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Autore: SAranel    24/01/2012    6 recensioni
John vede Sherlock comportarsi in modo strano, o meglio, più strano del solito. Decide di scoprire cosa passa per la mente del geniale coinquilino, e...cosa sarà mai?
“Hai una mentalità talmente superficiale a volte”
John rise, sarcastico.
“Oh certo. Mentre un uomo adulto che rimane mezz’ora a testa in giù sul pavimento, che gira intorno ad un tavolo e che saltella avanti e indietro per casa ha certamente una mentalità più complessa. Da analizzare a fondo. Ti serve uno psichiatra” rispose il medico, rinunciando quasi a capirlo.
“Percepisco del sarcasmo”
“Percepisci bene, Sherlock”[...]
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Hello, people!
Sono tornata, con la terza storia su questa coppia in pochissimo tempo. Sono in un periodo particolarmente creativo e fin quando l’ispirazione c’è, cerco di farla fruttare!

Oggi, il tema che ho voluto utilizzare è l’amicizia, e quale amicizia c’è più simpatica e particolare che quella fra i nostri due beniamini?
Sperando di non aver fatto troppo male, al solito.
Buona lettura,

 

S.

 

 
Can you keep a secret?

 

 

 

Sherlock era inquieto. Non che John non ci fosse abituato. Ormai aveva fatto il callo per le sue alzatacce durante la notte, per il violino suonato a tutte le ore, per quella sua irritabilità quando si ritrovava senza nessun caso per le mani. Quel giorno però, la situazione sembrava veramente, seriamente più grave.
John lo osservò, senza parlare, sapendo che una sua domanda, anche un semplice ‘che succede?’ avrebbe potuto suscitare una risposta sarcastica e irriverente. Non era davvero il caso. Rimase così sullo stipite della porta a guardare il suo coinquilino vagare su e giù per la stanza lanciandogli ogni tanto uno sguardo veloce, ma ugualmente penetrante. Ecco. A quelle occhiate che lo scrutavano, John non si era ancora abituato. Sentiva una sorta di nudità, di disagio, ogni volta. Si strinse nel suo cappotto, sentendosi improvvisamente scoperto.

Mentre lui si soffermava a riflettere su quel particolare aspetto di Sherlock, quest’ultimo si sistemò, inspiegabilmente, a testa in giù contro il pavimento. I riccioli scuri gli scesero sugli occhi, donandogli un aspetto singolare e la vestaglia da camera scesa completamente intorno alle braccia e al busto lo faceva sembrare un buffo personaggio dei cartoni animati.

Incrociò le braccia, chiudendo gli occhi e restando immobile. John scosse la testa, immaginandolo in quello che lui chiamava ‘il suo palazzo mentale’. Ovviamente impenetrabile per chiunque altro non fosse se stesso.

Rimase in quella posizione per un buon quarto d’ora, e solo quando John lo vide diventare completamente rosso in viso come una specie di semaforo impazzito decise che era il caso di intervenire.

“Sherlock, forse sarebbe il caso di non tormentare oltre la tua povera testa” si convinse a interromperlo, affondando nella poltrona di fronte al caminetto. Sherlock aprì nuovamente gli occhi e sbuffò, con espressione contrita, facendo leva con le mani sul pavimento e tornando dritto –anche se barcollante- con un abile balzo.

“John, cercherò di comprendere la tua inspiegabile e irritante voglia di importi sulle mie decisioni, ma ti pregherei di lasciar decidere a me quando interrompere i miei esperimenti” disse, con voce più contrariata del solito.

“Oh, scusa se mi preoccupo per la tua salute, Sherlock” rispose John sarcastico, decidendo che forse sistemare la spesa in frigo era decisamente più utile che cercare di capire il comportamento del compagno. “la prossima volta lascerò che ti scoppi un’arteria”.

“Sarebbe un ottimo test per la mia resistenza” esordì Sherlock, facendo come se John lo avesse offeso. Senza guardarlo, tornò a sdraiarsi sul divano, a pancia in giù, giocherellando con l’asta del violino. Prese a scuoterla in aria, come se stesse picchiando un qualcuno d’immaginario. Lo spostamento d’aria e il suo rumore secco e fastidioso quasi spinsero John a sfilargliela dalle mani per lanciargliela dietro.

