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Autore: NotFadeAway    28/01/2012    1 recensioni
Un detenuto condannato a morte, il Capo, chiede a Paul Edgecombe cosa pensa lui del paradiso (Il Miglio verde, S.King), forse le parole del Capo non sono così lontane dalla realtà...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Severus l’aveva letto in un libro una volta, e diceva così:
“Io comunque presi il Capo in un momento favorevole. Mi raccontò della sua prima moglie e di come avessero costruito insieme una casa di legno in montagna. Erano stati i giorni più felici della sua vita, mi confidò.
L’acqua così pura e così fredda che ogni volta che bevevi un sorso ti sembrava di esserti tagliato in bocca.”


Severus aprì gli occhi e per poco non gli prese un colpo.
Era steso per terra, su una strana superficie, che gli sembrava bianca, anche se non ne era sicuro, e non pareva esserci nessun rumore nell’aria.
Sbattè meglio le palpebre, ma il suo stato di confusione non migliorò, anzi gli parve di vedere macchie verdi e azzurre, che si alternavano al bianco prevaricante.
Fece leva sulle mani per sedersi e guardarsi meglio attorno, mentre faceva un sforzo immane per cercare di ricordare perché fosse lì.
Non c’era assolutamente niente attorno a lui. Se non fosse stato per una sottile linea d’orizzonte molto molto lontano, avrebbe giurato d trovarsi su un foglio di carta e di essere soltanto un disegno assai realistico.
Si strofinò forte gli occhi e sbadigliò, aveva l’impressione di essersi appena risvegliato da una bella dormita, non necessariamente lunga, forse, ma profonda, quello, sì.
E questa volta lo vide più chiaro. Non appena chiuse gli occhi, un prato verde, dall’erba alta e incolta, lo circondò. Puntini gialli e bianchi gli dicevano che c’erano anche dei fiori. Poi alzò la testa: il cielo era azzurro come di rado ne aveva visti.
Spaventato, riaprì gli occhi e tutto tornò bianco.
Li richiuse. Il cinguettio di un uccello vicino e il cri-cri di un paio di cicale giunsero al suo orecchio e il verde del prato era di nuovo lì. Si accorse che c’era un piacevole calore, sembrava essere in un tiepido giorno d’estate. Il sole era alto nel cielo.
Riaprì gli occhi e tutto scomparve.
E poi, improvvisamente, lo notò, fissando attentamente le sue mani: non aveva più le sue mani grandi e callose, queste erano lisce, sottili e, soprattutto, minuscole. Le mani di un bambino.
Cacciò un urlo e saltò in piedi, spaventato anche dalla voce che aveva appena emesso.
Iniziò a guardarsi a scatti, osservando incredulo ogni parte del suo corpo che, senza alcun motivo logico, era ritornato quello di quasi trent’anni prima.
Deglutì e, in preda allo spavento, dovette sedersi di nuovo. Era tornato un bambino di nove o dieci anni.
E poi, mentre era ancora tutto preso da quel repentino e radicale cambiamento, si accorse che qualcun altro contribuiva, ora, a definire la linea dell’orizzonte.
Non ebbe bisogno dell’aiuto di tutto quel bianco, per riconoscere la chioma rossa che spiccava su tutto il resto.
A questo punto, non sapeva più se il suo cuore battesse ancora, ma non gli importava, si rendeva conto che qualunque cosa gli stesse accadendo, non avrebbe potuto reggere questo, a prescindere dall’età che avesse.
Vedeva quella figura avvicinarsi a passo lento verso di lui, attorniata ora dal bianco, ora dal verde e dal celeste, e lui non riusciva a muoversi o a pensare.
Si era quasi dimenticato quanta gioia si potesse provare tutt’assieme; in quegli ultimi anni l’immagine di Lily lui l’aveva sempre associata a nostalgia, tristezza e rimorso. Non era semplicemente abituato a questo, né tantomeno vi era preparato.
E, mentre pensava a questo e a mille altre cose che, non aiutato dal continuo sbalzo da un colore all’altro, non riusciva a districare dalla sua mente, Lily arrivò.
E, come al solito, era bellissima.
Parole non ce n’erano.
Cos’altro vuoi dire a una donna che hai amato per tutta la vita, senza mai dirglielo, che ora si trova davanti a te, perfettamente consapevole del tuo “segreto”? C’è forse altro da aggiungere?
Severus la guardava, incredulo, mentre lei si chinava e si sedeva sui talloni davanti a lui. Anche Lily non doveva avere più di dieci anni.
A Severus, cui sembrava di aver, dopo tantissimi anni, ricordato come si fa a meravigliarsi, si era incollata la lingua al palato, e riuscì soltanto a sorridere e, ovviamente,ad arrossire.
Lily rise di cuore.
-Sei sempre il solito, Sev!-
E tutto tornò alla normalità e Severus si sentì a casa. Smise di star fermo così rigidamente, la lingua si sciolse e si rilassò. Si era dimenticato quanto si stesse bene se lei era lì.
-Già…forse non sono cambiato per niente…- disse, stupendosi della tranquillità e naturalezza con cui le aveva risposto.
Lily, quindi, si rimise in piedi e gli tese la mano. Lui la afferrò e le fu davanti.
Era strano vederla così, perché se teneva gli occhi aperti Lily era vestita di una corta tunica bianca, che le arrivava alle ginocchia, lasciandole le braccia scoperte. Se, invece, chiudeva gli occhi, quando sbatteva le palpebre, lei portava una t-shirt gialla e verde mela, un paio di pantaloncini corti color fango e delle scarpe rosse.
In entrambi i casi, però, sorrideva.
Senza esitare un attimo, Lily lo abbracciò, le mani al colo di lui, il mento sulla sua spalla destra, mentre Sev le cingeva la vita, più forte che mai, felice come non ricordava si potesse essere.
-Sapevo di non essermi sbagliata con te, Sev – mormorò, la voce di quando era piccola, così familiare alle orecchie di Severus. Lui sorrise tra i capelli di lei. – Andiamo, su! –
E si separò, lo prese di nuovo per mano e incominciarono a camminare.
-Andiamo dove? –
-Tu chiudi gli occhi –
E lui li chiuse.
Il parco giochi era lì, nitido nel sole d’agosto.
Ed era tutto come prima, tutto come sarebbe dovuto essere. C’era l’altalena, i cespugli, gli alberi, la ciminiera. C’era Lily. C’era Severus, con indosso uno strano cappotto e dei pantaloni troppo corti. Non era cambiato niente, tutto era come quel pomeriggio dell’estate del 1969.

“Ehi, signor Edgecombe” mi chiese, “lei pensa che se un uomo si pente sinceramente delle cose sbagliate che ha fatto, può darsi che ritorna al tempo che per lui è stato il più felice per viverci per sempre? Può essere che il paradiso è così’”
“E’ pressoché così che l’ho sempre immaginato io” gli risposi.
   
 
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