My Wee One
Il signor Gold camminava con decisione lungo la strada buia. Non era
sicuro di dove andasse o di cosa stesse cercando, ma certo l’avrebbe
saputo quando l’avesse trovato. La nebbia che si avvinghiava alla strada oscurata
dalla notte era speculare alla nebbia nella sua testa. Era successo qualcosa. Ma
cosa?
« Emma. Il suo nome è Emma. »
La voce della
donna gli echeggiava nella mente, benché lui non sapesse chi aveva
pronunciato quelle parole o cosa volessero dire. Ma qualcosa gli diceva che
doveva trovare questa ‘Emma’... Che lei era la chiave di tutto. Camminando,
pensava alla propria vita. I dettagli gli sembrarono approssimativi, ma non se
ne preoccupò. Non poteva perdere tempo a rimuginare sui falsi ricordi
che gli erano stati infusi dalla maledizione...
Era quasi al
confine della città quando lo sentì. Il cartello ‘Benvenuti
a Storybrooke’ era appena comparso alla vista,
quando l’intenso vagito di un neonato ruppe d’improvviso il
silenzio della notte. Il cuore prese a battergli un po’ più forte
e il passo accelerò. All’altezza del cartello dovette fermarsi di
colpo e chiudere gli occhi.
“Tornerò” promise a se
stesso.
Il bambino
lanciò un altro lamento, stavolta molto più debole, e lui
spalancò di nuovo gli occhi. I suoi movimenti divennero frenetici mentre
setacciava il canale a lato della strada. Passò un altro minuto intero prima
che infine la individuasse.
La coperta
bianca nella quale era stata avvolta non era abbastanza calda contro la gelida
notte del Maine. L’euforia alla vista del nome mirabilmente ricamato
nella stoffa, Emma, si
trasformò presto in preoccupazione al rendersi conto che la bambina
tremava di freddo.
La raccolse tra
le braccia, e fu quasi sopraffatto da un senso di gioioso sollievo. Questa era
la Emma che stava cercando. Era l’unica che avrebbe potuto spezzare la
maledizione. I ricordi che gli erano stati tolti cominciavano già a
tornare.
Si lasciò
cadere sull’erba umida e la cullò contro il petto, sfregando le
mani sulle sue piccole braccia e gambe, nel tentativo di scaldarla. A ogni
tocco, la sua mente si riempiva di reminiscenze di una vita che aveva dimenticato.
Una vita lunga, dolorosa, straordinaria e sola...
Sorrise e
canticchiò mentre dondolava Emma, finché, finalmente al caldo,
lei si rilassò nel sonno contro di lui.
« Va tutto
bene, piccolina. Molto presto tu romperai la maledizione e salverai tutti, ma
per ora devi solo dormire e restare al sicuro. »
Il dono della
preveggenza che nel corso della sua lunga vita lo aveva tormentato era ricomparso,
e il cuore gli si spezzò per lei. Così tante lacrime che non
sarebbero state asciugate, così tante paure e dolori che non sarebbero
stati leniti... Così tante volte in cui la ragazza si sarebbe avvolta
tra le proprie braccia per sentire l’abbraccio che così
disperatamente desiderava ma che nessuno avrebbe potuto darle.
Era la parte
peggiore e più spregevole del suo piano. Che una bambina dovesse
soffrire. I bambini erano il più prezioso dei tesori.
« Sistemerò
tutto io, Emma. Te lo prometto. »
Ebbe bisogno di una
grande forza interiore per sollevarsi in piedi e percorrere la strada fino alla
città più vicina. Ancor più per affidare la bambina a uno
sconcertato poliziotto.
« L’ho
trovata sul ciglio della strada. Ero fuori a fare due passi e a schiarirmi la
mente quando l’ho sentita piangere... »
La sua storia fu
creduta. In questo mondo aveva una reputazione rispettata, a volte temuta, e oggi
nessuno si sarebbe mai interrogato sulle sue azioni.
Sentì
montare la rabbia mentre tornava indietro, a casa. I suoi occhi non vedevano il
paesaggio, ma guardavano ad avvenimenti che dovevano ancora accadere. Un altro
bambino, un ragazzo, sarebbe rimasto coinvolto in questa battaglia. Lo avrebbe tenuto
accanto a sé e si sarebbe assicurato che stesse bene. Era il minimo che
poteva fare per mantenere la promessa fatta ad Emma.
