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Autore: Ledi_    28/01/2012    1 recensioni
La Dama Blu è la locanda più popolare di tutta la città Bassa. E' frequentata sempre dagli stessi avventori, affezionatisi al posto e alla proprietaria, nonostante in molti si siano accorti degli angeli bellisimi e dalla pelle candida come la neve che visitano spesso la locanda.
In piena rivoluzione, una rivoluzione voluta proprio dagli stessi vampiri, si svolge questa storia. I vampiri vogliono deporre il re che siede sul trono di Anagor per motivi noti solo a loro e gli uomini, che ignorano la vera identità di questi non-morti, farebbero di tutto, anche allearsi con uomini che non sembrano tali, per liberarsi del malvagio tiranno.
-Dal capitolo 4
L’uomo fece un passo in avanti, così che la luna potesse illuminare il suo volto color avorio e gli occhi più scuri che avessi mai visto. Mi scrutavano divertiti tra i ciuffi di capelli corvini che gli piovevano sulla fronte, le labbra incurvate in un sorrisino lasciavano scoperto il canino destro, insolitamente lungo.
P.S. E' la prima storia che scrivo, quindi per favore siate clementi! Se non riceverò nè commenti negativi nè positivi lascerò la storia una One-shot. Enjoy it!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1_Notte di caccia
Il sole stava tramontando ed io ero impaziente.
Me ne stavo immobile, seduto sul letto della mia stanza ad osservare le ante del mio armadio e percorrendo per l’ennesima volta i delicati disegni che lo decoravano.
Gli ultimi raggi del sole erano fermati dal pesante tendaggio nero e rosso scuro.
Mentre aspettavo che il sole decidesse di andarsene, presi la lettera di Dedalus e la rilessi per la decima volta, tanto per fare qualcosa.
- ... senza farsi vedere … - recitava.
Sorrisi. Un sorrisino maligno e sicuro di me. La furtività non era mai stato un mio problema e di certo non lo sarebbe diventato proprio quella notte.
Mi passai la lingua sui denti aguzzi, guardando la luce al di la delle tende farsi sempre più fioca e pregustando tutto il sangue che avrei potuto bere, senza dovermi preoccupare di chi uccidevo.
Ripiegai la lettera e me la misi in tasca: non era mai una buona idea lasciare oggetti compromettenti in giro, anche se si trattava della mia stanza.
Mi legai la spada alla cintura e misi un pugnale nello stivale destro. Indossai un mantello con il cappuccio, nero e lungo fino alle caviglie, che mi dava un’aria ancora più spaventosa del solito.  Appena la luce del sole scomparve, la camera piombò nell’oscurità e si fece subito più fredda.
Aprii le tende ammirando il lugubre panorama della città bassa.
Anagor diventava di anno in anno sempre più povera e io sapevo bene di chi era la colpa.
Spalancai le finestre e, prima di uscire, mi guardai per un attimo allo specchio, compiacendomi del mio aspetto.
I capelli neri, mi davano un’aria selvaggia, come del resto gli occhi scurissimi, mentre la pelle perlacea contrastava piacevolmente con questi particolari. I muscoli erano pronti a scattare in qualsiasi momento, come del resto tutto il mio corpo.
Uscii dalla finestra con un salto e atterrai ai piedi della locanda dove alloggiavo. Era la più bella di tutta la città bassa e attirava molti clienti nobili e uomini facoltosi, ma la clientela era per lo più fidata e conosciuta. Nessuno però sospettava che dietro la locanda ci fossimo noi. Era il nostro quartier generale, da dove partivano tutte le informazioni destinate ai distaccamenti sparsi al di fuori di Anagor. Perché di esseri come noi ce n’erano molti, purtroppo.
Corsi verso la zona industriale, senza fretta: dopotutto avevo l’eternità a disposizione e che cos’era un semplice e banale omicidio di fronte all’eternità?
Raggiunsi una piccola piazzetta, che confinava con una fabbrica che gettava fumo nero, anche a quell’ora della sera e vidi due donne in un angolo che parlavano concitatamente, reggendo una lanterna dalla debole luce.
Sorrisi malignamente e mi avvicinai, abbandonando per un attimo la mia missione.
Quando stavo per uscire dall’ombra del mio vicolo, un rumore lontano mi fece rimanere immobile. Mi voltai e vidi un soldato reale avvicinarsi alle due donne.
