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Autore: Sunny    08/09/2006    8 recensioni
Giusto perchè Luna voleva infartare... una panoramica dell'addestramento di Alex Malfoy, di FMI.
Genere: Triste, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Iceman

A Luna Malfoy, il mio primo pusher ufficiale! XD E non smetterò mai di ringraziarti per avermi fatto scoprire Cheq! *^____^* Nel frattempo, infarta pure…. XD

 

 

 

 

ICEMAN

 

 

Mirare… mano ferma… un colpo silenzioso e vellutato…

 

Stephen McNair si limitò a un sorrisetto senza scomporsi. Alexander Malfoy, quindici anni e l’occhio di falco più preciso che avesse mai incontrato. Quindici anni di addestramenti, dei suoi addestramenti, per diventare un uomo e cancellare la sporcizia dal suo sangue macchiato… oggi era una stella in ascesa. Di sicuro una promessa della ribellione, considerato il modo in cui centrava un obbiettivo in corsa senza battere ciglio.

 

“Sono così lenti Auror e War Mage?”

 

Domanda secca… ma occhi illuminati da una luce baldanzosa.

Potere… sensazione di averne, per caso?

Acqua da gettare sul fuoco, piccolo insetto.

 

McNair inarcò un sopracciglio. Non si mosse, restò appoggiato alla parete con la sua onnipresente faccia ringhiosa e lo fissò.

 

“Sono lenti. Ma tu lo sei di più.”

 

Alex si accigliò. Gli occhi grigi si lasciarono attraversare dal risentimento e dal fervore della sua età, ma la risposta fu contenuta come aveva imparato a sue spese a dominare.

 

“E dove avrei sbagliato?” mormorò secco, indicando con un cenno della testa tutti i bersagli appesi contro la parete di pietra umida. La luce delle fiaccole illuminava perfettamente le sagome e i punti in cui gli incantesimi e le maledizioni avevano colpito… quasi tutti ad un millimetro dal cuore.

 

McNair scosse il testone barbuto. “E hai anche il coraggio di farmeli vedere, quelli che sono i tuoi colpi migliori… sei un maledetto idiota, Malfoy. Ti avevo detto di ucciderne tre a bruciapelo, e quattro lasciandoli in agonia… e tu hai pensato bene di seccarli tutti all’istante. Mi compiaccio. E’ bello vedere che l’obbedienza sia genetica in te.

 

Vaffanculo…

 

Alex serrò rigidamente la mascella. Odiava sentir parlare della sua famiglia… non aveva la minima voglia di ricominciare a sentirsi dire da quell’orso dei suoi natali e della sua miserabile eredità genetica.

 

Quel minuscolo gesto di stizza non passò inosservato… McNair curvò le labbra in un grottesco sorriso famelico, e gli si avvicinò lentamente. Mantenne la sua postura, con le braccia incrociate sul petto, ma si sporse col busto più avanti quando gli fu abbastanza vicino. Scherno… scherno e provocazione.

 

“Sei un bamboccio, Malfoy… non sai ancora cosa vuol dire uccidere.

 

Si che lo so.” Sibilò a denti stretti il ragazzo, restituendogli lo sguardo.

 

“Tu credi?” un sorriso sadico, ai limiti della sanità mentale. “Ooh, io non lo penso affatto. Altrimenti sapresti che è intossicante come il profumo di una femmina in calore che strepita per te. E le femmine in calore non si possono scopare tutte in un colpo, altrimenti non sei uomo. Sei un frocetto. Così è uccidere… la morte urla e scalcia, e tu… tu la domi.”

 

Alex non mosse nemmeno un muscolo. Continuava a fissare il suo mentore, che via via che parlava sembrava sempre più rapito dall’estasi… gli vide chiudere gli occhi e reclinare il capo indietro, umettandosi le labbra.

 

Uccidere regala tutto questo? Bene. Da provare quanto prima.

 

McNair riportò lo sguardo su di lui.

 

“Tu non sai ancora cosa vuol dire uccidere. Ma lo saprai presto… sempre che tu riesca a mantenere i nervi saldi e non ti butti da una scogliera per la paura.

