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Autore: giambo    25/01/2012    6 recensioni
Un guerriero tormentato dai sensi di colpa.
Una cyborg incapace di lasciarsi alle spalle un passato di morte, dolore e follia.
Un mondo che cerca, dopo il Cell-Game, di ripartire.
Rabbia, dolore, sensi di colpa, amore, eros, follia.
Sono questi sentimenti che stanno provando gli eroi di questo mondo.
Sta a loro cercare un motivo per andare avanti e ricostruire questo mondo, oppure lasciarsi andare nell'oblio.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 18, Altri, Crilin | Coppie: 18/Crilin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Gli occhi di Muten, nascosti dagli onnipresenti occhiali da sole, osservavano Crilin radunare poche cose in un fagotto e metterselo in spalla.
“E così...hai deciso di andartene. Sei proprio sicuro che sia la cosa giusta da fare?”
Erano passati tre giorni dal matrimonio di Bulma e Vegeta. In quei tre giorni Crilin aveva pensato molto a cosa fare della sua vita. Per quanto gli fosse difficile ammetterlo sapeva che Bulma aveva ragione su una cosa: non avrebbe risolto il suo problema continuando ad allenarsi. Incapace di cosa volere dalla propria vita, e desiderioso di rimanere da solo, il terrestre aveva deciso di andarsene dalla Kame House.
Crilin si sistemò meglio il leggero fagotto sulle spalle. Non era un vero e proprio addio. Quella per lui sarebbe rimasta per sempre casa sua. Per questo motivo, aveva deciso di portarsi dietro poca roba, nel caso di un suo probabile ritorno.
“Sì Maestro. Non è per cattiveria o per colpa vostra. Ma ho bisogno di stare da solo. È giunto il momento di capire cosa voglio fare della mia vita.” rispose con voce sicura. Aveva preso la sua decisione e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea.
Muten lo guardò con affetto. Soltanto ora che era giunto il momento di andarsene che entrambi capirono di volersi molto bene. Muten era stato per Crilin il padre che non aveva mai avuto. Per l'anziano maestro di arti marziali Crilin rappresentava tutto ciò che lui non era mai stato. Serio, gentile, generoso, disposto a sacrificarsi per gli altri. In tutti gli anni di vita alla Kame House il suo allievo aveva preso solo il meglio da lui. E di ciò ne era fiero. Era fiero di ciò che Crilin era diventato. Anche se gli dispiaceva terribilmente vederlo andare via, Muten capiva che era giusto così. Sarebbe stato egoistico da parte sua non fargli cercare la sua strada solo per il capriccio di un vecchio.
“Spero solo che questo non sia un addio definitivo. Sappi che, per te, questa casa sarà sempre aperta.”
Sentendo queste parole, il guerriero si sentì commosso ed onorato dell'affetto che l'anziano maestro gli rivolgeva. Anche per lui era difficile quella partenza. Sperava solo di star facendo la cosa giusta.
“Grazie mille Maestro. Tornerò! Glielo prometto! E quando sarò tornato sarò una persona diversa!” esclamò con enfasi.
Muten sorrise. Accompagnò fuori dalla piccola casetta l'allievo. Il mare era calmo e liscio come l'olio. Si preannunciava una giornata calda e afosa.
“Dove andrai?” domandò con curiosità l'anziano maestro di arti marziali.
Crilin guardò il mare con sguardo triste. Da qualche parte, oltre quell'immensa distesa, c'era la donna che gli aveva stregato il cuore e la mente.
“Non lo so...non penso però troppo lontano. Ci sono molti arcipelaghi di isole deserte da queste parti. Probabilmente ne troverò una che faccia al caso mio.”
Sentendo quelle parole il vecchio aveva annuito come ad indicare che capiva.
“Beh...allora possiamo dire che resteremo vicini di casa!” fece per scherzare. Crilin sorrise alla battuta del suo maestro. Apprezzava il suo tentativo di risollevargli il morale.
