Fanfiction partecipante all' OTP Tournament ~ I Edizione, indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »
PROMPT:
- il Settimanale delle Streghe
- una bacchetta spezzata
- dita inesperte
*Only Act*
– Hello, Goodbye –
– Mi raccomando,
ragazzi, non perdete tempo – la voce di Horace Lumacorno tentò di superare il
brusio degli studenti che abbandonavano l’aula. – Anche se la scadenza è fra
due settimane, la relazione che vi ho assegnato è molto impegnativa! –
Niente da fare, non
era rimasto quasi nessuno ad ascoltarlo. Quasi, perché Hermione Granger stava
ancora finendo di riporre tutti i libri nella borsa. L’uomo la guardò, sorridendo.
– Signorina
Granger. –
– Signore – rispose
lei. – Inizierò subito il compito – disse cordiale.
Sperava di averlo
colpito. Poco dopo, infatti, le labbra del professore si tesero in un sorriso
compiaciuto. – Ma certo, ma certo – annuì con vigore. – Sapevo che non avresti
perso tempo. Sei un’alunna eccezionale. –
Lei gioì per quel
complimento, salutò e uscì dall’aula, diretta in Biblioteca. Conosceva un libro
che avrebbe potuto risolvere i suoi dubbi, quindi non aveva alcuna intenzione di farselo
sottrarre. Voleva terminare quella relazione entro sera; oltre che a essersi
portata avanti con il programma di Pozioni, non intendeva essere battuta da
Harry e dal libro del Principe
Mezzosangue.
Entrò e salutò la
bibliotecaria. – Madama. –
– Signorina
Granger. –
Camminò fino allo
scaffale dove ricordava che si trovasse il libro. Aveva la strana sensazione di
dover fare in fretta. Capì presto il perché.
Draco Malfoy aveva
appena sfilato quel libro
dal ripiano.
– Oh, no... –
Il ragazzo si voltò
e vide un groviglio di capelli castani. Abbassò lo sguardo e riconobbe il volto
di Hermione.
– Ciao, Granger. –
– Malfoy, mi
servirebbe quel libro. –
– Serve anche a me.
–
Hermione era già
disperata: qualcuno aveva avuto la sua stessa idea, era arrivato prima di lei,
e quel qualcuno era Malfoy.
– Non posso
rimandare questa ricerca – provò a dire, mentre lui si incamminava verso il
primo tavolo libero.
– Che cosa ti fa
credere che io possa farlo? –
Giusta osservazione, considerò lei. –
Perché non vai ad allenarti
un po’? Il libro sarà tutto tuo quando avrai finito. –
Draco si voltò a
guardarla, sembrava quasi divertito da quei tentativi. – E tu perché non vai a studiare altro? –
Hermione provò a
rispondergli, ma lui la precedette.
– Certo, hai già
finito tutti i compiti, quindi non puoi aspettare per terminare quelli appena
assegnati. –
Si morse le labbra,
colpita nel suo punto debole.
– Che c’è di male?
– ribatté. – Dai, Malfoy, oggi hai deciso di essere uno studente modello? –
Lui stava per
scoppiare a riderle in faccia. Le sventolò il libro davanti al naso,
cantilenando. – Non te lo do, Granger... l’ho preso prima io... quando avrò
finito, forse,
lo avrai. –
Hermione lo osservò
sedersi con calma e posare l’oggetto conteso davanti a sé. Non ci pensò due
volte: estrasse la bacchetta dalla tasca della gonna e la puntò sul tomo
voluminoso, recitando un incantesimo non verbale.
Malfoy, vedendola
prendere posto di fronte a lui, la guardò sospettoso. – Non penserai mica che
lo useremo insieme –
disse quasi scandalizzato.
– Invece è quello
che faremo – esibì un ghigno compiaciuto, poi prese piuma e pergamena dalla
borsa. – Ho incantato il libro. –
Draco la fissò
sorpreso: forse sarebbe riuscito a pietrificarla con lo sguardo, se si fosse
impegnato. Valutò l’idea di lasciarle fare quello che voleva e andarsene, ma
non voleva cedere.
– E sia –
sentenziò, abbassando gli occhi sulla pergamena, pronto a prendere tutti gli
appunti necessari per la sua relazione.
Hermione cominciò a
scrivere, la grafia piccola e ordinata – era abituata a far stare in una
pergamena moltissime informazioni – il libro aperto su una determinata pagina
finché entrambi non avessero finito di consultarla.
Malfoy sbuffava di
continuo. Hermione ghignava divertita ogni volta che lo sentiva agitarsi.