 

Alex digrignò i denti e fece un passo avanti. Affrontò a muso duro l’uomo, giocandosi la sola arma che potesse utilizzare… il suo sguardo feroce. Ghiaccio rabbioso contro ebano divertito. Un momento di fuoco… un fuoco costretto a tenersi entro certi limiti invalicabili.

 

McNair fece un sorrisetto. “Mi compiaccio. Hai imparato a dominarti… normalmente la scena era diversa a questo punto. Si vede che prendere Cruciatus non è più il tuo sport preferito.

 

Sghignazza quanto vuoi, figlio di puttana. Prima o poi sarai tu a strisciare ai miei piedi, te l’assicuro.

 

Alex squadrò le spalle e si limitò a scuotere la testa. “Hai altro da farmi fare oggi?”

 

“Aah, siamo ansiosi…”

 

“Di non perdere il tempo in chiacchiere, si.

 

McNair incrociò le braccia possenti sul petto e si umettò le labbra, un ghigno quasi incuriosito stampato in faccia. Lo osservò come se stesse valutando una serie di possibilità… poi annuì.

 

“Vediamo quanto vali, allora, uomo di ghiaccio. Basta con la teoria… che ne dici di un po’ di pratica?”

 

Il tono di scherno fece stringere i pugni ad Alex. “Non vedo l’ora.”

 

L’uomo ampliò il suo ghigno nel percepire la sfida nella sua voce. Schiacciamolo, questo moscerino… “Adesso voglio vedere se sei abbastanza uomo. E se non lo sei… vorrà dire che buon sangue non mente.”

 

Alex rimase immobile a guardare il suo mentore mentre usciva, infilando la porta in direzione delle prigioni. Pratica, finalmente… avrebbe potuto dimostrare il suo valore. Avrebbe potuto far capire a quella belva e ai suoi amici che non c’era da scherzare con lui. Che aveva imparato fin troppo bene l’arte della guerra… e che suo padre e sua madre, con le loro debolezze, non lo avevano condannato all’incapacità. Un lampo di sadica allegria gli attraversò gli occhi color del ghiaccio, mentre metteva mano alla bacchetta per giocherellare a tirarla in aria e riafferrarla, sbruffone più che mai.

 

Vediamo cosa mi porti, un animale pazzo, una pianta carnivora, un altro idiota in fase di addestramento da battere…

 

Di tutte le immagini che si aspettava di ritrovarsi davanti, quella era proprio la più impensabile e sadica… Alex rimase basito e a bocca aperta quando Stephen McNair rientrò trascinando una donna mora per un braccio. Aveva i vestiti luridi e ridotti a stracci, i capelli arruffati che le celavano parte del volto rigato da lacrime, sporco e sangue… ma gli occhi, quelli erano inconfondibili…

 

McNair vide il ragazzo biondo arretrare come se avesse visto un fantasma – e mai espressione poteva essere più adeguata alla situazione – e ne trasse un gran piacere.

 

“Sorpresa.” Mormorò canzonatorio, mentre gettava a terra la donna. Comando ancora io, moccioso… sempre e solo io.

 

Alex ingoiò rumorosamente e si costrinse a restare fermo, gli occhi puntati sulla figura accasciata a terra. Una goccia di sudore freddo gli scivolò lenta e inesorabile lungo la schiena. Calma, maledizione, calmati!! Rifletti, non può essere lei… è una sua diavoleria, non è lei…

 

McNair gli scivolò alle spalle, il suo viso disteso in una smorfia di divertimento immenso. “Abbiamo qualche problema? Non dirmi che basta così poco a destabilizzare un soldato tutto d’un pezzo come te… una Polisucco, e sei già fuori combattimento?”

 

Alex strinse la bacchetta in pugno, senza però staccare lo sguardo dalla donna a terra, che ora lo guardava sconvolta. “Che… cosa significa?”

 

“Significa… caro ragazzo… che voglio vedere dei risultati. McNair gli si piazzò davanti, guadagnando la sua attenzione. “Qui. E adesso. Con quella donna.”

 

Gli occhi grigi di Alex andarono a incontrare per un breve momento quelli della belva di fronte a lui. “Che vuoi che faccia?”