Quasi
diciotto anni dopo
Il signor Gold sedeva su uno sgabello nel retro del suo negozio,
contemplando la tela nera disposta su un cavalletto di legno di fronte a lui. Stringeva
una paletta per colori in una mano e un pennello nell’altra. I suoi occhi
erano concentrati sul passato, nella rievocazione di una scena da tempo
dimenticata. Il primo incontro tra Biancaneve e il suo Principe Azzurro...
Il negozio era
silenzioso, come sempre. Non aveva mai davvero venduto nulla, poiché non
ce n’era alcuno scopo. Gli introiti gli venivano dagli affitti. Possedeva
tutti gli edifici e aveva una parte in ogni affare che avvenisse in
città; una giornata di lavoro non gli era certo richiesta.
Quella di ‘negoziante’
non era che una parte da recitare nell’attesa degli eventi che aveva
previsto: l’eccitazione, le battaglie, la guerra del bene contro il male.
Era un passatempo che lo teneva ancorato a terra, concentrato su ciò che
era importante.
Il negozio dei
pegni vantava solo articoli provenienti dall’altro mondo, che gli ricordavano tutti gli accordi che aveva
stretto in un’altra vita, forme fisiche di memorie che erano andate
perse. Era una vetrina dei trofei. Una mostra del suo potere e della sua
influenza. Passava ore a spolverare, lucidare e sistemare gli oggetti e ad
assaporare i dolci ricordi che questi evocavano.
Il campanello
sulla porta trillò, annunciandogli che era di nuovo tempo di andare in
scena. Mise da parte la pittura e si spostò nella parte anteriore del locale,
sorridendo nel riconoscere il profumo. Di solito, le uniche volte in cui
qualcuno entrava nel suo negozio era perché si era perso, o per pagargli
un affitto, oppure nel disperato bisogno di un favore e in cerca di un patto da
stringere. Era quest’ultimo il motivo per cui lei era venuta, ed era tutto
ciò che poteva fare per evitarsi un sorriso trionfante*.
L’aspetto
migliore del negozio dei pegni era che Regina Mills
lo odiava. Era sempre furente quando veniva da lui, poiché sapeva
esattamente di cosa si trattava, sebbene s’impedisse di crederci. Il pensiero
che lui potesse essere in qualche modo scampato alla maledizione e che avesse
ancora intatti i suoi ricordi era per lei inaccettabile.
Così, la teneva
nell’incertezza. Era divertente vederla indagare ogni sua espressione e
scavare dentro ogni sua parola. La domanda le era scritta in faccia, ma
caparbiamente si rifiutava di chiedergli a chiare lettere: ‘Ti ricordi?’.
Lui le dava
sorrisi blandi e risposte generiche che potevano essere interpretati in un
milione di modi. Manipolarla era il punto saliente della sua vita in questa
squallida città, e attendeva con ansia il giorno in cui lei avrebbe finalmente
capito tutto ciò che aveva fatto per indebolirla fin dalla prima volta
che era venuta da lui. Ma doveva essere paziente. E oggi era un giorno decisivo.
L’accordo andava stretto, o il bambino sarebbe stato perduto.
« Signora
sindaco, cosa la porta nel mio umile negozio in questa bella giornata? »
l’accolse con il solito garbo.
Si
accigliò, gli occhi di nuovo saettanti sui suoi lineamenti con sospetto,
prima di scuotere la testa e guardare il pavimento.
« Signor Gold, sa bene perché sono qui. Non giochiamo. Voglio...
Può ancora procurarmi il bambino? »
Sorrise, un
bagliore dorato.
« Ma
naturalmente. La ragazza partorirà da un momento all’altro. Vuole un’adozione
chiusa e non desidera essere mai contattata. »
Regina gli
restituì il sorriso.
« Allora
lo faccia. »
Il suo gli
scivolò via dalle labbra non appena se ne andò. Renderla felice
non era ciò che voleva, ma era essenziale per il piano superiore.
Due
giorni dopo, in un ospedale di Phoenix, Arizona
La scena era
toccante e tragica. Fu come tornare indietro, alla notte in cui aveva trovato
Emma. Aveva sofferto per lei allora, conoscendo una parte di ciò che
avrebbe affrontato. E non era neanche lontanamente finita. Aveva altri dieci
anni da fronteggiare da sola, prima di potersi riunire a coloro che l’amavano.
Dal suo punto di
osservazione nel corridoio attiguo alla stanza d’ospedale, aveva una
chiara visione di lei che stringeva il figlio appena nato.
Era indurita da
una vita difficile e solitaria, ed esausta dal lungo travaglio, ma nei suoi
occhi non brillava che amore mentre guardava il bambino.