– Com’è che sei
sempre così fissata con lo studio? – le chiese, guardandola, mentre aspettava di poter
girare pagina.
– Mi piace studiare
– rispose, sempre concentrata. – E non mi piace oziare quando ho qualcosa da
fare. –
Draco non replicò,
ma tornò a tormentare l’attenzione della ragazza altre volte. Sembrava più
interessato a darle fastidio che a lavorare sulla propria relazione. Hermione
ne fu irritata, perché lui aveva rifiutato di farle usare per prima il libro,
sostenendo di non poter rimandare lo studio.
– Certo che sei davvero
sciatta – disse un quarto d’ora più tardi.
Si beccò
un’occhiataccia da parte della Gryffindor, che evitò di rispondere e tornò a
studiare.
– Voglio dire... –
sembrava che stesse cercando le parole più pungenti. – Niente, sei sciatta e
basta – concluse, tornando di nuovo sul proprio lavoro.
Sembrava che non
riuscisse a capacitarsi di ciò che stava accadendo in quel momento: condivideva un libro con
Hermione Granger. In realtà era una cosa normale, eppure lui si
sentiva in qualche modo vulnerabile – forse perché aveva qualcosa da
nascondere.
Scosse la testa e
scrisse un paio di righe, poi si bloccò, alzò la piuma e guardò la ragazza.
– Scommetto che sei
anche frigida. –
Lo disse senza
riflettere, quella frase gli sfuggì dalle labbra senza filtro. Non aveva
neanche pensato al significato delle sue parole: Hermione Granger in intimità.
Lei finì di
scrivere una frase, arrotolò la pergamena, annullò l’incantesimo sul libro e
guardò in volto lo Slytherin, rivolgendogli addirittura un sorriso – un sorriso
vero.
– Non verrò a letto
con te per dimostrare il contrario. –
Vide il ragazzo
irrigidirsi e impallidire. Ripose i suoi oggetti in borsa, poi, senza degnarlo
di un altro sguardo, lo lasciò solo.
*
– Oh, cavolo. –
Hermione, udendo
quella voce, si voltò e vide Draco Malfoy che la fissava sconsolato. – Hai bisogno di qualcosa? –
– Mi servirebbe quel libro –
rispose, indicando quello che lei aveva appena sfilato dal ripiano.
– Ho un déjà–vu, tu no? – provò l’impulso di ridere, che si
accentuò quando lui roteò gli occhi al cielo.
– Granger, mi serve
davvero – la seguì fino al tavolo. – Potrei utilizzare il tuo stesso
trucchetto. –
– Fallo, che
problema c’è? – disse, alzando le spalle e sedendosi.
La scena si stava
ripetendo: era di nuovo pomeriggio inoltrato, di nuovo dopo due ore di Pozioni,
di nuovo in Biblioteca a contendersi un libro con la Granger.
Fantastico, pensò Draco.
Come se non avesse
già abbastanza problemi.
– Sai che non hai
davvero bisogno di incantarlo – gli comunicò poco dopo la ragazza. – Possiamo
usarlo insieme senza trucchetti.
–
Lui non reagì, per
qualche istante rimase immobile. Poi, con movimenti rallentati, posò la borsa
sul tavolo e prese piuma e pergamena.
Hermione lo spiò
varie volte mentre studiavano: era più pallido del solito, lo sguardo spento,
visibili occhiaie creavano un contrasto evidente con il suo incarnato. Appariva
molto stanco e se ne chiese il motivo.
Quel periodo era
davvero difficile: Harry non voleva separarsi dal libro del Principe
Mezzosangue, Ron lo appoggiava, Ginny ne era terrorizzata.
Continuavano a
litigare, e per evitare di farlo non toccavano l’argomento. Si sentiva sola,
tradita, amareggiata e non considerata. Harry preferiva affidarsi a un libro
con strane note scritte ai margini da chissà chi, piuttosto che dar retta a
lei, che per cinque anni gli era stata accanto e l’aveva aiutato.
– Bella
dimostrazione di fiducia. –
– Prego? –
Ops!
Si accorse di aver
parlato a voce alta quando vide Malfoy fissarla in modo strano.
– Niente, mi è
scappato un pensiero. –
Draco ghignò, ma i
lineamenti del viso erano tirati, come se un movimento tanto semplice gli
costasse molta fatica. – Ottimo, ti metti pure a parlare da sola. O con i tuoi
compiti – scosse la testa. – Lo sapevo che, prima o poi, studiare troppo ti
avrebbe fatta impazzire. –
– Grazie – fece una
smorfia e decise di ignorarlo.
Era davvero
spossata, eppure persisteva nello svolgere i compiti subito dopo le lezioni.