 

“Uccidila.” Gradevole questa maschera da duro che ti sei piazzato in faccia… “Lentamente… molto lentamente. Parole sussurrate come miele dolce e zuccheroso da una bocca famelica di sangue… che controsenso.

 

Alex si impose di non guardare McNair per evitare che nei suoi occhi leggesse quell’improvviso senso di smarrimento, di incertezza… non se lo poteva permettere.

 

Non esiste il dubbio dove c’è la forza.

Non esiste esitazione dove c’è la determinazione.

Non esistono emozioni dove c’è la lucidità.

 

Il ragazzo alzò lentamente la bacchetta, puntandola contro la donna a terra. Quella singhiozzò forte e nascose il viso fra le mani.

 

E’ solo Polisucco, solo Polisucco, solo Polisucco…

 

Alex strinse la mano sudaticcia attorno alla bacchetta, ma la mascella si era serrata con una volontà che pareva essere autonoma. Come a voler soffocare quell’urlo muto che gli raspava la gola strozzata… quell’urlo di orrore, quelle immagini maledettamente familiari…

 

E’ Polisucco, Polisucco, Polisucco, Polisucco…

 

Tremava. La mano che impugnava la bacchetta gli tremava. Non era ferma. L’autocontrollo a puttane. Stephen McNair contorse il volto in un sorriso sadico e soddisfatto. Come una tigre gli scivolò alle spalle, appoggiandogli un braccio attorno al collo con aria falsamente paterna.

 

“Povero piccolo Malfoy… a quanto pare basta un ricordo a batterti… quanto sei debole…”

 

Alex digrignò i denti. “Io non sono debole…”

 

“Allora uccidila. Voglio vederla soffrire.”

 

Alex puntò di nuovo la bacchetta, e la donna singhiozzò ancora, gettandosi a terra.

 

Polisucco… non è lei…

 

McNair ghignò. “I tuoi occhi avranno anche il colore del ghiaccio, Malfoy, ma tu hai la consistenza di una pallina di neve lasciata al sole… mi fai pena. Degno figlio di tuo padre.”

 

Alex non fece in tempo a sentire la punta della bacchetta del suo mentore piantarsi contro le sue spalle, che il Cruciatus a lui così familiare ormai lo fece cadere sulle ginocchia, che si lacerarono contro il pavimento in pietra ruvida. Niente urla, era abituato a quel dolore, sapeva come prenderlo, sapeva come sopportarlo… cosa inseguire con la mente in quei momenti in cui il dolore gli faceva perdere ogni senso logico, come serrare la bocca per non lasciarsi uscire alcun lamento per la gioia del suo maestro, in che modo cercare di far respirare quei polmoni che altrimenti minacciavano di esplodere… eppure, per quanto fosse allenato a difendersi, non c’era volta che quella maledizione non lo lasciasse a terra più morto che vivo.

 

Quando ritenne di essersi divertito abbastanza – vedere il ragazzo rantolare per terra pur di non gridare era una soddisfazione non da poco, qualcosa il bastardino cominciava a capirla – McNair abbassò la bacchetta e incrociò le mastodontiche braccia sul petto robusto.

 

“Tu sei un debole, Alexander. Questa è la verità. Non sei capace di uccidere. Non sei capace di avere quel sangue freddo che ti vanti tanto di avere. Non sarai mai un mangiamorte. Non sarai mai trattato col rispetto che tanto vorresti. Feccia sei, e feccia resterai… abituati all’idea fin da ora.”

 

Alex, ancora ansimante e a malapena stabile sulle ginocchia, alzò lo sguardo carico di odio verso l’omone davanti a sé. Tutta la sua rabbia, tutto il suo livore, era lì nei suoi occhi grigi.

 

E un’ultima cosa.” Senza tanti complimenti, McNair prese in pieno il volto di Alex con un calcio, facendolo ricadere di faccia a terra. “Questo per avermi fatto perdere tempo con addestramenti che non ti serviranno a nulla.

 

Alex riconobbe il sapore ferroso del sangue, che gli colava giù dal naso fino in bocca, e in qualche modo gli arrivarono alle orecchie le urla distorte della donna che McNair stava trascinando di nuovo fuori dalla sala, ma altro non riuscì a capire. La vista gli traballava come un tavolino instabile, nelle orecchie un fischio persistente. I pugni stretti a terra, il viso contorto in una maschera di rabbia cieca, rimase lì per terra finché non fu sicuro di essersi calmato.