Celando la mia stizza, decisi di allontanarmi, per tornare sui miei passi. Non era proprio il caso di mettere in allarme le guardie e farmi seguire.
Arrampicandomi con l’ausilio di una finestra a livello del terreno, raggiunsi i tetti e ripresi ad avvicinarmi alla zona della città bassa più vicina alla zona industriale, dove si trovava la villetta della mia vittima.
Avevo tenuto sotto osservazione l’edificio per molte notti, così da non commettere errori.
Probabilmente la mia preda sapeva di essere in pericolo così l’entrata principale l’avevo scartata subito, come la porticina delle cucine, che era quasi più sorvegliata di quella principale.
Le finestre rimanevano sbarrate tutta la notte e parte del giorno, tranne da mezzogiorno fino alle 5 di pomeriggio. Sembrava quasi che sapessero che di notte si aggiravano dei non morti.
Sorrisi divertito da quel pensiero.
Avevo scoperto, durante uno dei miei appostamenti notturni, che la chiesetta di fronte alla villa aveva un passaggio segreto che portava direttamente ai piani alti di quest’ultima. Le guardie lo tenevano sotto sorveglianza ma alcuni ladri erano riusciti a trovare una falla nel loro sistema e due volte a settimana aprivano il passaggio. Cosi avevo dovuto pazientare per alcuni giorni.
Atterrai sul tetto della chiesa, vicino ad una vetrata, da dove proveniva una strana luce rossastra.
Un venticello gelido mi scompigliò i capelli scuri, accarezzandomi il viso.
Mi calai dal tetto e raggiunsi la porta della sacrestia, che sapevo aperta.
In chiesa non c’era nessuno, così mi diressi verso l’altare: era già stato spostato, così senza troppi complimenti imboccai le scale che portavano verso il basso. Percorsi un corridoio umidiccio, stando bene attento a non toccare le pareti, poi, dopo poco il passaggio si allargò e prese a salire. Ben presto mi ritrovai di fronte una porta finemente decorata, con una croce rossa al centro.
Potevo sentire dall’altra parte i passi di tre guardie, che camminavano avanti e indietro.
Avevo voglia di divertirmi, cosi aprii la porta e mi misi con le mani sui fianchi, mostrandomi agli uomini, che mi guardarono sorpresi. Una volta notata la mia pelle diafana e i canini che spuntavano dalle mie labbra arricciate in un ghigno, uno di loro estrasse velocemente la spada e si mise in posizione di guardia. Venne subito imitato dalle altre due, mentre io ridacchiavo.
<< Su ragazzi, non vi mordo mica. >> dissi ironico, mentre uno dei tre deglutiva rumorosamente.
<< Muori, immondo vampiro! >> urlò all’improvviso uno di loro, lanciandosi verso di me.
In un lampo estrassi il coltello dallo stivale e sgozzai l’uomo che mi stava per infilzare, sfruttando la zona non coperta dall’armatura. Senza aspettare un minuto di più scattai verso i due rimasti e riuscii a finirli in poco tempo.
Riposi il pugnale e, preso per il bavero, portai la bocca al collo dell’uomo.
Dopo uno spuntino veloce mi alzai e mentre mi pulivo la bocca con la manica della maglietta, mi avviai verso la fine del corridoio.
Come mi aspettavo, le guardie erano per lo più agli ingressi e all’interno l’edificio era poco sorvegliato, così, indisturbato, mi diressi verso un salottino alla fine del corridoio principale. Una porta decorata più delle altre mi indicò dove dovevo entrare.
Lentamente entrai, estraendo la spada.
Dentro era buio pesto, ma grazie alla mia natura mi muovevo nella stanza come se fosse inondata dal sole di mezzogiorno.
Davanti alla porta stava un grosso letto, dove dormiva la mia vittima. Sibilai di piacere nel sentire il suo profumo e il suo sangue caldo. Mi avvicinai e posto di fianco al letto, appoggiai la lama sulla sua gola. A contatto con il freddo dell’acciaio l’uomo si svegliò e spalancò gli occhi, per cercare di vedere chi lo stava minacciando. Prima che potesse emettere un solo suono, feci scorrere la lama sulla sua gola, imbrattando le lenzuola bianche con il suo sangue caldo.
Rinfoderai la spada e gli chiusi gli occhi rimasti sbarrati nel guardare la morte in faccia: mi dava fastidio essere osservato mentre mangiavo.
