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Autore: HaruHaru19    28/01/2012    6 recensioni
[2Min] "Giudica un libro dalla sua copertina, ma leggi anche quello che c'è scritto dentro se vuoi essere preso sul serio."
Sapevo che erano lì e che ci sarebbero stati finchè non fossero riusciti a tirarmi fuori da quella stanza. Per un attimo ebbi pure l'impressione che una parte di me provasse gratitudine, ma immediatamente ricordai che era impossibile che provassi qualcosa. Come può una persona senza più un cuore, provare qualcosa?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Taemin
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Haru's bla bla bla: Salve a tutte! Eh, sì: sono tornata! Mi dispiace di farvi aspettare così tanto tra un capitolo e l'altro, ma (come ho già detto mille e più volte) portare avanti due long fics contemporaneamente e, nel frattempo, fare anche la quinta liceo è un'impresa piuttosto ardua. In ogni modo, mi sono affrettata ad aggiornare questa fic perchè, in un atto di masochismo puro, ho deciso di iniziare a scrivere un'ulteriore long fic che sarà interamente ispirata dalla mia esperienza a Parigi (solo 10 giorni alla partenza! Sono così emozionata! :3) nella quale racconterò ogni singola emozione e/o evento che accadrà al Music Bank e alla mia vacanza di quattro giorni a Parigi, in generale! ;) Spero che seguirete anche quella storia in futuro, ma per il momenti godetevi questo nuovo capitolo di "Aspettando l'alba"! Grazie a tutti quelli che mi hanno scritto e letteralmente coperta di complimenti: siete decisamente troppo gentili! *manda baci* Vi ricordo che commenti e recensioni sono sempre ben accetti! ;) Alla prossima! (sperando che sia il prima possibile :P)

Capitolo 4: Never show your true feelings.


Potevo percepire i tiepidi raggi del sole d'inizio Maggio riscaldarmi la pelle e la leggere brezza scompigliarmi i capelli mentre correvo veloce verso casa, con le cuffie dell'i-Pod ben inserite nelle orecchie; nonostante il fiato corto e il pesante borsone sulle spalle, feci l'intera scalinata correndo. Una volta arrivato di fronte alla porta di casa suonai il campanello, saltellando sul posto a tempo di musica. Danzai per qualche secondo trascinato dalla melodia e suonai nuovamente il campanello. Attesi mezzo minuto, ma non ricevetti risposta.
<< Perchè ci mette così tanto?? >> chiesi fra me e me aggrottando le sopracciglia e suonando per la terza volta. Nessuno venne ad aprirmi perciò, sbuffando, presi il mio mazzo di chiavi da una tasca laterale del borsone ed aprii la porta.
<< Ma dove è finito? Eppure aveva detto che sarebbe rimasto in casa... >> mi chiesi, entrando. Feci un rapido giro dell'abitazione, scoprendola deserta e, solo nel momento in cui feci per entrare nella mia camera e posare il borsone, mi accorsi che c'era un biglietto attaccato alla porta.

"Taemin-ah~ Sei di nuovo in ritardo! La devi smettere di allenarti così tanto o finirai con il sentirti male! Comunque, sono dovuto uscire per un impegno improvviso, ma sarò a casa molto presto: spero di trovarti lì al mio ritorno, altrimenti...
Se hai fame ti ho lasciato qualcosa di già pronto nel frigo. A dopo!"

Key Umma.