 

 

***************

 

 

Per fortuna la sua stanza era vuota, Vera non era ancora arrivata… una benedizione del cielo, non ne avrebbe tollerato la presenza in quel momento. Non voleva nessuno.

 

Alex sigillò la porta della sua stanza con un colpo elegante di bacchetta, che lasciò cadere sul letto senza interesse, poi con la mano si pulì la bocca dal sangue rappreso di poco prima. Un’occhiata all’orologio… nessuno gli avrebbe rotto l’anima per un po’, c’era tutto il tempo per cercare di sedare l’animo dal bisogno imprudente di trovare McNair e ucciderlo nel sonno.

 

Figlio di puttana…

 

Con un gesto rabbioso si sfilò via la maglietta bagnata di sudore e in parte sporca di sangue, poi fu la volta dei pantaloni e delle mutande, che scivolarono via con l’eleganza che lo aveva sempre contraddistinto. Con i movimenti fluidi di una pantera, una pantera ferita nel corpo e nella mente, il ragazzo biondo si intrufolò nel bagno, con una manata secca aprì l’acqua fredda della doccia, e si lasciò colpire in pieno dal getto.

 

Non voglio più sentire niente…

 

L’acqua fredda lo investì in pieno, spazzando via il sudore e il sangue dal suo volto. Alex chiuse gli occhi e appoggiò i palmi ben aperti contro la parete, chinando la testa e lasciando che l’acqua lo bersagliasse impietosa. I muscoli della schiena erano ancora in tensione, ma si irrigidirono ulteriormente quando alle immagini di poco prima si associarono quei maledetti ricordi…

 

 

“Mamma!!!”

 

“Tenetelo fermo!”

 

“Lasciala, lasciala!!

 

“Mio figlio mi renderà giustizia, lo giuro!”

 

“Ma tu non vivrai abbastanza per vederlo.”

 

“MAMMA!!!”

 

 

Alex gettò indietro la testa, in modo che il getto d’acqua lo colpisse in pieno volto. Aveva la pelle d’oca per il freddo, ma andava bene così… il freddo gli impediva di sentire. Non aveva voglia di sentire, non aveva voglia di provare, non aveva voglia di ricordare… perché significava star male, indebolirsi, mandare a puttane il lavoro di anni.

 

Non si può modificare il passato, solo il futuro… e io mi sto fottendo anche quello.

 

L’acqua continuò a scendere implacabile lungo la pelle della sua schiena solida, degli addominali marcati da anni di allenamenti anche fisici, a imperlargli i corti capelli biondi ora appiccicati alla fronte madida di perline d’acqua gelata. I pugni serrati in una presa graffiante. Gli occhi stretti forte per non vedere. Solo freddo… gelo…

 

Perché non voglio sentire.

Non voglio provare più niente.

Non voglio più essere inferiore… non voglio più essere debole…

 

Un rumore sordo … il pugno umido scagliato contro il muro. Alex aprì gli occhi grigi, il volto investito dall’acqua rumorosa. Ormai aveva così freddo che era come se il ghiaccio gli fosse entrato nella pelle, a pungergli anche l’anima.

 

Uccidere…

Basta questo per mettere fine ai miei incubi?

 

Il solo rumore che si poteva sentire nel piccolo bagno era quello dell’acqua scrosciante. Il respiro del ragazzo non era più affannoso, il suo animo non più in tumulto, ma freddo e calcolatore come aveva imparato a essere. Innaturalmente freddo e calcolatore, per l’irruenza tipica di un giovane della sua età. Il suo pensiero tornò agli occhi della donna, al suo volto contorto dalla disperazione che l’aveva bloccato. McNair era stato infame fino all’ultimo… identica a lei. Identica a sua madre. La stessa angoscia un minuto prima di ricevere il colpo fatale, la stessa disperazione a cui era stato costretto ad assistere un ragazzino con una dentatura ancora da latte.

 

Impotente, come allora… punito, come allora.

Avevo giurato a me stesso che non l’avrei più permesso.

