Changes
Henry
aveva cinque anni quando capì di essere diverso.
Lui e sua madre stavano cenando nella
grande sala da pranzo con l’argenteria buona, quella per le occasioni
speciali. Il tutto era per festeggiare la sua uscita dalla scuola materna. La
mattina dopo sarebbe entrato al Giardino d’Infanzia, e ora stava
raccontando alla mamma quanto si sarebbe divertito con il suo compagno di
giochi Joshua.
Regina lo ascoltò divagare per un
po’, ma al sentire il nome di Joshua lo
interruppe.
« No, Henry, Joshua
resterà alla scuola materna. Ma non preoccuparti, sarai così
impegnato a farti nuovi amici che non avrai neppure il tempo di pensare a lui »
gli disse regalandogli un sorriso splendente.
« Ma perché? Non ha cinque
anni anche lui? » domandò Henry.
Il sorriso le sparì dalle labbra,
sostituito da uno sguardo severo.
« Ne abbiamo già parlato,
Henry. Joshua non è ancora pronto per il
Giardino d’Infanzia » disse in tono brusco.
Henry rabbrividì di fronte alla
freddezza dei suoi occhi, e tornò in fretta al suo cibo.
L’atteggiamento di Regina
migliorò nel corso della serata, poiché Henry fu ben attento a
non parlare più del suo amico, e le domandò invece che cosa lo
aspettava a scuola. Inizialmente le sue risposte erano brevi e frammentarie, ma
quando gli chiese di interrogarlo sui colori e sull’alfabeto, la sua voce
tornò calda e il ghiaccio sparì dai suoi occhi scuri.
Fu sua madre ad accompagnarlo, quel
primo giorno. L’indomani avrebbe preso un autobus, ma di solito i
genitori scortavano i loro figli in occasione del primo giorno di scuola. Almeno,
lui credeva che fosse così. Comunque, Henry capì ben presto, con
un senso di disagio allo stomaco, che non c’erano altri genitori nei
dintorni. Solo altri bambini che camminavano, ridevano e si comportavano come
se sapessero esattamente dove stavano andando e come se tutti si conoscessero
da un bel po’ di tempo. Persino quelli più piccoli. La loro
sicurezza era un po’ sconcertante, ma Henry era troppo intimorito per
dire qualunque cosa. Non voleva che Regina lo lasciasse incollerita.
La sua maestra era una donna anziana,
simpatica e rotondetta, con mani morbide e calde che strinsero gentilmente la
sua quando Regina fece le presentazioni. Le mani di sua madre erano sempre fredde
e anche un po’ ossute.
La mamma lo lasciò con un rapido
bacio sulla fronte e un paio di bambine ridacchiarono. Henry arrossì e
si diresse verso un posto vuoto, ma la maestra lo fermò. Lo fece restare
in piedi di fronte alla classe e lo presentò, quindi chiese a tutti i
bambini di dire il proprio nome.
« Adesso, siate tutti gentili con
Henry, è il suo primo giorno. »
« Ehm... Non è il primo
giorno per tutti? » le domandò lui.
La maestra gli sorrise.
« Oh, no, tesoro, questi sono gli
stessi bambini che erano qui l’anno scorso. Ora prendi una sedia... »
« Ma io credevo che dopo un anno
si passasse in prima elementare » fece notare Henry, confuso.
Il sorriso della maestra restò al
suo posto.
« Sì, caro, ora prendi una
sedia, per favore. È ora di cominciare. »
Henry sospirò e si fece strada
verso il banco vuoto.
La sua maestra aveva qualcosa che non
andava.
Col passare delle ore le cose andarono
anche peggio. Gli altri bambini si conoscevano davvero bene l’un l’altro,
e non sembravano interessati a fare amicizia con Henry. Naturalmente, le sue
insistenze sul fatto che quest’anno sarebbero tutti dovuti passare in
prima elementare annoiarono ben presto quelli di loro che cercavano di parlargli.
Quando faceva domande sulla loro età e sui loro compleanni sembravano
tutti un po’ confusi, e iniziarono a ignorare il suo turbamento, come se
fosse semplicemente un po’ stupido.
