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Autore: hikarufly    27/01/2012    2 recensioni
Post "The Reichenbach Falls", Sherlock Holmes è scomparso e il dottor John Watson ha dovuto voltare pagina... eppure ci sono ancora misteri da risolvere e un nuovo capitolo della propria storia da affrontare: un incontro casuale diventa uno dei momenti più importanti della sua vita.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Passarono giorni senza che John avesse l'occasione di rivedere quella piccola figura, ma i suoi grandi occhi azzurri e soprattutto quel cappotto, così simile a quello di Sherlock, continuavano a ronzargli nella testa come un insetto fastidioso che non si riesce a far uscire dalla finestra. Chi era quella ragazza, e perché quando i loro sguardi si erano incontrati la delusione di non vedere il suo amico era stata meno pungente del previsto? Perché una persona minuta aveva un cappotto da uomo decisamente troppo grande per lei? Aveva una valigia: da dove veniva? Scosse la testa e si stropicciò il volto. Da quando l'ultima fidanzata l'aveva lasciato, non gli era mai capitato di pensare così intensamente a una donna, soprattutto se non la conosceva. Quella notte, l'aveva addirittura sognata: era stato come un viaggio onirico ed era a quello che stava pensando mentre aspettava di ricevere il suo caffè da asporto allo speedy, da Mrs Hudson. La sua ex landlady era sempre felice di vederlo, anche se per andare da lei doveva allungare il viaggio da casa al lavoro.

Nel sogno, John era all'aeroporto e la ragazza misteriosa stava arrivando dal gate già con la valigia dietro di sé. Si muoveva come se fosse immersa in acqua: quando lo raggiunse, tutto tornò normale e John si sentì sollevato dal vederla vestita in maniera semplice ma sbarazzina. Lei lo salutò con un abbraccio e un bacio sulla guancia, e i due uscirono fuori dall'entrata principale dove però John vide chiaramente, a terra, il cadavere del suo amico Sherlock, così come lo aveva visto su quel marciapiede di ormai due anni prima. John osservò la ragazza mutare il viso in una maschera di rabbia e chinarsi per strappare di dosso al corpo morto il cappotto, ma non fece in tempo a fermarla perché, come succede nei sogni, la scena era già cambiata e lui era fermo su un altare, vestito completamente di bianco e con un completo che ricordò poi aveva visto addosso ad un amico di Harriet per il suo matrimonio. Il dottore si voltò indietro e vide la ragazza misteriosa, con un bell'abito bianco, tornata dolce e tranquilla come l'aveva vista, ma accompagnata da nientemeno che Sherlock, che le toglieva dalle spalle quello che era il suo cappotto, con lo stesso atteggiamento di chi solleva invece un velo.

Preso il caffè dalle mani di Mrs Hudson stessa, John salutò un po' impacciato perché ancora con la testa tra le nuvole - ancora inesistenti nel cielo chiaro - e uscì. Entro pochi passi sentì un forte calore all'addome, ma non si trattava di emozione alcuna: qualcuno gli aveva sbattuto contro sul marciapiede, facendo rovesciare il caffè sulla sua giacchetta aperta e sul maglioncino leggero. Sbuffò, convinto di trovarsi di fronte qualche turista sbadato, ma quando puntò gli occhi sul suo inaspettato aggressore, si rese conto che era la ragazza misteriosa, che lo osservava con i suoi grandi occhi azzurri sgranati e mortificati.

«Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace così tanto!» le sentì dire, con una vocina nervosa e allarmata ma piuttosto dolce, come il suo viso. John la guardò ancora inebetito, indeciso se credere ai propri occhi o superare la visione che aveva di fronte.

«Lasci che l'aiuti, io... sto proprio dietro l'angolo...» la sentì blaterare e lui, credendo di arrossire, annuì, ricordando immediatamente che non era il suo turno alla clinica e quindi non aveva fretta, anche se, come accadeva spesso, perdeva la cognizione dei giorni e non se ne era reso conto. La seguì in silenzio, mentre lei si muoveva rapida ma non troppo veloce; John notò che aveva sostituito i vestiti del giorno prima con qualcosa di più leggero: un abito di cotone, dei leggins, degli stivaletti. In effetti, viveva proprio a pochi metri da lì, girato l'angolo, in un appartamento situato in un grosso fabbricato rosso mattone su Melcombe street.

