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Autore: AngelOfSnow    26/01/2012    2 recensioni
"Cosa?!"
Si riscosse dal proprio stato di trance maledicendo la propria stupidità: si era persa in un labirinto di rose. Persa nel vero senso della parola perché, oramai, non riusciva più a scorgere nessuna luce provenire dalle torce presenti precedentemente sul sentiero verso la Magione. Fu assalita da un gelido terrore quando un gufo, annunciò la propria presenza per due volte di fila. Svoltò due volte a sinistra, percorse un corridoio e svoltò a destra ma si dovette fermare: un muro verde le impedì di continuare.
Cosa avrebbe dovuto fare adesso?
Trapassare le siepi era fuori discussione: avrebbe rovinato il vestito. Gridare non le avrebbe giovato se non ad ammalarsi velocemente. Si sarebbe data manforte ricorrendo a tutta la propria freddezza d’animo e non avrebbe deluso la madre; a qualsiasi costo. Almeno, non quella sera.

Spero che la mia storia sia di vostro gusto e non esitate a dirmi una vostra qualunque impressione: mi aiuteranno a crescere. Ne sono convinta. Saluti vivissimi.
Mary!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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V


Quando Anthony varcò la soglia della propria camera, divisa con l’amico James, ritrovò una figura seduta al bordo del proprio letto. Non disse nulla, immaginando fosse qualcuno che avesse sbagliato camera a causa di qualche bicchierino di troppo, lo si notava dai vestiti che non era un’inserviente della Magione ma bensì un ospite.
Sbarrò gli occhi quando William si alzò con uno scatto puntandogli il dito contro e facendogli espandere in corpo una sorda rabbia: l’avrebbe preso praticamente ogni secondo a pugni. Si mantenne comunque “calmo” osservando quel ghigno di sfida che tanto odiava.
<< Tu... >>
Sibilò poi Anthony.
<< Domani dovrai svolgere delle mansioni...>>
Lo riprese William ma nello stesso momento in cui stava per emettere il proprio volere, la porta si aprì lasciando intravedere James stupito più che mai. Si chiese cosa ci potesse fare lì e poi parlò con un tono un po’ incerto.
<< William...non dovevi andare da...Rose? >>
Anthony non poteva credere a quel tono così intimo.
<< William? >>
Ripeté incredulo spostando lo sguardo da uno all’altro, facendo sospirare pesantemente il ragazzo con gli occhiali che rivolse gli occhi fulminando il biondino.
<< J. ... Non è il momento...>>
<< J.? >>
Cominciò a sorridere amichevolmente, Anthony, facendo pentire amaramente William di aver pronunciato il soprannome da lui dato al ragazzo. James rimasto per pochi secondi basito chiese con voce tremante e poco convincente il motivo di quella visita inaspettate, sgradita per Anthony, nelle camere della servitù facendo ridere sonoramente William, il quale, puntò un dito contro il biondo, indignato dal suo comportamento.
<< Anthony domani aspettati dei compiti da mio padre. >>
Annunciò sorridendo in modo sinistro.
<< Ah! Sai, domani è anche la partenza della mia cara cugina...chissà se riuscirai a vederla prima della partenza...>>
Rise scansando gentilmente James, rimasto pietrificato dallo sguardo del moro, e chiudendosi la porta alle spalle convinto della propria vittoria.
 
<< Signori...>>
Federico sorrideva e annuiva alle stupide discussioni cui era costretto a partecipare al posto di Melody;
<< Federico qualcosa non va? >>
<< Mh? No! No stavo pensando, mi scusi se mi sono distratto: continui... >>
Aggiunse tirando l’ennesimo sorriso verso l’uomo con una folta barba bianca la cui abbigliamento dava l’impressione di un uomo d’affari dell’ottocento. La verità era che odiava il modo in cui spostava una finta lente da un occhio all’altro mentre faceva gli occhi languidi ad una “ragazza”, se così la si può definire, che non perdeva tempo ad infilare una mano all’interno dei pantaloni del vecchiaccio, facendo rabbrividire visibilmente Federico, che era costretto ad una maschera di finta ignoranza e non curanza.
