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Autore: CinderNella    27/01/2012    3 recensioni
Il ragazzo che doveva pagare solo un caffè americano –o almeno pensava fosse quello, anche se da Starbucks non era mai solo quello– non era propriamente sconosciuto.
Non che lei lo fosse, anche se cercava di mimetizzarsi al suo meglio, con il cappuccio, gli occhiali e le converse.
Lui invece si riconosceva perfettamente da lontano: Ben Barnes le stava offrendo un muffin al cioccolato.
Keira Knightley x Ben Barnes
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5.
A parte il fatto che finì per sbattere la testa contro una mensola che sembrò esser uscita dal nulla, il colloquio era andato abbastanza bene: le prove ci sarebbero state sempre. Non aveva neanche guardato tutto il calendario, non voleva che le girasse la testa. Ma ne prese una copia, la piegò e la infilò in borsa; salutò gli altri attori e per le sei riuscì ad uscire di lì.
Avrebbe voluto sentirsi con Sienna, ma sapeva che probabilmente era già a teatro. Così fece una deviazione – molto poco breve – per Oxford Circus: uscita dalla fermata della metro doveva solo scegliere se prendere Oxford Street o Regent Street. Optò per quest’ultima, dopo essersi sistemata meglio il cappello di lana nero in testa.
Aveva una voglia sconsiderata di passare da Hamleys a guardare gli scaffali di tutti e cinque i piani, come se avesse bisogno di rivivere alcuni momenti che durante l’infanzia aveva passato e ripassato. Camminò fino a destinazione, sospirando contenta come molti anni prima non appena vide la facciata del negozio: giocosa e spensierata, come sempre.
«Desidera qualcosa, signorina?» una commessa in divisa e dal sorriso stampato si piazzò davanti a lei: come doveva fare per evitarla? Un qualche gioco di piedi che si utilizzava a calcio?
«Ehm, no grazie. Sto solo dando un’occhiata.» rispose Keira, guardando dall’entrata l’immenso negozio che le si stagliava davanti: le scale mobili che portavano fino al quinto piano pieno zeppo di giochi di ogni tipo.
Senza pensarci prese a cercare il reparto dei giochi per bambine, come faceva quand’era piccola: dovevano averla presa per pazza, le commesse.
Aveva di nuovo il sorriso sulle labbra, lo stesso che aveva da bimba.

Fortunatamente quando era tornato a casa, James non c’era. Era tranquillo, libero di buttarsi nel suo letto e dormire fino alla sera dopo. Era davvero tutto quello a cui auspicava… finché non suonò il campanello.
«Chi diavolo è.»
Si liberò della giacca e si trascinò fino alla porta.
«Buonasera!» l’unica cosa che vide furono una massa di lunghi capelli biondi e poi sentì un bacio umido su una guancia.
«Che diavolo?!... Tamsin!» abbracciò la ragazza che si trovò alla porta, accogliendola dopo poco «Che ci fai qui?»
«Di passaggio. Mi dispiace non essere venuta all’ultima! Com’è andata?» la ragazza si chiuse dietro la porta e si sedette sul divano, ignorando il fatto che fosse appena tornato a casa.
«Mh, bene. Tutto sommato mi sono divertito in tutto questo tempo a teatro. Poi sono uscito con un’amica…» forse la stanchezza gli giocava brutti scherzi, ma credeva di aver davvero visto l’amica sobbalzare nel momento in cui pronunciò la parola “amica”.
«Amica? Chi è, Barnes? Qualcuna che mi devi presentare?» iniziò a tirargli leggere gomitate su un braccio, con un’espressione vispa: come faceva spesso, ma aveva qualcosa di diverso, sembrava minacciata. O forse era solo il poco riposo.
«Una ragazza… l’ho conosciuta in un bar.»
«Proprio dal nulla, dunque. Vi ha fatti conoscere il fato! Lo sai che vorrò incontrarla, vero?»
Ben annuì: «E la vedrai, prima o poi. Vediamo come va’, potremo uscire insieme, magari… Tu come stai?»
«Stanca. Talvolta mi chiedo perché ho fatto l’attrice. Comunque ora ho un impegno da queste parti, devo lasciarti… dormire. Hai fatto le ore piccole, dalla tua amica?» alzò un sopracciglio, con un’espressione gioviale ma… contrariata.
«No, però sono andato a trovarla stamattina… È una lunga storia.» si grattò la nuca, ridacchiando tra sé e sé. Poi si accorse dello sguardo perplesso di Tamsin e la riaccompagnò alla porta «Sei davvero entrata in casa per così poco?»
«Mi è arrivato un messaggio, è la persona che aspettavo. Ci si vede, Barnes!» gli sorrise, baciò una guancia e scomparve nell’ascensore.

