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Autore: cranberry sauce    23/01/2012    5 recensioni
John/Paul.
John apre gli occhi, lentamente, e nel breve lasso di tempo che gli serve per rendersi conto di essere sveglio e di essere proprio lì, proprio in quel letto, in quella stanza, gli si apre davanti un infinito mondo di possibilità; fra le lenzuola e il cuscino, potrebbe essere qualsiasi persona, qualunque cosa, ovunque e da nessuna parte. {dal primo capitolo}
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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IV .
Di come la malinconia prende la sera
 
{I’ve just seen a face,
I can’t forget the time or place where we just met.}
 
Liverpool. Sagra di Woolton, 6 luglio 1957.
 
Fa caldo, tanto caldo. Il sole picchia indecentemente e Paul si ripara gli occhi con la mano. Si sente un ufficiale, si sente il capitano di una nave e, dato che la via è deserta, prende a marciare a passo spedito, ginocchia alte, pancia in dentro e petto in fuori. La chitarra che si tira dietro non è più una chitarra, è una baionetta. È un binocolo con cui può scrutare il cielo e le stelle e gli scogli che si avvicinano.
Paul marcia nella via deserta, marcia sul ponte della nave.
 
Dopo un paio di svolte, Paul di sicuro non ha bisogno della sua chitarra-binocolo per vedere che ormai non si trova poi così lontano dalla sua meta. E non ne ha bisogno nemmeno per vedere Ivan che lo saluta con la mano dall’angolo della strada. Qualche passo più tardi, raggiungono il palco improvvisato sul quale si sta esibendo il gruppo dell’amico di Ivan, un tale John Langdon. Lester. Lequalcosa, insomma. La chiesa di St.Peter si staglia netta contro il cielo limpido e Paul approfitta della sua ombra per scongiurare lo scioglimento del suo cervello. Già si immagina la poltiglia bianco-rosa uscirgli dalle orecchie e no, grazie, non è necessario che capiti proprio a lui un evento sì spiacevole.
 
Il cantante del gruppo chiamato, a quanto dice il volantino, The Quarrymen – Paul sogghigna al nome e pensa che sia tutto tranne che originale – sta cantando Come Go With Me, azzeccando una parola ogni quattro o cinque e inventando le restanti. Ha una camicia a quadri e i capelli ricci, biondi, riflettono il sole cocente. Paul è quasi sicuro che da sopra il palco, con il caldo che fa e l’ombra proiettata dalla chiesa a qualche metro di distanza, gli spettatori e il resto del quartiere non sembrino altro che un miraggio sfocato, una fata morgana immobile nel suo continuo danzare, sfuggente nel suo trovarsi sempre lì, sempre troppo lontana per essere raggiunta. Paul soffia in alto per rinfrescarsi la fronte e spostare il ciuffo di capelli che si è impigliato nelle sue ciglia. Paul continua a guardare John Lequalcosa e non sa spiegare se si senta improvvisamente molto felice o molto turbato o tutte e due le cose insieme o nessuna delle due cose.
Per scacciare quei pensieri, Paul sposta lo sguardo sulla chitarra del suddetto e si mette a soppesarne la tecnica, appena in tempo per evitare lo sguardo indagatore del cantante, non sapendo che, da quel giorno e per gli anni a venire, non sarà altrettanto fortunato.
 
~

Londra. Casa di Paul, 13 gennaio 1969.
 
Fa freddo, tanto freddo. Il gelo gli entra nelle ossa e Paul si mette una mano sugli occhi, stancamente. Si mette una mano sugli occhi perché vorrebbe che tutto smettesse così com’è cominciato, ma Paul sa che non è possibile.
Paul sa che un certo limite è stato superato e che non si può tornare indietro, sa che la sua nave ha già iniziato ad affondare e, anche guardando attraverso la lente della sua chitarra-binocolo, non c’è traccia di terra all’orizzonte.
Non c’è traccia di salvezza.
Non c’è traccia di casa.
 
Paul è seduto sul bordo del letto e nello specchio appoggiato alla parete vede il riflesso di John, anche lui seduto sul bordo del letto, una mano sotto il mento e lo sguardo rivolto verso la gelida oscurità della notte che nemmeno le luci di Londra riescono a rischiarare. Paul viene colpito dalla consapevolezza che, nonostante tutto, sono ancora uguali, lui e John. Paul continua a guardare John e non sa spiegare se si senta improvvisamente molto felice o molto turbato o tutte e due le cose insieme o nessuna delle due cose.
Per rompere il silenzio, allunga il braccio e sfiora delicatamente la maglietta di John, i polpastrelli callosi inciampano sulle vertebre che hanno imparato a conoscere. In un sussurro gli chiede cosa ne è stato di quella camicia a quadri.
 
Paul chiede: “Cosa ne è stato di quella camicia a quadri?” e John non risponde. Poi, lentamente, si volta, la melodia di vertebre che risuona tra le pallide dita dell’altro.
John si volta e accenna un sorriso. Scuote la testa, e per una volta è lui quello che cerca di evitare uno sguardo indagatore, non sapendo che, da quel giorno e per gli anni a venire, di sguardi del genere non ce ne saranno più.
 
Ma per quella notte ne hanno abbastanza entrambi. Sono stanchi di pensare a quello che è stato, sono stanchi di pensare a quello che sarà, e lo spazio che li separa non è altro che un letto ancora rifatto. Ancora gelido, arido, immenso come le notti di gennaio.
Per quella notte ne hanno abbastanza entrambi, e allora John scivola sotto le coperte e, quando Paul fa lo stesso, arranca febbrilmente, lo stringe e lo abbraccia e spera che Paul capisca che lui, in fondo, quella camicia a quadri non se l’è mai tolta.
 
 
 
[Angolo della demenza.
Innanzitutto, ho un dubbio, e se qualcuno me lo fugasse non potrei che ringraziare. Paul, nel gennaio del ’69, abitava ancora vicino agli studi di Abbey Road, giusto? Immagino di sì. Ma se è sbagliato, ditemelo che correggo.
Secondariamente, l’Ivan da me nominato è Ivan Vaughan ed è esistito veramente, ma non mi appartiene alla stregua degli altri. Solo per precisare, eh.
Infine, non chiedetemi dove fossero Linda e Yoko. Fuori città, il più lontano possibile, da qualche parte in un bosco sperduto.
E ringrazio tutti quelli che leggono, e quelli che si prendono due secondi per recensire. Grazie davvero :D]
   
 
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