Non dovevo fallire.

 

Una mano distratta scivolò sulla manopola dell’acqua, per chiuderla. Alex rimase lì immobile, lasciando che il suo corpo teso gocciolasse nel silenzio della sera in arrivo. Una goccia d’acqua gelida ruzzolò giù dai capelli, fin sulla nuca e giù, dritta lungo la colonna vertebrale. E poi plin, in quel silenzio, il suo rumore mentre si infrangeva a terra.

 

Non eri tu, eppure ho avuto pietà di te.

Perché… non ne meriti. Mi hai messo tu al mondo. Sei tu che m’hai condannato a tutto questo.

Mi hai dato la morte, non la vita.

Puttana egoista.

 

Alex strinse i pugni, ancora immobile. I muscoli delle spalle si tesero visibilmente.

 

Puttana egoista.

Mi hai condannato a tutto questo.

Perché ho fermato la mano… tu con me non l’hai fatto.

 

La testa bionda e bagnata scattò in alto. Gli occhi grigi improvvisamente decisi e freddi da far paura. Pochi istanti, e la decisione fu sua.

 

 

***************

 

 

Il mangiamorte a guardia delle prigioni rimase vagamente perplesso nel rivedere il pupillo di Stephen McNair di nuovo lì, quando lo aveva visto andar via solo poco prima. Di solito non si accostava a quella zona senza il permesso del suo mentore, cosa faceva di nuovo giù nel cesso dell’inferno, come amavano definirlo fra ‘colleghi’? In quel corridoio di torture che al signorino serviva solo per giocare a fare l’uomo…

 

“McNair non è qui.”

 

“Non t’ho chiesto dov’è. Apri la porta.”

 

L’uomo inarcò le sopracciglia al tono gelido del ragazzo. Lo guardò per un istante. I capelli bagnati, la camicia abbottonata solo in parte, il jeans nero apparentemente umido… strano come la compostezza e l’aria gelida fossero nella sua voce e nei suoi occhi, ma non nel suo abbigliamento.

 

“Vai di fretta, moccioso?”

 

Alex si avvicinò di un passo, gli occhi grigi puntati in quelli dell’uomo davanti a sé.

 

“Apri questa porta.”

 

L’uomo scoprì i denti giallognoli in un ghigno. “Altrimenti che fai… corri a dirlo a Stephen? O meglio ancora… vai a gettarti da una scogliera come papino?”

 

Rispetto e onore.

Se non me li date, me li prenderò da solo.

 

Fu un attimo. E l’uomo spalancò gli occhi, emettendo un verso strozzato e abbassando gli occhi sul pugnale che gli stava trafiggendo lo stomaco… il pugnale sulla cui impugnatura teneva strette le dita il ragazzo con gli occhi grigi come il ghiaccio.

 

“Avresti dovuto aprire la porta quando te l’ho chiesto prima.”

 

Gli sibilò contro disgustato Alex, tirando indietro il pugnale. L’uomo scivolò a terra, rantolando e perdendosi in una macchia di sangue. E Alex rimase a fissarlo quasi ipnotizzato.

 

L’ho ucciso perché non mi ha rispettato… l’ho ucciso perché la musica deve cambiare.

L’ho ucciso… l’ho fatto.

Non era difficile…

Ora ci penseranno bene due volte prima di attaccare con la solita storia della scogliera, questi pezzi di merda.

 

Lentamente si chinò a recuperare le chiavi della porta di ferro e l’aprì. Camminò a passi decisi fino alla cella dove era stato fino a poco prima… sapeva che era lì che l’avrebbe trovata. McNair era un ottimo combattente, ma non era perfetto… la prevedibilità era la sua pecca.

 

Quando la porta cigolò e si spalancò con un’estenuante lentezza, la donna che era rimasta a terra si voltò di scatto verso di lui. Aveva ancora il volto di sua madre. Alex la studiò a lungo, immune allo sguardo supplice e alla litania di preghiere della sventurata davanti a sé.

 

Sei stata tu a mettermi al mondo…

Tu a regalarmi questo inferno.

Mi hai dato la morte, non la vita.