Dopo pochi minuti mi toccò terminare il mio banchetto a causa dei passi che sentivo fuori dalla porta, così spalancai l’enorme finestra e uscii, arrampicandomi sul tetto.
Urla e voci concitate giunsero alle mie sensibili orecchie, facendomi sorridere per la soddisfazione e per la buona riuscita della missione.
Scesi in fretta dal tetto e mi avviai verso il quartiere generale per fare rapporto a Dedalus. Decisi di camminare e passare per le vie secondarie.
La città era suddivisa in molte zone, ognuna adibita alla propria funzione e abitata da gente diversa, eppure governata dallo stesso tiranno. Mi ci era voluta  una settimana per imparare a muovermi per Anagor senza problemi.
<< Hai sentito cosa è successo a Roger? >>
<< No! Che ha fatto quell’idiota, stavolta? >>
<< Niente. È stato trovato nel canale di scolo ieri sera. Morto dissanguato >>.
<< Allora è vero, sono arrivati altri vampiri in città >>.
<< A quanto pare. Ci conviene rivolgerci a Dedalus se non vogliamo fare la sua stessa fine >>.
<< Non me la sento ancora di parlare con i vampiri >>.
<< Ragiona, se li serviamo bene potrebbero anche decidere di darci l’immortalità >>.
<< Parla per te! Io non la voglio l’immortalità >>.
<< Sei impazzito? Io si! >>
Sentendo quei discorsi mi nascosi nell’ombra, continuando ad ascoltare. Erano molte poche le persone che erano a conoscenza dell’esistenza dei vampiri ed erano ancora meno quelli che volevano aiutarci. Il re faceva paura a tutti, senza esclusioni, ma tutti quelli che collaboravano con noi lo facevano per il semplice fatto di sperare di ricevere l’immortalità. Dopotutto la vita eterna faceva gola a molti.
All’improvviso, perso nei miei pensieri, mi accorsi che una ragazza urlava e che subito i due uomini se la filarono con la coda tra le gambe.
Mi diressi in quella direzione e in un sudicio vicolo, vidi un vampiro con i capelli scuri con i denti infilati nel collo di una  ragazza di non più di 20 anni. La ragazza urlava e cercava di coprirsi il corpo con il mantello, scalciando e graffiando con la mano libera. D’un tratto afferrò i capelli del vampiro e con le lacrime agli occhi prese a tirare, peccato che quello ghignò e affondò ancora di più i denti nella carne. Dopo poco smise di urlare e si afflosciò, mentre il vampiro continuava a tenerla stretta.
Mi misi dietro di lui e dopo avergli dato un calcio, lo spinsi via dalla ragazza, che stramazzò a terra.
<< Sei un’idiota! >> gli urlai.
Quello si alzò velocemente da terra, sibilando, con i canini e la bocca ancora sporchi di sangue.
<< Non ti devi immischiare, Lyon! >>
<< Lo sai che Dedalus non vuole che attacchiamo i civili. >> esclamai, arrabbiatissimo.
<< Non mi sembra che tu ti faccia problemi >> rispose Basil tranquillo.
 Lo fulminai con un’occhiata e sibilai un “ vattene via ”.
Non se lo fece ripetere due volte.
Lo guardai andare via, per poi rivolgere la mia attenzione alla ragazza: era a terra, senza respirare, con il volto bianco come uno straccio e le mani convulsamente strette al petto. Premetti una mano dove avrebbe dovuto esserci il cuore: nulla.
Era senz’altro morta.
Feci spallucce e mi allontanai. Un’altra ragazzina umana uccisa da “ immonde creature ”, come amavano definirci i pochi uomini di chiesa che sapevano della nostra esistenza.
Quando il sole stava ormai per sorgere, raggiunsi la Dama Blu, una bella locanda, al confine con il quartiere storico e quello industriale. Il nostro quartier generale.
Appena entrai, la donna che stava al bancone mi venne incontro.
Era Euphemia, la proprietaria della locanda, nonché la migliore alleata di noi vampiri.