Rimasero un paio di minuti ad osservare il mare in silenzio. Gli stessi ricordi invadevano le loro menti in quel momento, le stesse sensazioni attanagliavano i loro cuori.
“Beh...è ora che vai ragazzo! Si sta facendo giorno inoltrato.” osservò alla fine Muten.
Crilin annuì. Poi, con un gesto improvviso, si avvicinò al suo maestro inginocchiandosi davanti a lui in segno di profondo rispetto e sottomissione. Quindi, senza aggiungere una parola, si alzò in volo.
Muten rimase ad osservare la figura del suo allievo rimpicciolire fino a scomparire del tutto. Con un profondo sospiro si girò e rientrò in casa. Avrebbe aspettato con pazienza il ritorno del suo allievo. Ma anche con nostalgia del passato. Niente poteva far credere che, una volta, quella casa silenziosa era stata sempre piena di gente allegra e rumorosa.

Dopo circa mezzora di volo Crilin trovò l'isola che faceva al caso suo.
Era un isola di medie dimensioni. Al centro si stagliava un piccolo altipiano con un po' di vegetazione, dove una cascatella alimentava un limpido laghetto. Il resto dell'isola era solo sabbia e rocce brulle.
Crilin decise di atterrare lì. Il cibo non sarebbe stato un problema. Non se la cavava niente male con la pesca a mani nude. L'importante per lui era trovare dell'acqua. E adesso l'aveva trovata.
Dopo un rapido giro di perlustrazione, il rasato trovò una piccola grotta che lo avrebbe riparato dalle intemperie. Dopo averla esplorata per verificare che fosse deserta, il ragazzo poggiò il fagotto all'interno della caverna.
Il caldo quel giorno era soffocante. Crilin si tolse la maglia. Successivamente, guidato dall'istinto, decise di togliersi tutti i suoi indumenti ad eccezione dei pantaloni. Se doveva vivere lontano dalla civiltà era meglio farlo in maniera definitiva.
In quel momento una nuova terribile disperazione gli attanagliò il petto. Dall'ingresso della sua nuova abitazione guardò il mare desiderando ardentemente di poterla vedere almeno un'altra volta nella sua vita.
Sospirò scuotendo la testa per cercare di toglierla dalla propria mente.
“Basta con la disperazione.” pensò.
Si incamminò verso la spiaggia, deciso a cominciare una nuova sessione di allenamenti.

C18 volava nel cielo cercando una chiara traccia del fratello.
Erano passati due giorni da quando aveva deciso di andare a cercare il fratello. Aveva sempre proseguito verso nord alla ricerca di lui. Ogni posto che incontrava sulla sua strada non gli diceva niente di niente. Dentro di se sentiva che doveva proseguire ancora verso nord.
E adesso era lì, dopo due giorni e due notti continui di volo, la cyborg aveva raggiunto i folti boschi che contornavano una fredda catena montuosa alle estremità settentrionali del pianeta.
C18 osservava quel paesaggio selvaggio con curiosità ma anche con stizza. Sapeva che il posto era quello, ma la forma del territorio e la natura selvaggia non le avrebbero reso facile il compito. Anzi, avrebbe potuto metterci anche giorni per trovarlo.
La sera scese molto lentamente. L'androide stava ancora perlustrando i boschi dall'alto. Cominciava a spazientirsi. Non aveva mai avuto una grande pazienza. Nell'ora successiva il pensiero di far sparire dalla faccia del pianeta quelle montagne con i loro maledettissimi boschi le passò più di una volta nella mente.
Poi, quando la sera lentamente scemava nella notte, i suoi occhi videro un leggero filo di fumo salire dal fianco sinistro di una montagna poco distante dalla zona che stava perlustrando.
Il suo cuore prese a battere con violenza. Qualcosa le diceva che quel fuoco era stato acceso da lui.
Si diresse a velocità sostenuta verso quell'esile filo di fumo. Quindi scese a pochi metri dalla radura in cui il bivacco era stato acceso e si incamminò a passi decisi.