Non riusciva a stare ferma: se l’avesse fatto avrebbe iniziato a pensare, e in
quel periodo pensare le faceva perdere la ragione.
La gita a Hogsmeade
di pochi giorni prima si era rivelata una tragedia mancata. Katie Bell aveva
rischiato di morire davanti ai loro occhi e Harry era subito corso dai
professori per denunciare Malfoy. Era convinto che fosse lui il responsabile di
quell’episodio – di quell’evidente attentato –
e aveva esposto la sua opinione senza connettere il cervello, come faceva fin
troppo spesso.
Che prove aveva
contro Malfoy? Non l’aveva visto dare qualcosa a Katie, non si erano neanche
incontrati per strada quel giorno: Draco non avrebbe avuto occasione di entrare
nel bagno delle ragazze ai Tre Manici di Scopa, dato che troppe persone
l’avrebbero notato.
Una cosa, però, era
vera: Malfoy era
diverso.
Sicuramente la sua
famiglia stava attraversando un periodo carico di preoccupazioni: con Lucius ad
Azkaban e Narcissa sola al Manor, Draco doveva essere assillato da un’infinità
di pensieri poco piacevoli. In più il Ministero continuava a perquisire le loro
proprietà, sequestrando sempre più materiale di dubbia provenienza.
– Vuoi osservarmi
ancora per molto? –
La voce bassa del
ragazzo la riscosse. L’aveva fissato senza accorgersene: necessitava davvero di
riposo, purtroppo non poteva concedersene molto, ma un paio d’ore lontana dallo
studio e dalle sue cupe riflessioni l’avrebbero aiutata.
– Stavo riflettendo
– rispose, sfogliando alcune pagine del libro per cercare un’informazione.
– Su di me? –
Cercò di mantenere
un po’ di dignità e si affrettò a controbattere. – No. –
La Granger si era incantata
a guardarlo, come poteva non essere lui l’oggetto dei suoi pensieri?
Provò l’impulso di
ridere, ma solo per un attimo: forse Hermione stava cercando nel suo volto
qualche segno, un indizio, qualsiasi cosa che avrebbe aiutato Potter a
incastrarlo. Si irrigidì, sentì i nervi tendersi.
Non potevano farlo. Non potevano rovinare tutto.
Aveva un compito da
portare a termine e non aveva alcuna possibilità di fallire: un insuccesso
sarebbe stato fatale, non poteva permettersi di mostrare alcuna negligenza. A
nessuno, soprattutto all’amica di Potter.
Lei sembrò
accorgersene, perché tornò a guardarlo con aria interrogativa, come se cercasse
di sondargli l’anima, di vedere oltre la pelle e la carne, oltre il suo
sguardo.
Era come se lei
volesse rendergli trasparente il corpo per poter carpire la sua essenza. Lui, la sua parte
più intima, il segreto di quella missione suicida – perché lo sapeva che non
era un premio, l’aveva compreso da poco – il dolore di sua madre e le
sofferenze di suo padre.
Sbatté la mano sul
tavolo, spiegazzando la piuma, e Hermione sobbalzò.
– Io ho finito –
annunciò lapidario. – E’ tutto tuo. –
Con le dita spostò
il libro verso la ragazza, senza osare guardarla in viso, raccolse i propri
effetti e uscì a passo veloce dalla Biblioteca. Si era sentito soffocare lì
dentro, nonostante l’ambiente fosse ampio e per nulla angusto… gli era parso di
vedere le pareti muoversi verso di lui, per schiacciarlo e privarlo dell’aria.
Allentò il nodo
della cravatta e corse in camera, evitando di pensare all’impressione –
sbagliata – che aveva fatto alla Granger.
Di sicuro si
sarebbe insospettita: temeva che stesse indagando sul suo conto.
Dopo quella brusca
uscita di scena, Hermione avrebbe avuto ulteriori motivi per continuare a
dubitare di lui.
*
– Ne parlano anche
sul Settimanale
Delle Streghe. –
Ginevra Weasley
aveva deciso di far compagnia a Hermione in Biblioteca per evitare Harry.
Il libro del
Principe si era rivoltato contro il loro amico, suggerendogli un incantesimo
davvero pericoloso: Sectumsempra.
Harry l’aveva usato
in uno scontro avvenuto nel bagno di Mirtilla Malcontenta, e per poco non aveva
ucciso il suo avversario: Draco Malfoy.
Se il fantasma
cinquantenne non fosse corso a dare l’allarme, forse Malfoy sarebbe morto
davvero e Harry non avrebbe potuto difendersi davanti ai membri del Wizengamot
adducendo come scusa quella di essersi fidato di alcuni appunti scritti su un
vecchio libro.
