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Autore: RicksIlsa    23/01/2012    5 recensioni
Si barricò dentro l’ufficio e poco dopo desiderò di esser rimasto a chiacchierare per un po’ con il signor Gold, perché tra lui e sua madre ci fu la peggiore discussione che avessero mai avuto. Cercò di parlarle delle stranezze della scuola e dei suoi compagni, ma lei non voleva ascoltare. Lo sgridò per aver rifiutato quelle offerte di amicizia con le sue ridicole idee.
« Io non capisco! » Indicò le fotografie che lo ritraevano dalle pareti e dagli scaffali del suo ufficio. « Perché qui io sono l’unico che cambia? »
Gli occhi di Regina tornarono a riempirsi di gelo, che sembrò pioverle giù dal viso e ricoprirle tutto il corpo.
Ma Henry continuò.
« Ogni anno ho una festa di compleanno. Ma nessun altro ce l’ha. Nemmeno tu! Tutte queste foto mostrano che sono cresciuto, ma tu sei sempre la stessa! »
Fu la prima e unica volta in cui Regina lo schiaffeggiò.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Henry Mills, Mary Margaret Blanchard/Biancaneve, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Untold Tale'
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Henry aveva cinque anni quando capì di essere diverso.

Lui e sua madre stavano cenando nella grande sala da pranzo con l’argenteria buona, quella per le occasioni speciali. Il tutto era per festeggiare la sua uscita dalla scuola materna. La mattina dopo sarebbe entrato al Giardino d’Infanzia, e ora stava raccontando alla mamma quanto si sarebbe divertito con il suo compagno di giochi Joshua.

Regina lo ascoltò divagare per un po’, ma al sentire il nome di Joshua lo interruppe.

« No, Henry, Joshua resterà alla scuola materna. Ma non preoccuparti, sarai così impegnato a farti nuovi amici che non avrai neppure il tempo di pensare a lui » gli disse regalandogli un sorriso splendente.

« Ma perché? Non ha cinque anni anche lui? » domandò Henry.

Il sorriso le sparì dalle labbra, sostituito da uno sguardo severo.

« Ne abbiamo già parlato, Henry. Joshua non è ancora pronto per il Giardino d’Infanzia » disse in tono brusco.

Henry rabbrividì di fronte alla freddezza dei suoi occhi, e tornò in fretta al suo cibo.

L’atteggiamento di Regina migliorò nel corso della serata, poiché Henry fu ben attento a non parlare più del suo amico, e le domandò invece che cosa lo aspettava a scuola. Inizialmente le sue risposte erano brevi e frammentarie, ma quando gli chiese di interrogarlo sui colori e sull’alfabeto, la sua voce tornò calda e il ghiaccio sparì dai suoi occhi scuri.

Fu sua madre ad accompagnarlo, quel primo giorno. L’indomani avrebbe preso un autobus, ma di solito i genitori scortavano i loro figli in occasione del primo giorno di scuola. Almeno, lui credeva che fosse così. Comunque, Henry capì ben presto, con un senso di disagio allo stomaco, che non c’erano altri genitori nei dintorni. Solo altri bambini che camminavano, ridevano e si comportavano come se sapessero esattamente dove stavano andando e come se tutti si conoscessero da un bel po’ di tempo. Persino quelli più piccoli. La loro sicurezza era un po’ sconcertante, ma Henry era troppo intimorito per dire qualunque cosa. Non voleva che Regina lo lasciasse incollerita.

La sua maestra era una donna anziana, simpatica e rotondetta, con mani morbide e calde che strinsero gentilmente la sua quando Regina fece le presentazioni. Le mani di sua madre erano sempre fredde e anche un po’ ossute.

La mamma lo lasciò con un rapido bacio sulla fronte e un paio di bambine ridacchiarono. Henry arrossì e si diresse verso un posto vuoto, ma la maestra lo fermò. Lo fece restare in piedi di fronte alla classe e lo presentò, quindi chiese a tutti i bambini di dire il proprio nome.

« Adesso, siate tutti gentili con Henry, è il suo primo giorno. »

« Ehm... Non è il primo giorno per tutti? » le domandò lui.

La maestra gli sorrise.

« Oh, no, tesoro, questi sono gli stessi bambini che erano qui l’anno scorso. Ora prendi una sedia... »

« Ma io credevo che dopo un anno si passasse in prima elementare » fece notare Henry, confuso.

