scappato di casa senza un posto dove andare.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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HYMN FOR FRIENDSHIP

Per scrivere questa ho battuto il mio record di velocità, credo, ma non dovrebbero esserci errori né eccessive ripetizioni, ho controllato e ricontrollato.

E’ un po’ sciocca, ma credo si tratti più che altro di una preparazione per qualcosa di più approfondito.

Sembrerà strano, ma la dedico a mio fratello.

Che non centra nulla, poveretto. ^__^

 

Commenti, pliiiiisssss

suni

 

 

 

(Approfitto di questa sede per ringraziare i recensori di “Because”:

-          ivy_ per la lunga ed entusiastica recensione. Non ho idea di quale sia l’altra fic di cui parli né mi viene in mente nessuna storia che potrei aver usato come ispirazione, anche perché oggettivamente l’ho scritta troppo di getto per ispirarmi a qualcosa, ma sarei curiosa di saperlo… Per quanto riguarda il sequel, non è assolutamente previsto e non saprei cosa scriverci. Grazie di tutto

-          Sibil, mia cara, mi dispiace che la fic non ti sia piaciuta, posso dire che lo comprendo perché è uno scritto molto poco sensato e molto “di pancia” e probabilmente più “mio” di altri e quindi meno interessante per il prossimo. L’unica cosa che posso dire è che non mi sembra di descrivere qualcuno di “perfetto”, ecco. E la parte del monologo di Remus è effettivamente troppo lunga. In sintesi, hai ragione su quasi tutta la linea. Bye! ^__^

-          Sarabi… Beh, basta che quelli che tu chiami spunti non assumano poi il significato reale di plagio, per il resto, lieta di averti ispirata! E’ vero, quel Remus è un po’ me. Si capisce così tanto?... Comunque, grazie per l’apprezzamento

-          Francesca Akira89 … Grazie mille!

-          Civetta_curiosa: A-hem… grazie per aver citato i miei due slash_tesori –soprattutto Crazy Days perché sono sentimentalmente avvinta a quella fic- e grazie per i sentiti complimenti. Sono ovviamente fiera di riuscire a commuovere ogni tanto e di non aver addormentato tutti i lettori con quel monologo. Quanto alla scrittura, mai pensato a un beta-reader per superare il tuo blocco?)

 

 

HYMN TO FRIENDSHIP

 

Nella piazza deserta il rumore del baule lanciato a terra rimbombò seccamente fino a somigliare, alle orecchie del nervoso ragazzo, ad un suono molto più violento di quanto in realtà non fosse.

Si morse un’unghia con ferocia, voltandosi indietro per scrutare le profondità buie del corridoio, verificando che nessuno l’avesse sentito. Il silenzio gli sembrò tutto ad un tratto minaccioso, pregno di movimenti inattesi. Tendendo l’orecchio percepiva con facilità suoni che normalmente non avrebbe neanche considerato, né percepito; ed ognuno di essi poteva essere lei.

Se l’avesse visto scappare lo avrebbe ucciso, lo sapeva.

Sarebbe morto se lo scoprivano, letteralmente; un simile affronto non sarebbe stato tollerato.

Si portò istintivamente la mano al viso, carezzando senza badarvi il taglio che gli correva lungo la guancia e sulla tempia. Se fosse caduto con il collo appena un po’ girato quel piede di tavolo lavorato non gli avrebbe graffiato la faccia ma cavato un occhio.

Dopo una ragionevole attesa, sentì i polmoni decomprimersi: la vecchia non l’aveva sentito, poteva andare, il piano procedeva.

Non che avesse un vero e proprio piano, Sirius Black, quella notte. Non aveva programmato la fuga –anche se mille volte l’aveva sognata- ma l’anatema di quel pomeriggio gli faceva ancora male alle ossa. La sua mente gli ribadì per l’ennesima volta non ne posso più, basta, non ne posso più, e per l’ennesima volta i suoi occhi si riempirono automaticamente di lacrime. E’ una persecuzione, basta, io non ce la faccio. Vi odio tutti, io non vi ho fatto niente.

Era tutta la sera che si ripeteva mentalmente la cantilena, con l’ingiustizia e l’impotenza che gli martellavano in petto dolorosamente. E ad ogni nuova frase pensata le lacrime si facevano più copiose, con una sorta di truce soddisfazione.

