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Autore: Satomi    29/01/2012    3 recensioni
[Jolanda, la figlia del Corsaro Nero - What if? -]
Una storia č un mazzo di carte, un susseguirsi di personaggi e situazioni: c’č chi osa, chi resta sul sicuro, chi si scopre all’ultimo, chi tende a restare nell’ombra.
Per cambiare una storia non serve stravolgerne l’inizio e la fine.
Basta rimescolare le carte in tavola.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. Al cospetto dell’almirante


Ernesto Perez non dormiva ancora. Nora sapeva ormai distinguerne il genuino russare dal semplice respiro pesante, dopo più di dieci anni che condivideva con lui il medesimo letto; restò dunque immobile lasciando che la sua mano familiare le carezzasse la schiena nuda, quasi a volerla compensare pel piacere che gli aveva dato quella sera.
“Siete sveglio.”
“Anche voi” rispose lui in un borbottio sommesso, mentre con un braccio le circondava la vita; lo trattenne appena in tempo, la mano che correva a recuperare la veste ai piedi del giaciglio. Un soffio infastidito sulla nuca l’avvertì dell’assai scarsa predisposizione del consorte a lasciarla andare. “Credevo d’avervi soddisfatto...” mormorò. Si girò, mentre un sorriso si distendeva sul volto di Perez. “Eh, donna, non mi conoscete ancora.”
“Vi conosco abbastanza da sapere quando il vostro corpo ha dato tutto.”
“Ah! Impertinente che non siete altro!” Nora si sentì spingere sul materasso da due braccia decise, non abbastanza forti tuttavia da impedirle di divincolarsi. “Vossignoria mi concede una parola?” chiese mentre s’impadroniva finalmente della camicia da notte; un brontolio irritato le giunse agli orecchi. “Vi burlate di me, moglie?”
“Non fate il permaloso, non vi si addice. Dunque?”
“Sia, ma spicciatevi” replicò l’uomo, le cui mani erano subito corse ad accendere un mozzicone di candela: non amava parlare al buio. “Non ho voglia di chiacchiere.”
“Per questo mi avete nascosto quanto è accaduto ieri notte?” Il volto di Perez si contrasse in una smorfia di evidente disappunto. “Non vi facevo tanto curiosa” fece.
“Odio venire a sapere da altri ciò che riguarda mio marito” replicò secca Nora, incrociando le braccia sul seno che portava i segni dell’allattamento, ma poteva ancora dirsi prosperoso. “Certo non sono stata felice di scoprire che il motivo del vostro ritardo non riguardava Azogue.”
“Non volevo turbarvi, ecco” sbuffò Perez.
“Lo eravate molto di più voi quando siete rincasato; non deve capitare tutti i giorni di trasportare sul proprio carro un Fratello della Costa.” Nora, alla fioca luce della candela, s’accorse dell’occhiata interrogativa lanciatale dal consorte. Sbuffò a sua volta. “Filibustiere, figlio di Satana, scegliete voi come chiamarlo.” L’uomo si segnò rapidamente. “Non avevo più in corpo una sola goccia di sangue” confessò con un brivido.
“Uh? Faceva tanta paura quell’uomo?”
“Avrei voluto veder voi al mio posto, con un diavolo o poco meno sul carro e quattro archibugi puntati contro! Maledetti soldati... non fosse stato per loro avrei tirato dritto a dispetto del fracasso dinanzi alla taverna.”
“Avete reso un favore al vostro paese; il governatore ve ne sarà grato.”
“Bah! Quell’uomo s’agitava come un pazzo, Dio solo sa come non mi sia saltato addosso per sgozzarmi.”
“Perché avrebbe dovuto?”
“E lo chiedete? Sono stato io a portarlo a palazzo!” Perez deglutì. “Ringraziando il Cielo ora non può più nuocere ad alcuno; chissà, magari domani a mezzodì penzolerà da una corda come tanti altri prima di lui.” E detto questo si rannicchiò dalla sua parte: quella chiacchierata aveva risvegliato in lui ricordi spiacevoli, e ciò che voleva in quel momento era solo dormire e dimenticare.
Un colpetto sul braccio lo riportò bruscamente alla realtà. “Che c’è ancora?” scattò. “E spegnete quella candela!” Nora non si fece intimidire. “Che non vi salti il ticchio di portare ancora Sol con voi” replicò. “Se davvero appiccheranno quel poveraccio, non voglio che lei assista a un simile spettacolo.”
“Oh, per amor del Cielo! Se vivrà a lungo in questa città dovrà farci l’abitudine.”
“Non comincerà ora.”
“Bah! Proprio quando cominciava a portarmi ancora più fortuna, con quel suo manda-fischi...”
“Intendete  questo, forse?” A quelle parole Perez tornò d’un colpo verso la moglie; nella sua mano qualcosa di familiare rifletteva la fiammella alimentata dal moccolo. “Toh! Siete riuscita a sottrarglielo” commentò.
“Gliel’ho sfilato quando si è addormentata, tutto qui.” Le dita di Nora giocherellarono pensosamente colla catenella in metallo. “Gliel’avete dato voi?”
“Sì; l’ho trovato l’altra notte tornando a casa.”
“Un oggetto raro.” La donna serrò il pugno non appena s’accorse dello sguardo del marito, fattosi d’improvviso più attento. “Caramba!  Avessi saputo di ciò che avevo tra le mani, non l’avrei mai lasciato alla bambina.”
“Ho detto che è un oggetto raro, signore, non che abbia un qualche valore.”
“Cos’è, dunque?”
“Un fischietto da nostromo” spiegò brevemente Nora. “Alcuni di essi se ne servono per mandare appositi segnali agli altri marinai; tuttavia l’ho visto indosso a pochissimi di loro.”
“E dite che non ha valore.”
“Non è di un materiale pregiato ed è privo di decorazioni, se si esclude quest’incisione qui.”
“Bah! È tutta consumata. Forse avete ragione voi, non ne vale la pena.” Perez sbadigliò vigorosamente prima di tornare a stendersi, e Nora s’affrettò a imitarlo, il corpo stanco al pari del marito ma la mente ancora in piena attività, anzi fuor di controllo: senza che lei lo volesse prese a riordinare ricordi e informazioni, seguendo un filo logico che a Nora stessa sembrava assurdo.  
Ripensò alle voci raccolte al mercato, in particolar modo da coloro che alla taverna d’El Toro c’erano stati davvero. Un brutto tipo d’avventuriero, alto, la barba bionda... malvestito, ma neanche il compagno era messo meglio...
Io l’avevo capito subito ch’era gentaglia, non come quel gonzo di don Raffaele...
Filibustieri, carrai, non riuscivo a crederci! Qui in Maracaibo! Dei folli senza dubbio...
Quando l’hanno condotto via l’altro urlava come un pazzo, poi ha taciuto d’un colpo... forse l’avranno accoppato...
Ma no, dicono che sia stato portato in salvo da altri compagni, e che si sia nascosto... Dio ce ne scampi!
Ripensò alle parole di Sol, ai suoi occhi scuri ancora pieni di timore. Gli stavano facendo male, tanto. Gridava e gridava, ma loro non smettevano...
Avevo tanta paura, lui gridava e anch’io sentivo male, qui e qui, ma non riuscivo ad andare via...
Madre, cosa vuol dire “affò”?
“Non ne ho idea” rifletté Nora, il pollice che pel nervosismo sfregava la superficie liscia del fischietto, trovando attrito solo nel punto in cui il metallo era stato inciso senza troppa maestria.
Bah! È tutta consumata...
“No.” Il pensiero colpì la donna all’improvviso. “No, l’incisione non è consumata. È incompleta.
Incompleta perché la mano di chi l’aveva eseguita s’era mossa per semplice sfogo, non per senso dell’arte o qualunque altra cosa. E di questo Nora era più che certa: mosse ancora il pollice, il piccolo disegno che prendeva forma nella sua mente.
L’aveva veduto altre volte e sempre, rigorosamente incompleto.
Dopo così tanto tempo.... Che sia davvero...?
 