Il sorriso della maestra restò al suo posto.

« Sì, caro, ora prendi una sedia, per favore. È ora di cominciare. »

Henry sospirò e si fece strada verso il banco vuoto.

La sua maestra aveva qualcosa che non andava.

Col passare delle ore le cose andarono anche peggio. Gli altri bambini si conoscevano davvero bene l’un l’altro, e non sembravano interessati a fare amicizia con Henry. Naturalmente, le sue insistenze sul fatto che quest’anno sarebbero tutti dovuti passare in prima elementare annoiarono ben presto quelli di loro che cercavano di parlargli. Quando faceva domande sulla loro età e sui loro compleanni sembravano tutti un po’ confusi, e iniziarono a ignorare il suo turbamento, come se fosse semplicemente un po’ stupido.

Entro la fine delle lezioni si sentiva frustrato e incredibilmente solo.

Henry corse all’ufficio di sua madre, impaziente di avere una spiegazione sugli avvenimenti di quella giornata. Il proprietario del negozio dei pegni della città stava lasciando il palazzo giusto mentre Henry entrava.

« Ciao, Henry, com’è andato il tuo primo giorno di scuola? » chiese il signor Gold quando gli si avvicinò.

L’uomo si appoggiò pesantemente al bastone, e Henry si domandò, non per la prima volta, come si fosse ferito a quella gamba.

« Uhm, bene. Mi scusi, mia madre mi sta aspettando » disse, e corse dentro.

Si barricò dentro l’ufficio e poco dopo desiderò di esser rimasto a chiacchierare per un po’ con il signor Gold, perché tra lui e sua madre ci fu la peggiore discussione che avessero mai avuto. Cercò di parlarle delle stranezze della scuola e dei suoi compagni, ma lei non voleva ascoltare. Lo sgridò per aver rifiutato quelle offerte di amicizia con le sue ridicole idee.

« Io non capisco! » Indicò le fotografie che lo ritraevano dalle pareti e dagli scaffali del suo ufficio. « Perché qui io sono l’unico che cambia? »

Gli occhi di Regina tornarono a riempirsi di gelo, che sembrò pioverle giù dal viso e ricoprirle tutto il corpo.

Ma Henry continuò.

« Ogni anno ho una festa di compleanno. Ma nessun altro ce l’ha. Nemmeno tu! Tutte queste foto mostrano che sono cresciuto, ma tu sei sempre la stessa! »

Fu la prima e unica volta in cui Regina lo schiaffeggiò.

Rimasero entrambi frastornati, ma poi il sindaco si scosse appena e afferrò il mento di Henry, costringendolo a guardarla in viso.

« Ascoltami, Henry. Non dovrai mai più parlare di questa tua folle idea, mi hai sentita? Né con me, né con nessun altro, sono stata chiara? »

« Sissignora » rispose con voce roca.

Quando lo lasciò andare, lui si voltò e si precipitò fuori dalla porta.

Le lacrime lo accecavano mentre correva via, così non vide l’uomo finché non l’ebbe quasi investito.

« Ehi, Henry! Stai bene? »

Riconobbe l’accento scozzese anche se il pianto gli annebbiava la vista. Annuì, ma non riuscì a parlare perché troppo occupato a trattenere i singhiozzi.

La stretta dell’uomo sulla sua spalla era sorprendentemente forte, mentre guidava il bambino verso una panchina poco più in là lungo la strada. Si trovava dietro il marciapiede, perciò i passanti non li avrebbero notati facilmente.

Henry saltò sulla panchina e si nascose subito il viso tra le mani.

Il signor Gold sospirò mentre si sedeva.

« Sapevi di essere stato il più forte e disperato desiderio di tua madre? Voleva così tanto un bambino, che mi ha chiesto di trovarne uno per lei. »

Le lacrime si fermarono e Henry alzò gli occhi su di lui, confuso.

« Trovare? Vuol dire che... sono stato adottato? »

Ma il signor Gold non stava ascoltando. Tese una mano verso il ragazzino e carezzò gentilmente la guancia che sua madre aveva schiaffeggiato.

« I bambini sono così preziosi. Il più prezioso di tutti i tesori... » mormorò, poi ritrasse le dita.

All’improvviso sembrava arrabbiato. I suoi occhi erano quasi in fiamme dalla rabbia. Era un calore fiero, in chiaro contrasto con la freddezza di sua madre.