La prima cosa che vide entrando nella radura fu lui. Non era affatto cambiato in quei sei mesi. I suoi occhi erano freddi e distanti come al solito anche se in essi brillava una luce di divertimento che in quelli della sorella era assente, i suoi capelli erano leggermente più lunghi di come li ricordava, ma a parte questi dettagli, era lui. La sua copia al maschile. L'unico essere di cui sapeva potersi fidare.
Una seconda occhiata le rivelò che aveva cambiato vestiti. Aveva abbandonato il suo look da ragazzaccio di strada che gli aveva affibbiato il Dottor Gero, preferendo dei vestiti più adatti alla vita tra i boschi. Dei suoi vecchi abiti aveva conservato solamente il fazzoletto rosso con le iniziali del Red Ribbon.
Quando la sorella entrò nella radura C17 sollevò lo sguardo dall'oggetto che stava lucidando. La fissò con uno sguardo tra il sorpreso e il divertito. C18 non disse una parola. Si limitò a sedersi davanti al falò.
C17 smise subito la sua precedente attività. Poggiò l'oggetto alla sua destra. Era una doppietta da caccia. La sorella la guardò con curiosità.
“Guarda un po' chi si rivede. È da parecchio che non ci vediamo sorellina.” dichiarò l'androide dai capelli neri.
Un flebile sorriso increspò le labbra di lei. “Non sembri felice di rivedermi.”
“Dovrei per caso saltarti al collo piangendo di gioia? Sorellina...sarò cambiato ma non fino a questo punto!” osservò lui con una punta di divertimento nella voce.
La cyborg non rispose. Tuttavia sembrava soddisfatta della risposta del fratello.
Calò un lungo silenzio, rotto solamente dal rumore della legna che bruciava. Nessuno dei due sembrava in vena di aggiungere altro.
Poi, alla fine, fu l'androide maschio a rompere quel silenzio.
“Deduco che alla fine non sei riuscita a trovare il tuo posto nel mondo.”
C18 lo fissò con aria infastidita.
“E cosa te lo fa pensare?”
“Il fatto che sei qui.”
A quella risposta, C18 non seppe cosa dire. Si limitò a fissare la danza ipnotica delle fiamme sperando di annullarsi in quel movimento continuo e incandescente.
C17 fissò la sorella senza aggiungere altro. Lui la sua parte l'aveva fatta, adesso spettava a lei continuare l'argomento oppure decidere di lasciarlo perdere. Alla fine sua sorella decise di continuare la discussione.
“E tu? Alla fine hai trovato ciò che cercavi?”
Il fratello tirò sù la testa al cielo. Era una notte scura e priva di stelle. Nessuna luce illuminava la zona dato che la luna si sarebbe alzata più tardi.
“Non lo so. Non so se questa vita sia ciò che il destino mi riserva.” rispose con voce pensierosa. “Tuttavia, per adesso, sto bene, e tanto mi basta.”
C18 guardò il fratello. Chissà cosa gli era capitato in quegli ultimi mesi. Spinta dalla curiosità la cyborg glielo domandò. Con sua sorpresa suo fratello l'accontentò subito senza chiederle il motivo di quella improvvisa curiosità.
“Non c'è molto da dire. Ho visitato qualche città, ho osservato come la gente viveva, come si comportava, come lavorava. Devo ammetterlo: è stata una delusione. Forse se fossimo cresciuti con i nostri genitori quella vita non mi avrebbe annoiato, ma dopo quello che avevo passato l'idea di trovarmi un lavoro e mettere su famiglia non mi allettava per niente.”
C18 restò turbata da quelle parole. Era esattamente quello che aveva provato anche lei.
“Dopo aver capito che la vita di città non faceva per me, decisi di vedere come erano le campagne. Ma anche qui fu una delusione totale. Gli uomini sembra che siano riusciti a creare una società dove si può solo lavorare o soffrire. In quel mondo così antiquato e privo di vitalità mi sentivo come un pesce fuor d'acqua. Stufo della noiosità degli uomini, decisi di allontanarmi sempre di più dai centri abitati.”