«C'è un lavaggio a secco qua vicino, ma non vorrei che ci volesse troppo tempo... sono sempre sbadata con tazzine di caffè e altro, quindi ho tutto il necessario in casa per smacchiare» spiegò lei, mentre infilava la chiave nella toppa del portone, sempre nervosa e con il comportamento tipico di chi sa di non reggere lo sguardo con il suo interlocutore. John prese il coraggio a due mani, appesantito da una fastidiosa ma piacevole sensazione di disagio.

«Ci siamo già visti, per caso?» domandò, cercando di applicare qualche dote di autocontrollo imparata in guerra e facendo finta di non aver ripensato più volte a quel loro unico incontro. Lei si voltò a guardarlo e dopo aver aggrottato la fronte, alzò le sopracciglia e sorrise.

«Lei è il signore del marciapiede!» esclamò, e John sorrise a sua volta, decisamente rinvigorito dal fatto che lei si ricordasse di lui «Qualche giorno fa, quando sono tornata a Londra... mi pareva di averla già vista. Si è fermato in mezzo al marciapiede ad osservarmi. Devo esserle sembrata bizzarra» aggiunse lei, mentre gli faceva cenno di seguirla dentro, nell'appartamento a piano rialzato «con un cappotto in un giorno caldo come quello»

John annuì distrattamente, mentre lo sguardo gli cadde sul cappotto Belstaff appeso con grazia vicino alla porta ad un attaccapanni. Era usato, ma non logoro, e dannatamente simile a quello di Sherlock. Lei si accorse che lo studiava e gli si avvicinò.

«Io sono Mary. Mary Morstan» si presentò, finalmente, tendendogli la mano. Lui la strinse e tornò a guardarla. Sembrava una specie di bambolina di porcellana, aggraziata e carina, ma con lo sguardo decisamente più intelligente. Non era la ragazza più bella che avesse conosciuto, questo doveva ammetterlo, ma era di sicuro più interessante di qualsiasi altra avesse visto da molto tempo.

«John Watson» fece lui, di rimando, stringendogli la mano. Lei non si scompose, cosa che a lui sembrò strana: in fondo, la storia dell'eroe delle Cascate di Reichenbach e del suo blogger avevano fatto il giro del paese e oltre, e nonostante fosse passato tanto tempo non erano del tutto sopite.... anche se la gente può dimenticare con molta facilità, si disse.

Lei rimase ferma come in attesa di qualcosa. John capì al volo e le passò il suo maglioncino, sfilandolo dalla testa: per fortuna, la maglietta di cotone leggero che portava sotto era rimasta intonsa.

«Ci vorrà un momento» lo rassicurò Mary, sparendo in una stanzetta oltre quella in cui si trovava John. Il dottore si guardò intorno: l'appartamento era abbastanza grande e un po' in disordine. Era formato da una stanza suddivisa da un muro cavo, senza porta, che separava il salottino, elegante e sobrio, da una cucina color pastello dotata di un tavolo che fungeva da bancone per mangiare, tre gradini più in su dell'altra stanza. Vicino al muro, dalla parte del salotto e di fronte alla porta d'ingresso, si apriva un passaggio che conduceva a un corridoietto con disimpegno sul fondo, e due stanze con un bagno ciascuna, perfettamente identiche e simmetriche. Lo sguardo, irrimediabilmente, si posava però su quel cappotto e se Mary non fosse tornata dopo veramente pochi minuti, avrebbe iniziato a perquisirlo.

«Le piace il mio cappotto?» domandò, stendendo il maglioncino sul bancone della cucina, lisciandolo con attenzione ma rapidamente. John aprì e chiuse la bocca qualche volta, senza emettere alcun suono. Il sorriso di quella ragazza aveva uno strano potere su di lui.

«Non è mio... o meglio, non lo comprai per me» iniziò a raccontare Mary, mettendo su un bollitore elettrico.

