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Autore: Ewi    22/01/2012    0 recensioni
“Ti sei dimenticata di me!” sussurrò l’altra.
“Non mi sono affatto dimenticata di te, Jude.” La rossa sbarrò gli occhi al suono del suo nome.
The death doesn't give freedom to you
Even feelings fade away
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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JUST A LITTLE LATE.

The death doesn't give freedom to you
Even feelings fade away

 

“Ed è per questo che siamo qui oggi a presentare questo programma a tutti voi …”
Parlava sciolta, sorridendo alla platea che la ascoltava come se quelle percentuali fossero la cosa più interessante che avessero mai udito in tutta la loro vita.
C’era un ammasso di gente ricchissima seduta su sedie comode che prendeva appunti con penne stilografiche che probabilmente costavano più del suo intero guardaroba.
Guardò avanti, cercando di mantenere la calma.
Si sistemo i capelli scuri con un lento gesto della mano mentre continuava a blaterare.
Tutto era completamente offuscato.
E se si fosse sporcata i denti di rossetto?

Face un paio di passi sopra il palco e indicò il mega schermo alle sue spalle.
Abbassò gli occhi sulla prima fila e vide spiccare tra tutti una testa rossa.
Di primo impatto non ci fece molto caso e si girò dall’altra parte, poi … quelle mani.
E si ritrovò a fissare la ragazza, l’unica che non avrebbe mai più voluto incontrare, l’unica che le faceva paura.
Le tremò la voce e si ritrovò pietrificata, mentre tutti alzavano la testa dal loro foglio scritto fitto di appunti e le lanciavano un’occhiata interrogativa.

La rossa alzò lo sguardo come tutti gli altri, ma la guardò negli occhi come se sapesse che quel silenzio fosse causa sua.
Non era uno sguardo minaccioso, ne terribile come si era aspettata era solo … diverso.
Trattenne il respiro.

“Scusate.” sussurrò scendendo dal palco e correndo via.
Sentiva solo il rumore dei suoi tacchi sul pavimento in legno, solo il suo respiro affannato.
La folla rumoreggiava, ma non sarebbe tornata indietro, non l’avrebbe affrontata di nuovo.

Uscì dalla porta a vetri dell’edificio e continuò a correre, con la pioggia che le sfiorava la pelle e i capelli che ondeggiavano nel vento. Correva e non sapeva dove.
Spinse la gente via dalla strada e continuò.


La vide lì, all’angolo della strada.
Dritta sui suoi tacchi dodici, con un vestito improbabilmente colorato, con le sue mani affusolate. Fumava una sigaretta girata, non era da signora e lo sapeva.
Sapeva che non poteva scapparle.
Le si avvicinò e lei cominciò a camminare verso il parco, sapeva che l’avrebbe seguita.
E così fu, la mora si sedette su una panchina desolata di un parco accanto alla sua migliore amica, accanto alla persona che nella sua vita era stata la sola ad essere degna di possedere una parte del suo cuore. La guardò negli occhi, sembrava molto più giovane di lei, la pelle candida e gli occhi verdi.
La guardava con un sorriso accennato, continuando a fumare.
“Dove sei stata?” le chiese la rossa con voce roca e poi sputò a terra.
L’altra abbassò lo sguardo con aria colpevole.

“Dove sei stata!” ripeté l’altra urlando e gettando a terra il mozzicone.
“I-io …” balbettava.
“Dov’eri quando mi è caduto tutto addosso? Quando la pioggia mi ha bagnato per ore, quando …” gli occhi gli si riempirono di lacrime “quando il sole mi asciugava le lacrime e il vento mi faceva cadere a terra. Dove sei stata quando l’erba alta ha cominciato a crescere intorno a me e io non vedevo più il mondo?”  si coprì il volto con le mani.
La mora deglutì sapendo che comunque non l’avrebbe fatta parlare.
“Ti sei dimenticata di me!” sussurrò l’altra.
“Non mi sono affatto dimenticata di te, Jude.” La rossa sbarrò gli occhi al suono del suo nome.

Si fece ancora più pallida di quanto non lo fosse e le sue lacrime sembravano ancora più pesanti su quello sfondo quasi trasparente.
“Dopo quel giorno, non ci sei più stata …” tirò su con il naso.
La mora si morse un labbro “Dovevo vivere la mia vita.”
“Avevamo fatto un accordo Claire, un patto che diceva che migliori amiche si rimane tutta la vita e dopo la morte. Tu non rispetti i patti forse?”