Aveva girato in lungo e in largo su tutti e cinque i piani, era quasi orario di chiusura e le commesse la guardavano già troppo male. Arrivò alla cassa del pianoterra con un orsacchiotto di peluche e un grande fiocco rosso al collo e un vassoio di dolcetti da tè giocattolo in mano.
«Salve! Devo fare dei pacchi regalo?»
«No, no, grazie. Li metta semplicemente in busta.»
Per quegli adorabili momenti di pazzia durante i quali si rigettava nell’infanzia passata troppo velocemente, si ritrovava a comprare le cose più assurde: il doppio vassoio con i dolcetti finti ne era la prova.
E la commessa era abbastanza stupita, probabilmente lo sconvolgimento lo nascondeva bene: si liberò degli occhiali da sole per indossare quelli da vista, mentre la donna le faceva lo scontrino.
Aveva davvero speso cinquanta sterline per quei due giocattoli? Nell’indecisione della risposta – che già conosceva – si allontanò dal negozio, salendo per Regent Street e raggiungere Oxford Circus.
Poco prima di entrare nella stazione della metropolitana per tornare a casa sentì suonare il cellulare: «Pronto? Alexa?» disse, con voce incerta.
«Keira! Da quanto!»
«Ehm…» sarebbe stata tentata di chiederle perché, ma si limitò a convenire con lei «Davvero! Qual buon vento ti porta a comporre il mio numero?»
«C’è una festa tra due settimane a cui vorrei che partecipassi. Ci sarai?»
«Quando, dove, come, perché?» chiese l’altra, prima di azzardarsi a dare una qualsiasi altra risposta.
«Il quando te l’ho detto, il dove a casa mia, il come… bé, come vuoi, e il perché… c’è qualcuno che potrei presentarti.»
«Fidati, non sono alla ricerca ora come ora. Anzi, meglio evitare gli uomini.»
«No, cercali così ti stanno alla larga! Ci sentiamo, ti mando un messaggio per ulteriori informazioni!»
«Ciao!..» terminò la chiamata, per poi iniziare a scendere nella stazione «…Mah.»
Lasciò il cellulare in borsa, tornando a pensare ai giochi che aveva in busta… chissà dove gli avrebbe sistemati.

In quel pomeriggio di pura libertà, dopo il sonnellino aveva deciso che sarebbe ritornato nella parte Est di Londra. Giusto per far imbestialire o ridacchiare una certa persona.
Ma siccome non riceveva alcun cenno di vita, pensò fosse ancora fuori: e tornò in piena Londra, a consolarsi con un frappuccino e una pizza… non necessariamente in quell’ordine.
Quando ritornò a casa, trovò il fratello al telefono con una faccia stranita: «James?»
«Oh, è arrivato!»