<< Signor Hellis la ringrazio per la cena ma per me si sta facendo davvero tardi e penso che sia arrivato il momento di parlare d’affari...>>
Passò una mano sulla folta chioma rossiccia, Federico, scoccando un’occhiata d’intesa con l’uomo che congedò “Melissa” dando lei una pacca nel sedere. Si alzarono dalla tavola imbandita di ogni ben di Dio entrando nello studio privato dell’uomo. Uno studio ampio, provvisto di ogni comfort; a partire da un salottino per finire ad un’ampissima libreria fornita dei più vari scrittori mondiali. L’uomo, alquanto lentamente, si lasciò sprofondare sulla sedia in pelle studiando il ragazzo che gli stava di fronte.
<< Federico...>>
Disse con voce pacata.
<< Non credo che la tua compagnia sia in grado di rilevare le mie quote industriali... >>
Mentiva spudoratamente, Hellis, ritenendo opportuno mettere sotto “prova” le capacità intellettuali del rosso dai modi educati e pacati. Congiunse le mani poggiando i gomiti sulla scrivania avvicinando le labbra alle dita studiando attentamente gli atteggiamenti e i segnali del corpo del ragazzo.
<< Signor Hellis, non credo che ci sia azienda migliore della nostra per rilevare le vostre quote...ma non penso che il mettermi alla “prova” sia un cattivo piano, anzi, se devo essere sincero, essendo nei vostri panni avrei fatto la stessa cosa...>>
Bluffava incapace di decifrare cosa passasse per la testa di quell’uomo, tanto che si era ritrovato ad utilizzare le tecniche di Melody: pensa l’impensabile ed utilizzalo contro chi l’utilizza.
Il che come piano di attacco era già abbastanza strambo di sé.
<< Perspicace... non pensavo sinceramente che tu capissi il mio tentativo per farti cadere... peccato che la dolce Melody questa sera non sia qui...>>
Poteva capire cosa passasse per la testa di quel porco maniaco, Federico, ma rimase in silenzio annuendo impercettibilmente e non badando alle occhiate eloquenti cariche di sottointesi che cercavano di penetrare il proprio autocontrollo, o quasi.
<< Oh...la dolce e cara Melody... dimmi Federico, com’è sul posto di lavoro? >>
Avrebbe vomitato se avesse potuto ma rimase in silenzio evitando di guardare il cofanetto di pillole che l’uomo aveva estratto dal cassetto.
<< Melody è sempre combattiva, non importa il luogo o il contesto. >>
Annuì più a se stesso che a chi aveva davanti sapendo che la figura di Melody sul posto di lavoro, aveva un qualcosa di sacro e divino: era perfetta, pensava, non aveva falle, sapeva gestire ogni tipo di situazione con calma e incondizionata razionalità, ma adesso, lui, come avrebbe fatto ad evitare che l’uomo continuasse ad eccitarsi soltanto a nominare la propria mentore?
<< Mi dica, Federico, lei ha mai avuto modo di...>>
Non gli diede il tempo di terminare la frase prendendo in mano il bicchiere di acqua per riversarlo interamente sul volto dell’uomo, che rimase immobile, per poi alzarsi lentamente dalla propria sedia in religioso silenzio e avviarsi all’uscita che varcò senza dire una parola. Non importava il contratto in questo momento, ma importava Melody e la sua reputazione.
Quando salì in macchina inserì le chiavi e diede gas all’auto, una BMW grigia metallizzata, uscendo a grande velocità dalla residenza degli Hellis; appena fu abbastanza lontano, mise la freccia a sinistra accostando alla prima occasione per sbattersi la testa contro il volante.
<< Stupido...>>
Si disse per una buona mezzora senza badare molto all’orario sul cruscotto che segnava le 3:00 del mattino.
<< Stupido! >>
Disse un’ultima volta prendendo il telefonino dalla tasca laterale della propria 24 ore componendo il numero di Melody per lasciargli un messaggio sulla segreteria.