«Era del suo... fidanzato?» domandò John, mentre cercava di applicare il metodo deduttivo di Sherlock, come faceva da mesi, seppur con scarso successo. Lei restò colpita, e si voltò verso di lui, poggiandosi al bancone sul quale era sistemato il bollitore.

«Sì, “era” è il tempo verbale più appropriato... appena mi passerà sono certa che lo darò via» commentò Mary, con un piccolo sospiro malinconico, mentre John non poteva evitare di sentirsi un po' sollevato. Il bollitore alle spalle di lei scattò, mentre John si diceva che in fondo ci sarebbe arrivato: se lui l'aveva lasciata, così come sembrava, è ovvio che il ragazzo in questione non volesse tenere il cappotto. Se poi lei non l'aveva presa troppo bene, era plausibile che lo mettesse anche solo per avere l'impressione di averlo ancora con sé. Un fastidio pungente lo prese alla bocca dello stomaco mentre lei gli porgeva una tazza colma di acqua bollente con tanto di bustina.

«Scusi, non dovevo...» iniziò a dire, un po' stentato, ma lei, dopo aver fatto nuotare un po' la bustina nell'acqua, gli fece cenno di non dire nulla.

«Ho iniziato io il discorso... » replicò lei, senza smettere di sorridergli «dovrò sembrarvi una ragazza così strana, ad invitare sconosciuti a farsi smacchiare il maglione in casa propria» continuò, ironica.

«Beh, in fondo, il maglione è davvero macchiato, no?» rispose lui, impacciato. Mary allargò ancora il suo sorriso: non riusciva davvero a smettere.

«È che sono appena tornata a Londra dopo molti anni di viaggi all'estero... sono una giornalista e mi hanno sempre sfruttato come corrispondente» spiega, con i tipici gesti e tono di chi si vergogna un po' ad aprirsi agli altri ma ne ha decisamente bisogno.

«Morstan... non credo di aver letto un suo...» inizia John, ma si interrompe «mi scusi, Morstan come l'ambasciatore per il Medio Oriente?» domandò, ricordando della scomparsa di quell'uomo, letta sui giornali più di 7 anni prima, risolta poi con la dichiarata morte ma senza averne mai trovato il corpo. Mary rese più triste ma allo stesso tempo dolce la sua espressione.

«Scrivo con uno pseudonimo, proprio per evitare di creare questo genere di associazioni. Volevo molto bene a mio padre, questo sì, ma le domande e l'invadenza di certi ex colleghi era diventata davvero troppo dolorosa» concluse, sorseggiando appena il suo infuso.

«Mi dispiace per la sua perdita» riuscì a dire John, mentre lei annuiva gravemente. Mary, dopo qualche minuto di silenzio, mentre lui beveva a sua volta il tè offertogli, appoggiò la sua tazza e andò a controllare il maglioncino. Con una spazzola, tirò via il sottile strato di schiuma bianca che il reagente aveva creato, scoprendo l'area ora intonsa dove prima c'era la macchia di caffè.

«Fantastico!» esclamò lui, avvicinandosi per controllare. Lei gli porse il maglione, fiera e lui, dopo aver appoggiato la tazza a sua volta, lo rinfilò in un movimento solo.

«Non voglio trattenerla... spero di non averle fatto fare tardi» disse lei, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, gli occhi bassi.

«No, oggi non avevo il turno in ambulatorio...» si lasciò sfuggire lui, mentre Mary alzava la testa.

«Oh, è un medico?» chiese, stupita. John annuì.

«Se le servisse aiuto... dato che è appena tornata... tenga» disse, riprendendo la sua giacca e porgendole un bigliettino da visita fresco di stampa. Lei sembrò infinitamente grata: doveva davvero essere molto sola.

«Grazie» aggiunse poi, accompagnandolo, per i pochi passi che restavano, alla porta.

Si scambiarono qualche saluto imbarazzato, e lui uscì, ripensando ancora una volta al misterioso cappotto e al caso irrisolto dell'ambasciatore Morstan.

Mary ricevette un messaggio subito dopo aver chiuso la porta dietro John, e si guardò intorno con sospetto e paura.

   
 
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