Tornata a casa e soddisfatta delle sue compere, infilò la chiave nella toppa e la aprì: sorrise al suo nuovo ingresso e lasciò la borsa per terra. Liberandosi del cappotto per cederlo all’appendiabiti, notò dei fogli bianchi lasciati per terra, fatti passare attraverso la porta.
Alzò un sopracciglio, li prese tutti: partì da quello che si trovava più sotto; c’era scritto un numero di telefono e una “B. B.” come firma.
Scosse la testa e passò all’altro foglio: “Sarebbe carino e gentile che mi chiamassi, eh.” E ancora “Oooops, anche se lo facessi, non sono a casa. Ciao!” e un altro numero, con sotto scritto “Il cellulare, nel caso non lo sia. Ora dovresti davvero chiamarmi. B. B.”. Scoppiò a ridere sulla porta: aveva sprecato cinque fogli per scrivere quelle idiozie?!
Prese il telefono portatile dalla sua base e compose il numero di casa, senza pensarci due volte: voleva davvero prenderlo in giro, se lo meritava.
«’Sera, parla James! Chi sei?» una voce sconosciuta rispose al telefono: era tentata di chiudergli il telefono in faccia.
«Ehm… casa Barnes? C’è Ben?»
«Chi sei?!» chiese l’altro ragazzo, che doveva essere il fratello «Bé, comunque ancora non c’è…»
«Oh!...»
«Oh, è arrivato!» sentì dei rumori, una voce conosciuta dire “Ma che diavolo…?!” e poi una frase pronunciata più vicina al ricevitore: «Con chi parlo?»
«Con la tua vittima di stalking.» Keira udì ridere dall’altra parte del ricevitore, e continuò «Sei tornato ora a casa, eh, mascalzone?!»
«Sì, ho mangiato fuori. Solo. Perché qualcuna non mi richiamava e non mi offriva una cena, come in realtà avrebbe dovuto, visto che è in perenne debito con me.» si liberò del cappotto e lo lasciò sul divano, iniziando a spogliarsi in giro per la casa.
«Io non avrei dovuto chiamarti! Al massimo avrei potuto volerlo!»
«E no, avresti dovuto! Perché sei in deeebitoooo…»
«Sta’ zitto, non avrei proprio dovuto chiamarti appena tornata.» si morse un labbro, togliendosi sciarpa e cappello per salire in camera.
«Bla bla bla, saresti stata ineducata.»
«Come lo sei tu ora, del resto. Bebè.»
«Non lo sono!» ribatté lui, oramai nudo in bagno, aprendo il rubinetto della vasca e mettendoci un dito dentro per vedere quando sarebbe arrivata la temperatura giusta: poi si alzò e andò a chiudere a chiave la porta.
«Cosa… stai facendo?» fortuna che i telefoni di casa non avessero le videocamere, perché sennò sarebbe stata ben poco presentabile in pantofole e pigiama di pile che aveva appena indossato da sopra alla canotta di cotone e la biancheria.
«Sto per farmi il bagno.»
La ragazza per poco non sobbalzò: «Al telefono?!»
«Che c’è di male? Di certo non mi farò fermare da una come te nella mia routine quotidiana.»
«Routine! Come se piazzarti a casa delle persone per dormire perché non lo puoi fare a casa tua è “routine”!»
«Cosa ne sai tu? E poi, tu cosa stai facendo di così meno compromettente, Knightley?» alzò un sopracciglio, ben conscio del fatto che non potesse vederlo: mise la chiamata in vivavoce e si infilò nella vasca, sistemandosi il più comodamente possibile.
«Mi… sono messa il pigiama.»
«E anche senza lavarti. Sporcacciona!»
La ragazza arrossì: chi gliela dava tutta questa confidenza?! «Ho sonno, non so nemmeno se ceno.»
«Poi ti vengono i calcoli alla colecisti, ti fanno l’operazione ma ti recidono il coledoco e diventi gialla come un Simpson.»
Keira ridacchiò, tornando di sotto a portare in camera le sue compere: «Non avevo mai sentito un ammonimento del genere!»
«Sono originale, lo so!»
«Lo sai che ho comprato e dove sono andata?!»
«Noo. Vestiti?»
«No!» ribatté la ragazza, compiaciuta, sistemando l’orsacchiotto sulla sua toeletta e il doppio vassoio sul cassettone «Dei giochi! Sono passata da Hamleys!»
«Sto parlando con una venticinquenne, o hai dimenticato due decine della tua età?»
«Stupido! Hamleys lo ami anche tu, ammettilo!»
Ben non rispose per un po’, come riflettendoci su: «Infatti mi hai comprato un trenino di legno, vero?»
«A te nulla! Tu sei il bambino pestifero che tutte le bimbe non sopportano.»
«Proprio no! E semmai, quello è anche il più amato!»
«Fa’ quel che vuoi, la bambina che ero io lo avrebbe evitato! Altro che trenini regalo!»
«Chi disprezza, compra!» rispose quello, muovendo le gambe nell’acqua, facendo alzare le bolle di sapone dalla superficie.
«Sì, certo. Tu che hai fatto?» chiese lei, accendendo il lumino e posando il cellulare sui fogli che aveva trovato a terra nell’ingresso.
«Uhm, tornato a casa, dormito, tornato in ricognizione dalle parti di casa tua, mangiato frappuccino e pizza, non in quest’ordine e ora bagno. E poi sonno. Voglio solo fare quello.»
«Anche io. Sono nel letto, buonanotte.»
«Miss Simpatia! Buonanotte, Knightley!» chiuse la chiamata, godendosi il resto del caldo bagno pieno di schiuma.