Tuttavia Henry non ebbe paura. La rabbia non era rivolta a lui.

« Signor Gold, cosa voleva dire...? »

« Signorina Blanchard? » chiamò inaspettatamente il signor Gold, interrompendolo.

Una donnina con corti capelli neri e la pelle bianca come la neve camminava verso di loro.

« Signor Gold? » chiese incerta, spostando lo sguardo su Henry.

L’uomo si alzò con l’aiuto del bastone e le fece cenno di avvicinarsi.

« Conosce Henry Mills? Henry, questa è la signorina Blanchard. Insegna alla tua scuola, e sono sicuro che sarai nella sua classe un giorno, quando sarai più grande » disse il signor Gold come se quello fosse un normalissimo, piacevole pomeriggio.

« Piacere di conoscerti, Henry » disse la signorina Blanchard tendendogli la mano.

Henry la strinse educatamente, ma si ritrovò come ipnotizzato dai suoi occhi scuri e buoni. Strinse più forte, lasciandosi sfuggire qualche altra lacrima. Gli sembrava così familiare. Era come... famiglia. O quel che pensava che la famiglia dovesse essere.

« Devo fare due chiacchiere con il sindaco. Signorina Blanchard, sarebbe così gentile da sedersi con Henry per qualche minuto? »

Lei annuì e si lasciò cadere nel posto lasciato libero dal signor Gold.

« Certamente » disse, attirando il bambino in un caldo abbraccio mentre i singhiozzi tornavano.

Il signor Gold zoppicò di nuovo verso l’ufficio di Regina, fermandosi solo per chiamare un uomo che stringeva in mano un ombrello e camminava dal lato opposto della strada.

« Dottor Hopper, posso rubare un minuto del suo tempo? »

I due si scambiarono qualche parola prima di entrare insieme nell’edificio.

La signorina Blanchard strofinò dolcemente la schiena di Henry e iniziò a parlargli dei suoi uccellini e dei suoi scoiattoli. Le uova di pettirosso nel nido fuori dalla finestra della sua classe si erano schiuse quella mattina, così invitò Henry ad andare a trovarla il giorno dopo, durante l’intervallo, per vederle.

Le lacrime cessarono, e Henry sorrise e accettò con gioia. Forse, dopotutto, oggi aveva conosciuto una nuova amica.

Il sindaco uscì pochi minuti dopo, con aria scossa.

Al cadere sulla signorina Blanchard, gli occhi le si indurirono e tornarono gelidi.

« Che cosa crede di fare? » sibilò pericolosamente alla donnina.

« Stavo solo... andando via » disse la signorina Blanchard, e si alzò in piedi. « Ci vediamo, Henry. »

Lo sguardo freddo si rivolse a Henry, e per un istante lui ne ebbe più paura di quanta ne avesse mai avuta.

Ma poi il rumore rivelatore del bastone del signor Gold fece sì che sua madre si fermasse e chiudesse gli occhi.

Quando li riaprì, il ghiaccio era sparito, sepolto dietro la maschera, e lei s’inginocchiò per portarli al livello di quelli del figlio.

« Henry, mi dispiace. Non avrei dovuto colpirti. Ti prometto che non lo farò mai più » e gli diede un goffo abbraccio che lui non ricambiò. « Ora, a partire da domani, farai visita al dottor Hopper dopo la scuola. Potrai parlargli di tutte le cose che non capisci, e lui cercherà di aiutarti. Ti piace l’idea? »

Henry annuì.

« Bene. Ora andiamo a cena » disse, alzandosi e offrendogli la mano.

Henry afferrò quelle dita fredde e scomode e desiderò che fosse la signorina Blanchard a portarlo a cena.

Superarono il signor Gold mentre s’incamminavano verso la Nonna. Regina sembrò non riconoscerlo, ma lui strizzò l’occhio a Henry e il ragazzino sentì che l’umore gli si sollevava un po’.

Forse non era così male come pensava. Forse questa donna fredda e crudele non era la sua vera mamma. Forse la signorina Blanchard l’avrebbe aiutato a trovarla.

Si guardò alle spalle e vide l’uomo svoltare l’angolo verso il suo negozio.

E se non l’avesse fatto lei, forse l’avrebbe fatto il signor Gold.

Era bello non sentirsi più così solo.

   
 
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