Entro la fine delle lezioni si sentiva
frustrato e incredibilmente solo.
Henry corse all’ufficio di sua
madre, impaziente di avere una spiegazione sugli avvenimenti di quella
giornata. Il proprietario del negozio dei pegni della città stava
lasciando il palazzo giusto mentre Henry entrava.
« Ciao, Henry, com’è
andato il tuo primo giorno di scuola? » chiese il signor Gold quando gli si avvicinò.
L’uomo si appoggiò
pesantemente al bastone, e Henry si domandò, non per la prima volta,
come si fosse ferito a quella gamba.
« Uhm, bene. Mi scusi, mia madre
mi sta aspettando » disse, e corse dentro.
Si barricò dentro l’ufficio
e poco dopo desiderò di esser rimasto a chiacchierare per un po’
con il signor Gold, perché tra lui e sua madre
ci fu la peggiore discussione che avessero mai avuto. Cercò di parlarle
delle stranezze della scuola e dei suoi compagni, ma lei non voleva ascoltare. Lo
sgridò per aver rifiutato quelle offerte di amicizia con le sue ridicole
idee.
« Io non capisco! »
Indicò le fotografie che lo ritraevano dalle pareti e dagli scaffali del
suo ufficio. « Perché qui io sono l’unico che cambia? »
Gli occhi di Regina tornarono a
riempirsi di gelo, che sembrò pioverle giù dal viso e ricoprirle
tutto il corpo.
Ma Henry continuò.
« Ogni anno ho una festa di
compleanno. Ma nessun altro ce l’ha. Nemmeno tu! Tutte queste foto
mostrano che sono cresciuto, ma tu sei sempre la stessa! »
Fu la prima e unica volta in cui Regina
lo schiaffeggiò.
Rimasero entrambi frastornati, ma poi il
sindaco si scosse appena e afferrò il mento di Henry, costringendolo a
guardarla in viso.
« Ascoltami, Henry. Non dovrai mai
più parlare di questa tua folle idea, mi hai sentita? Né con me,
né con nessun altro, sono stata chiara? »
« Sissignora » rispose con
voce roca.
Quando lo lasciò andare, lui si
voltò e si precipitò fuori dalla porta.
Le lacrime lo accecavano mentre correva
via, così non vide l’uomo finché non l’ebbe quasi
investito.
« Ehi, Henry! Stai bene? »
Riconobbe l’accento scozzese anche
se il pianto gli annebbiava la vista. Annuì, ma non riuscì a
parlare perché troppo occupato a trattenere i singhiozzi.
La stretta dell’uomo sulla sua
spalla era sorprendentemente forte, mentre guidava il bambino verso una
panchina poco più in là lungo la strada. Si trovava dietro il
marciapiede, perciò i passanti non li avrebbero notati facilmente.
Henry saltò sulla panchina e si
nascose subito il viso tra le mani.
Il signor Gold
sospirò mentre si sedeva.
« Sapevi di essere stato il
più forte e disperato desiderio di tua madre? Voleva così tanto
un bambino, che mi ha chiesto di trovarne uno per lei. »
Le lacrime si fermarono e Henry
alzò gli occhi su di lui, confuso.
« Trovare? Vuol dire che... sono
stato adottato? »
Ma il signor Gold
non stava ascoltando. Tese una mano verso il ragazzino e carezzò
gentilmente la guancia che sua madre aveva schiaffeggiato.
« I bambini sono così
preziosi. Il più prezioso di tutti i tesori... » mormorò,
poi ritrasse le dita.
All’improvviso sembrava
arrabbiato. I suoi occhi erano quasi in fiamme dalla rabbia. Era un calore
fiero, in chiaro contrasto con la freddezza di sua madre.
Tuttavia Henry non ebbe paura. La rabbia
non era rivolta a lui.
« Signor Gold,
cosa voleva dire...? »
« Signorina Blanchard?
» chiamò inaspettatamente il signor Gold,
interrompendolo.
Una donnina con corti capelli neri e la
pelle bianca come la neve camminava verso di loro.