La luce filtrava dalle imposte della finestra, che non aveva nemmeno aperto la sera prima non appena fu tornata da casa: “dritta a letto” era un’espressione che le si poteva decisamente affibbiare.
Per prima cosa cercò il cellulare a tentoni sul suo comodino e, dopo averlo trovato, notò una ventina di chiamate senza risposta della migliore amica: la richiamò subito.
«Buon Dio, sei viva! Perché non ci siamo sentite?!» Sienna era già così arzilla a prima mattina?
«Mmh. Appena sono tornata a casa sono crollata nel letto. Buongiorno.»
«E non potevi avvisarmi con un SMS?!»
«Ero nel letto al telefono…» biascicò la ragazza, voltandosi nelle coperte.
«Con chi?!» la voce di Sienna era più alta di un’ottava.
«Mmh… Ben…»
«Ah. E non c’è nulla tra di voi, vero?»
«Nisba. Ho trovato il suo numero sotto la porta e volevo sfotterlo, tutto qui.»
«Ragionamento logico, amica. Ti sembra tale perché stai ancora dormendo, vero?» Sienna aveva davvero capito tutto.
«Ti adoro. Buonanotte.»
«Sei un ghiro, mamma mia. Buongiorno, piuttosto!» chiuse la chiamata e Keira tornò a muoversi lentamente nel letto, pronta a riaddormentarsi.

Quello scambio altalenante tra fasi di sonno e fasi di dormiveglia si bloccò verso le dieci, quando si rese conto dell’orario e decise che era meglio prepararsi per le prove: non aveva ancora ricevuto il copione, ma sarebbe stata questione di ore.
Avrebbe avuto circa due settimane per imparare tutto e andare in scena: nel frattempo doveva guardare la sceneggiatura di un film su Freud… per quel che ne sapeva l’unica cosa che era certa era che avrebbe interpretato il ruolo di una certa Sabina.
Mah.
Si diresse in cucina, ma prima di prendere il succo di arancia controllò che alla finestra non vi fossero sorprese: non essendocene, si sedette tranquillamente al tavolo dopo aver preso una scatola di cereali da una dispensa.
Sorseggiando il succo, decise di sedersi accanto al tavolo: posò il bicchiere e sospirò. Anche se involontariamente, si trovò a pensare a qualche sera prima... due sere prima. Le bruciava il fatto che stesse già con un’altra... ma alla fine, non importava. Sentiva davvero di non provare nostalgia dei tempi passati, giusto un po’ di rancore nei suoi confronti, dovuto al fatto che si sentiva mancata di rispetto.
Giocava facendo le bolle nel succo senza polpa, particolarmente insapore. Perché mai l’aveva comprato? Cosa le era passato per la testa quella volta più unica che rara che era andata a fare la spesa?!
Scosse la testa tra sé e sé, sobbalzando non appena udì il telefono squillare: avvicinò il fisso rosso a sé, sollevando la cornetta antica con cautela: «Pronto?»
«Sei davvero ineducata a non lasciarmi il tuo numero. Io il mio te l’ho lasciato.» percepì una voce seriosa dall’altro capo del filo, per poi riconoscerla dopo qualche secondo: «Il bambino monello!»
«Dov’è il mio treno?»
«Arrangiati!» esclamò Keira, sorridendo mentre guardava oltre la finestra della cucina.
«Cattiva.»
«Ti sei appena svegliato?»
«Sì! Anche tu?»
«Mhmh. Sto mangiando. O meglio, bevendo... anche se ho fame.»
«Knightley, fai pace con il tuo stomaco!» sentì il ragazzo ingurgitare qualcosa «Vuoi il ragazzo tuttofare pronto a prepararti la colazione?»
«Chi sarebbe?»
«Intendevo me. Quanto sei perspicace a prima mattina.»
«Non preoccuparti, tanto ora devo uscire. Ho le prove.»
Ben alzò gli occhi al cielo: «Quando dovrai impararle a memoria, ci sono. Sarò tutte le altre parti.»
«Anche quella della lesbica?»
«Se proprio devo!» rispose lui, come se usasse un tono quasi sconsolato.
«Povero, piccolo attore! Povero, piccolo B.B.!»
«Smettila di prendermi in giro, o vengo a prenderti io fisicamente, e buttarti nel Tamigi, assieme alle zoccole di fogna.»
«Quali zoccole? Metafora o significato proprio?»
«Entrambe! E buona giornata!» terminò quello, chiudendo il telefono e lasciando la ragazza dall’altro capo del filo spensierata e contenta.

E siamo arrivate al quinto capitolo. Ringrazio di cuore le mie recensitrici, perché mi fa davvero piacere che leggano la storia e la seguano con piacere. Per il resto... l'Alexa di cui parlo nel capitolo è Alexa Chung, davvero amica di Keira nella realtà. Buona lettura (se non l'avete già fatta!) XD
  
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