Subito dopo si alzò, camminando verso il medico, fissandolo per qualche secondo per poi tornare a sedersi sul divano. Sbattè i piedi sul pavimento, tenendo il ritmo per qualche secondo, per poi alzarsi nuovamente e sedersi al tavolo della cucina, sospirando e scuotendo la testa, per poi fermarsi poggiando i gomiti sul tavolo e abbandonando la testa sulle mani.

John era spazientito. Conciato in quel modo non l’aveva davvero mai visto. Lo osservò, studiò la sua espressione pensierosa, quasi…preoccupata? John si insospettì. La preoccupazione era un’emozione sconosciuta a Sherlock Holmes. Così come ogni altra, d’altronde. Però, non c’era altro termine per definire il comportamento del coinquilino, in quel momento.

Varie idee e ipotesi, alcune delle quali decisamente fantasiose cominciarono a materializzarsi nella mente di John.
Che fosse successo qualcosa? Che avesse ricevuto un qualche messaggio, un sms minatorio, un qualche strambo enigma, indovinello, rompicapo? Un email di un qualche criminale sconosciuto?
John osservò il suo portatile, ormai suo solamente in teoria dato che era sempre, o almeno per la maggior parte del tempo, fra le mani di Sherlock, che giaceva spento e inutilizzato in un angolo della stanza. Il medico scartò l’ipotesi.
E se fosse stato… Moriarty? Se si fosse rifatto vivo, dopo tutta la faccenda da poco trascorsa, e lo avesse in qualche modo reso inquieto?
Il medico era preoccupato. Continuò ad osservare il compagno che adesso aveva cominciato a girovagare intorno al tavolo, con le mani allacciate dietro la schiena. Alzava gli occhi su di lui di tanto in tanto, fermandosi a guardarlo con curiosità, con una sorta di tormentata…attesa. Si, attesa era il giusto termine per descriverla. Sembrava che qualcosa lo tormentasse, che racchiudesse dentro di lui qualcosa che lo stava consumando, non gravemente, ma che era palese, aveva bisogno di essere liberata.

John mandò al diavolo ogni remora.
“Sherlock, che diavolo ti succede?” gli disse, sbattendo un pugno sul tavolo, cercando di imporsi con autorità. Non voleva essere ignorato, non di nuovo.
Sherlock sembrò colpito. Si fermò immediatamente, rimanendo immobile, le mani ancora strette l’una nell’altra, lo sguardo impassibile ma lievemente corrucciato.

“Cosa ti fa credere, John, che ci sia qualcosa che non va?” domandò il detective guardando il medico con espressione stupita.
John sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Oggi sei… oggi sei più strambo del solito, Sherlock. Ti comporti come… come un pazzo paranoico!”
Sherlock giunse le mani e le portò alla bocca, nella sua solita pensosa espressione.

“Definizione pittoresca, John”

“Sai…sai che intendo. Capisco che ti annoi, che hai bisogno di un caso e che la tua mente ha bisogno di lavorare e tutto…ma ti rendi insopportabile” tagliò corto John, crollando su una sedia. Voleva vederci chiaro.
L’altro non rispose, non subito. Gli lanciò un altro paio di rapide occhiate prima di sedersi anch’egli, di fronte a lui.

“Non mi sto annoiando, John” disse, semplicemente.
John sbarrò gli occhi. Se non era per quello, non riusciva davvero a vedere una luce alla fine di quel tunnel. Quale diamine era la spiegazione?
“E allora?” bisbigliò, mentre il cervello cercava di elaborare un’ipotesi coerente “che succede?”

“Succede, mio petulante amico, che ho bisogno… ho bisogno di scaricare tensione” disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo “ne ho bisogno”
John inarcò un sopracciglio non del tutto convinto.
“Ne hai bisogno per cosa?”
“Per… per esporre un… un pensiero”

“Hai bisogno di tutto questo per… esporre un pensiero?” John si trattenne dal ridere.
“Ad alta voce” aggiunse Sherlock.
“Ad alta voce” ripeté John, ancora trattenendosi dallo scoppiargli a ridere in faccia. “Perché non lo dici e basta?”