La voce dell'androide era l'unico suono che si sentiva nella zona. Anche il bosco sembrava essere in ascolto.
“Mi inoltrai nelle terre selvagge, ma in ogni posto dove mi fermavo, mi pareva di essere sempre troppo vicino alla gente. Volevo trovare un posto incontaminato, un posto dove il genere umano non aveva potuto portare la sua bruttissima società.”
“E alla fine trovai queste montagne. Credimi sorellina, quando le ho viste me ne sono subito innamorato. Ero sicuro che qui avrei potuto trovare ciò che faceva per me. Ovviamente non è stato tutto come pensavo, ma mi ritengo soddisfatto. Vivo nei boschi, caccio la selvaggina vendendo le loro pelli nei paesi che si trovano sull'altro versante delle montagne. Mi diverto a cacciare. È una sfida continua. Per il resto passo il tempo ad esplorare le montagne. Hanno molti più segreti di quanti tu possa immaginare. Ormai vivo così da più di quattro mesi. E questo è tutto.” la sua voce si spense, facendo ripiombare la radura nel silenzio.
C18 guardava con invidia il fratello. Alla fine lui aveva trovato ciò che voleva. Era riuscito a trovare il suo posto nel mondo. Perché? Perché lui ci era riuscito da solo e lei no? Cosa c'era che non andava in lei?
“E tu? Cosa hai fatto di bello in questi mesi?” la domanda di C17 la fece riscuotere dai suoi pensieri.
Con voce spenta e atona raccontò ciò che aveva fatto, o meglio, ciò che non aveva fatto in quei sei mesi. Cercò di essere il più fredda e distaccata possibile, ma dentro di se le bruciava non essere riuscita a fare qualcosa come lui.
Quando ebbe finito il suo racconto C17 la fissò per circa un minuto con uno sguardo indecifrabile. Poi un sorrisetto si disegnò sulle sue labbra sottili.
“E che mi dici del piccoletto che ti ha salvata? L'hai più rivisto?”
A quella domanda C18 sentì una rabbia immensa bruciarle nelle vene. Possibile che non riusciva a dimenticarlo? Possibile che il mondo intero sembrava convinto che lei dovesse rivederlo?
“Certo che no! E poi cosa avrei dovuto fare? L'ho già ringraziato. Lui ha la sua vita e io...io devo farmene una mia.”
Sentendo quelle parole, suo fratello la guardò con uno sguardo che la irritò ancora di più. Gli occhi di suo fratello, così simili ai suoi, sembravano pieni del sentimento che C18 odiava di più al mondo: la pietà.
“Smettila di guardarmi così!” sbottò con rabbia la bionda. “Lo sai che detesto quegli sguardi. Ti sei rammollito in questi mesi mio caro 17!”
“Può darsi.” rispose lui con voce tranquilla. “Ma a te, la tua durezza, dove ti ha portato?”
Nonostante il tono di suo fratello fosse stato pacato, la cyborg sentì il desiderio di colpirlo con tutta la sua forza.
“E che cosa dovrei diventare? Un'umana inferiore che piagnucola per ogni problema che le capita? Dovrei diventare la brava mogliettina di qualcuno e fargli da mangiare e magari addirittura pulirgli la casa?! È questo che dovrei diventare 17? Sarebbe questo che tu chiami “il tuo posto nel mondo”? Beh sappi una cosa! Non lo accetterò mai mai e poi mai! Piuttosto preferisco radere al suolo ogni singola città di questo inutile pianeta! Anche se so che questo mi costerà la vita sarà sempre meglio che umiliarsi in quella disgustosa maniera!”
Mentre la sorella si sfogava C17 si limitò a guardare il fuoco, quasi non avesse il coraggio di guardarla negli occhi. Quando lei si calmò riprese a parlare come se niente fosse.
“Non credo che sia questo il tuo destino. Così come non penso che tu lo possa trovare insieme a me.”