<< Pronto, Mel, mi dispiace, ma credo di aver mandato all’aria i contratti per la rilevazione del 75% delle quote industriali della Hellis&Corp. Contattami appena puoi. Mh? >>
Sospirò profondamente riaccendendo il motore dell’auto ingranando la prima e  rimettendosi in carreggiata: l’indomani avrebbe dovuto dar conto all’intero ufficio, soprattutto al direttore e, persona più importante, Melody.
<< Sono fottuto...>>
 
Erano quasi le cinque del mattino ma era consapevole che due occhi la stavano fissando. Due occhi non le lasciavano via di scampo e lei correva il più velocemente possibile ma sembrava inutile: gli occhi l’osservavano sempre senza darle via di scampo.
<< Sai che non puoi scappare...>>
Continuava a sentire in un ritmo cadenzato ed ipnotico che le metteva paura. Tanta paura.
<< Chi sei? Perché mi insegui? >>
Urlava in preda al panico. Panico che le faceva venir da ridere. Si stupì di se stessa cominciando a ridere in modo più sonoro e frequente, tanto che si gettò al suolo, preda di spasmi violenti e risate continue. Rise sempre più sonoramente fino a quando quella stessa voce non ruppe quel silenzio come una condanna a morte.
<< Stai morendo dal ridere. >>
Se avesse potuto rispondere avrebbe risposto in tedesco, ma ammetteva che si, stava morendo, e si, non sapeva la causa di quelle risate che le facevano male, molto male, tanto da farla piangere contemporaneamente. Non sapeva come fare e cercò spasmodicamente di tapparsi la bocca ma era inutile perché più cercava una soluzione più rideva e più male si faceva tanto che cominciò a chiamare il nome di Anthony in modo frammentato.
<< Apri gli occhi! >>
Sentì e cercò di aprire gli occhi.
<< Apri gli occhi! >>
Sentì ancora.
<< Melody ti supplico apri gli occhi! >>
Sentì un getto d’acqua fredda bagnarle il viso e si sentì meglio, così tanto, da riuscire ad aprire gli occhi e spalancarli di botto senza smettere di piangere, tuttavia,  il buio della notte non le fece distinguere la figura accanto a sè.
<< Melody! >>
Una vocina stridula le perforò i timpani e capì chi l’avesse appena svegliata.
<< Axel...>>
Mormorò sbattendo le palpebre per alcuni secondi prima di mettere a fuoco gli occhi ambra e i capelli rossi del quindicenne.
<< Axel...>>
Mormorò ancora incapace di elaborare una frase concreta.
<< Tranquilla, ho chiuso la bombola del gas esilarante...tranquilla...>>
Le risuonò come una condanna particolarmente ambigua: gas esilarante.
<< Cosa? >>
Chiese con voce impastata sentendo poi il sapore del sangue in gola che le fece male.
<< Gas esilarante...fortuna che le nostre stanze erano vicine...>>
<< Ma...>>
Non capiva, non riusciva a capacitarsi di quell’avvenimento.
<< Shh... tranquilla ho detto, vado a chiamare qualcuno...>>
Scombussolata afferrò polso magro del cugino tirandolo a sedere per poi abbracciarlo.
<< Grazie. >>
Disse vivamente colpita cominciando a far ragionare il proprio cervello: chi poteva averlo fatto? Perché? Quando? Ma, soprattutto, come?
La stanza era chiusa dall’interno, lo provava il fatto che Axel, avesse dovuto buttarla giù a pedate.
<< Ma che succede qui? >>
<< O santo cielo! >>
<< Axel...Melody...>>
Si girarono in sincrono verso quell’ammasso di gente che si era svegliata, forse per il tonfo della porta sul pavimento, e che stava mormorando cose senza un che di veritiero.
<< Calmi signori...>>
La voce di Shawn, il padrone di casa, riecheggiò altisonante tra i presenti accalcati sull’uscio della stanza senza far trapelare un minimo di sconcerto, come se tutto fosse normale. Doveva farlo, l’uomo, per non far prendere di panico i pochi ospiti che avevano deciso di fermarsi per un paio di giorni e per non perdere quella poca lucidità che aveva in corpo, causa probabilmente, di qualche bicchierino di troppo. Si fece largo tra i presenti per osservare l’accaduto;
<< Ma cosa diavolo...>>
Ammise infine quando potè capire la gravità della situazione: la porta scardinata e completamente stesa al suolo, il letto sgraziatamente scomposto, ospitava sua nipote Melody, con il viso rigato dalle lacrime, e  Axel che stringeva la cugina tra le braccia. Si accertò, da lontano, che stessero bene e non avessero ferite, e studiò l’unico oggetto che stridesse con l’ambiente circostante: la bombola.