Sherlock lo guardò, voltandosi di scatto come se avesse pronunciato davanti a lui chissà quale eresia. Poi scosse la testa.
“Hai una mentalità talmente superficiale a volte”

John rise, sarcastico.
“Oh certo. Mentre un uomo adulto che rimane mezz’ora a testa in giù sul pavimento, che gira intorno ad un tavolo e che saltella avanti e indietro per casa ha certamente una mentalità più complessa. Da analizzare a fondo. Ti serve uno psichiatra” rispose il medico, rinunciando quasi a capirlo.
“Percepisco del sarcasmo”
“Percepisci bene, Sherlock”

Rimasero in silenzio, per minuti che a John sembrarono ore intere. Sherlock fissava la parete dietro di lui, come se fosse qualcosa di fortemente interessante.
“Allora, per l’amor del cielo, cos’è che devi dire?”

Sherlock guardò verso di lui.
“Qualcosa”
“E a chi?”

Sherlock si fissò le mani, e John lo vide per la prima volta quasi…imbarazzato? Nonostante fosse del suo solito colorito niveo, pallido, quell’espressione particolare gli faceva venire in mente solo quell’aggettivo.
“A te”

John non rispose. Rimase fermo a guardarlo, in silenzio, elaborando ogni possibile ipotesi su quello che così difficilmente Sherlock cercava di confessargli. Subito gli tornò in mente il viaggio mentale di poco prima. Era certamente in un guaio enorme, per comportarsi in quel modo. Ci andava di mezzo qualcosa di grosso, forse la sua stessa vita, la loro vita. John si tormentò nervosamente le mani, senza avere il coraggio di chiedere di più. Sospirò.
“Sono pronto a tutto, Sherlock, credimi. Parla” lo esortò, con un sorriso appena accennato, come a fingere che andasse tutto bene.
Sherlock mosse indietro la sedia dondolandovisi e guardando ovunque tranne che gli occhi del dottore.

“Non pensavo di poter arrivare a questo punto, John” cominciò, con voce quasi tremante, diversa dal tono sicuro e supponente che aveva di solito. La tensione di John crebbe ancora di più.
“Continua” lo incoraggiò.
“Pensavo di potermi fermare, pensavo di poterlo bloccare e di non farmi sopraffare. Ma alla fine ci è riuscito e io… io non sono riuscito a trovare una distrazione, una…via di scampo”

Ecco. John lo sapeva. Qualcuno lo aveva incastrato, Moriarty quasi di sicuro. Era l’unico ad avere le capacità necessarie per poter sottomettere uno come Sherlock Holmes. Si chiese in che modo lo stesse mettendo alla strette, si domandò, tormentato, in che modo fosse riuscito ad incastrarlo fino a farlo parlare in quel modo.
“Sherlock, qualunque cosa sia… io posso aiutarti. Possiamo uscirne…” provò a dire il biondo, con aria incoraggiante, comprensiva. Sherlock scosse la testa.

E dire che fino a un quarto d’ora prima sembrava un’altra persona…

“No, ormai è tardi John. Ormai è fatta. Ormai è reale, tangibile, concreto. Non posso più uscirne. Sono in trappola, John. In trappola”

John si alzò, non riuscendo più a rimanere in piedi. Vedere Sherlock ridotto a quel modo lo spaventava. Era sempre stato una roccia, l’uomo razionale e solido su cui poter sempre contare per la giusta soluzione. E adesso…
Si sedette vicino a lui e lo afferrò per le spalle, scuotendolo per farlo tornare in se, per fargli recuperare almeno un pezzo dello Sherlock che aveva conosciuto.
“C’è sempre una soluzione, Sherlock. E tu me l’hai insegnato!” esclamò “Possiamo risolvere tutto, insieme. Ti aiuterò, ma devi dirmi di più, devi dirmi ogni cosa”
Il compare lo guardò, occhi negli occhi, quasi stupito da quella reazione.
“Ci sono caduto. Pensavo di essere immune a certe cose. Invece ci sono caduto.”
“Dimmi che cosa Sherlock! Dimmi qual è questa trappola!”
il detective sospirò. Guardò in basso prima di boccheggiare in cerca della propria voce, in cerca della forza per pronunciare quella sola, unica parola.
“L’amicizia”

John rimase li fermo, con le mani ancora sulle sue spalle. La sua espressione era ancora corrucciata, tesa, spaventata. Dentro di lui però mille e mille pensieri lottavano per uscire. La bocca era impastata, asciutta. Aveva davvero detto…?