*

“Carmaux...”
Le nubi che già da qualche tempo offuscavano i sensi del marinaio non tardarono a diradarsi, all’udire quella familiare voce. “Cosa... ah, voi capitano...” Sbatté le palpebre, rendendosi d’un tratto conto di essere rimasto sdraiato presso la poppa d’una baleniera fino a quel momento. “Fulmini!” esclamò. “Io dormivo, signore!”
“Non posso negarlo” affermò l’ex-Corsaro che gli era dappresso.
“Da quanto...?” Non occorse che l’altro gli rispondesse: il sole alto in cielo era fin troppo eloquente. “Diavolo!” mormorò tra sé Carmaux, assai contrariato per aver riposato tutte quelle ore: ricordava chiaramente che, poco dopo aver lasciato la Nuova Castiglia a bordo della scialuppa, aveva chiesto al conte di chiudere gli occhi per qualche minuto, sopraffatto dalla stanchezza che la corsa fino al porto gli aveva provocato.
“Perché non mi avete svegliato, capitano?”
“Ho preferito che recuperassi appieno le forze, piuttosto che stancarti inutilmente” rispose con semplicità l’altro. “Ch’ulel non avrebbe dovuto spingerti a quella corsa sfrenata.”
“Temevamo di far tardi all’appuntamento, signore.”
“Cosa che, fortunatamente, non è accaduta.” Il conte di Ventimiglia tornò a scrutare l’orizzonte, la mano stretta con fierezza sulla barra del timone; aveva indosso vesti di panno grigio tipiche dei marinai, al pari di Carmaux, così da poter meglio ingannare eventuali navi di passaggio. “Abbiamo oltrepassato l’isola di Zapara” spiegò prima che l’altro potesse domandare.
“Allora giungeremo alla baia al tramonto. State lontano dalla costa, capitano, meglio evitare i bassifondi.”
“Grazie del suggerimento.” Restarono in silenzio, la baleniera che spinta dal vento scivolava rapida tra i flutti; a pelo d’acqua, verso tribordo, si poteva scorgere un buon numero di zucche legate tra loro da delle liane. “Un ingegnoso metodo di caccia adottato dai Caraibi, che vivono su queste coste” disse il conte. “Lo sapevi tu, Carmaux?”
“Oh sì, capitano. Ricordo che lo spiegai a Wan Stiller durante il nostro viaggio d’andata, quando me lo domandò.” Al gentiluomo italiano non sfuggì il tono velato di tristezza con cui quelle parole erano state pronunciate. Con molto tatto, preferì lasciar correre.
“A proposito di anitre... mi pare di averne scorta una arrostita nella cassetta delle provviste.”
“Eh, capitano, risale a due giorni fa. Sarà un po’ dura pei vostri denti.”
“Dubito che lo sarà più di quel maracaya che mangiammo tra le foreste di Gibraltar.” L’ex-Corsaro notò con piacere un sorriso distendersi sui lineamenti marcati del vecchio marinaio. “Avete ragione, quella carne era coriacea per davvero” confermò quest’ultimo.
“Eppure ricordo che, a dispetto del parere di tutti, la definisti eccellente.”
“Ventre di pescecane! Avete un’ottima memoria, signore!” Carmaux esordì in una breve risata. “Quel gattaccio mi fece passare un ben brutto quarto d’ora! Oh, ecco qua” annunciò una volta finito di divedere le provviste in parti uguali. “Siete avvezzo a ben altro, lo so...”
“Mi contenterò, non temere” rispose il nobile con un sorriso.
“Lasciatemi pure la barra, signore, penserò io a guidare la scialuppa; oh, dovreste prestarmi la vostra bussola, la mia l’ho perduta quasi senz’altro durante lo scontro fuori dalla taverna.” I due uomini si scambiarono in fretta di posto, profittando d’un colpo di vento per meglio orientare le vele e prendere maggiore velocità; continuando di quel passo sarebbero giunti ben presto nei pressi della flotta filibustiera.
Carmaux puntò risolutamente la prora verso est, gli occhi fissi sulla bussola d’ottone del conte e un generoso pezzo d’anatra in bocca. “Permettete una parola, comandante?” domandò una volta aver ingollato il boccone.
“Certo.”
“Il matrimonio colla duchessa vi ha giovato.”
Il signore di Ventimiglia sorrise per un istante. “Honorata ha contribuito molto alla mia felicità” disse. “Non posso che ringraziare Dio per averla ritrovata, quel giorno di diciassette anni fa.”
“Una fortuna davvero, signore, altrimenti saremmo finiti nei ventri dei compari di Ch’ulel e magari anche nel suo.”
“Anche se molto in ritardo, ti porgo le mie scuse per aver lasciate quelle coste senza un messaggio per te e i tuoi compagni.”