– Di cosa? – chiese
Hermione.
– Delle
perquisizioni nelle proprietà dei Mangiamorte. –
Malfoy.
Aveva da poco
ripreso a frequentare le lezioni, eppure tutti continuavano a stargli lontano,
come se fosse stato lui a colpire Harry e non il contrario.
Hermione annuì con
il capo, continuando a leggere il libro di Artimanzia. – Tra la nuova
collezione di scarpe volanti e le acconciature vive dovrà pur esserci un po’ di
spazio per l’attualità. –
– Divertente – la
canzonò Ginny. – Leggo il Settimanale perché la Gazzetta è spazzatura. –
– E il Settimanale
non lo è? –
Sbuffò con
l’espressione di una bambina in viso. – Speravo di poter leggere qualcosa di
superficiale per liberarmi la mente – chiuse la rivista e si alzò. – Vado a
fare un giro. –
Ginny salutò quindi l’amica e uscì dalla Biblioteca,
decisa a trovare qualcosa di futile in cui impiegare le proprie energie.
Hermione continuò a
leggere, ma non riusciva a concentrarsi. Dopo l’attentato che aveva colpito
Katie Bell, Ron aveva bevuto dell’Idromele avvelenato. Poi Malfoy era quasi
morto.
Harry aveva
riferito che, prima del duello, lo Slytherin si stava confidando con Mirtilla.
Piangeva e diceva che non voleva fare qualcosa, ma che non poteva rifiutarsi
di farla.
In passato aveva
dato spesso prova di essere vigliacco, ponendo la propria salvezza sopra il
resto del mondo. Nella sua mente, però, Hermione vedeva solo un ragazzo di
sedici anni alle prese con qualcosa più grande di lui.
Molto più grande.
Iniziava a pensare
che forse Malfoy aveva davvero qualcosa
a che fare con la collana maledetta e la bottiglia avvelenata, ma non voleva
credere che Voldemort potesse essere così spregevole da affidare una missione
pericolosa a un ragazzino di appena sedici anni.
Scosse la testa: in
realtà aveva compiuto azioni ben peggiori, come puntare la bacchetta contro un
bambino di un anno.
Voldemort era privo
di scrupoli ed era del tutto disinteressato alla vita dei suoi sottoposti e
delle vittime sacrificate lungo il suo cammino verso la gloria eterna.
Vide una borsa e un
libro dall’altro lato del tavolo e, cercandone il proprietario, incontrò gli
occhi di Draco Malfoy. Lui non la degnò di uno sguardo, non la salutò, come se
lei non fosse presente.
Diede un’occhiata
intorno e notò che tutti i tavoli erano occupati. L’unico semivuoto era il suo,
questo però non giustificava la scelta del ragazzo di sedersi davanti a lei.
Lo osservò da sopra
le pagine del libro di Artimanzia: era mortalmente pallido, molto dimagrito e i
segni sotto agli occhi erano più evidenti che mai. Sembrava non prestare alcuna
attenzione a quello che faceva, i suoi gesti erano meccanici, dettati dalla
routine.
Aprire la borsa,
prendere la pergamena, la piuma e l’inchiostro. Cercare la pagina giusta del
libro di testo, leggere le informazioni, elaborarle, scrivere la
relazione.
Era come se non ci
fosse vita in
quello che faceva.
– Se le stai
cercando, sappi che le cicatrici non si vedono. –
La sua voce era
troppo bassa, fredda, distaccata. Aveva appena parlato di una cosa personale e
delicata come se non appartenesse a lui.
– Non le stavo
cercando – abbassò il libro e lo posò sul tavolo. – In realtà mi chiedevo… come
stai? –
Le iridi grigie del
ragazzo fissarono il suo viso. – Potter si sente in colpa per avermi quasi
ucciso? –
– Sì – ammise con
sincerità. – Non parlo a nome suo, però. –
Lui la scrutò, di
certo non poteva fidarsi. Del resto, perché avrebbe dovuto?
– Sto come uno che
è vivo per miracolo – disse, quasi ringhiando. – Ci vorrà un po’ perché le
cicatrici spariscano del tutto. Sono ancora molto stanco e cammino grazie a
degli antidolorifici. Contenta? –
Sfogarsi su di lei
forse l’avrebbe aiutato. Fingeva che Potter non esistesse perché, se l’avesse
guardato anche solo per un attimo, gli sarebbe saltato al collo. Lei non gli
aveva fatto niente, ma era sua amica. Se non poteva litigare con il diretto
interessato… gli sarebbe sempre rimasta la Granger.