Lessi con un sorriso il messaggio scritto da Kibum con tanto di minaccia lasciata in sospeso e scesi in cucina. Trovai dei NaengMeyon e mi ci fiondai sopra affamato.
Ero uscito la mattina presto per andare ad allenarmi come d'abitudine, ma mi ero trattenuto in sala da ballo un bel po' oltre l'orario di pranzo e adesso ero affamato da morire. Finii l'intera porzione e poi mi avventai su del pollo avanzato e messo da parte probabilmente da Jinki. Sapevo che l'avrei pagata cara una volta che il leader fosse tornato a casa, ma in quel momento tutto ciò che desideravo era porre fine alla fame e quel pezzo di pollo sembrava urlarmi in faccia "mangiami"!
Terminato il vorace pasto, detti una sistemata al campo di battaglia che era divenuta la cucina dopo il mio arrivo e, proprio mentre stavo nascondendo le prove del mio pollicidio, sentii suonare il campanello. Oltrepassai il salotto fischiettando e, prima di aprire la porta, mi soffermai davanti allo specchio per ravviarmi i capelli che adesso erano più corti e del colore del fuoco, e notai che ero cresciuto almeno tre o quattro centimetri da qualche mese a quella parte. Mi accorsi che stavo facendo aspettare Kibum e mi affrettai ad aprire la porta: non volevo una spedizione punitiva degli Hyungs contro di me, quindi era meglio comportarsi da bravo maknae.
<< Bentornato Hyung~ >> urlai aprendo la porta di scatto, ritrovandomi la faccia perplessa del postino che mi fissava scandalizzato.
Oh, diamine. La devo smettere di aprire la porta senza controllare prima chi c'è ad aspettarmi dall'altra parte.
<< B-buongiorno... >> lo salutai inchinandomi, mentre le guance raggiungevano la stessa tonalità dei capelli.
<< Buongiorno. >> mi rispose lui sorridendo e porgendomi una lettera << Ho una consegna per Lee Taemin-ssi. E' lei? >>
<< Oh, sì. >> risposi afferrando la lettera e gettandole un'occhiata.
<< Ok, perfetto. >> disse lui allungandomi una cartella dove depositai la mia firma << Arrivederci. >>
<< Arrivederci... >> risposi con voce flebile richiudendo la porta dietro di me.
Ritornai in casa e salii nella mia camera a passi pesanti leggendo nuovamente il nome del mittente, sperando di aver letto male la prima volta, ma un secondo e terzo controllo mi confermarono che la mia ansia era giustificata: il nome Choi MinHo risaltava sulla candida carta delle lettera come sangue sulla neve.
Non avevo la minima intenzione di leggere quella lettera che bruciava come fuoco vivo tra le mani, anzi, la mia intenzione era quella di stracciarla in mille e più pezzi per poi bruciarli. Non riuscivo a gestire la rabbia che provavo dentro di me. Se ne era andato senza farsi troppi problemi e non avevo avuto nessuna notizia di lui per mesi; ormai la mia vita aveva assimilato nuovi orari, nuovi impegni e, soprattutto, nuovi interessi. Ma allora perchè ancora lui? Perchè adesso? Proprio adesso che avevo imparato a vivere e a respirare di nuovo, lui tornava a distruggere tutto quello che avevo creato? Durante la sua assenza avevo creato nuovi ricordi. Per sopportare il dolore rifiutavo quello che ora era divenuto il mio passato e avevo imparato ad associare la sua faccia a quella di un perfetto sconosciuto. Ormai il mio interesse per lui era inferirore a quello che avevo per il cambiamento del livello delle maree.
Ormai avevo una vita diversa e lui non ne faceva più parte.
<< Per me non esisti più. >> dissi strappando la lettera a metà e, nello stesso istante, mi arrivò alle orecchie il rumore della porta di casa che si chiudeva con un tonfo.
<< Taemin-ah~ Sono a casa~ >> la voce di Kibum mi giunse come un trillo e, spaventato dal fatto che potesse scoprire la lettera, mi affrettai a nasconderla in un cassetto della scrivania, sotto altri foglie e cianfrusaglie varie, affinchè nessuno la trovasse mai.
<< Sono qui, Hyung! >> risposi uscendo dalla camera e correndo giù per le scale con un sorriso forzato stampato sul volto << Sono qui. >>