“Avevate degli ottimi motivi per sparire, comandante. L’importante è che tutto si sia risolto nel migliore dei modi.” L’ex-Corsaro si lasciò sfuggire un breve sospiro, a quelle parole. “Testarda” mormorò secco.
“Chi?”
“Mia figlia. Testarda ma ingegnosa, debbo ammetterlo. Né io né tantomeno mia moglie potevamo immaginare che, dietro la sua richiesta di far visita a delle amiche a Genova, vi fosse ben altro; aveva progettato tutto da mesi, eppure io non ebbi il benché minimo sospetto.”
“Non è stata colpa vostra.”
“Sì, in parte. Non avrei mai dovuto raccontarle del mio passato e far sì che si scaldasse il capo.”
“Ma l’eredità...”
“Ah, Carmaux!” esclamò il conte trattenendo un gesto di stizza. “Sai tu che non ho mai badato alle ricchezze, avendone in abbondanza nelle mie terre. In nome della pace e della tranquillità della mia famiglia ho preferito rinunziare a quei milioni, e Honorata è sempre stata d’accordo con me; d’altronde a nulla sono valsi i suoi tentativi di riscuotere ciò che le spettava.” Il marinaio ascoltò in silenzio quell’improvviso sfogo, poi disse: “Voi avete le vostre ragioni, capitano, ma in parte le ha anche vostra figlia. È giovane, e come anche voi avete detto i giovani sono irruenti. Non ha pensato fino in fondo alle conseguenze del suo gesto.”
“Lo credo. Ah, pazza che non è altro! Ma è mia figlia, non avrei mai potuto abbandonarla.”
“Vi capisco benissimo, signore. Anch’io non avrei esitato un secondo, se al suo posto vi fosse stata...” D’improvviso Carmaux s’interruppe, fissando con maggior attenzione l’orizzonte. “Ah, ecco la baia!” esclamò felice mentre manovrava la scialuppa in modo che s’insinuasse nell’insenatura della costa. I profili di un buon numero di navi erano ormai facilmente scorgibili.
“La flotta di Morgan?” domandò l’ex-Corsaro con un certo stupore.
“Sì, signore. Il vostro antico luogotenente ne ha fatta di strada.”
“Non l’avrei mai messo in dubbio. Morgan ha sempre avuta la stoffa del condottiero” disse il conte di Ventimiglia prima di fissare, e con un certo occhio critico, il suo vecchio marinaio. “Mia figlia è pazza, ma tu non sei da meno” lo rimproverò vedendo come avesse ammainato la vela e messo mano ai remi. Carmaux sorrise. “Non sono che pochi metri.”
“Sei ferito.”
“Cose da nulla, comandante, non datevi pensiero.” E ignorando le proteste prese a tagliare l’acqua con poderose vogate; a sentire le ferite stirarsi strinse i denti, diminuendo di poco il ritmo di battuta. I flutti sotto di lui riflettevano una tenue luce rosata, segno che ormai il sole era in procinto di tramontare.
“Basta così, Carmaux. Sei pallido come un cencio.”
“Non più di voi, signore.”
“Il dolore ti rende insolente, marinaio?”
“Forse” mormorò con un sorriso tirato il filibustiere. “Oh, non occorre che mi diate il cambio; ecco l’ammiraglia.” E ottenne con sollievo che l’altro distogliesse da lui le sue attenzioni, il capo fisso sulla fregata cui s’erano accostati. Si frugò nel petto alla ricerca di qualcosa, ma con suo disappunto non trovò nulla. “Fulmini! Anche il fischietto ho perduto!” borbottò. “Non sarà facile rimediarne un altro. Ma pazienza, vedo che mi hanno notato.” Scorse difatti un lume oltre la fiancata: un marinaio di guardia li aveva ormai scorti.
“Chi vive?”
“Carmaux, Fratelli della Costa.” A quelle parole una scala di corda fu gettata fuoribordo, in attesa d’esser fissata alla baleniera. Il conte di Ventimiglia lasciò la precedenza al marinaio, poi salì a sua volta, mentre lo sguardo gli cadeva per caso sul nome che campeggiava a lettere dorate sulla fiancata del veliero. “Morgan è ben lungi dal dimenticare i suoi vecchi trascorsi sul mio brigantino” pensò con un filo d’orgoglio, sebbene quella fregata somigliasse assai poco alla vecchia Folgore. Si riscosse, accorgendosi di come Carmaux fosse ormai giunto sul ponte; a giudicare dal mormorio concitato di alcuni marinai, aveva preso a narrare delle sue disavventure.
Si ricredette non appena giunse oltre il bordo della fiancata e s’accorse, con sgomento, del corpo del marinaio inerte sulla tolda e circondato da un nugolo di filibustieri.
“Ehi, tu!” l’apostrofò con forza uno di essi quando posò i piedi sul ponte. “Chi diavolo sei?”
Al vedersi parecchie armi puntate contro l’ex-Corsaro ritenne opportuno, seppur con disappunto, alzare le mani.
 

