The Deal
«
Mi dispiace, signora. Non possiamo fare niente... »
Il sindaco Regina Mills
sbatté giù il telefono e ringhiò di frustrazione. Il rumore
echeggiò sui muri della sua casa vuota e risuonò fin dentro il
suo cuore vuoto. Aveva raggiunto il suo ‘lieto fine’, certo, ma il
prezzo era stato alto.
Le parole che le aveva rivolto Malefica,
prima che lei lanciasse la maledizione, le tornarono alla mente non richieste: «
Lascerà un vuoto dentro di te... un vuoto che non sarai mai in grado di
riempire. »
In quel momento non se n’era
curata. Finché Biancaneve e gli altri che le avevano nociuto avessero
sofferto, lei, aveva creduto, sarebbe stata felice. Ma la soddisfazione della
loro sofferenza era sfumata con il tempo. Non che si sarebbe mai stancata di
tiranneggiare la povera Mary Margaret Blanchard...
Eppure, non era preparata alla dolorosa
solitudine che aveva iniziato a infestare ogni suo istante di veglia. Lo
sceriffo era una piacevole distrazione, ma sapeva che Graham non l’avrebbe
mai amata. Era stata proprio lei a renderlo impossibile. Aveva sperato che
potesse darle qualcosa di diverso. Qualcosa cui non aveva mai davvero pensato
prima della sua conversazione con il signor Gold,
pochi giorni prima.
Erano nel suo ufficio, a discutere di alcuni
permessi di azzonamento su alcune proprietà che lui intendeva
acquistare. Uno strillo li aveva indotti entrambi a guardare fuori dalla
finestra.
Era un gruppo di bambini che giocavano a
saltare la corda sul marciapiede. Le labbra di Regina si erano arricciate di
disgusto.
« Ragazzini chiassosi. C’è
un parco incantevole giusto dietro l’angolo, ma no, loro devono giocare
proprio qui dove c’è gente che cerca di lavorare »
brontolò, aspettandosi che l’uomo condividesse la sua insofferenza
verso i bambini.
Sorprendentemente, lui non lo fece.
« Oh, non sia troppo dura con
loro. L’infanzia è un tempo così breve. Sono abbastanza
saggi da divertirsi dove e quando ne hanno voglia » disse nella sua cadenza
morbida.
Regina si voltò a studiarlo,
mentre lui continuava a guardare fuori dalla finestra.
« Sul serio? A lei piacciono i bambini? » gli chiese
con uno sbuffo incredulo.
« Sul serio. Avevo un figlio...
una volta » confidò, ma continuò a guardare fuori.
Regina s’irrigidì.
« Non lo sapevo. »
« Beh, lei non sa tutto di me, mia
cara » le disse con un sorrisetto irrisorio.
Il sindaco cercò nel suo volto un
qualunque segno, una prova che sapesse
qualcosa che non avrebbe dovuto sapere, ma lui continuò soltanto a
sorriderle benevolmente.
Si voltò e tornò alla sua
scrivania, pronta a riprendere il lavoro, ma Gold si
rivolse di nuovo alla finestra.
« Sa, i bambini sono in grado di
colmare perfettamente quel vuoto che si ha dentro » disse, e lei si voltò
di scatto a guardarlo.
« Cosa? Quale vuoto? Di che
diavolo sta parlando? » domandò, una paura sconosciuta che le serpeggiava
nello stomaco.
Lo sguardo che lui le rivolse le
suggerì che si stava comportando in maniera bizzarra, così prese
fiato per calmarsi.
« Non intendevo sconvolgerla. Volevo
solo dire che a volte, nella vita, ci si sente un po’ soli. Come sindaco ha
conseguito molto, ma persino lei deve sentirsi così alla fine della
giornata, quando torna in quella grande casa vuota. È una solitudine che
posso comprendere. »
Regina non disse nulla, e l’uomo
continuò.
« I bambini sono un sollievo a
quella solitudine. Ho avuto una mano nel procurare dei bambini a delle persone
sole... »
« Lei ruba i bambini? » lo
interruppe, inorridita.
Rise. Una risata piena, aperta, che la
fece sentire una stupida.
« Ma certo che non rubo i bambini!
Scoprirà, signora sindaco, che ci sono moltissimi bambini in questo
mondo, e persino nel nostro paese, in cerca di una buona casa. Sfortunatamente
la legge rende un po’ difficile aiutare i piccoli e fa sì che si perda
molto tempo prezioso. Io sono fortunato ad avere dei contatti in grado di
ridurre i tempi e superare le difficoltà » spiegò.