I mesi passavano e le lettere continuavano ad arrivare con la media di una ogni due settimane. Fortunatamente fui abile abbastanza da farle sparire prima che finissero nelle mani di uno degli Hyungs. Adesso si trovavano impilate una sull'altra assieme alla prima che avevo ricevuto e che avevo strappato, ben nascoste nel cassetto della scrivania.
Ovviamente nessuna di quelle lettere era stata letta, ma era stata semplicemente messa nel dimenticatoio e fatta sparire.
In un'afosa giornata di metà Luglio, stavo vagando per la casa in preda a febbre alta e violenti brividi, quando l'improvviso squillare del telefono mi fece sobbalzare dalla paura. Probabilmente era Kibum che voleva sapere come stavo: mi aveva avvertito che mi sarei ammalato a forza di allenarmi così tanto, ma non potevo evitarlo. Danzare mi faceva sentire libero dai pensieri. Comunque, mi avvicinai barcollante all'apparecchio per rispondere, dato che gli altri membri erano fuori per impegni lavorativi, ai quali non avevo potuto partecipare a causa della febbre.
<< Pronto? >> dissi parlando dentro la cornetta, con gli occhi chiusi e la fronte premuta contro la parete fredda alla ricerca di qualsiasi tipo di sollievo.
<< Taemin... >> mi rispose una voce flebile dall'altra parte. Gli occhi si aprirono di scatto, fissando impauriti il muro bianco. Le mani e le gambe ebbero un fremito e riuscii a rimanere in piedi per miracolo.
<< MinHo... >> cercai di dire, ma dalla mia bocca uscì solo una specia di sussurro smorzato.
<< Taemin... >> ripetè con quella voce incredibilmente bassa e stanca << Sto morendo... >>
<< Cosa? >> quasi urlai << Hyung... Hyung! Cosa hai det... >> mi bloccai, così come fece il sangue nelle mie vene, non appena sentii la linea morta del telefono.
Rimasi immobile per qualche secondo e quando finalmente realizzai la situazione, corsi a perdifiato fino in camera. Una volta lì presi un paio di vestiti a caso e li pigiai dentro una valigia, poi presi il portafoglio con tutti i contanti che riuscii a trovare in casa e i documenti.
Passati neanche tre minuti ero già fuori casa, correndo lungo la via. Sentivo le gambe molli e la testa incredibilmente leggera, ma continuai a correre nonostante rischiassi di rovinare a terra da un momento all'altro. Spuntato nella via principale cercai di fermare un taxi qualsiasi, gettandomi letteralmente in mezzo alla strada.
Appena riuscii ad attirare l'attenzione di uno di questi mi ci infilai dentro immediatamente e ignorai l'espressione semi-sconvolta del tassista.
<< All'aeroporto di Incheon. >> dissi ancora con il fiato corto << Se ci arriviamo in meno di dieci minuti, le pago doppio la corsa! >>