Emma stava
sussurrando qualcosa a suo figlio, ma il signor Gold
non poteva sentire le sue parole. Immaginò che fosse qualcosa di simile
a ciò che il suo stesso padre le aveva detto il giorno della sua
nascita. Lui conosceva bene il dolore
della perdita di un figlio, e non l’avrebbe mai augurato a nessuno, ma
dare spontaneamente via il tuo bambino... Com’era possibile anche solo prenderlo
in considerazione?
Di nuovo,
avvertì la colpa del sapere che le sue
azioni l’avevano ferita. Ferita abbastanza da costringerla a dar via suo
figlio, così che potesse avere una vita migliore.
Che forza straordinaria.
Ogni dubbio sull’eventualità di aver sconvolto il suo destino si
frantumò mentre l’osservava posare un ultimo bacio sulla testa del
piccolo, prima di affidarlo a un’infermiera.
Emma volse il
capo a guardare fuori dalla finestra, senza seguire la donna che lasciava la
stanza con il bambino.
L’infermiera
passò proprio accanto a lui, ma il signor Gold
non poté distogliere gli occhi da Emma. La donna prese un respiro
profondo, poi parve crollare su se stessa. Singhiozzi silenziosi ma potenti la
scossero in tutto il corpo, e per quanto facesse male, lui si costrinse a
guardare. Ne era responsabile, ed era giusto che condividesse questo dolore. Non
aveva amici né una famiglia che le stesse accanto, a rassicurarla e a
confortarla. Quella donna non aveva niente, neppure la consapevolezza che un
giorno le cose sarebbero andate meglio.
Non poteva
lasciare che lo vedesse, non ancora. Perché il piano avesse successo doveva
restare all’oscuro di tutti i nessi che li univano. Ma forse, un giorno,
sarebbe stato in grado di dirle che lui era stato lì. Che non era stata
del tutto sola in quello che era stato probabilmente il momento più solo
della sua vita. Che c’era stato un testimone intimorito di fronte alla
bellezza di quello che era stato il momento più forte della sua vita.
Attese finché
non si addormentò. Non c’era pericolo di poterla svegliare; l’infermiera
le aveva dato un sedativo.
La luce della
luna si riversava nella stanzetta scura, splendendo tra i suoi biondi capelli
di seta. Era bellissima, come ogni principessa di fiaba. Raggiunse il letto e
guardò giù sul suo bel viso, dissetandosene ardentemente. Diciotto
anni di infiniti giorni e notti in cui niente e nessuno era cambiato mai. Nessuno
invecchiava, capelli e unghie non crescevano, nessuna nuova ruga spuntava sui
volti... Le sfiorò piano, con la punta delle dita, il viso, i capelli, la
mano abbandonata sul ventre, ancora gonfio della gravidanza – Emma era
cambiata.
Ricordò la
bambina che una volta aveva stretto a sé sul buio e freddo ciglio di una
strada.
Ora, lui avrebbe
avuto il ragazzo. Be’, non lui.
Ma l’avrebbe guardato da lontano. L’avrebbe guardato crescere...
Sorrise al pensiero di una gioia così semplice.
« Andrà
tutto bene, Emma. Mi assicurerò che stia bene. E quando sarà il
momento, verrà a cercarti e ti porterà a casa. Sii forte, piccola
mia » mormorò, e la baciò sulla fronte, come lei aveva
baciato suo figlio poche ore prima.
Trasse una busta
da una tasca e, con intima soddisfazione, la lasciò cadere nella borsa
aperta di Emma, sul tavolino accanto al letto.
L’adozione
era legale, se non propriamente a norma di legge, e il prezzo che il signor Gold aveva chiesto a Regina per un’operazione veloce
e senza problemi era stato di diecimila dollari. Un prezzo che non avrebbe mai
ripagato Emma di ciò cui aveva appena rinunciato, ma che l’avrebbe
aiutata a muoversi, ad andare avanti. Era l’unico aiuto che poteva darle. Almeno per i
prossimi dieci anni...
Note di
traduzione
Questa
è la prima, tra le storie di RicksIlsa, che
abbia letto e amato fino alla venerazione. E confesso che finora è stata
anche la più difficile da tradurre. Non è semplice tentare di ricreare
in italiano il tono di pacata malinconia di cui ha velato i pensieri di Mr. Gold. Spero solo di non averla fatta sfigurare.
* L’originale
per questa frase è and it was all
he could do to keep the triumphant
grin off of his face: sono stata costretta a tradurla letteralmente,
perché in tutta onestà non ho trovato una struttura che ne
rendesse il senso. Si accettano suggerimenti ^^’
Aya Lawliet ~