– Mi dispiace. –
Fu un sussurro
lieve, quasi troppo basso per essere udito, ma lui l’aveva colto.
– Non me ne faccio
nulla del tuo dispiacere – ribatté prima di poter riflettere. – E comunque non
sei stata tu a colpirmi. –
– Lo so, ma mi
dispiace lo stesso.–
Che cosa stava
cercando di dirgli?
Non guardarla.
– Vorrei che Harry
non l’avesse fatto. È imperdonabile. Avrebbe dovuto difendersi, piuttosto che
attaccare in quel modo. –
Perché glielo stava
svelando? Di certo aveva già fatto la ramanzina a Potter per il suo
comportamento: quell’anno sembrava che il Trio avesse qualche problema, e più
volte l’aveva incrociata nei corridoi intenta a rimproverare lo Sfregiato.
Non guardarla.
Non voleva scorgere
pietà nei suoi occhi, l’espressione compassionevole di una Madonna.
Lui non aveva
bisogno della pietà di nessuno.
– Tu non c’entravi
– continuò. – Non hai nulla a che fare con la guerra di Harry contro Voldemort.
–
Il libro gli cadde
dalle mani, emettendo un tonfo sordo quando si scontrò con il tavolo. Finalmente Draco alzò gli occhi
per fronteggiarla. La rabbia e la voglia di litigare, però, sfumarono in un
istante: non c’erano né pietà né commiserazione sul suo viso, ma sincero dispiacere.
Capì che la ragazza
si sentiva in colpa per le azioni di Potter e accusava se stessa per non averlo
fermato – lei
pensava sempre di poter e dover fare di più. Intuì che soffriva per
ciò che lui aveva subito, non cercava di capirlo né di farlo star meglio.
Lo sguardo che gli
rivolse lo colpì al cuore.
Si sentì nudo e
debole, spogliato dell’arroganza che le aveva sempre rivolto, privo del cognome
che aveva tanto vantato con tutti, disarmato della cattiveria che gli aveva
sempre fatto compagnia in quegli anni di scuola.
Hermione Granger lo
stava abbracciando con lo sguardo, con quegli occhi appena lucidi di un
sentimento che mai, mai avrebbe pensato di vederle rivolgere proprio a lui.
Non aveva pensato a
loro, agli amici di Potter. Li aveva sempre visti come un unico essere. Invece
lei – la Sanguesporco – in quel momento era uscita dal branco per dirgli quello
che non si sarebbe mai aspettato.
Lei si sentiva
stringere il cuore per ciò che aveva fatto il suo migliore amico.
– Non dispiacerti
per me, Granger – trovò la forza di parlare dopo lunghissimi istanti di
silenzio. – Io non lo ero quando il Basilisco ti pietrificò. –
– All’epoca non
sapevamo ancora cosa fosse davvero la
morte – gli rispose in un soffio. – Dopo… Cedric, credo che tutti l’abbiano
compreso. –
Cercò le parole per
ribattere, ma non ci riuscì. Era muto e incapace di rispondere, perché lei
aveva ragione.
A dodici anni aveva
bramato di vederla morta, ma fu alla vista del corpo senza vita di un suo
compagno che aveva compreso la gravità di quei desideri espressi con
leggerezza.
Solo dopo l’arresto
di suo padre aveva capito quanto intensa potesse essere la sua mancanza, e quanto grande la sofferenza di sua
madre.
Di nuovo, avvertì
un profondo senso di angoscia, come se le pareti lo stessero comprimendo.
Raccolse le sue cose e scappò dalla Biblioteca.
Per un attimo
desiderò che lei gli corresse dietro.
Trovarla in
Biblioteca e dividere un libro due volte non era sufficiente a costruire il
rapporto che tra loro era mancato per più di cinque anni. Poche ore non
potevano sanare le loro differenze né cambiare le parole che si erano sempre
rivolti – parole crudeli, volte solo a indebolire l’altro.
Eppure erano
cresciuti, non avevano più undici anni ma sedici, avevano visto e vissuto cose
che non avrebbero mai immaginato di vedere e vivere il loro primo giorno di
scuola.
Nessuno gli aveva
mai parlato così.
Neanche Theodore
Nott, il ragazzo con cui più si trovava in sintonia, era riuscito a capirlo con
uno sguardo e colpirlo con poche parole. Sembrava che lei lo conoscesse molto
più di quanto lui conoscesse se stesso.
E si sentì perso.
*
Era un caldo
pomeriggio di fine maggio.
Hermione aveva
preso l’abitudine di recarsi in Biblioteca ogni giorno per ripassare con calma
in vista degli esami finali.