Era una ragazza di circa venticinque anni, con lunghi e mossi capelli rosso fuoco, due grandi occhi verdi e un velo di lentiggini sul naso e sulle guancie. Indossava un vestito blu decorato con una cintura, da cui a volte pendeva uno strofinaccio e nastrini bianchi e indossava un paio di stivali alti marroni. Aveva un visetto angelico, ma quando si arrabbiava era capace di smontare pezzo per pezzo persino un vampiro; per questo, forse, Dedalus le aveva promesso di trasformarla. Era ormai molto che la ragazza aspettava, ma Dedalus le voleva troppo bene per rovinarle la vita.
<< Allora, Lyon, com’è andata? >> mi chiese con un enorme sorriso.
Il fatto che Euphemia si interessasse a tutto quello che tutti i vampiri di Anagor facevano la rendeva la candidata adatta a ricevere l’immortalità che tanto agognava.
<< Tutto bene. Ho corso tanti pericoli per nulla, però >> cominciai, seguendola fino al bancone: lei tornò dietro di esso, mentre io mi sedevo su uno dei pochi sgabelli.
La Dama Blu era accogliente e calda, mezza vuota a causa dell’ora; ma di giorno era molto affollata e tutte le persone dei dintorni sapevano che la locanda rimaneva aperta quasi ventiquattro ore su ventiquattro.
Il legno scuro di cui era costruita e le imbottiture delle sedie blu scuro la facevano apparire calda, mentre le tende alle finestre, sempre rigorosamente chiuse durante il giorno, rendevano il locale famigliare e intimo.
<< Sangue cattivo un’altra volta? >>chiese con un mezzo sorrisino lei, prendendo in mano un bicchiere e cominciando a pulirlo.
<< Già. Sono convinto che il tuo sangue avrebbe un sapore migliore di tutti i ricchi della città >> fiutai l’aria intorno a lei, per poi ridacchiare << Anzi, se mi fai assaggiare, te lo posso dire >>
<< No grazie >> rispose lei, stando allo scherzo << Il mio sangue ancora mi serve >>.
Euphemia era l’unica persona con cui mi lasciavo andare veramente e non pensavo a promesse e missioni. Parlare con lei era facile come bere un bicchiere d’acqua e quando scherzavamo non eravamo più un vampiro e una donna, ma Lyon ed Euphemia.
<< Ti ricordi che 2 giorni fa mi avevi promesso che mi avresti insegnato a tirare di scherma?>> mi domandò d’un tratto, poggiando i gomiti sul tavolo e perforandomi con gli occhi verde scuro.
<< Mi ricordo, ma ancora non capisco perché non lo possa fare Jude >> esclamai, contrariato: non che mi dispiacesse fare imparare qualcosa alla ragazza ma la voglia che avevo di fare il maestro era pari a zero. Non ero per niente capace.
<< No. Se lo fa lui poi mi distraggo >> rispose lei, arrossendo lievemente.
<< Ma io sono negato ad insegnare >>.
<< Devi tentare almeno una volta >>.
Grugnii qualcosa, per poi alzarmi dallo sgabello, sbadigliando.
<< Ci conto, allora. >> esclamò felice Euphemia. Come se gli avessi detto di si.
<< Va bene. Ci vediamo fra un po’ >> conclusi avviandomi verso le scale che portavano ai piani superiori e salutandola con un gesto della mano. Lei ricambiò per poi sparire dalla mia vista.
Salii fino al terzo piano, dove stavano solo le camere riservate a noi vampiri.
Entrai nella mia stanza e andai subito a tirare meglio le tende, per non fare entrare i raggi del sole nascente, per poi gettarmi letteralmente sul letto. Quello emise uno scricchiolio, ma non ci badai.
Da sdraiato mi tolsi gli stivali, gettandoli a terra. Lo stesso feci con la giacca e la maglietta, rimanendo con solo i pantaloni di pelle. Finirono a terra anche la spada, il pugnale e la cintura.
Non avrei dormito molto, lo sapevo, ma stendermi mi faceva sentire un uomo normale. Avrei dormito giusto un paio d’ore, il tempo per recuperare le poche energie perse e per isolarmi dal mondo. Poi sarebbe stata un’altra giornata di sole.
Imprecai in silenzio, mentre osservavo i raggi del sole proiettati ai piedi della finestra. Avrei tanto voluto spalancare le finestre e farmi investire dalla luce, ma anche solo guardarla da lontano mi procurava dolorose fitte agli occhi.
Chiusi le palpebre e mi sforzai di rilassarmi.
Dopo poco sprofondai in un sonno vigile, dal quale non avrei mai voluto svegliarmi.
  
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