Comunque, la decisione di fuggire era stata improvvisa.

L’aveva sentita dire che prima di andare a letto dovevano ancora parlare con “il degenerato”, e suo padre aveva risposto che sapeva come parlargli, lui.

Non poteva più sopportare tutto quel dolore. Non voleva più trattenere le urla.

Non ce la faccio più, basta, basta. Si ripetè di nuovo con un muto singhiozzo.

Tirando su silenziosamente con naso, scavalcò il davanzale della finestra e vi rimase appoggiato per qualche istante, i piedi ancorati al cornicione.

Se la sua scopa non fosse stata “al sicuro” –come aveva minacciosamente affermato suo padre- nella cantina, Sirius Black si sarebbe trovato in una situazione molto meno complessa.

Il salto era di circa tre metri, una considerevole altezza, e il tonfo certo sarebbe giunto alle loro orecchie. Con il baule era andata bene, appallottolato com’era nei tessuti raccolti in tutta la camera e nel salotto non aveva prodotto un rumore troppo forte.

Poteva farsi male cadendo da lassù.

Ma doveva fare presto. Erano ancora in sala, ma presto sarebbero saliti in camera e lui non doveva più essere lì.

Forse Felpato se la sarebbe cavata meglio, sarebbe rotolato in terra senza preoccupazioni. E Felpato era sicuramente più robusto e resistente di Sirius. Ebbe un moto d’invidia per La McGranitt: potersi trasformare in gatto in quel momento gli sarebbe stato straordinariamente utile.

Se qualcuno lo vedeva tramutarsi era la fine. Ma comunque, farsi trovare lì in piedi sul cornicione l’avrebbe portato ad una fine anche peggiore. Con una scrollata di testa, prese fiato e gettò un ultimo sguardo intorno; un istante dopo, un grosso cane nero guardava l’asfalto della piazza con grandi occhi perplessi.

 

“JIMMYYY!!!” lo chiamò la voce esasperata di sua madre, dal piano inferiore.

James sospirò rumorosamente, limitandosi ad alzare il volume della musica assordante nel nuovo Diffusonoro di suo padre.

Sapeva che qualunque cosa la madre volesse dirgli, doveva avere a che fare con la mole spropositata di compiti che doveva ancora iniziare e che avrebbe fatto bene a eseguire scrupolosamente in vista dei MAGO dell’anno seguente.

Certe volte, sua madre sembrava dimenticare che non era più al secondo anno.

Da cui, l’innalzamento del volume della canzone.

Distrattamente, afferrò sul comodino un quadernetto sdrucito e consunto, chiazzato in più punti dalle più disparate sostanze –ben visibile era, sul retro, una grossa sgocciolata di salsa di pomodoro.

Il Quaderno Segreto dei Marauders.

Al momento era stato affidato a lui, perché: Remus avrebbe avuto in casa un’invasione di cuginetti sciamanti capaci di arrivare ovunque e distruggere qualunque cosa come agguerrite locuste; Sirius, beh, lui non poteva certo tenere a Grimmauld Place qualcosa di così compromettente, ne andava della sua pelle; e Peter, insomma lui lo avrebbe sicuramente perso o qualcosa del genere.

Non che Peter fosse un idiota, ecco. Era in gamba, a modo suo. Solo, ogni tanto perdeva un po’ di colpi, tutto lì.

Mentalmente esclamò la rituale formula dei suddetti Marauders –che era stata riutilizzata anche più recentemente per la creazione della strepitosa Mappa di Hogwarts da loro disegnata. Immediatamente, l’incantesimo che bloccava il quaderno scattò e lui potè tranquillamente aprirlo, mentre una cascata di fogli volanti, fotografie e bigliettini gli precipitava in grembo e le quasi mille pagine di quaderno si rivelavano nel loro autentico spessore. Saltò velocemente alle ultime facciate scritte e s’immerse nella lettura.

La pagina su cui posò gli occhi era stilata nella grafia ordinata di Remus e riferiva in proposito della Festa di fine anno di Casa, da loro organizzata in gran segreto nella Sala Comune di Grifondoro e considerata un autentico, spassoso trionfo a detta di tutti, Silente compreso. James scoppiò a ridere a più riprese, nonostante non fosse certo alla prima lettura, ad ogni frase di Remus, con quel suo umorismo nascosto e raffinato. Gli sembrava di sentire leggere l’amico stesso ad alta voce, con la sua cadenza tranquilla e l’ironia arguta ed invisibile che sapeva dare ad ogni parola.