Regina rimase in silenzio, a riflettere
su quanto le aveva detto.
« Mi piacerebbe stringere un
accordo... »
« No » lo interruppe di
nuovo.
A tanta rudezza lui inarcò un
sopracciglio, e lei sospirò.
« No, grazie. Non sono
interessata. Ora, riguardo quei permessi... »
Gold non aveva
più menzionato la sua folle offerta, ma Regina non era più stata
in grado di pensare ad altro.
Voleva un bambino. Era diventato un
desiderio disperato. Qualcosa che potesse davvero riempire la crepa che le si
era spalancata nel petto.
L’idea di restare incinta non la
entusiasmava, ma l’accordo del signor Gold le
piaceva ancora meno. Stava sorridendo al pensiero di tutti gli ‘incontri
sindacali’ extra che lei e lo sceriffo avrebbero avuto, quando improvvisamente
pensò ad Ashley.
Diciotto anni prima, prima che tutti
loro venissero strappati al mondo delle favole, Ashley era conosciuta come
Cenerentola. La ragazza era incinta, all’epoca, e poiché in questo
mondo erano tutti imprigionati dal tempo, era letteralmente rimasta in stato di
gravidanza per diciotto anni. La maledizione la rendeva inconsapevole di
ciò, ma non aiutava la difficile situazione del sindaco. Purtroppo anche
Regina era intrappolata nella prigione del tempo, dunque concepire e dare alla
luce un bambino sarebbe stato impossibile. Naturalmente questa nuova
rivelazione non fece che intensificare il suo desiderio di avere un figlio.
Contattò allora delle agenzie di
adozione e cercò un aiuto legale, solo per scoprire che il signor Gold aveva ragione sulle ‘difficoltà’
dei tempi troppo lunghi.
Regina era di pessimo umore quando l’uomo
si presentò da lei quella sera.
Aveva bisogno della sua firma su un
permesso e non poteva aspettare un giorno di più. Naturalmente la vera
ragione per cui era venuto a trovarla a casa fu subito evidente.
« Oh, riguardo la nostra
conversazione dell’altro giorno, ho pensato che le avrebbe fatto piacere
sapere che ho trovato una giovane donna nei guai. »
Regina mantenne un’espressione accuratamente
annoiata.
« Appena diciotto anni, ha passato
tutta la vita dentro e fuori dagli istituti... Ha scelto le compagnie sbagliate
e ora si è ritrovata in prigione... E avrà presto un bambino »
le disse.
« Affascinante. Non credo di
capire perché pensa che io sia interessata al figlio di una poco di
buono » si stizzì lei.
Ma sapevano entrambi che lo era, o lo
avrebbe buttato fuori da un pezzo.
« Il piccolo non ha alcuna colpa.
Inoltre, la madre desidera una rapida adozione chiusa. Nessun contatto, mai. »
Sorrise e si servì di una mela da
un cesto sul tavolo.
Regina aprì e chiuse la bocca un
paio di volte, ma non riuscì a trovare nulla da dire.
« Ci pensi, cara. Mi faccia sapere
circa la sua decisione » disse lui, e si voltò per andarsene.
Lo guardò uscire, odiando il
potere che aveva su di lei. Quello avrebbe dovuto essere il suo lieto fine!
Gold si fermò
sulla porta e si voltò di nuovo a guardarla.
« E non ci metta troppo. Sono sicuro
che la ragazza riceverà altre offerte... »
Accidenti a lui.
Cinque anni dopo
Regina
chiuse gli occhi e si costrinse a prendere dei profondi respiri per recuperare
il controllo. Una parte di lei non riusciva a credere di aver davvero
schiaffeggiato Henry, un’altra desiderava di averlo fatto prima. La paura
era un incentivo eccellente per mantenerlo in riga, ed era anche quello che lei
conosceva meglio.
Ma c’era quella parte che sapeva
di aver sbagliato nel colpirlo. Aveva sempre saputo che Henry, prima o poi, si
sarebbe accorto che c’era qualcosa di ‘strano’ in quella
città. Aveva solo sperato di avere più tempo. Non era abbastanza
grande per capire ciò che lei aveva fatto, o le sue ragioni, e
finché non lo fosse stato non avrebbe potuto dirglielo. Ma alla fine
avrebbe pur dovuto dirgli qualcosa. La sua paura più grande era che, se
lui avesse scoperto la verità troppo presto, l’avrebbe perso per
sempre.