Era la sera di Natale del 1999, Claire e Jude avevano sedici anni.
I genitori della rossa avevano deciso di andarsene in giro e lasciare la figlia sola a casa, così lei e la sua migliore amica Claire si sarebbero preparate per andare ad una festa.
Una di quelle che se ci sono i tuoi genitori in giro eviti anche di pensare.
Insomma, tutti sapevano che Jude si drogava, ma nella loro scuola era normale.
A volte si sniffava a casa di un amico o dell’altro e si facevano grandi cose tutti insieme.
Claire ci aveva provato più volte a farla tornare sulla strada giusta, ma come i suoi capelli Jude era sempre spiccata e non aveva intenzione di essere normale, nemmeno quando la normalità le avrebbe salvato la vita.
Jude aveva un ragazzo, uno di quelli che faceva impazzire tutte quante, uno che veniva additato quando passava.
Uno che la tradiva con tutte per poi tornare e chiederle scusa, e lei ci cascava sempre.
La rossa attaccò l’amplificatore nella sua camera e sparò a palla del rock mentre aspettando Claire ingurgitava alcolici.
Tirò fuori tutti i suoi vestiti più corti, il suo reggiseno imbottito e prese a rifarsi le sopracciglia.
Si ricordò di avere un po’ di roba nella cartella, gliel’aveva data il suo ragazzo per farsi perdonare una scopata con una quindicenne. Questa volta non ci sarebbe passata sopra, aveva deciso.
Cercò lo zaino sul pavimento e ne estrasse una bustina piena di polvere bianca.
In quello sentì Claire urlare insulti dalla finestra.
Aprì i vetri e barcollando si affacciò con la bottiglia in mano.
Jude abitava in campagna, se avesse corso nuda per il suo giardino, cosa molto probabile, nessuno avrebbe visto nulla.

“Amore mio!” urlò all’amica che se ne stava ancora fuori al freddo.
“Jude sei scema? Aprimi, mi sto congelando il culo!” urlò alzando un dito medio verso la finestra.
La rossa corse giù per le scale e cadde in ginocchio dall’ultimo scalino, con fatica si rialzò e aprì la porta alla sua amica.
“Ciao.” borbottò tenendosi la testa tra le mani.
“Ciao.”

Jude le mostrò la bustina che aveva in mano e afferrò la mora per il polso.
“Che ne dici se entrassi anche tu nel nostro gruppo?” le bisbigliò all’orecchio.
“Sei già ubriaca! Cazzo devi ancora vestirti e sei già ubriaca!” se la staccò di dosso.
Jude prese la borsa di Claire e ci frugò dentro finché non trovò una carta della videoteca.
Si appoggiò sul tavolino del soggiorno e sparse della polvere sul ripiano.
“Sei solo una sfigata Claire, non sai davvero come si vive tu.” rise sguaiatamente dividendo la roba in righe “Non sai davvero come ci si sente quando si è veramente giovani. Stavo pensando di trovarmi una nuova migliore amica.” sniffò una riga.
Claire la guardava con disprezzo mentre la rossa emetteva versi di approvazione alla sua amica più cara: la droga.

“Perché sai Claire, io ho una reputazione da difendere e tu mi fai sfigurare!” La mora sapeva benissimo che Jude non pensava quelle cose.
“Beh, fai pure quello che vuoi Jude! Drogati, prostituisciti, fuma, bevi … fai quello che ti pare!” urlò a squarciagola “Ma poi non venirmi a chiedere perché il tuo ragazzo di merda ti tradisce con tutte, perché a volte i tuoi genitori non ti capiscono o perché io non voglio farmi vedere con te in questi stati!”
Claire se ne andò sbattendo la porta e Jude non la rivide mai più.


La rossa mise i piedi sulla panchina e continuò.
“Eri l’unica che sapesse davvero chi ero e mi hai abbandonata.” alzò le spalle.
“Io sono tornata indietro.” disse con la voce che le tremava e gli occhi lucidi “Io sono tornata indietro, nemmeno mezz’ ora dopo! Ti ho trovato io Jude!” le urlò contro tutta la sua disperazione “Ti ho trovato io appesa a quell’albero per il collo. IO! “ pianse ciò che non aveva pianto in tutti quegli anni.
Jude le poggiò una mano sulla spalla.