“E cosa posso fare? Dimmelo 17! Cosa posso fare? Ho visitato ogni singolo angolo di questo dannato pianeta per cercare qualcosa che potesse farmi ritornare a vivere. Ma non l'ho trovata.”
“Forse hai cercato nei posti sbagliati.”
L'ultima affermazione di lui la irritò ancora di più. Voleva controbattere ma non le veniva nulla in mente. Furiosa con il mondo intero, prese la coperta che c'era affianco a suo fratello e ci si avvolse.
“Vado a dormire!” borbottò.
Suo fratello non protestò per quella brusca interruzione. Si limitò ad annuire e a riprendere il suo precedente lavoro da dove l'aveva lasciato.
C18 non riusciva a dormire. Le parole di suo fratello le erano rimaste impresse in mente.
“Ma a te, la tua durezza, dove ti ha portato?”
“Forse hai cercato nei posti sbagliati.”
Erano frasi che non riusciva a togliersi di mente. Possibile che suo fratello avesse ragione? Possibile che aveva cercato nei posti sbagliati e con un atteggiamento non giusto?
Vago a lungo tra le praterie dei suoi pensieri. I suoi dubbi iniziali sfumarono lentamente, il loro posto venne preso da altri pensieri, e questi ultimi vennero poi sostituiti da altri ancora. All'improvviso, nella sua mente, si stagliò l'immagine di quel piccoletto che l'aveva salvata. Era un immagine triste, quando l'aveva salutato aveva visto nei suoi occhi scuri tristezza per la sua partenza mista a speranza di poterla un giorno rivedere.
C18 scacciò via quell'immagine dalla mente con rabbia. Ma cosa le stava accadendo? Perché continuava a pensare a quel tipo? Cosa aveva di così speciale da farglielo tornare sempre in mente?
Incapace di trovare risposta a quelle domande, l'androide si alzò di scatto.
A quel gesto, C17 si limitò a fissarla perplesso.
C18 aveva uno sguardo cattivo negli occhi. Il fratello vide chiaramente la sete di sangue lampeggiare nelle iridi chiare della sorella.
Poi, all'improvviso, sua sorella lo attaccò con un violento calcio. Il cyborg lo parò senza troppe difficoltà, il suo viso non tradiva alcuna emozione.
La sorella continuò ad attaccarlo con furia. Ben presto l'adrenalina del combattimento cominciò a scorrere nelle vene di entrambi gli androidi.
Combatterono con furia per tutta la notte. I boschi erano rischiarati dalla loro furiosa lotta. Si affrontarono con una violenza incredibile, da far invidia alle bestie selvagge.
Poi, quando l'alba sorse, entrambi si fermarono. Nonostante la furia che avevano usato erano entrambi freschi e rilassati come se avessero dormito tutta la notte.
C18 squadrò il fratello con un'occhiata sprezzante. Poi, senza dire nulla, si incamminò per un sentiero che conduceva fuori dalla radura dove suo fratello aveva acceso il falò la sera prima.
C17 continuò a rimanere zitto. Prese la sua doppietta, se la mise a tracolla, e seguì la sorella inoltrandosi nel bosco.

Sinistro. Destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Destro.
Crilin interruppe la sua sequenza di pugni per asciugarsi il sudore dalla fronte con un braccio. Guardò il sole alto nel cielo illuminare inclemente la Terra. Fece una smorfia. Quel caldo cominciava a dargli il nervoso.
Non sapeva da quanto era lì su quell'isola deserta. Aveva perso il conto dei giorni da un bel po'. Sicuramente almeno un mese se non di più.
Sentì il bisogno di rinfrescarsi le spalle martoriate dai raggi del sole. Lo stare continuamente sotto il sole cocente gli aveva procurato una bella scottatura sulle spalle. Ogni volta che muoveva le braccia sentiva i muscoli della parte alta della schiena urlare dal dolore. Tuttavia non aveva smesso con gli allenamenti, quegli esercizi eseguiti sulla spiaggia di quell'isola erano l'unica maniera che aveva per non pensare.