« Signor Gold?
» chiese incerta, spostando lo sguardo su Henry.
L’uomo si alzò con l’aiuto
del bastone e le fece cenno di avvicinarsi.
« Conosce Henry Mills? Henry, questa è la signorina Blanchard. Insegna alla tua scuola, e sono sicuro che sarai
nella sua classe un giorno, quando sarai più grande » disse il
signor Gold come se quello fosse un normalissimo,
piacevole pomeriggio.
« Piacere di conoscerti, Henry »
disse la signorina Blanchard tendendogli la mano.
Henry la strinse educatamente, ma si
ritrovò come ipnotizzato dai suoi occhi scuri e buoni. Strinse più
forte, lasciandosi sfuggire qualche altra lacrima. Gli sembrava così
familiare. Era come... famiglia. O
quel che pensava che la famiglia dovesse essere.
« Devo fare due chiacchiere con il
sindaco. Signorina Blanchard, sarebbe così
gentile da sedersi con Henry per qualche minuto? »
Lei annuì e si lasciò
cadere nel posto lasciato libero dal signor Gold.
« Certamente » disse,
attirando il bambino in un caldo abbraccio mentre i singhiozzi tornavano.
Il signor Gold
zoppicò di nuovo verso l’ufficio di Regina, fermandosi solo per
chiamare un uomo che stringeva in mano un ombrello e camminava dal lato opposto
della strada.
« Dottor Hopper, posso rubare un
minuto del suo tempo? »
I due si scambiarono qualche parola
prima di entrare insieme nell’edificio.
La signorina Blanchard
strofinò dolcemente la schiena di Henry e iniziò a parlargli dei
suoi uccellini e dei suoi scoiattoli. Le uova di pettirosso nel nido fuori
dalla finestra della sua classe si erano schiuse quella mattina, così
invitò Henry ad andare a trovarla il giorno dopo, durante l’intervallo,
per vederle.
Le lacrime cessarono, e Henry sorrise e
accettò con gioia. Forse, dopotutto, oggi aveva conosciuto una nuova
amica.
Il sindaco uscì pochi minuti
dopo, con aria scossa.
Al cadere sulla signorina Blanchard, gli occhi le si indurirono e tornarono gelidi.
« Che cosa crede di fare? »
sibilò pericolosamente alla donnina.
« Stavo solo... andando via »
disse la signorina Blanchard, e si alzò in
piedi. « Ci vediamo, Henry. »
Lo sguardo freddo si rivolse a Henry, e
per un istante lui ne ebbe più paura di quanta ne avesse mai avuta.
Ma poi il rumore rivelatore del bastone
del signor Gold fece sì che sua madre si
fermasse e chiudesse gli occhi.
Quando li riaprì, il ghiaccio era
sparito, sepolto dietro la maschera, e lei s’inginocchiò per
portarli al livello di quelli del figlio.
« Henry, mi dispiace. Non avrei
dovuto colpirti. Ti prometto che non lo farò mai più » e
gli diede un goffo abbraccio che lui non ricambiò. « Ora, a
partire da domani, farai visita al dottor Hopper dopo la scuola. Potrai parlargli
di tutte le cose che non capisci, e lui cercherà di aiutarti. Ti piace l’idea?
»
Henry annuì.
« Bene. Ora andiamo a cena »
disse, alzandosi e offrendogli la mano.
Henry afferrò quelle dita fredde
e scomode e desiderò che fosse la signorina Blanchard
a portarlo a cena.
Superarono il signor Gold
mentre s’incamminavano verso la Nonna.
Regina sembrò non riconoscerlo, ma lui strizzò l’occhio a
Henry e il ragazzino sentì che l’umore gli si sollevava un po’.
Forse non era così male come
pensava. Forse questa donna fredda e crudele non era la sua vera mamma. Forse la
signorina Blanchard l’avrebbe aiutato a
trovarla.
Si guardò alle spalle e vide l’uomo
svoltare l’angolo verso il suo negozio.
E se non l’avesse fatto lei, forse
l’avrebbe fatto il signor Gold.
Era bello non sentirsi più
così solo.