Libri in mano e
borsa in spalla, scelse un tavolo libero e posò le sue cose sulla panca
adiacente.
Aveva molti compiti
da fare, ma nella sua mente vorticavano milioni di pensieri: gli attentati, gli
incontri di Harry e Silente, Silente che si assentava spesso da scuola, lo
strano comportamento di Malfoy.
Un brutto
presentimento la fece rabbrividire. Non sapeva a cosa fosse dovuto né se
potesse davvero prenderlo in considerazione, d’altronde lei non credeva in
determinati fenomeni,
eppure... eppure c’era qualcosa che
molto spesso le aveva scosso le viscere.
Temeva per la vita
di Harry.
Il suo primo
pensiero era sempre rivolto a lui, al migliore amico che portava sulle spalle
il peso e la responsabilità di essere ufficialmente e realmente il Prescelto.
Aprì il libro e
cercò l’argomento da ripassare, voleva togliersi quel tormento dalla testa, ma
non riusciva a essere attenta. La notte precedente aveva dormito pochissimo,
troppo impegnata a escogitare vari piani di attacco, difesa, fuga e protezione
in caso di assedio da parte dei Mangiamorte.
Aveva riflettuto su
cosa fare in ogni evenienza, rivisto a mente tutti gli incantesimi utili, le
possibili cure da ferite magiche e le pozioni da usare.
Scosse la testa.
Basta pensieri.
Tentò di studiare,
ma non ebbe successo.
Sospirò e allontanò
il libro con le mani. Forse passeggiare per qualche minuto nei corridoi o in
cortile l’avrebbe aiutata a distendere i nervi.
Lasciò la borsa
sulla panca, si alzò e iniziò a camminare, guardando le grandi vetrate della
Biblioteca, fino a quando qualcosa non attirò la sua attenzione: qualcuno era
rannicchiato in un angolo poco illuminato, tra uno scaffale e la parete.
Si avvicinò –
bacchetta alla mano, sempre – per controllare cosa fosse successo, ma rimase
pietrificata quando lo vide:
era Draco Malfoy.
Aveva gli occhi
chiusi e il respiro leggero, non si mosse nemmeno quando lei gli sfiorò una
spalla per accertarsi che non fosse svenuto.
Stava dormendo.
Non poté evitare di
chiedersi come mai si trovava proprio lì, in Biblioteca, a dormire sul
pavimento.
Quando era
arrivato?
Possibile che
nessuno l’avesse notato?
Si guardò intorno,
ma a quell’ora del pomeriggio molti studenti approfittavano del tempo
favorevole per allenarsi a Quidditch o studiare all’aperto. Erano pochi quelli
che restavano al chiuso come lei: si sentiva al sicuro.
Forse anche Draco
Malfoy si sentiva al sicuro lì dentro.
Si sedette accanto
a lui e, titubante, allungò una mano verso il suo viso. Forse aveva la febbre,
ma la sua fronte era fresca, così come le guance e il collo.
Pensò a cosa fare:
chiamare qualcuno? Svegliarlo? Lasciarlo dov’era?
No, non poteva
lasciarlo lì, ma se avesse chiamato un professore avrebbe rischiato di
peggiorare le cose. Non voleva che Malfoy rischiasse una punizione – chissà
cosa l’aveva spinto a rifugiarsi in un angolo buio.
Avrebbe voluto
svegliarlo, ma qualcosa dentro di sé le suggerì che il ragazzo non avrebbe
reagito bene nel vederla.
Così restò seduta
accanto a un Draco Malfoy addormentato – come la buona fatina che veglia il
sonno della sua principessa, in attesa del bacio del vero amore che la libererà
dal maleficio.
Quella sera
Hermione Granger si svegliò con le sole candele a illuminarle il volto, un
posto vuoto accanto a sé e una piccola coperta sulle gambe.
Si accorse di
essersi assopita riflettendo su quei dettagli – il buio, il vuoto, il calore.
Sorrise, accarezzando
con le dita la coperta. Non c’era nessun biglietto lì vicino, cercò a lungo
senza risultato. Dovette accettare quel pezzo di stoffa – morbido e caldo –
come unica prova di ciò che era successo quel pomeriggio.
*
Nascosta dietro a
un grosso albero nel giardino di Hogwarts, Hermione Granger si stava pulendo il
viso e le mani dal sangue di alcune ferite. Respirava con fatica, inoltre aveva
bisogno di rifare la coda ai capelli, ormai del tutto sfatta.
I suoi vestiti
erano sporchi di terra e polvere sollevata dalle macerie, erano lacerati e
macchiati di sangue – non
solo suo.