Si diresse verso il laghetto che si trovava al centro del piccolo altopiano. Si sentì subito meglio sotto le fronde dei radi alberi che contornavano l'isola.
Una volta raggiunto lo specchio d'acqua Crilin esitò. Da un po' di tempo a quella parte aveva paura di specchiarsi nella limpida superficie del lago. Fece un profondo respiro e si avvicinò alla superficie, osservando quel volto così simile a quello che conosceva, ma al tempo stesso così diverso.
Un mese trascorso nell'isolamento più totale aveva avuto l'effetto di cambiarlo esteriormente. Senza più la rasatura quotidiana a cui si sottoponeva, gli era cresciuta una folta chioma ribelle di capelli neri. Le guance erano coperte da una rada barba che non gli donava affatto. I lineamenti del viso erano diventati più duri e sagomati, dandogli l'aria di una persona più vecchia. Gli zigomi erano diventati più sagomati, la mascella era più marcata. Il tutto era completato da un paio di profonde occhiaie che gli cerchiavano gli occhi. In poco più di un mese era sparito ogni tratto del ragazzo che era, sostituito da quella figura inquietante.
Un sorriso amaro gli increspò le labbra, dando alla sua faccia un'aria ancora più spaventosa. Dopo tutto non la trovava così lontana da come si sentiva lui. Quella faccia era lo specchio dei suoi sentimenti.
Pensò a cosa avrebbero detto i suoi amici nel vederlo in quello stato. Probabilmente si sarebbero messi a ridere o, peggio, non l'avrebbero neanche riconosciuto.
Immerse le mani nell'acqua rompendo quell'immagine. Si rinfrescò le spalle martoriate sospirando di sollievo. Quando ebbe finito di riposarsi tornò sulla spiaggia.
Osservò il mare con struggimento. Niente, non c'era nulla da fare. C18 non voleva saperne di andarsene dalla sua testa. Il ragazzo non sapeva più cosa fare. Aveva cercato di dimenticarla in ogni modo, ma era stata fatica sprecata. Quegli occhi non avrebbe potuto dimenticarli neppure dopo un secolo. Figurarsi dopo solo sette mesi!
“Devo smetterla di buttarmi giù di morale. Non mi aiuterà di certo a farmela dimenticare!” pensò con amarezza. Quella donna lo aveva totalmente soggiogato. Da quando l'aveva conosciuta non aveva più avuto un attimo di pace, soltanto quando dormiva riusciva ad avere una tregua.
Si girò di scatto cominciando a fare una serie di flessioni. Ben presto il dolore alle spalle ricominciò, ma lui lo accolse con piacere perché gli annebbiava la mente impedendogli di pensare lucidamente.
Eppure, nonostante il dolore, all'improvviso gli tornò in mente il giorno in cui l'aveva vista per l'ultima volta. Si ricordava ogni cosa: i suoi capelli biondi mossi dal vento, il suo corpo perfetto fermo in una posa di combattimento ma, allo stesso tempo, incredibilmente sensuale e i suoi occhi. Occhi freddi ma, allo stesso tempo, profondi che lo avevano catturato fin dalla prima volta in cui il destino gli aveva dato l'opportunità di specchiarcisi dentro, e quella frase a mo di saluto.
“Ci vediamo.”
“Ma quando?” pensò con disperazione il guerriero mentre continuava il suo esercizio. “Quando C18? Quando potrò avere l'immensa fortuna di poterti rivedere? Quando riavrò la possibilità di ascoltare la tua voce? Quando potrò avere l'occasione di potermi specchiare di nuovo in quei tuoi occhi così dannatamente belli?”
“Quando C18? Quando?”

CONTINUA

Dunque. Capitolo 2! in questo capitolo ho descritto il momento in cui il nostro piccolo guerriero cambia look. Passando da “Palla da biliardo” a “Capellone” xD. Scherzi a parte ditemi cosa ne pensate per favore! Ripeto che accetto anche consigli o critiche per poter migliorare la storia.
Un saluto!
  
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