 

La donna gemette e arretrò strisciando sui gomiti quando vide che il ragazzo prendeva la bacchetta e gliela puntava addosso. Stavolta non c’era dubbio in quei tremendi occhi grigi… solo freddo, gelido ragionamento.

 

Puttana egoista.

Mi hai dato la morte quando mi hai messo al mondo.

E adesso pareggiamo i conti.

 

“Avada Kedavra.”

 

Un lampo di luce verde… un gemito strozzato… e la donna ricadde a terra, distesa sulla schiena, coi capelli sconvolti sul viso e  gli occhi spalancati in un’espressione vitrea. Alex le si avvicinò lentamente, tenendo la bacchetta lungo il corpo ben salda nel pugno, e si fermò a guardarla a lungo. Ma nei suoi gelidi occhi grigi non c’era la minima nota di dispiacere o rimpianto… non c’era nulla.

 

Non provo niente… come sotto l’acqua fredda, non provo niente.

Niente…

Ma ho vinto io.

 

Il suono di due mani che applaudivano con fragorosa lentezza allertarono i sensi del ragazzo biondo, ma non ci fu bisogno che si voltasse. Sapeva già a chi apparteneva quel gesto di… compiacimento, se questo era il termine più appropriato.

 

“Finalmente.”

 

Stephen McNair smise di applaudire mentre si avvicinava al suo pupillo, posizionandosi nella sua classica postura a braccia conserte che lo faceva sembrare tanto mastodontico.

 

“Complimenti, Alex… i primi morti sulla coscienza. Come ti senti?”

 

Alex non si mosse, lo sguardo ancora fisso sul cadavere della donna a terra. Squadrò le spalle e inspirò profondamente, e la sua risposta fu fredda e asciutta.

 

“Ho pareggiato alcuni conti in sospeso.”

 

“Bene.” McNair gli si piazzò davanti, inclinando la testa e guardandolo negli occhi. E diversamente dal solito… non riuscì a leggervi altro che freddo.

 

Ma non mi dire… abbiamo finalmente l’uomo di ghiaccio a cui lavoro da anni?

 

“Cos’hai provato quando hai ucciso quella donna?”

 

Alex scosse la testa. “Niente.”

 

“Niente?” McNair si sporse finchè il suo alito puzzolente di alcool non ebbe raggiunto il viso del ragazzo. “Tu lo realizzi… che per quanto potesse essere solo polisucco… quella era…”

 

“Lo so.”

 

Il ghigno sulle labbra dell’omone si ampliò. “Bene, perché… io ricordo una scena un po’ diversa da questa, anni fa… ricordo un mocciosetto che urlava, si dimenava, rompeva i coglioni… che giurava perfino di uccidermi, tu pensa un…”

 

“Ho detto” Alex lo interrupe una seconda volta, e stavolta oltre alle parole ruggite, era il suo sguardo glaciale a lanciar saette. “Che lo so.”

 

McNair annuì una sola volta, soddisfatto. “Ottimo. Hai fatto il primo passo… e adesso impara a correre. Da solo, sulle tue gambe. Muovi il culo, Alex.”

 

Cosa vuoi che faccia?”

 

McNair indicò la porta delle prigioni con un cenno della testa. “Là dentro c’è un uomo… un giocattolino del Ministero, un Indicibile, pensa un po’… sa un po’ di cose che ci interessano sui War Mage. Vai lì e fagliele sputare fuori. E quando avrai finito… lo voglio morto.”

 

Alex arricciò le labbra in una smorfietta, poi annuì e si diresse verso la porta indicatagli.

 

“Malfoy?”

 

“Mh?”

 

McNair distese le labbra in un sorriso sadico. “Divertiti.”

 

Incredibilmente, Alex sorrise. Un sorrisetto furbo, divertito perfino… lanciò la bacchetta in aria per riprenderla al volo e annuì, dandogli le spalle.

 

“Contaci.”

 

Adesso la musica cambia.

Adesso tutto cambia.

 

Stephen McNair rimase a guardarlo con un ghigno fiero e sbruffone più che mai. Una risata echeggiò fra le mura fredde e umide dei sotterranei di McNair Manor… una risata vittoriosa.

 

Benvenuto nel mondo dei cattivi, uomo di ghiaccio…

  
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