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Autore: SoloDolo    29/01/2012    1 recensioni
Le tartarughe delle Galapagos vivono così a lungo che qualsiasi evento nella loro vita sembra durare poco più che un istante, persino la morte. E' successo, ecco tutto.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Quella fottuta tartaruga non accenna a muoversi.
La solita fastidiosa impazienza di Norton colpisce ancora.
-La aspetteremo finchè non esce, George. Quindi tranquillizzati- decido di abbandonare la cinepresa per spostarmi all’ombra, su una sdraio improvvisata, concedendomi un attimo di pausa.
-Sì, ma non esce. E’ inutile. Vado a vedere se è morta?
-Ti stacca un braccio con un morso, se vuole- impallidisce.
-Davvero?
-Certo che no, idiota. E’ una tartaruga.
L’idiota si infila le mani in tasca, girando su se stesso un paio di volte. Fischietta la stessa canzone da qualche oretta, ma non riesco a riconoscerla. Magari la fischia malissimo.
-Dai, tiro un bastone e vediamo se reagisce. Ci metto un attimo.
Decido di non pensarci. Dopotutto bisogna che prenda lezioni dalla natura: non lo cagherò, esattamente come non lo sta cagando la tartaruga.
-Questo è leggero. Poi con quel coso sulla schiena cosa vuoi che le faccia?
Quella tartaruga non teme niente dopo aver passato i vent’anni. Prima, sì, magari le aquile la infastidivano non poco, ma ora, cosa vuoi che le facciano? Sfido qualsiasi aquila a tirarla su. Ma… Aspetta un attimo.
-E’ Grace Kelly?
-Cosa?
-La canzone che hai fischiettato finora. E’ Grace Kelly? Di Mika?
-No.
-Ah…
-Vuoi che ti dica cos’è?
-No, grazie. Vuoi renderti utile, George?
Si risveglia improvvisamente. Certo, ha un’agilità mentale che non sorprenderebbe nemmeno quello splendido esemplare di tartaruga.
-Certo che voglio rendermi utile. Che si fa?
-Vammi a prendere una bibita fresca dal frigobar. E’ al rifugio.
Quello che chiamiamo rifugio non è altro che una capanna di canne di bambù in mezzo ad un’isola che sarà sì e no di sessanta metri quadrati. E’ questione di adattamento territoriale. Penso che una tartaruga saprebbe adattarsi dovunque, anche nel più freddo dei ghiacciai. Ma ve l’immaginate una tartaruga pelosa? Che schifo.
-Sei uno schiavista. Sai che dovrei fare? Denunciarti. Considerati graziato per questa volta. Oddio, guardala! Guardala!
La tartaruga ha tirato fuori la testa. Dio, che viscidume. Poi c’è la gente che la vuole in casa. Magari non una tartaruga gigante delle Galapagos, però sempre una cosa del genere. Se schiatta dopo di te, che divertimento c’è? Per ora meglio inquadrarla e basta.
-Ce l’ho, George.
Mi volto un secondo per guardarlo. Con la bibita grondante in mano e la faccia stupita sembra ancora più idiota di quanto lo fosse prima.
-Vai alla telecamera, idiota! No, aspetta, dammi la coca. Ok, vai alla telecamera. E muoviti.
La tartaruga brontola qualcosa, probabilmente è uno stiracchio, poi si scrocchia le ossa del collo. Fatti una sega, già che ci sei, bofonchia l’idiota. Lo mando affanculo, ma silenziosamente. Piano piano le zampe spuntano dagli angoli del carapace, e lo sollevano, con uno sforzo mostruoso.
-Spostati più a destra, George, seguila.
Seguiamo i primi passi. C’è sempre stata questa falsa verità sulle tartarughe che vanno lentissime. Quella è un razzo, e non sto scherzando. Nell’ottica delle tartarughe, s’intende. L’idiota la segue agevolmente, inciampando a volte sulla sdraio, ma è anche normale per lui.
-Guadrala, cazzo! Si muove! Si muov…
La tartaruga ritira le gambe per posarsi lentamente a terra, di nuovo.
-Sei un porta sfiga, idiota.
-Cosa centro adesso?
-Piazzati pure lì e aspetta il suo prossimo movimento. Vado a fare una chiamata e torno.
-Ma certo. Lascia a me la parte pallosa. Finisce che ti denuncio, una di queste volte.
-Finisce che ti uccido io- esclamo, prima di allontanarmi dall’esemplare.
Ho bisogno di fare uno squillo a Bob, il regista del documentario. La tartaruga che abbiamo trovato non accenna a muoversi, e né io né l’idiota abbiamo voglia di stare qui tutto il pomeriggio col sole che batte a quaranta gradi come minimo.