*

Sol stropicciava i piedi all’angolo della via, non poteva averne ancora per molto. “Ne siete certo?” domandò ancora una volta Nora, stringendosi ancora di più nella mantella; il vicolo era buio, ma le precauzioni non erano mai troppe.
“Sì, vi dico. Trascorro a palazzo buona parte del mio tempo, cosa credete?”
“Dell’altro che ne è stato?”
“Mi sembrava foste interessata solo al prigioniero.” L’interlocutore della donna, avvolto anch’egli in un mantello, pareva d’un tratto reticente. Nora sospirò. “D’accordo, che nessuno possa mettere in dubbio la vostra fedeltà al paese” disse sbrigativa. “Avete intenzione di aiutarmi?” L’altro si schiarì brevemente la voce, gettando un’occhiata oltre l’angolo. “Sapete cosa vi debbo” rispose con semplicità.
“Non siete voi ad esser in debito con me, ma vostra...”
“È la stessa cosa. Sta bene, dunque, ma se mi scoprono...”
“Non accadrà se mostrerete prudenza. E credetemi, non desidero che rischiate più del necessario.”
“Quando?”
“Non oggi. Non vi è fretta, d’altronde.” Un breve fischio fece sobbalzare entrambi. “Cominciamo a dare nell’occhio, temo” mormorò Nora.
“Allora è meglio che vada.”
“Aspettate. Volete dimenticarvi la cosa più importante?” E mise tra le mani dell’uomo una piccola fiala di vetro, ben sigillata. “Sapete come servirvene.”
“Sì, me l’avete spiegato. Attendete qualche minuto prima d’allontanarvi, se non vi dispiace; la gente...”
“Lo so, lo so” borbottò Nora, abbozzando un saluto prima di vederlo allontanarsi. Non dovette attendere molti istanti prima di scorgere Sol imboccare il vicolo e raggiungerla; la strinse, respirando assieme a lei nella penombra. “Questa faccenda non deve riguardare tuo padre” intimò, e avvertì il capo della ragazzina annuire tra i suoi seni. “Vieni, andiamo” le disse non appena fu certa che il viavai di gente in strada era intenso abbastanza da permettere loro di confondersi senza problemi. Uscì con Sol che la seguiva in silenzio, i passi più affrettati per star dietro alla madre. “Tarda a fiorire” pensò Nora, il suo sguardo che percorreva la figura minuta della figlia. “Al contrario di me che invece sono maturata fin troppo presto! Ma forse è meglio così.”

“Dove siete stato?”
La domanda cadde come un fulmine a ciel sereno sul capo di Bernardo Muñoz. “In città, signor tenente” rispose con un filo di voce. El Moro sbuffò. “Siete pregato di evitare ovvietà, sergente” replicò tranquillo, ma i suoi occhi palesavano irritazione. “E di essere più chiaro; ho dovuto sostituirvi pel turno con un altro vostro commilitone, e la cosa mi è seccata alquanto.”
“Ho tardato solo pochi minuti!”
“E gradirei sapere il perché. In assenza del capitano Valera dovete rispondere a me, come ben sapete.”
“Avevo un affare... privato da sbrigare.” Muñoz si mordicchiò il labbro con un certo nervosismo. “Era la mia ora libera, non ho mancato ai miei doveri.” La mano corse in un gesto inconsapevole al tascapane; per sua sfortuna il tenente se ne accorse. “Che avete lì?” si sentì infatti domandare.
“Nulla.”
El Moro  non tardò ad avvertire puzza di bruciato; il sergente aveva varie qualità, ma certo era un pessimo mentitore. “Aprite e mostratemelo; la vostra reticenza non fa che insospettirmi” disse.
“Ma...”
“È un ordine.” Con una lentezza esasperante Muñoz tirò fuori una boccetta sì piccola che non gli occupava un palmo per intero. “Cos’è?” domandò seccamente. L’altro deglutì, a disagio senz’altro. “Mia... moglie...” lo sentì mormorare.
Por Dios, che c’entra ora vostra moglie!”
“Credo... che... non mi sia del tutto fedele.” El Moro fece tanto d’occhi a quella risposta. “E volete avvelenarla?” azzardò, pur non credendoci in cuor suo: il sergente non era uomo da compiere un simile gesto, e difatti sbiancò esclamando: “Ma cosa dite, in nome del Cielo!”
“Allora a che vi serve quella...?” Il tenente si bloccò, finalmente consapevole; sospirò, commentando: “Dubito che quell’intruglio vi gioverà in qualche modo.” Era incerto se ridere o provare sincera compassione pel suo sottoposto.
Quest’ultimo parve essersela presa a male. “Debbo pur tentare” borbottò. “E mi hanno detto che funziona.”
“Se deste retta a tutti i ciarlatani di questa città...”
Lei non è così.” El Moro alzò le spalle: non era cosa che lo riguardava, in fondo. “Mettete via quella fiala” ordinò stancamente.
“Farete rapporto al capitano?”
“I vostri problemi... matrimoniali non riguardano né lui né me. Abbiamo altro pel capo.”
“Grazie, signor tenente” disse Muñoz con un sospiro di sollievo. “Avete ordini per me?”
“Altroché. Salite dalla signorina di Ventimiglia e conducetela qui; ordini del governatore.”