<< Cos’è successo? >>
Proferì poi entrando all’interno della stanza carezzando il viso solcato da grandi lacrime della nipote.
<< Io...>>
Ammise lei guardando intensamente il più piccolo che si fece coraggio.
<< L’ho sentita ridere, in un primo momento, tanto che non mi ero preoccupato, ma poi ho sentito chiaramente che annaspava aria...e non lo so, ho buttato giù la porta cominciando a ridere, ma quando ho capito subito di cosa si trattava sono corso alla finestra spalancandola e ho bagnato il viso di Melody con l’acqua dei fiori...>>
L’uomo, con tutti i presenti, rivolse lo sguardo alla penombra della camera notando i fiori sul pavimento e il vaso completamente riverso al suolo. Melody si strinse maggiormente al petto dello zio troppo sconvolta per fare domande.
<< Oh, bambina! >>
Il petto del parente fu sostituito da quello materno, che avvertito dalla padrona di casa dell’accaduto, era subito corsa dal proprio tesoro.
<< Mamma...>>
Il padre, rimasto a contemplare la scena dall’esterno, cominciò a far andare via i curiosi che si erano precedentemente appostati sull’uscio come avvoltoi in cerca di carne, solo che loro, cercavano il classico pettegolezzo. Con movenze gentili, ma sguardi furenti in pochi minuti il corridoio fu un brulicare di chiacchiericci sommessi di pareri e opinioni, colpe e presunti colpevoli.
Axel, che fino ad allora si era limitato a tacere, stava lentamente avviandosi verso l’uscita.
<< Axel...>>
Pronunciò Gregory.
<< Vieni, ti accompagno in stanza...>>
Continuò, facendo girare i presenti verso lui che subito lo ricoprirono di ringraziamenti e lodi per il coraggio e la freddezza d’animo da lui dimostrate in questa situazione.
<< I tuoi genitori sarebbero orgogliosi di te...>>
<< Lo spero...>>
Troncò così il discorso quando una piccola bambina fece capolino dalla porta. Teneva un orsacchiotto di pezza con il braccio sinistro, mentre con l’altra mano, strofinava gli occhietti impastati dal sonno.
<< Acel...>>
Pronunciò il nome del fratello con la dolcezza e la goffaggine tipica di una bambina di appena 2 anni, facendo ondeggiare i boccoli dorati per il movimento rotatorio che il capo compiva.
<< Ecché sei alzato? >>
Axel la prese in braccio coccolandola e facendola riaddormentare in pochi minuti.
<< Brava Sophie...>>
<< Ne parleremo domani...>>
Disse Axel contemplando il dolce e angelico viso della piccina tra le proprie braccia e uscendo dalla camera per entrare nella propria.
Dopo aver sospirato, poggio delicatamente e amorevolmente la “sorellina” sul letto matrimoniale precedentemente abbandonato per salvare Melody. Con calma fraterna si stese al fianco al canto della bambina cingendola a sé per far sentire lei il proprio calore, spostò un boccolo ribelle dal piccolo volto notando quanto somigliasse alla madre della bambina. Cadde in un sonno profondo con la manina di Sophie sulla propria guancia.
 
Era infuriata, non aveva la situazione sotto controllo e, questo, la faceva uscire fuori dalla composta figura che impersonava sempre.
<< Moona, spiegami com’è possibile una cosa del genere! >>
Si infuriò ancora di più sentendo il rumore provocato dai palmi sbattuti contro la superficie liscia e laccata della scrivania del padrone di casa.
<< Shawn... non urlare...>>
Odiò con tutte le proprie forze la vocina stridula della padrona di casa che la guardava dall’alto in basso.