Il tempo sembrava essersi fermato in un eterno panorama di tramonti ed albe, incorniciato dal freddo metallo del finestrino, mentre l'aereo si preparava all'atterraggio. Sigillai le mani attorno le ginocchia non appena percepii il cambiamento di pressione attorno a me e attesi di poter scendere. Una volta fatto ciò e recuperata la mia piccola valigia, mi catapultai fuori e chiamai un taxi che mi portò a una delle tante vie principali della città. Sceso dal taxi ebbi un capogiro talmente forte che mi costrinse a sedermi su una panchina per qualche minuto: la febbre alta, l'angoscia per la condizione misteriosa di MinHo, le poche ore di sonno, il viaggio estenuante e il caldo torrido del sole estivo di San Francisco avevano creato un insieme di situazioni che non riuscivo a gestire. Mi tolsi la leggera felpa e la stivai dentro la valigia, prendendo un paio di respiri profondi, alla ricerca di un po' d'aria fresca che sembrava inesistente nel territorio ostile che mi circondava. La stanchezza gravava su di me come un macigno, ma l'ansia mi spinse a iniziare le mie ricerche: dato quel poco o niente di cui ero a conoscenza, scelsi d'iniziare a cercarlo negli ospedali che mi sembrarono il luogo più adatto. Ne trovai uno non molto lontano e vi entrai chiedendo informazioni in un inglese più che scarso.
<< We have no patients named Choi Minho, I'm sorry. >> mi rispose cordialmente la donna al banco di accettazione.
<< Ok. >> dissi con un accento vergognoso << Thank you. >>
Uscii dalla struttura con un senso di delusione, ma cercai di non darci troppo peso. Dopotutto San Francisco era una città immensa e sarei stato decisamente fortunato a trovarlo al primo colpo. Comprai una cartina della città e segnai tutti gli ospedali che vi trovai, per poi partire di nuovo alla ricerca. Ne scartai uno dopo l'altro; non importava a chi chiedessi, la risposta era sempre negativa e più di una volta mi trovai un muro davanti, sentendomi dire che non potevano divulgare notizie simili a sconosciuti. Non aveva importanza se era qualcosa che per me poteva fare la differenza tra la vita e la morte e purtroppo non riuscivo a spiegarlo a causa della barriera linguistica. Probabilmente pensavano che fossi un pazzo uscito da chissà dove, con il mio inglese stentato e gli occhi lucidi a causa della febbre.
A fine giornata, con dieci ospedali visitati e nessuna informazione in mano, mi sedetti sul bordo del marciapiede, prendendomi la testa fra le mani. Mi sentivo come se il mio cervello stesse per scoppiare. Avevo vissuto due volte lo stesso giorno, effettivamente, viaggiando da Seoul a San Francisco. Mi sembrava un'assurdità che fossi riuscito a fare tutto ciò in un'unica lunga giornata di quarantotto ore. Alzai lo sguardo sui pochi passanti che ancora popolavano la strada a quell'ora e, per la quarta volta in quel giorno, ritrovai MinHo in un ragazzo, il quale si rivelò a una seconda occhiata più attenta semplicemente un alto ragazzo asiatico. Con un tuffo al cuore, il mio sguardo si posò successivamente su una cabina telefonica, di quelle che popolavano le città poco più di dieci anni prima. La raggiunsi velocemente, ma la mia euforia calò di botto quando realizzai il fatto che non ricordavo più il suo numero e che il mio cellulare si trovava a decine di migliaia di chilometri di distanza, a Seoul, per non poter essere rintracciato. A quel punto non riuscii più a trattenere le lacrime che portarono con loro rabbia e tensione. Non solo ero stato così stupido da non riuscire a nascondere i miei sentimenti, ma non ero riuscito neanche a ottenere quello per cui ero fuggito da casa. Cosa avevo in mente di fare? Non sapevo mettere insieme una frase in inglese con un minimo di senso e, soprattutto, l'idea che MinHo non si trovasse più in quella città si stava facendo strada tra i miei pensieri e si stava insinuando sempre di più tra le mie paure.
Che stupido che ero stato. Per quanto ne sapevo, lui poteva benissimo trovarsi dall'altra parte del mondo e io, che mi preoccuavo come un matto per lui, non mi ero minimamente fermato a pensare agli Hyungs che probabilmente stavano morendo d'ansia, chiedendosi dove fossi finito. Con tutto quello che loro facevano per me, io me ne ero andato senza lasciare neanche un messaggio. Riuscivo a immaginare la scena: loro che tornavano dopo una giornata di lavoro e non trovavano più il loro adorato maknae malato che avevano lasciato a casa a riposare. Poveri Hyungs. Che ingrato che ero.
Con questo pensiero e un pesante senso di colpa, cercai un taxi e mi feci accompagnare all'aeroporto dove comprai un biglietto di sola andata per Seoul, che pagai con la carta. Attesi l'arrivo del volo per un paio d'ore e feci il check-in. Una volta salito sull'aereo, sprofondai nel sedile e socchiusi gli occhi. Sentivo che sarei scivolato nel mondo dei sogni da un momento all'altro e , agganciata la cintura di sicurezza, attesi la partenza.
Poi, mentre l'aereo prendeva velocità lasciandosi dietro una realtà estranea, finalmente mi abbandonai al niente.  
  
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