*

Emilio di Ventimiglia osservò con attenzione l’uomo che aveva dinanzi, e che pareva alquanto imbarazzato per la sua presenza; magro come un’aringa, cosa insolita per un filibustiere, si stuzzicava sovente i sottili baffi color sabbia. “Sono... mortificato, cavaliere” si sentì dire.
“Conte, se non vi dispiace. Ho assunto anni orsono il titolo appartenuto a mio padre e a mio fratello maggiore.”
“Perdonate, conte.”
“Non importa. Potete ripetermi il vostro nome? Prima, durante la confusione, m’è sfuggito.”
“Pierre le Picard” rispose con prontezza l’altro.
“Mi avete tolto da un bell’impiccio, signor le Picard.”
“I marinai di questa nave sono per la gran parte della nuova leva, signor conte, e pur avendo udito molto a parlare di voi non vi hanno mai veduto di persona.”
“Al contrario di voi.” Il filibustiere sorrise dicendo: “Ho avuto l’onore di servire sotto l’Olonese, e partecipai alla fortunata presa di Maracaibo. Per questo non ho esitato a riconoscervi.” Un improvviso tramestio sopra di loro costrinse entrambi gli uomini ad alzare il capo. “Ah, il capitano dev’essere tornato” annunciò Pierre le Picard. “Attendetemi qui.”
“Un momento. La Nuova Castiglia...”
“La vostra nave, volete dire? Ho già dato ordine alle navi sentinelle di considerare come amico il veliero colle caratteristiche che mi avete fornite. Non temete.”
“Ne avevate il potere?” domandò con un certo stupore l’ex-Corsaro.
“Sono il comandante in seconda, signor conte, e il capitano ha piena fiducia in me” rispose con orgoglio, ma senza superbia il filibustiere. “E come vedete ho presa la decisione giusta.” Abbozzò un inchino in segno di saluto, prima di lasciare la cabina. Il gentiluomo s’alzò dalla comoda seggiola su cui era stato seduto fino a quel momento, prendendo a passeggiare per la stanza; gli era bastata un’occhiata per riconoscere i gusti e l’innato senso pratico del suo antico secondo: armi bianche e da fuoco erano state appese alle pareti, mentre la scrivania era coperta di appunti vari e carte nautiche.
“Voi... qui, signore?”
Il conte alzò gli occhi, incontrandone un paio nerissimi e fieri che non si trattennero dal mostrare stupore misto a sincero piacere. “Capitano Morgan” salutò formalmente chinando il capo. L’altro sembrava non credere ai suoi orecchi. “Proprio voi, comandante...” mormorò con un sorriso imbarazzato.
“Non lo meritate, forse? Mi avete superato, signore, giacché mai io ho avuto l’onore di guidare un’intera flotta.”
“La scuola che ho fatta sotto di voi mi ha giovato” ammise l’inglese. “E comunque, voi non avevate bisogni di simili oneri per farvi conoscere; anche ora, dopo più di quindici anni, non v’è un solo filibustiere della Tortue che non ricordi il vostro nome.”
“Bah!” sospirò l’ex-Corsaro. “Ho detto addio a quella vita molto tempo orsono e, perdonate la franchezza, avrei preferito non tornarvi.”
“Lo so, capitano, come so cosa vi ha spinto a riprendere il mare.” E detto questo Morgan strinse vigorosamente la mano dell’ex-Corsaro. “Libereremo vostra figlia, avete la mia parola.”
“Vi ringrazio” rispose il conte ricambiando la stretta. Il contatto tra i due sembrò allietare in misura maggiore l’almirante  della flotta filibustiera. “Avevo ordinato a Carmaux e Wan Stiller di portarmi una buona fonte di informazioni, ma mai avrei immaginato che mi avrebbero condotto voi in persona” disse quest’ultimo. “A proposito, dove sono?”
“Carmaux è dal chirurgo” intervenne le Picard, rimasto fino a quel momento in rispettoso silenzio. “Vado a chiamarlo, se volete.” Quelle parole adombrarono di subito il comandante. “Chirurgo? È ferito, forse?” domandò, la voce d’un tratto alterata; anche l’ex-Corsaro s’era oscurato in volto.
“Nulla di grave, capitano.”
“E Wan Stiller?”
“Catturato” intervenne una voce amara. Tutti i presenti si voltarono, mentre Carmaux lasciava la soglia della cabina ed entrava, una mano stretta sulla spalla ferita ma il passo risoluto. Morgan lo fissò con sguardo indagatore. “Cosa hai detto?” chiese, preoccupato.
“L’hanno preso, signore, e condotto al palazzo del governatore.”
“Ma come...?”
“Qualcuno ci ha traditi.”
“Maledetto! Chi?”
“Questo lo ignoro, capitano.”
“Qualcuno che ben doveva sapere di voi” rifletté le Picard. “Vi conosco, e non siete uomini da agire senza prudenza.”
“Voglio sapere tutto” esigette Morgan, gli occhi lampeggianti; la mano corse inconsapevolmente a stringere, per la foga, la spalla ferita del marinaio, che a stento trattenne un gemito. “Perdonami, vecchio mio” mormorò il comandante, subito pentito di quel gesto improvviso. “Siedi ora, e racconta ciò che sai.” Carmaux non tardò a obbedire mentre gli altri gli si disponevano intorno, compreso il conte che già era a conoscenza dell’accaduto.
“Io e Wan Stiller ci eravamo diretti verso una delle taverne più frequentate, adocchiando quasi subito un grasso piantatore che pareva fare al caso nostro. Ero appena riuscito a prender confidenza con lui, discorrendo circa un combattimento di galli che ivi si stava tenendo, quando una dozzina di soldati piombarono dentro dritti verso di noi, dandoci delle canaglie e ordinando di seguirli. Noi, profittando dell’improvvisa confusione sorta tra la folla, cercammo di forzare il blocco e di guadagnare la porta, ma quei cani restarono fermi sul posto e presero all’istante a battagliare contro di noi.
Erano dodici, signor capitano, e noi due soli. Le cose sarebbero andate ancora peggio se il qui presente conte, di passaggio anche lui a Maracaibo e che aveva preso a seguirci dopo averci riconosciuti, non fosse intervenuto.” Carmaux sospirò, i pugni stretti convulsamente sui braccioli della seggiola. “Quei maledetti, certi di non poter sbrigarsela più senza ulteriori perdite, batterono in ritirata, ma decisi a non tornare a mani vuote agguantarono Wan Stiller, rimasto isolato nella lotta, e lo condussero via su un carro che passava di lì ed era stato costretto a fermarsi. Cercai di raggiungerlo per aiutarlo, ma le ferite mi tradirono e mi fecero venir meno sul selciato; mi risvegliai solo la mattina dopo, nella locanda cui il conte e la sua famiglia avevano trovato rifugio.”
Morgan aveva ascoltato l’intero racconto in silenzio, torturandosi di tanto in tanto la folta barba e mostrando evidente nervosismo man mano che la narrazione procedeva. “La situazione si complica” disse a denti stretti. “Non ho ottenuto le informazioni che volevo, uno dei miei uomini migliori è in mano nemica e, peggio ancora, ormai il governatore è certo della nostra presenza qui. Non ci voleva, maledizione, non ci voleva!” imprecò, prima di rivolgersi al conte: “Signore, a questo punto mi sorge spontanea una considerazione.”
“Dite pure.”
“Voi siete giunto fin qui del tutto ignaro del nostro progetto.”
“È così.”
“Posso sapere dunque come speravate di risolvere la questione senza l’ausilio delle armi? La vostra sola nave non sarebbe mai bastata a dar addosso a una città come Maracaibo.”
“La vostra riflessione è corretta, capitano Morgan” affermò il gentiluomo italiano. “Tuttavia sono convinto che a rispondere a questa vostra domanda debba essere mia moglie.” L’almirante spalancò gli occhi. “Vostra moglie!” esclamò con stupore.
“Sì.”
“La duchessa di Wan Guld qui!”
“Lei, senz’ombra di dubbio.”
“Non credevo che l’avreste condotta con voi.”
“Jolanda è anche figlia sua, non avrebbe sopportato di restare a Ventimiglia senza sapere.”
“Questo è vero ma... comandante, la vostra venuta qui comporta dei pericoli. Se avete esposto la vostra consorte a essi, un motivo ci deve essere. Vi sarà forse utile in qualche modo?” Il conte di Ventimiglia alzò le mani in segno di resa. “Quasi avevo dimenticato il vostro intuito e senso logico” ammise. “Non vi si può nascondere nulla, signor Morgan.”
“Ho imparato da voi” ammise con modestia l’almirante. “Suppongo che ora non ci resti che attendere l’arrivo della signora.”
“Detto fatto, comandante.” La voce di le Picard, allontanatosi per un attimo, si fece sentire nuovamente in cabina. “Sono tornato sul ponte e ho appena scorto la Nuova Castiglia, cui è stato fatto segno di avvicinarsi.”
“Molto bene” disse Morgan. Finalmente avrebbe avuto le risposte che cercava.
 