<< No, Alyssa non capisci la gravità di quello che è appena successo all’interno della mia casa...>>
Gli occhi dell’uomo, neri, si posarono con furia su quelli castani della donna ammutolendola.
<< Moona... voglio capire, illuminami. >>
Sibilò poi facendo tremare appena le mani della donna che con fierezza illustrò lui le proprie idee.
<< Non può essere altro che un’inserviente ad aver macchinato una cosa del genere...>>
<< Perché? >>
Prese fiato scocciata: la persona che aveva organizzato una cosa del genere era stata davvero, davvero geniale, e lei avrebbe dovuto rimproverarla, o nei peggiori dei casi, licenziarla. Pensò che il destino fosse proprio avverso.
<< Perché la serratura non è stata forzata e solo noi abbiamo i doppioni delle chiavi... >>
Sospirò pesantemente ad ogni parola pronunciata dall’uomo chiedendosi perché non era morta, Melody, così da doverne sentire soltanto il fantasma lontano.
<< Sai che tuo padre adora Melody... se solo Alice si rendesse conto di aver sbagliato a rinunciare alla propria nobiltà...>>
Shawn parlava con innaturale solennità e compostezza da indignare la moglie che non aveva perso tempo a nascondere le proprie espressioni dietro una finta maschera di complicità. Sua sorella Alice aveva fatto una cosa, da quando ne aveva memorie, di senso compiuto: rinunciare alla nobiltà. Nobiltà che sarebbe stata legalmente ceduta a lei, insieme al patrimonio familiare, e alla propria famiglia. Questo le piaceva, in fondo, aveva adottato William solo ed esclusivamente per poter mantenere quella sicurezza sotto i piedi;
<< Caro...andiamo a dormire...>>
Disse sorridendo in modo dolce al marito che, dopo aver passato una mano tra i propri capelli, si era fatto scappare un sospiro subito eclissato dalle labbra della donna. Sorrise compiaciuta appena egli fu di spalle. ripensò mentalmente le tappe del proprio piano dandosi un leggero buffetto sulla guancia e sorridendo mesta: non aveva calcolato la presenza del moccioso dai capelli rossicci.
 
<< Grazie Moona...>>
La diretta interessata uscì scrollando le spalle e augurando la buonanotte alla ragazza, che venne travolta da un freddo brivido, uscendo da un delle camere degli ospiti sistemate alla rinfusa. Melody sospirò subito dopo il suono della porta chiusa, dando una passata alla serratura chiudendosi dentro, con un certo timore sorvolato dalla stanchezza mentale. Si gettò sulle fredde lenzuola di flanella poi, senza coprirsi, i mise a studiare l’ambiente circostante per far conciliare il sonno.
La carta da parati riportava delle decorazioni angeliche e floreali su cui gli stucchi spiccavano per la loro semplicità, la grande finestra, che si affacciava su un terrazzino privato, era affiancata da un comodino su cui era poggiata un lampada. Nel muro opposto alla sinistra un armadio enorme copriva metà della parete, su cui delle assi erano occupate da libri e ricordi di vario genere.
<< Pss...>>
Udì, ma si diede della stupida: era sola.
<< Psss...>>
Un ticchettio le fece girare il capo verso la porta finestra e sorrise: Anthony, in pigiama, teneva in mano una rosa bianca guardandola in modo dolce. Non ci pensò molto ed aprì l’imposta abbracciando il biondo che quasi tremava come un pulcino bagnato dal freddo.
<< Come stai? >>
Disse lui in modo vellutato chiudendo la vetrata.
<< Come sei salito? >>
Sviò la domanda facendo un leggero sorriso.
<< Mi sono arrampicato, che domande...>>
<< Super-man a Londra...wow! >>
Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere poi Anthony abbracciò Melody trascinandola sul letto, sotto le coperte stringendola forte, lei, si lasciò trasportare rilassandosi e abbracciando il busto di Anthony.
<< Mi dispiace non essere venuto ma Moona ci ha fatto la paternale e non sono riuscito a liberarmi...mi perdoni? >>
A quella domanda non ottenne risposta perché, Melody, era caduta in un oblio perivo di sogni ma saturo di calore.  

   
 
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