Quando Claire se ne andò Jude rimase nel silenzio del suo soggiorno.
Cos’era davvero importante nella sua vita?  Non se l’era mai chiesto.
Poi il quadro si fece chiaro nella sua mente; Claire era importante per lei, la sua vera amica, fedele per sempre e da sempre. Ed era appena scappata da casa sua per non tornare mai più.
Come avrebbe fatto, adesso che era da sola? 
Si alzò e si diresse verso il capanno degli attrezzi di suo padre, era freddo fuori. Tanto freddo.
Il suo respiro si condensava non appena uscito dalla sua bocca. Non si sarebbe sorpresa se avesse nevicato quella settimana. Era scalza, ma non sentiva la ghiaia sotto i piedi.
Entrò nel capanno e prese una corda. Se la rigirò tra le mani pensando a quello che stava perdendo, a quello che significava quella corda.
Vide il suo albero preferito, quello su cui da bambina saliva spesso con suo fratello.
Gli si avvicinò e posò una mano su quel legno freddo e scuro, sentiva il cuore battere forte, quasi le uscisse dal petto da un momento all’altro.
Per la prima volta sentì il sangue scorrerle nelle vene e l’aria riempirle i polmoni.
Si aggrappò ad un ramo e salì, con la poca forza che le era rimasta.
Legò la corda al ramo e si accorse che stava piangendo, i suoi capelli rossi risplendevano e svolazzavano al vento.
Sì legò la corda al collo con una lentezza e una precisione infinita, quasi corrodente. Fissando il vuoto davanti a sé e pensando solo che ormai non c’era più nulla da fare. Ora che l’ultimo pezzo del suo cuore era andato in frantumi.
Si lasciò andare, si buttò giù dal ramo  e successe tutto in poco tempo.
Sentiva il suo corpo muoversi in preda agli spasmi. Si portò le mani alla gola e pensò che forse, dopo tutto, la sua migliore amica sarebbe tornata.

E infatti tornò, e si sporcò della terra sotto quell’albero inginocchiandosi disperata al cospetto di un corpo morto appeso sopra di lei. Piangendo ogni lacrima che aveva in corpo, urlando parole sconnesse.
Cercando di tirarla giù, trovandola soltanto fredda, bianca e senza più vita.
La sera di Natale del 1999.

“Mi dispiace!” continuò la mora “ Mi dispiace di non essere arrivata un attimo prima, mi dispiace di averti lasciato lì, mi dispiace di non esserti mai venuta a portare un fiore!”
“Non importa più ora.” sussurrò l’altra “Voglio solo che tu sia la mia migliore amica per sempre. Non mi hai ucciso tu, l’ho fatto io Claire. Ma non abbandonarmi, pensami a ballare come facevamo a quindici anni, a fare il bagno nel lago o ad abbracciarti forte. Finché tu mi ricorderai sarà come se io non fossi mai morta quel giorno.”
La mora era troppo scossa per parlare, Jude si alzò e con le su gambe magre tornò sedicenne, come Claire la ricordava e le sorrise . Le porse la mano gelida e la fece alzare donandole il più forte abbraccio che si fossero mai date, perché quello era davvero l’ultimo.
“Migliori amiche per sempre.” le sussurrò all’orecchio.
“Per sempre Jude.” chiuse gli occhi l’altra sentendola andarsene da quell’abbraccio.

Un signore con il bastone e le borse della spesa la vide lì in piedi a sussurrare al vuoto, sorridendo e piangendo insieme.  Si fermò osservandola.
“Le serve aiuto signorina?” le chiese avvicinandosi cautamente.
Claire aprì gli occhi e si ritrovò da sola, aprì la bocca per rispondere ma il signore la precedette.
“Non c’era nessuno su quella panchina con lei. Lo sa?” domandò preoccupato.
“Lo so.” sorrise all’uomo “Lo so, grazie.”

 



Buonasera **, beh che dire? Mi è venuta in mente questa storia ascoltando "You found me" dei The Fray, bellissima canzone secondo me.
Non so come sia venuta fuori, non so se sia bella o brutta, fatto sta che l'ho scritta u.u ( che fortuna XD)
Recensite se volete ^^


Erica
  
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