*

Jolanda tremò, stringendosi nel mantello. “Non credevo che il conte avrebbe dimenticata sì presto la mia posizione” pensò amaramente, badando a non agitarsi più del dovuto: bastava anche il più piccolo movimento a far frusciare la paglia su cui s’era seduta. E non aveva alcuna intenzione di svegliare il suo ospite che giaceva nell’angolo più buio della cella, al contrario di lei che s’era scelta il punto meglio illuminato dalla torcia in corridoio. “L’ha pensata bene, la mia punizione” pensò ancora la signorina di Ventimiglia, gli occhi stretti per la rabbia e il timore: quando il sergente s’era presentato nella sua stanza per condurla dal governatore, mai avrebbe immaginato cosa avesse escogitato per lei quell’uomo. “Ho creduto bene di trattarvi col rispetto che si conviene a una signora del vostro rango” le aveva detto con voce tagliente. “Tuttavia queste mie premure non sono state tenute in considerazione, anzi da voi non ho ricevuto null’altro che disprezzo. Spero che una notte in cella basti a smussare la vostra alterigia, signorina di Ventimiglia.”
“Quale uomo!” pensò la fanciulla stringendo le labbra. Non contento, aveva lasciato che il sergente la chiudesse nell’unica cella occupata: passi pel freddo che le stringeva le membra e il fetore cui cercava di sfuggire tappandosi il naso con un lembo del mantello, ma restare lì in compagnia d’un criminale di cui non conosceva le intenzioni... Era troppo.
Tacque, il respiro pesante ma irregolare del prigioniero che le giungeva agli orecchi con insistenza. Le membra le si erano ormai addormentate per via della scomoda posizione accovacciata, ma non osava ancora muoversi per tema di fare rumore. Non sapeva quanto fosse profondo il sonno di lui.
“Mio Dio! Si sveglia!” pensò con un sussulto nell’udire la paglia stridere sotto il corpo dell’uomo; una sagoma robusta si mosse nell’ombra, e Jolanda si pentì amaramente di essersi messa nel punto più visibile; forse, se fosse stata al buio anch’ella, lui non le avrebbe badato. Non proferì parola, decisa a non dargli corda in alcun modo: un brivido di paura le percorse la schiena, ma s’impose di controllarsi. “Mio padre non avrebbe timore” pensò, sperando che quel pensiero le infondesse un po’ di coraggio.
Un’esclamazione roca fuoriuscì dalle labbra dell’uomo; Jolanda poteva giurare che si trattasse di stupore. “Certo costui non s’attendeva visite” rifletté. Ne vide il corpo riemergere pian piano dal buio, avanzando verso di lei a carponi, ma non si scostò: era nel punto più lontano possibile, colle sbarre gelide che le premevano sulle scapole, non aveva senso tentare di allontanarsi. Fissarlo in volto equivaleva a sfidarlo, dunque abbassò lo sguardo sperando che si decidesse a lasciarla in pace.
“Voi...” La voce dell’uomo mostrava evidente sorpresa, ma non solo. La sua, pensò la fanciulla, era una voce che trasudava dolore. Cosa, e quanto, aveva dovuto sopportare durante la sua permanenza lì?
“Tuoni d’Amburgo! Voi... signorina di Ventimiglia?” Jolanda non seppe resistere a quel richiamo che tanto l’aveva colta alla sprovvista. Alzò il capo, incontrando due occhi che la fissavano con un misto di stupore, curiosità e, avrebbe osato dire, preoccupazione; occhi curiosi anch’essi, d’un verde pallido tendente all’azzurro e che parevano l’unica cosa davvero viva in quel corpo ferito e sanguinante, seppur ancora vigoroso. “Vi spavento?” azzardò ancora l’uomo, forse cosciente del timore che lei provava. Lo vide accennare a tornare indietro, nell’ombra. “No.” Era lei a parlare, tuttavia la sua voce le suonò estranea. “Mostratevi, non vi temo. Se... se aveste voluto farmi del male non avreste esitato.”
Un risata triste le giunse agli orecchi. “Ridotto come sono, posso farvi ben poco” disse l’uomo, lasciandosi scivolare contro il muro alla sua destra.
“Come...?”
“Come so chi siete, volete dire?”
“Ecco... sì.” Jolanda, cosciente d’aver dinanzi un uomo in vesti stracciate che lasciava gran parte del torso in bella vista, abbassò pudicamente il capo. “Io non vi ho mai veduto.” Di nuovo quella risata, forse meno triste rispetto alla precedente. “Neanch’io, ma le vostre sembianze parlano chiaro” rispose il prigioniero. “Siete... il ritratto di vostro padre.”
“Conoscete mio padre?” Sospettando che vi fosse una guardia nei pressi della scala, la fanciulla ritenne opportuno abbassare la voce.
“Sì, signorina. Ho avuto l’onore di servirlo, molti anni orsono.”
“Mio Dio! Un Fratello della Costa!” quasi gemette Jolanda; era stata una sciocca a non pensarci prima. E di subito si pentì del timore e del ribrezzo che in minima parte aveva mostrato; proprio lei, ch’era giunta in America per chiedere protezione ai vecchi amici del padre. “E siete qui per…?”
“Per voi, signorina.”
“Me?”
“Tuoni… d’Amburgo!” rise l’uomo, di una risata che gorgogliava di sangue. “Credete voi che avrei lasciata nelle mani degli spagnuoli la figlia del mio antico comandante?”
“E siete venuto solo?”
“Con un compagno, per raccogliere informazioni.”
“E lui dov’è, ora?” Jolanda notò con dispiacere gli occhi di lui intorbidirsi. “Non lo so” si sentì rispondere con voce malferma. “Potrebbe essere morto a poche celle di distanza da me, torturato senza pietà… o ancora in istrada, perduto chissà dove… non lo so, né so se abbia ancora importanza.”