-Pronto?- voce affannata, l’ho beccato nel momento sbagliato -Chi è?
-Sono l’addetto alle riprese di Benny, la tartaruga delle Galapagos.
-E che vuoi?
-Non si muove, signore. Che facciamo?
-Aspettate, no? Pensavo sapessi fare.
-Non mi sono spiegato bene, non si muove proprio.
-Aspettate- e butta giù. Pezzo di merda. I registi sono tutti dei leccaculo con il cast e dei pezzi di merda con la troupe. Dal momento che non può leccare il culo di Benny, rompe a tempo a pieno a me.
Mi rilasso un attimo in uno spazio ombreggiato, guardando il panorama. A quest’ora dovrei essere già a casa da un pezzo. Mio figlio sta facendo il torneo di scacchi della scuola; detto fra noi, è un piccolo genio a quel gioco. Si permette aperture che non hanno contemplato nemmeno i più scarsi di questo pianeta, per poi rimontare astutamente. A volte anche slealmente, ma si sa, tutti i geni sono un po’ pazzi. Se le tartarughe giocassero a scacchi, dovrebbero fare tornei senza timer a livello mondiale. Già me le immagino, sedute davanti ad una scacchiera: una la facciamo americana, magari Benny, e una ovviamente russa, chiamiamola Tartov. Ecco, magari Tartov ci metterà quattro giornate a muovere il primo pezzo, e allora Benny, rimirando la posizione, osserverà “Cavolo, che mossa avventata”. Che poi chissà perché dicono che le tartarughe sono pazienti. Magari si annoiano da morire e pensano tutto il giorno “perché sono così lenta, cazzo?”, magari è così.
Torno ad incamminarmi quella spiaggia.
Disastro.
Quell’incompetente idiota sta davvero colpendo la tartaruga con un bastone. Ma è scemo? Ironicamente parlando ovviamente; lo so che è scemo. Ma stavolta ha esagerato. Decido per l’aggressione e lo sbatto per terra.
-Sei coglione?! Stai colpendo una tartaruga, idiota! Una cazzo di tartaruga delle Galapagos! Ora te ti alzi e mi dici perché l’hai fatto. Anzi no, aspetta. Non ha proprio senso, quindi non dirmi il perché e inizia a percuoterti da solo col bastone.
-E’ morta.
-Cosa?
-La tartaruga. E’ morta.
La osservo per qualche istante. Le giro attorno, e noto che è accasciata a terra con il collo in posizione scomposta e non respira. Mi inginocchio a fianco di Benny, e l’idiota, sorprendentemente, si siede chinando il capo, in silenzio.
Quella sera siamo in due accanto al falò di Benny. L’abbiamo sepolto, e bruciando la sdraio abbiamo fatto una specie di lapide infuocata. E’ come un cerino lasciato in ricordo della nostra amica.
-E’ Harder Better Faster Stronger?
-Cosa?
-La canzone che fischiettavi.
-No. Vuoi che te lo dica, ora?
-No, grazie.
Mentre osserviamo le ombre danzare sulla riva della spiaggia, non posso fare a meno che ripensare al match scacchistico. Molto probabilmente verrà rimandato, e Tartov sarà l’indiscusso vincitore di scacchi. O forse sta semplicemente aspettando che Benny muova.
Sono tartarughe delle Galapagos e, sebbene è davvero difficile, anche loro muoiono per vecchiaia. Benny era l’ultima di quest’isola, e non ha lasciato alcun figlio. Nessun erede della sua indomabile mole. Mi sento in dovere di recitare qualcosa, in questo funerale improvvisato. Ma non ne trovo l’orgoglio. Probabilmente siamo due mondi a parte, noi e le tartarughe, e non possiamo entrare in contatto, in nessun modo. Però la posso capire, e posso farmi carico anch’io del suo enorme peso.
Tornando allo scalo dell’aeroporto con l’idiota, non mi sorprendo di sentirlo parlare.
-Domani chi abbiamo?
-Domani nessuno.
-Dopodomani?
-Il varano.
Sta un momento in silenzio.
-Come si chiama?
-Pensavo di chiamare anche lui Benny, in memoria del defunto.
Guardando l’orizzonte, capisco che non troverò mai più un feeling del genere con la natura. Ma è il nostro lavoro: si tira avanti, lanciandosi sempre in nuove combinazioni.
Si vive per il domani, registrando la natura per sempre. Ora, l’unica cosa che mi guizza per la mente è “chissà come gioca a scacchi un varano?”
  
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