Questa era una delle cose belle di conoscersi tanto bene.

Sirius è stato tremendamente imbarazzante. Era così ubriaco che sul più bello, vale a dire quando la gente normale cominciava ad essere un po’ intontita e tranquilla, ha pensato bene di precipitarsi in centro Sala in mutande con addosso il reggiseno sottratto alla sua ultima fiamma. Dopodichè, nel caso non fosse ancora riuscito a sembrare incommensurabilmente idiota, ha cominciato a berciare: “Non sarei magnifico persino come donna?”.

Mi vergognavo tanto che ho pensato di andare a chiudermi per sempre nella Stamberga. Poi ho visto la faccia marmorea di Peter e ho pensato che in fondo potevamo sostenerci a vicenda.

Ho cambiato idea quando, tre minuti dopo, Peter si è messo a ballare il flamenco sulla poltrona sbattendo dei rompighiaccio come nacchere.

Terribile.

James, riletto il passo, scoppiò a ridere a crepapelle nel ricordare la gustosa e demenziale scenetta di cui Felpato li aveva omaggiati, e l’aggraziato balletto di Codaliscia.

“JIIIIIIMMM!!” chiamò ancora sua madre con la medesima intonazione.

 Le pagine seguenti, naturalmente, riportavano le tre altre versioni della festa dei Marauders restanti.

Quella di Sirius –un’interminabile, illeggibile scarabocchio pomposo- iniziava:

Nessuno capisce nulla qui. Io sono divertentissimo e Remus non riesce a rilassarsi nemmeno quando è ubriaco.

James mi ha vomitato sui pantaloni nuovi.

Non è che mi dispiaccia tanto per i pantaloni, ma è una questione di principio: non si vomita addosso ad un amico.

Scoppiò a ridere un’altra volta. In effetti, aveva bevuto decisamente troppo quella sera.

Naturalmente la cosa non aveva fatto che attirargli i disgustati commenti di Lily Evans, la quale però non aveva potuto fare a meno di commentare con entusiasmo le magnifiche decorazioni da lui approntate.

Era solo questione di tempo, la fanciulla stava per cedere. Con quest’ottimistico pensiero, saltò alla parte seguente.

Credo di  aver usato dei rompighiaccio come nacchere.

E di aver ballato il flamenco. Non oso pensare a quali danni psichici può aver provocato questo nei miei impreparati  spettatori.

Sirius è riuscito ad appartarsi con quattro ragazze diverse.

James si è preso una bicchierata dalla Evans.

Beh, forse questo particolare non era così spassoso.

“JAMES!” –la voce di sua madre non era solo alta più di prima, ma si stava anche pericolosamente avvicinando, e poté sentire i suoi passi per le scale- JAMES ALLEN POTTER!! E’ IMPORTANTE!!”

Con un sospiro, leggermente sorpreso dall’allarme che gli era sembrato di percepire nel richiamo, James si catapultò giù dal letto, e infilò i piedi nelle ciabatte prima di andare alla porta.

“Che c’è, ma’?” domandò cercando di mostrarsi gentile e paziente come ogni buon figlio.

Sua madre lo guardava con affettuosa solerzia e una certa angoscia.

“Hai una visita, Jimmy” lo informò lei con un’occhiata eloquente e un cenno verso il basso, intimandogli di sbrigarsi.

James lanciò uno sguardo stupefatto all’orologio da polso, domandandosi con sorpresa chi potesse andarlo a trovare alle undici e quaranta di sera.

“Ma chi è?” borbottò seguendola al piano di sotto.

“Credo il tuo amico Sirius, se non sbaglio” mormorò lei incerta.

James lanciò alla sua nuca un’occhiata di profondo compatimento: Sirius non si sarebbe potuto muovere da Grimmauld Place fino a settembre, e di certo non da solo né in piena notte.

Nell’androne non c’era nessuno, ma la porta di casa era socchiusa.

“Perché non l’hai fatto entrare?” sibilò il ragazzo contrariato.