“Parlate di quello spagnuolo che catturarono iersera?” Quelle parole sortirono un ben bizzarro effetto sul prigioniero, che si rizzò sulle ginocchia a dispetto delle ferite. “Spagnuolo, avete detto?” domandò, gli occhi spiritati e attenti.
“Credo che fosse tale. Diceva di chiamarsi Pedro Raminez, o un nome simile, forse un ladro o...”
“Ne siete certa?”
“Così mi è parso di udire dalla soglia della mia camera; faceva parecchie voci, perciò sono stata in grado di ascoltare.”
“Ma siete sicura che fosse spagnuolo?”
“Oh, questo sì. Ne ho riconosciuto l’accento” affermò Jolanda, mentre l’uomo lasciava andare il capo contro il muro, un pesante sospiro di sollievo che gli fuoriusciva dalle labbra screpolate. “Quel... cane d’un governatore...” ansimò. “Mi ha giuocato per bene, e io ci sono cascato come un pollo! Ah, che stolto!” Si volse verso la fanciulla. “Grazie, signorina; mi avete tolto un gran peso dal cuore. Io ho commesso un grave sbaglio, ma forse non tutto è perduto...” Strinse con forza un oggetto di forma ovale, forse una scatola, nel palmo della mano. “Sì... non tutto è perduto...”
“Di cosa parlate?”
“Shhh!” intimò piano il filibustiere. I suoi occhi guizzarono sulla ciotola d’acqua nell’angolo, in una muta richiesta che Jolanda colse al volo: la prese tra le mani e s’avvicinò, badando a non versarne il contenuto. Era un liquido torbido che lei mai avrebbe osato bere; ma al vedere quell’uomo sorbirlo avido e senza ribrezzo alcuno le si strinse il cuore. Ne ebbe pietà, ma si curò di celarla al meglio.
“Voi conoscete il mio nome. Potrei io sapere il vostro?”
“Ha importanza?”
“Sta a voi deciderlo” mormorò Jolanda, e anche la risposta che ottenne non fu che un fioco sussurro. Un grido sottile, sorpreso, le uscì dalle labbra suo malgrado prima che l’altro le imponesse di tacere con un gesto; in verità il suo dito stava per sfiorarle le labbra prima d’esser trattenuto a tempo: sembrava che lui avesse pudore a toccarla, un pudore che non doveva essere frequente nei fieri sì, ma ruvidi uomini della filibusteria. “Voi! Non avete forse accompagnato mio padre in Florida, dopo l’esplosione del vascello di mio nonno il duca? Voi e il vostro...”
“Giù quelle mani, figlio d’un cane” intervenne in quel momento una voce. “O te le taglio.”
Jolanda s’alzò con uno scatto, fissando accigliata colui che aveva appena parlato. “Avete inteso male, signor tenente” replicò, il calore rivolto al filibustiere che svaporava in un colpo. “Costui non mi ha neanche sfiorata, al contrario dei vostri uomini.” El Moro strinse le labbra. “Qualcuno ha osato mancarvi di rispetto?” domandò. “Ditemelo e sarà punito.”
“Lasciate perdere, il mio onore di donna è ancora illeso. Cosa volete?”
“Farvi uscire di lì.”
“Come?” fece la fanciulla ironicamente, fingendosi stupita. “Credevo che il governatore volesse farmi passare qui la notte.”
“Ha più cuore di quanto crediate. Ora seguitemi.”
“Solo un attimo.” Jolanda si sfilò dalle spalle il mantello. “Prendete, Wan Stiller” disse porgendolo gentilmente al filibustiere. “Tremate di freddo.” Lui la fissò con evidente stupore. “Ne siete certa, signorina?”
“Certissima.”
“È un vero peccato. Finirò per sporcarvelo.”
“Suvvia, non siate sciocco” replicò con maggior veemenza la fanciulla. “Serve più a voi che a me.” El Moro si limitò a guardare senza intervenire, preferendo dire la sua una volta condotta la fanciulla lontano da quel posto. “La vostra pietà è ammirevole” commentò, guadagnandosi in risposta un’occhiataccia; fossero stati colpi di pistola, a quell’ora i soldati di palazzo sarebbero stati decimati. “Il vostro buon cuore, se preferite.”
“La vostra lingua taglia più della vostra spada, signor tenente.”
“Non mi avete mai veduto in battaglia.”
“Non ci tengo, grazie.” L’ufficiale celò a stento una smorfia di disappunto. “Trattenete la vostra insolenza, signora” disse con voce pacata ma gelida. “Sono nobile come voi, e non vi permetto di mancarmi di rispetto.”
“Mi chiedo perché siete qui, dunque.”
“Perché questo è il destino dei figli cadetti” replicò amaramente El Moro mentre apriva la porta della camera di lei. “Il militare o il convento. Grazie al Cielo, mio padre era piuttosto tiepido in fatto di fede.”
“Ai miei occhi siete un carceriere al pari di tutti gli altri” disse Jolanda. “Non vedo perché debba trattarvi meglio di loro.”
“Non so cosa mi trattenga dallo schiaffeggiarvi come meritate.”
“La vostra innata cortesia, forse.” Quelle parole furono accompagnate da un sorriso, tutt’altro che ironico però. L’ufficiale alzò gli occhi al soffitto, cosciente d’esser stato provocato di proposito. “Toccato” ammise.
“Riconosco un gentiluomo quando lo vedo, signor tenente” riprese la fanciulla. “Abbia agli indosso una divisa o un pomposo abito di gala. Un’altra volta, se lo vorrete, discorreremo dei nostri rispettivi avi; per ora vi do la buonanotte.” E porse la bella mano affusolata, lasciando che l’altro se la portasse alle labbra con un solo, elegante gesto. “Quale donna!” pensò l’ufficiale una volta solo. “Darà un bel daffare al suo futuro marito!”
E il pensiero lo fece sorridere.