“oggi mi sono svegliato e invece di…per l’amor del cielo” si interruppe scompigliandosi i capelli “invece di preparare la mia tazza di the mi sono messo a pensare… a pensare a quanto sono stato fortunato ad averti incontrato. E che è vero che sei l’unico amico che ho, ma ho pensato….oddio” si bloccò chiudendo gli occhi. “che sei l’unico amico migliore che io potessi mai desiderare. E che… mi chiedo cosa io abbia fatto per meritare uno come te. Ecco, l’ho detto” guardò in aria come se non concepisse che la sua voce, la voce del geniale Sherlock Holmes potesse pronunciare una frase del genere.

John voleva ridere. Ridere fin quasi a sentirsi male. Era irritato e allo stesso tempo divertito, sollevato e allo stesso tempo infuriato con il suo coinquilino per avergli fatto prendere uno spavento totalmente infondato. La rabbia però passò quasi subito e John storse il naso. Trovava qualcosa di assolutamente…dolce in quella situazione.

Avrebbe dovuto essere più duro, ma era seriamente impossibile per John in quel momento. Sorrise.
“Per l’amor del cielo John. Le emozioni sono per i deboli. Le emozioni distraggono, deviano la mente verso…frivolezze inutili”

John continuò a ridere. Non poteva crederci, non…non avrebbe mai creduto di poter sostenere quella conversazione con lui. Era tutto talmente… strano.

“Tu sei … Cielo, non so come definirti, Sherlock” riuscì solo a dire, scuotendo la testa, divertito.

“Stupido? Debole? Codardo?” suggerì l’altro mentre strofinava le mani tra loro, nervosamente.

John lo guardò, teneramente.

“…tu sei sempre una sorpresa, Sherlock” disse, invece “e questa volta sei una sorpresa che… che mi scalda il cuore”

Sherlock finalmente lo guardò, senza quel fastidioso distogliere continuamente lo sguardo. Di una cosa Watson era fiero, quasi orgoglioso: era stato il primo, e gli piaceva pensare che sarebbe rimasto l’unico, a provocare una tale reazione in Sherlock Holmes.

“Parli seriamente?” domandò quest’ultimo, sospettoso ma visibilmente sollevato. Quasi si fosse tolto un peso.

“Serio” disse Watson, annuendo. Sherlock sembrò compiaciuto anche se non lo diede troppo a vedere. “e dato che siamo in vena di confessioni… a parte le tue stranezze, a cui ormai sono abituato… anche io ti considero… il mio migliore amico” esclamò, tutto d’un fiato, leggermente rosso in viso.
Un sorriso comparve sul volto del compagno, e scomparve veloce com’era arrivato. John lo comprese. Forse era pretendere troppo per un giorno solo.

“Bene”
“Bene”

Sherlock affondò sul divano, pensieroso. John gli sedette accanto.
“Comunque, tutte queste smancerie sono per gente comune” disse incrociando le braccia.

“Certo” ridacchiò John.
“Non fa per me. Mai più, giuro.” ribatté Sherlock.

John accavallò le gambe, coprendosi la bocca per evitare che Sherlock vedesse il modo in cui sorrideva. Tutta quella discussione aveva dell’incredibile. E John non aveva mai visto il suo coinquilino sotto una luce tanto… adorabile. E gli piaceva, lo trovava estremamente stimolante.

Adoro la gente comune” lo punzecchiò John, fissandolo con la coda dell’occhio.

Sherlock non rispose, ma si limitò ad osservarlo. Poi sembrò combattere con i suoi stessi pensieri. Distogliendo gli occhi sospirò.

“Oh, forse potrei cercare di essere più… comune, ogni tanto” disse “non mi farà male di certo”

John sorrise. Era davvero fortunato. Più di quanto avesse mai anche solo immaginato.

 

 

 
*

 

 

 

 

 

  
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