Sua madre fece spallucce.

“Ho tentato ma non voleva…” mormorò mentre lui, con passo deciso, andava a spalancare la porta.

Livido sulla fronte e guancia sfregiata a parte, quello era effettivamente il suo migliore amico Sirius Black, tale e quale a quando si erano salutati quasi tre settimane prima.

Lo guardò perplesso, restando immobile.

Sirius gli restituì altrettanta immobilità e uno sguardo colpevole e disperato, tormentandosi nervosamente le mani e storcendo le dita.

C-ciao” mugugnò infine guardandosi le scarpe.

James, riprendendosi parzialmente dallo stato di trance, si fece da parte, in un muto invito ad entrare.

Sirius avanzò di un paio di passi, ma poi si fermò.

“Non voglio disturbare” disse deciso scuotendo la testa.

Ma James non lo stava ascoltando: con la luce che lo illuminava meglio, aveva immediatamente realizzato che quello che ornava il viso dell’amico non era un graffio, ma un taglio decisamente profondo e ancora fresco.

“Sono stati loro?” domandò duramente, aggrottando la fronte.

Sirius riportò lo sguardo a terra e scrollò il capo mestamente.

“Sono caduto” mormorò fermo.

James sollevò un sopracciglio, scettico: ogni anno, a settembre, Sirius si presentava ad Hogwarts con l’aria di aver passato l’intera estate a “cadere” misteriosamente, tanto che tra i suoi tre amici erano nate, nei momenti di pena, ogni sorta di leggende sui terribili percorsi ad ostacoli di cui doveva essere cosparsa casa Black.

“Capito. –rispose dando alla sua voce la giusta inflessione perché l’altro capisse che ovviamente non gli credeva, ma faceva lo stesso- Posso sapere cosa ci fai qui?” domandò quindi, calmo.

Sirius, dopo una nuova esitazione, fece un cenno del capo alle proprie spalle: James, alzandosi sulle punte, vide un grosso baule sul vialetto d’accesso di casa sua.

Realizzò immediatamente il puntò, sgranò gli occhi e lasciò che la mandibola gli precipitasse verso terra, nell’incredulità.

“SEI SCAPPATO DI CASA?” strillò tra l’orripilato e l’ammirato, indeciso se domandarsi cosa ne sarebbe stato a quel punto della sopravvivenza del povero Sirius o se congratularsi per l’ennesimo e riuscito colpo di testa dell’amico.

“No. Me ne sono andato di casa. Sono maggiorenne” rispose lui in un patetico risultato di sembrare tranquillo e padrone di sé, quando invece aveva decisamente l’aspetto di un orfanello abbandonato e anche piuttosto malconcio.

A James non sfuggì il tremito che l’amico aveva disperatamente tentato di celare nella propria voce, né la velocità con cui voltò la testa per non mostrargli, suppose, le smorfie nel trattenere le lacrime.

“Ho capito” commentò serafico, e quando Sirius si voltò di nuovo, per il rumore, né l’amico né il baule erano più dove li aveva lasciati, ma James stava trascinando le sue cose verso casa.

A-aspetta, che cosa…?” iniziò scattando in avanti per trattenerlo.

“Ragazzi! –cinguettò la signora Potter comparendo dalla porta; gettò un’occhiata incuriosita al tanto decantato amico di suo figlio e quindi sorrise genericamente- Vi preparo un bel the?”

Sirius stava già scuotendo le mani e la testa, ma James colse la palla al balzo e si raddrizzò ricambiando il sorriso, con un’espressione immediatamente accattivante e responsabile –quel che ci voleva in quel momento.

“Mamma, ti ricordi di Sirius, non è vero? –domandò, lasciandole appena il tempo di annuire e all’amico di sorriderle aprendo la bocca- Sirius e n’è andato di casa proprio stasera, mamma. Starà da noi per un po’” annunciò tranquillamente.

Tranne nei rarissimi giorni, come quello, in cui lei lo seguiva in tutta casa rintronandolo di ramanzine per qualunque cosa, James Potter poteva vantare un ottimo rapporto con sua madre –e naturalmente anche con papà- e le raccontava tendenzialmente tutto, o almeno tutto quello che non fosse illegale.