Le sue meditazioni furono interrotte da
un bussare insistente alla porta del suo ufficio.
Accigliata, l’aprì per ritrovarsi
di fronte il signor Gold e un uomo che un tempo era
stato il Grillo Parlante.
« Che cosa vuole? » chiese;
in quel momento non era dell’umore di trattare con Gold
e i suoi giochetti.
« Signora sindaco, conosce il
dottor Hopper? » chiese lui, inclinando leggermente il capo verso il
tizio dai capelli rossi che gli era accanto.
L’uomo le rivolse un cenno con la
testa, ma non disse nulla.
« Certo che lo conosco. Di che si
tratta? » domandò, con un sospiro infastidito.
« Il dottor Hopper è un
ottimo terapeuta, e io credo che al piccolo Henry gioverebbe passare un po’
di tempo con lui » disse Gold, un po’ brusco.
Gli occhi di Regina scattarono sul medico
e poi di nuovo su Gold.
« Non ho tempo per questo »
disse, e tornò nel suo ufficio.
Era quasi alla scrivania quando la porta
si chiuse con tanta forza da scheggiare il legno.
Rimase a guardare Gold
a bocca aperta, sconvolta.
« Farebbe bene ad ascoltarmi,
signora. Ho superato un certo numero di problemi pur di procurarle quel
bambino. Ciò che voleva più di ogni altra cosa... » La sua
voce ingannevolmente calma e bassa era inquietante, dopo tanta violenza contro
la sua porta.
Regina fece un passo avanti, le mani sui
fianchi.
« Io l’ho pagata per il suo...
»
Le fece cenno di tacere e le
puntò contro il bastone.
« No, lei ha pagato per un’adozione
veloce. Le ho affidato quel bambino perché lei ha promesso di prendersi
cura di lui, ma ora lo vedo correre giù per la strada, accecato dalle
lacrime, con l’impronta della sua mano su una guancia. »
Più si adirava, più la sua
voce si faceva quieta, e questo la spaventò davvero. Se avesse urlato e
infierito, lei avrebbe potuto rimetterlo al suo posto e buttarlo fuori a calci.
Ma il suo sguardo di intensa furia e i suoi bisbigli quasi sibilanti le
diffusero un freddo glaciale nel petto.
Non sembrava più il signor Gold, il proprietario del negozio dei pegni. Sembrava di
nuovo Rumpelstiltskin, al culmine del suo potere, quando
era in grado di mettere un uomo in ginocchio per la paura di un accordo con lui.
« Io ho solo... »
Ma lui non aveva finito.
« Il bambino ha cinque anni. In
quanto madre sola con un lavoro così impegnativo, non c’è
di che meravigliarsi se talvolta deve lottare per farcela. Dunque potrebbe
essere saggio, per lei, riconsiderare il mio suggerimento di assumere i servigi del dottor Hopper. »
Si voltò per andarsene, e Regina
sentì montare la furia dell’essere stata messa a tacere nel suo
stesso ufficio. Nel suo lieto fine.
« E se non lo facessi? »
Il sorriso che le rivolse non era un
sorriso felice.
« Se dovessi vedere o sentire che
ha di nuovo picchiato quel bambino, chiamerò i servizi sociali. E, per
quanto io possa essere bravo in ciò che faccio, non posso darle un’assoluta
certezza che i documenti dell’adozione supereranno gli attenti esami
degli avvocati. »
A questa nuova minaccia Regina
sentì il sangue defluirle dal viso, e dovette posare una mano sulla
scrivania per sostenersi.
« Riconsideri il dottor Hopper. Per favore. »
La voce la tradì, e tutto
ciò che poté fare fu restar lì a guardarlo andar via.
Si riassettò la gonna e si
passò una mano tra i capelli. Per quanto Henry la mandasse in collera,
non avrebbe potuto vivere senza di lui. Aveva bisogno di lui. Era l’unico che potesse amarla. Un giorno gli
avrebbe detto tutto, e allora avrebbero potuto gioire pienamente del loro lieto
fine insieme. Ma fino a quel momento...
Prese fiato e aprì la porta dell’ufficio.
Il medico si stava ancora guardando intorno come se non fosse sicuro di dover
restare o meno.
« Dottor Hopper, potrei avere un
minuto del suo tempo? »