Letting Go
Emma strascicava
i piedi nell’arrancare verso casa. Casa.
Forse avrebbe sorriso, se non le si fosse appena spezzato il cuore. In tutti i
suoi ventotto anni di vita non aveva mai pensato al luogo in cui viveva come a ‘casa’.
E, tecnicamente, era nell’appartamento di Mary Margaret che ora viveva,
ma nella sua mente ‘casa’ sembrava la parola giusta.
Era piccola,
vecchia e un po’ malandata. C’era sempre qualche problema che
saltava fuori con le tubature e le crepe nelle pareti e nei soffitti. Anche da fuori
poteva sentire chiaramente il ronzio troppo forte dello scaldabagno. Eppure era
bella, e rispecchiava la personalità di Mary Margaret. Non era certo il
miglior posto in cui Emma fosse mai stata, ma le dava un qualche conforto che
non aveva mai trovato altrove.
In quel momento,
tuttavia, la sua ‘casa’ aveva perso per lei ogni fascino. A ogni
passo si sentiva più pesante. Come se qualcuno la spingesse verso il
basso con sempre più forza man mano che camminava. La sua mente era
avvolta da una nebbia di dolore. E l’incredulità la consumava.
Non era giusto.
Graham non poteva essere morto.
L’ultima
volta che aveva aperto il suo cuore a qualcuno era stato più di dieci
anni prima. Era rimasta così scottata da ripromettersi di non farlo mai
più. A guardarsi indietro oggi capiva che, per quanto avesse fatto male,
ne era valsa la pena. Per Henry.
Ma perdere
Graham era diverso. Lui non l’aveva abbandonata per qualcun altro. Lui era
morto.
Aveva lottato
contro la propria attrazione per lui fin dal momento in cui si era svegliata in
prigione. Il suo fascino era disarmante e a Emma era piaciuto davvero, anche
prima di lasciarsi coinvolgere.
Venire a sapere
del suo ‘coinvolgimento’
con il sindaco l’aveva ferita più del dovuto. Avrebbe dovuto ritrarsi
allora. Ma lui l’aveva guardata con quegli occhi tristi, disperati, e per
Emma era stato facile capire che era solo un’altra delle vittime di
Regina, che gridava aiuto, chiedendole di liberarlo. Non era il primo e certo
non sarebbe stato l’ultimo. Era in momenti come quelli che Emma riusciva
quasi a scorgere un po’ di verità nella teoria di Henry. Che Regina
era davvero una strega malvagia che aveva intrappolato un’intera
città. Una città che non sapeva neanche di essere imprigionata.
Emma posò
la mano sul pomello della porta, cercando la forza di aprirla.
I suoi pensieri
volavano in molte diverse direzioni. Si rifiutavano di soffermarsi su
ciò che le causava tanto dolore. Un meccanismo di difesa che aveva
imparato molto presto, nella sua vita. Ma sapeva che, non appena avesse posato
gli occhi su Mary Margaret, si sarebbe concentrata su Graham, e sulla parte che
la compagna aveva avuto nell’ultima tragedia dell’esistenza di
Emma.
Prese fiato e
spinse la porta.
Mary Margaret
alzò lo sguardo dai compiti di ortografia che stava correggendo, con un
sorriso di benvenuto.
« Ehi, sei
tornata prima di quanto pensassi. Com’è andata? »
Emma non disse
nulla; restò soltanto in piedi sulla soglia, ad accogliere l’ondata
di rabbia che la travolse mentre guardava l’amica.
« Oddio,
cos’è successo? Emma? Stai bene? »
Mary Margaret fu
subito in piedi, lanciandosi al fianco di Emma e stringendole il braccio.
Emma si ritrasse
e la incenerì con gli occhi.
« Non
avrei dovuto ascoltarti! » sibilò, ribollendo d’ira.
Mary Margaret
tacque, in paziente attesa. Questo le fece capire quanto meschinamente si
stesse comportando, ma non le importava.
« L’ho
fatto. Ho buttato giù il ‘muro’ e l’ho lasciato
entrare... » Dovette interrompersi e buttar fuori un singhiozzo.
Cercò disperatamente
di aggrapparsi alla rabbia. La rabbia era buona: teneva lontano il dolore.
Dopo qualche
minuto di silenzio, Mary Margaret si fece più vicina.
« Emma... »
« No! »
Emma alzò una mano per respingerla. Fu sorpresa di vederla tremare
tanto, e poi si rese conto che era tutto il suo corpo a tremare.
« Dimmi
cos’è successo. » La voce di Mary Margaret era ferma. Era un’imposizione,
non una richiesta.
« Gli ho
aperto il mio cuore. Mi ha baciata. Io l’ho baciato. E poi mi è
morto tra le braccia! »
Gridò le
ultime parole con un gemito di dolore e si lasciò cadere sul pavimento.
Lampi di passato
le attraversarono la mente. Rivisse le molte volte in cui il suo mondo le era
crollato intorno, e lei era rimasta sola a piangere su un pavimento duro e
freddo. Si avvolse stretta tra le proprie braccia, nel disperato tentativo di tenersi
intatta. Aveva paura che, se si fosse lasciata andare, sarebbe finita in mille
pezzi.
Lei non era
altro che una pozza di infelicità, e per un terrificante secondo non credette di poter sopravvivere. Non era neanche sicura di
volerlo. Tutto ciò che aveva mai sentito era il dolore e il freddo...
E poi, all’improvviso,
qualcosa cambiò.
Mary Margaret la
raggiunse sul pavimento, e con forza sorprendente la trasse a sé. Una
stretta calda la circondò. Una mano scivolò tra i capelli di
Emma, gentile ma decisa, e le premette il capo contro una spalla morbida.
All’inizio
la respinse, ma quando guardò negli occhi di Mary Margaret
rabbrividì. La pena, le lacrime che vide non erano per Graham, ma per
lei. Per Emma. Mary Margaret, la sua compagna, la sua amica... e, secondo
Henry, sua madre...
Questa donna
soffriva perché Emma soffriva. Piangeva perché Emma piangeva. Condivideva
il suo dolore e voleva aiutarla a portarne il peso.
Il freddo
lasciò il posto al caldo. Il dolore cambiò: faceva ancora male,
ma era un male buono. La faceva sentire viva. Le sue dita si strinsero nella
camicia di Mary Margaret, e Emma comprese la semplice gioia del potersi
stringere a qualcuno mentre si crollava. Del sapere che, se anche fosse finita in
un milione di pezzettini, esisteva qualcuno che l’avrebbe rimessa
insieme.
Era una salvezza...
una sicurezza che non aveva mai provato in tutta la vita.
« Va tutto
bene, Emma, sono qui » sussurrò Mary Margaret, « puoi
lasciarti andare. »
E lei lo fece.