Nella tasca dei
jeans aveva riposto, rimpicciolita, la bacchetta spezzata di Harry. Si sentiva
ancora in colpa per non essere riuscita a ripararla. Il suo migliore amico
stava usando quella di Draco Malfoy, ottenuta nello scontro al Manor.
Fu scossa da un
brivido al ricordo di quanto era accaduto nell’abitazione dei Malfoy.
Sentiva ancora la
voce di Narcissa che suggeriva al figlio di denunciare Harry per consegnarlo a
Voldemort, la risata isterica di Bellatrix, le sue stesse grida di terrore
mentre veniva torturata e seviziata senza pietà.
Si portò una mano
al petto e cercò di regolarizzare il respiro.
– Va tutto bene –
mormorò. – Va tutto bene. –
Lo ripeté svariate
volte, con gli occhi chiusi e i pugni stretti. La cicatrice sul suo braccio era
stata medicata: non vi aveva più posato lo sguardo dal momento in cui le
candide bende l’avevano coperta.
Doveva pensare ad
altro: Harry e Ronald erano dentro il castello. Aveva perso di vista Ginevra e
Luna; Neville, invece, si trovava all’esterno. Scosse la testa per scacciare
l’eco della voce stridula di Bellatrix, poi rifece la coda ai capelli,
stringendo l’elastico fino a farsi male.
Mentre controllava
di aver ripulito tutte le escoriazioni e le ferite ancora aperte e sanguinanti,
qualcosa si mosse alle sue spalle. In un attimo alzò la bacchetta e si voltò,
pronta a colpire o a difendersi, ma non si mosse quando vide Draco Malfoy.
Lui era in piedi,
nascosto dietro il tronco di un albero dove prima si era riparata lei. Era
vestito di nero e appariva calmo.
Aveva pensato molto
a lui durante quell’anno, sia prima sia dopo il loro incontro a Malfoy Manor.
Nonostante la
convinzione che fosse innocente, Hermione aveva dovuto ammettere il suo errore:
Draco era davvero il
responsabile degli attentati. In effetti, se non fosse stato un codardo,
sarebbe stato in grado di uccidere Silente a mani nude.
Lui, però, non era
un assassino.
Harry l’aveva visto
abbassare la bacchetta. Aveva rivelato di essere minacciato da Voldemort: se la
missione non avesse avuto successo, lui e i suoi genitori sarebbero morti.
Non aveva avuto
scelta.
Si era chiesta
molte volte se avrebbe potuto fare qualcosa per lui, eppure non aveva mai
immaginato ciò che stava vivendo Draco.
In Biblioteca
l’aveva visto sempre più spossato, provato, attento a tutto quello che
succedeva intorno a lui, ma senza più voglia di farne parte.
Isolato da tutti,
aveva deciso di portare a termine con tenacia quella missione suicida per
salvare la vita di suo padre e sua madre.
Mi dispiace,
Draco, pensò. Avrei
voluto starti accanto.
Desiderava
dirglielo, fargli capire che non lo riteneva responsabile degli eventi che
erano scaturiti dalle sue azioni, che comprendeva la scelta che era stato
costretto a fare, che per lui c’era ancora speranza... ma non ci riuscì.
Lo osservò
avvicinarsi con lentezza, un passo dopo l’altro, e chinarsi accanto a lei.
Draco la fissò per
lunghi istanti, immobile come una statua, rivolgendole tutta la sua attenzione.
Il suo sesto anno a
Hogwarts era stato un vero inferno, ma quello successivo l’aveva dilaniato
dentro. La sua anima era spaccata, frantumata in mille, brillanti pezzi di
vetro a causa di quella guerra – una guerra non sua.
Aveva sentito la
mancanza delle mura scolastiche – della sicurezza che
avevano sempre emanato – della tranquillità della Biblioteca – la certezza di trovare sempre
qualcuno lì.
Hermione Granger
gli era mancata.
Mai avrebbe creduto
di provare un’emozione simile un giorno, eppure quei pochi momenti condivisi
con lei e un libro di testo erano stati quasi magici. In un’altra circostanza
lo avrebbe trovato buffo.
Chiuso in una bolla
in cui niente poteva nuocergli, il rumore della piuma che scorreva sulla sua
pergamena era riuscito a rasserenarlo un po’ perché sapeva che lei stava
facendo la stessa cosa.
Non l’aveva
insultato, non aveva rifiutato di utilizzare lo stesso libro e dividere lo
stesso tavolo. Non gli aveva negato la parola né uno sguardo.
Si era comportata
in modo normale, come avrebbe fatto con chiunque altro.