*

Di rado il suo quadrato ufficiali era mai stato così affollato, pensò Morgan una volta fatti accomodare tutti i suoi ospiti; se si escludevano le sedute di guerra, ovviamente. “Spero non vi dispiaccia se ho condotto con me uno dei miei servi” esordì Honorata alludendo a Ch’ulel, in piedi al suo fianco.
“Affatto, signora, anzi credevo che li avreste portati tutti e due.”
“Non so perché, ma questa frase mi suona familiare” disse la duchessa con un sorriso, una mano che stringeva con affetto quella del marito; quest’ultimo glissò con molta grazia sull’amichevole presa in giro della consorte. Perlomeno la battuta aveva provveduto a sciogliere l’atmosfera fattasi tesa. “Signora contessa” cominciò l’almirante, “da quanto ho potuto capire voi avete un ruolo non indifferente, in questa istoria; non mi spiego altrimenti la vostra presenza qui.”
“È così, signor Morgan” affermò Honorata. “Se ho insistito per seguire mio marito a Maracaibo, pur conscia dei pericoli e del peso che avrei potuto essere per lui, è perché conosco personalmente il responsabile di tutto ciò."
“Intendete il governatore di Maracaibo?”
“Esattamente, anche se è trascorso molto tempo da quando l’ho veduto l’ultima volta.”
“Non era che un fanciullo” intervenne accorato il conte.
“Un fanciullo che mostrava affezione per me, Emilio” replicò sua moglie, seria. “Certe cose non si dimenticano.”
“Sai qual è il mio pensiero.”
“Lo so, ma non abbiamo scelta.”
“Qual è la vostra idea?” si decise a chiedere Morgan.
“Lasciare che io mi rechi a Maracaibo in qualità di messaggero” rispose decisa Honorata.
“Sola?”
“Accompagnata da alcuni vostri marinai, se così credete, muniti ovviamente di bandiera bianca. Se avrò fortuna, il conte di Medina rinuncerà alle sue mire su Jolanda.”
“E la vostra eredità?”
“Può anche trattenerla, pur non avendone il diritto” disse accorata la contessa di Ventimiglia. “Ciò che più mi preme è riavere mia figlia sana e salva; firmerò qualunque carta lui desideri, garantendogli anche che Jolanda, in futuro, continuerà a rispettare la mia decisione.”
“Potrebbe non bastare” rifletté Morgan. “Gli porterete anche un messaggio scritto di mio pugno; se accetterà di lasciare libera vostra figlia, io rinuncerò ad attaccare la città colla mia flotta.”
“Lo fareste?” fece con stupore Honorata.
“Dubitate della mia parola?”
“No, ma so che a spingere in mare i vostri uomini non è stato solo il nome di Jolanda” replicò lei con semplicità. “So chi sono i filibustieri della Tortue; e sono ormai trascorsi i tempi di Ilio, in cui si combatteva per amore d’una donna. Tutti i marinai sarebbero disposti a rinunciare a un sì grande cumulo di ricchezze?”
“Sì” replicò con sicurezza il comandante della flotta. “Sappiate, signora contessa, che alcuni dei capitani si sono spinti fin qui proprio per rendere un favore alla memoria del Corsaro Nero, che tutti ancora ricordano; senza contare che ho un notevole ascendente su costoro. Rinunceranno a Maracaibo, se sarò io a chiederglielo; sanno che sono in grado di condurli ovunque.”
“Anche a Panama?” intervenne Enrico con un sottile velo d’ironia che lo zio non riuscì a impedirgli di usare. Ma Morgan non sembrò essersela presa a male. “Perché no?” disse difatti. “Un giorno, forse.”
“Ammiro sinceramente il vostro zelo; ne servirebbe, agli uomini della Marina di Sua Maestà.”
“Permettete una parola?” intervenne a sua volta Carmaux.
“Parlate pure” l’invitò Honorata.
“Credete voi che il legame di amicizia che avete col conte basterà?”
“Oh no” rispose con un sorriso triste la bella gentildonna. “A legarci... è molto di più.” E detto questo strinse il braccio del consorte, come a cercare forza e conforto. Enrico e Ch’ulel, che già sapevano tutto, non fecero una piega, al contrario di Morgan e Carmaux, alquanto confusi. “Cosa intendete, signora?” azzardò il primo. “Cos’è che avete in comune?”
“Il sangue, signor Morgan” fu la mesta risposta. “Il sangue di nostro padre.”
“Di vostro... cosa?”
“Ventre di pescecane!” esclamò Carmaux, livido, facendo un passo indietro. “Volete dire che...?”
“Proprio così” convenne Honorata. “Il conte di Medina è mio fratello.”


Note dell’autrice: il riferimento di Honorata all’Iliade nasconde una velata “critica” della sottoscritta nei confronti del romanzo originale salgariano. Mi spiego: mentre, nei libri precedenti, si vedeva come L’Olonese o il trio de Grammont - Laurent - Wan Horn partissero alla conquista di Maracaibo e Veracruz per perseguire i propri scopi, così come il Corsaro si accodava a loro per seguire la sua vendetta, in “Jolanda” sembra quasi che Morgan si metta in mare sempre e solo per il bene della fanciulla - o per il suo amore, come è evidentissimo per la conquista di Panama. Visto che in pratica sto riscrivendo il romanzo secondo i miei gusti, ho creduto bene di “aggiustare” un po’ il tiro in questo senso.
Il mio timore maggiore è che “Sangue corsaro” finisca per essere un mero riciclo di avvenimenti aggiustati un po’ qua e là a seconda delle circostanze. So che in pratica tutto questo è un gigantesco What if?, ma ci tengo comunque a mettere sempre qualcosa di mio - che siano OC o comunque scene del tutto originali.
Il riferimento al maracaya è ovviamente preso da “Il Corsaro Nero”, in cui effettivamente il signore di Ventimiglia e i suoi uomini hanno a che fare con questo felino - scambiato da Carmaux per un giaguaro. Io credo che sia la figuraccia peggiore che fa nel romanzo, dopo quella del surrilho XD -. Inoltre, quando Honorata dice che la frase di Morgan le suona familiare, si riferisce a quando, sempre ne “Il Corsaro Nero”, il cavaliere le dice qualcosa di molto simile circa l’aver portato una serva anziché due.
Un doveroso ringraziamento lo merita l’autrice Chandrajak che, sempre sia lodata, mi recensisce, mi segue e mi sostiene. Spero di non deluderla con El Moro, che sembra piacerle molto come personaggio.
Satomi

   
 
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