Alla donna bastò perciò lanciare una brevissima occhiata all’aspetto spaurito e afflitto del ragazzo Black e alle condizioni in cui versava la sua faccia triste –la stessa faccia che nelle miriadi di foto che suo figlio sparpagliava su ogni millimetro di parete era perennemente illuminata da una scanzonata risata- per intuire almeno parzialmente la situazione, essendo memore dei tremendi racconti del figlio sulla famiglia del ragazzo –oltre a quel  che si diceva in giro di loro.

Anticipando la protesta di Sirius, che potè solo mugugnare un paio di lettere, gli elargì quindi un largo, affettuoso sorriso, spingendosi verso di lui, gli strinse calorosamente la mano e, con tutta la tenerezza con cui compiva quel gesto ad ogni settembre per salutare il figlio che non avrebbe rivisto per nove mesi, gli scoccò un gran bacio sulla fronte.  

James per poco non scoppiò amaramente a ridere nel vedere la buffa ed attonita espressione di stupore ed incertezza con cui il ragazzo, raggelato dall’incredulità, accoglieva quel semplice gesto.

Doveva essere passato molto, moltissimo tempo da quando qualcuno della sua famiglia aveva avuto un comportamento simile con lui, ed improvvisamente James Potter desiderò con ogni forza che Sirius accettasse di trattenersi per tutto il resto dell’estate, certo che i suoi fantastici genitori, anche se per poche settimane, avrebbero potuto regalargli quel calore domestico che da anni gli veniva negato.

Sua madre era già sparita oltre la porta.

“Ci ho ripensato, vi preparo la cioccolata calda!”trillò dal corridoio.

La sentirono entrare in cucina e scambiare qualche parola con suo marito, che doveva aver finito di leggere il giornale.

Sirius deglutì rumorosamente, riportando uno sguardo spaesato su James, il quale si chinò di nuovo ad afferrare la maniglia del baule per portarlo in casa.

Jim, no. –lo apostrofò Sirius serio e controllato- Non posso. Non è per questo che-..”

“Oh, lo so, lo so! –ribattè James stizzito e canzonatorio- Sei venuto per chiedermi di indicarti qualche capanno abbandonato o cose simili in cui passare al notte! Ma questa è un’idiozia!” protestò.

Sirius corrugò la fronte.

“Beh, io non penso. E in ogni caso non ho intenzione di pesare su-…” ribattè compito.

“La parola peso è l’ultima che potrei usare in riferimento a te –lo interruppe James quasi offeso- La prima è IMBECILLE” scandì con uno sguardo di sufficienza.

“E i tuoi?” sbottò Sirius scrollando la testa.

“Per loro è ok. Sirius, non tutti odiano e disprezzano il resto del mondo.” spiegò cauto, con un mezzo sorriso.

L’altro ragazzo sembrò a quel punto aver perso la facoltà di parola, e guardava in terra mordendosi freneticamente le labbra e l’interno della guancia, lo sguardo fisso e gli occhi via via più lucidi.

Senza aggiungere nulla, James potè finalmente trainare oltre la porta il baule.

Sirius gli lanciò un’occhiata vergognosa e imbarazzata, e James pensò a tutte le cose che avrebbe voluto dirgli in quel momento.

Che lo adorava, era il suo migliore amico e che questo significava nella buona e nella cattiva sorte. Che per questa ragione non solo non gli pesava, ma anzi era felice e orgoglioso di poterlo aiutare, come lo era di sapere che era stato la prima persona a cui Sirius aveva pensato di rivolgersi, perché era enormemente bello sapere di essere importante per lui.

Invece, con un vago groppo in gola, spalancò le braccia, lì sulla porta, tendendole verso di lui.

“Benvenuto a casa, fratello mio” mormorò radioso.

E sentendo gli occhi pizzicare pericolosamente, Sirius trattenne rumorosamente un singhiozzo, e anche se avrebbe voluto svelargli che era la persona più straordinaria che avesse mai conosciuto, che sarebbe morto in qualsiasi momento per lui e che gli voleva bene più anche che a se stesso, la commozione gli impedì di fare altro che non fosse gettarsi verso quelle braccia tese e ricambiare l’abbraccio partecipe e stretto di James.

Ma in fondo, forse, non c’era realmente bisogno di parole.

 

 

END

 

   
 
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