In quei lunghi mesi
Draco Malfoy aveva pensato così tanto alla ragazza da sognarla. Era
successo una volta sola, ma ciò lo aveva sconvolto.
« Draco... »
La sua voce era
troppo dolce, eppure con quel tono si stava rivolgendo a lui.
« Vieni qui. »
L’aveva seguita e,
senza una ragione, si era steso sull’erba con lei.
Continuava a
sorridergli, sembrava felice. Per quale motivo riusciva a essere felice accanto
a lui?
Ricordava le sue
labbra aperte in un sorriso – in
quel momento apparivano come incapaci di farlo o di conoscere gioia.
Forse non lo
avrebbe più fatto, di sicuro non con lui.
Aveva anche
avvertito quell’odore di libri e carta che gli aveva fatto compagnia un anno
prima, seduto per terra in un angolo della Biblioteca.
Nel suo sogno,
Hermione l’aveva stretto e, senza preavviso, baciato. Ricordava il calore della
sua pelle e dei suoi baci, il trasporto che l’aveva scaldato – e che l’aveva
turbato al risveglio.
Chiuse gli occhi
per un istante e ritrovò quelle visioni nel buio.
Troppe volte si era
aggrappato a quel sogno, illusorio ma felice, nei momenti più difficili di
quegli ultimi mesi. Pensare che la Granger potesse ancora sorridere, che
fosse viva –
avrebbero potuto incontrarsi di nuovo in Biblioteca? – gli aveva dato la
speranza di credere che Voldemort non avrebbe vinto.
« Andrà tutto bene.
»
« Come lo sai? »
Gli accarezzò il
volto e cercò i suoi occhi.
« Andrà tutto bene.
»
Riaprì le palpebre
e incontrò il suo viso: era affaticata ma non tesa. Provata ma non spaventata.
Lei sapeva.
Sapeva che quella
guerra lo aveva trasformato giorno dopo giorno, in un susseguirsi di minacce,
punizioni e massacri di innocenti.
Non ebbe alcuna
reazione – negativa – quando alzò la mano destra. Non era sicuro di ricordare
come si facesse, quelle poche volte l’aveva fatto con sua madre, che lo
guardava con infinito amore e lo ringraziava in silenzio per quel piccolo gesto
di affetto.
Protese la mano
verso di lei e, con dita inesperte – come si accarezzava una ragazza? – le
sfiorò il viso. Hermione non si spostò né cercò di ritrarsi al suo tocco.
Era rimasta ferma a
guardarlo, a offrirgli la sua guancia – e molto di più, ma questo lui non lo
sapeva – in silenzio.
Lentamente la
carezza si fece più sicura, e Draco ebbe l’impressione di sentirla rilassarsi.
« Andrà tutto bene.
»
Si avvicinò,
esitante, senza distogliere lo sguardo, perché lei avrebbe potuto respingerlo
da un momento all’altro.
Non lo fece.
Quando le sfiorò la
punta del naso con il proprio pensò che l’avrebbe allontanato, ma non successe
niente. Hermione rimase dov’era, i muscoli rilassati – si fidava.
Quando li
socchiuse, lui fece lo stesso, azzardando a coprire quel misero centimetro che
ancora li separava. Fu un bacio semplice, dolce come il sorriso che aveva visto in sogno,
senza passione né disperazione.
Era solo un bacio.
Un piccolo gesto di affetto – gratitudine? – nato nell’oscurità e nel terrore
di una guerra che continuava a mietere vittime intorno a loro.
Lucius e Narcissa.
Non posso restare
qui,
pensò, spezzando la magia di quel momento.
I suoi occhi
trovarono subito quelli di Hermione, lucidi e per nulla intimoriti. Poi,
apparve.
Il suo sorriso.
Era come nel suo
sogno, sereno, tranquillo, dolce.
Lei profumava
ancora di libri e di carta.
Avvertì qualcosa di
caldo in mezzo al petto e decise di alzarsi. Si sentiva bene, parte dei
suoi pensieri non era più oscura e pessimista, al contrario.
Hermione si alzò
con lui, sapeva che stava per andare via e che non avrebbe combattuto – voleva
solo salvare se stesso e la sua famiglia. L’aveva fatto anche lei, in modo
diverso, ma il suo primo pensiero era stato quello di mettere in salvo sua
madre e suo padre.
– Addio, Granger. –
Le voltò le spalle
senza attendere una risposta e iniziò a camminare.
– Arrivederci, Malfoy.
–
Hermione lo vide
irrigidirsi per un secondo e interrompere il passo che stava per fare, poi
rilassare le spalle e riprendere ad allontanarsi.
Sorrideva.